La principessa è diventata una regina
La principessa è diventata una regina
La stanza dell'ospedale si è fatta silenziosa, da quando tutti quanti, ad eccezione di Jack, se ne sono tornati a casa per riposare e riprendersi da tutto quello che è successo. Dopo che Sasha ha insultato ancora un paio di volte il dottor Polton, lei ha trascinato con sé Aaron e Bill, dichiarando loro che, dopo tutta l'ansia che le avevano fatto venire, le dovevano come minimo tre panini al salame. Aiutata dalla mano di Pamela, i cinque se ne sono andati senza fare troppe storie, ed è stato allora che ho compreso che quella era tutta una tattica delle mie amiche per potermi far passare la notte in ospedale con Jack.
Gli hanno dato una brandina, ma è così piccola e scomoda che lui neanche vi entra. Perciò se ne sta seduto sopra di essa, al mio fianco, il volto chinato, le mani allacciate fra di loro. Non ha parlato da quando è entrato nella stanza, non ha detto una sola parola. Nei suoi occhi ci sono occhiaie profonde, il suo volto è pieno di graffi e lividi, ha un labbro spaccato e dei cerotti sul sopracciglio.
Per qualche minuto né io né lui troviamo parola. Io perché ancora troppo confusa dall'ansia e dagli antidolorifici, lui perché non ha il coraggio di guardarmi negli occhi.
Alla fine, dopo quello che pare un tempo interminabile, lo sento sussurrare come un bambino spaventato: «Mi dispiace, Sophie.»
Voltarmi alla mia sinistra, per guardarlo, è più doloroso di quanto mi aspettassi. I tubi collegati al mio corpo si tendono, le macchine che misurano i miei battiti e respiri continuano a squillare, incuranti dei nostri sentimenti. Jack non mi guarda, rivolge il suo sguardo a terra, quasi distrutto dalle sue stesse parole. «Non è stata colpa tua» sussurro io alla fine. «Mi avevi avvertita di... Di non andarmene in giro da sola, sono stata io a non darti ascolto.»
Il suo pomo d'Adamo sale e scende con furia, disperato, il volto nascosto da quei riccioli corvini, ma la linea dura del naso è ancora visibile ai miei occhi. «Se tu non mi avessi conosciuto allora...»
«Jack» lo interrompo. «Sto bene, Jack, sono sopravvissuta.»
«Ma se fossi morta-»
«Jack, non è stata colpa tua.»
Gli trema il labbro, lo intrappola nella furia dei suoi denti. Stringe con più forza le mani fra loro: ha il corpo teso allo spasmo, i muscoli irrigiditi le spalle vibranti. Non credevo che un giorno avrei mai visto Jack Valentine in queste condizioni. Così distrutto e rovinato. La sua mano ricerca la mia, delicata e spaventata. Le nostre dita che si sfiorano e riscaldano insieme, felici di essersi ritrovate. «Ho avuto paura» gracchia alla fine, la voce così fievole da essere appena udibile. «Ho avuto tanta paura, Sophie. Quando ho sentito il colpo e tu sei caduta a terra... perdevi così tanto sangue, mio Dio, perdevi tantissimo sangue.»
Il mio cuore si sfalda di dolore, lentamente, drasticamente. Le sue dita tremano, intrecciate alle mie, mentre lui si piega quasi con sofferenza col busto e bacia il dorso della mia mano, per posarselo sulla fronte. «Dio, Sophia» singhiozza. «Non lo fare mai più, ti supplico.»
La mia voce trema quasi quanto la sua, quando gli rispondo: «Te lo prometto.»
Lui inspira a fondo, il pomo d'Adamo che si muove ancora, impazzito. Le sue labbra delicate sfiorano ancora una volta la pelle tesa del dorso della mia mano, e per un istante, un singolo e meraviglioso attimo, ci siamo solo noi due. Nessun ospedale, nessun dolore, solo io e Jack, persi nel nostro amore e nelle nostre vite intrecciate. «Cos'è... Cos'è successo dopo che.. Che mi hanno sparato?»
Le spalle di Jack sussultano, le sue sopracciglia si aggrottano mentre la rabbia sgorga dentro i suoi occhi. «Il tizio... Il figlio di puttana che ha premuto il grilletto...» gracchia. «Si è spaventato. Non credo avesse intenzione di spararmi davvero, forse solo di spaventarmi così che lasciassi andare il suo amico, quindi, quando tu ti sei messa in mezzo e ti ha colpito, ha avuto paura. Stessa cosa vale per il suo compagno. Sono scappati via.»
Deglutisco a fatica, tentando di respirare. «Non... Non li hanno presi?»
«Li hanno presi» mi rassicura lui, con le mani che si accartocciano attorno la mia. I loro dorsi sono ricoperti da sangue raggrumato, ferite che si è procurato durante la lotta. «Lo sparo ha attirato le attenzioni di tutti, c'era una pattuglia, là vicino... Non ho capito molto bene cos'è successo... È accaduto tutto in fretta e io stavo solo cercando di non farti perdere altro sangue.... Ho chiamato l'ambulanza e ho aspettato che ti venissero a prendere, un agente mi ha aiutato mentre il suo collega arrestava quei bastardi. Dio, Sophia, è stato... Un vero e proprio incubo.»
Una fitta di dolore mi attraversa il petto, quando mi rendo conto che, mentre io sognavo un mondo incantato insieme a Andrew, Jack era qui, nella dura e amara realtà, a soffrire, spaventato e terrorizzato. «Mi dispiace» sussurro alla fine. «Non volevo...»
Lui annuisce, le labbra sigillate. «Temevo... Temevo saresti diventata la nuova Roy» confessa alla fine, con la voce che trema come una foglia trascinata via dal vento. «Non volevo... Non lo volevo in alcun modo. Avrei dovuto proteggerti, avrei dovuto assicurarmi che tu fossi al sicuro... Non avrei mai dovuto lasciare casa tua, ma non volevo che tu andassi in panico, dopo quello che ti avevo detto. Sapevo che avevi bisogno di tempo per digerire le mie parole. Non credevo che...»
«Non è colpa tua» ribadisco ancora, e le lacrime si agglomerano nella mia gola. «Non è colpa tua, Jack, non è colpa tua se sei uno zingaro e quei tipi hanno voluto prendersela con te per questo. Non è mai stata colpa tua.» La mia mano si solleva, sfiora il suo sofferente zigomo, e lui chiude gli occhi sotto questa carezza, ricoprendo il volto trafitto dal dolore dietro il mio palmo. «Mi dispiace di averti spaventato in questo modo.»
Il tocco delicato delle sue labbra sulla pelle nuda mi riscalda, le sue ciglia, imperlate di lacrime, tremano sotto la saracinesca della sua fronte aggrottata per il dolore. «Ti amo, Sophie» sussurra. «Ti amo tanto, ti amo troppo.»
«Ti amo anche io.»
La presa della sua mano sulla mia si fa più forte, quando solleva le palpebre i suoi occhi cristallini splendono di meraviglia e trepidazione. «Ho incontrato Andrew, sai?» gli sussurro alla fine. «Mentre dormivo... Non so se fosse un sogno o la realtà, ma l'ho incontrato. Abbiamo ballato insieme un'ultima volta. E all'inizio è stato tutto così magico, tutto così bello, ma dopo... quando il ballo è finito...» deglutisco rumorosamente. «Non potevo restare con lui, sai? Non potevo proprio. Non volevo lasciarti andare. Volevo ritornare da te, a tutti i costi. Anche se questo avesse significato lasciar andare lui. L'ho salutato per sempre, Jack» affermare queste parole è un sollievo e un dolore al tempo stesso. «L'ho lasciato andare, Jack. L'ho lasciato andare per sempre.»
Non c'è bisogno di altre parole e di altre promesse. L'ho detto, l'ho pronunciato ad alta voce. L'ho dichiarato, e oramai non si può più tornare indietro.
Jack si china su di me, le sue labbra tremanti che baciano in silenzio le mie, per suggellare un patto di vita, un giuramento che rimarrà fermo nel nostro cuore. Piango e tremo, quando il calore del suo corpo riveste il mio, quando il tocco della sua bocca mi richiama alla realtà.
Ed è con dolore, con rammarico, con sollievo e gioia, che mi rendo conto di tutto, di ogni cosa.
È finita, è finita per sempre.
Cenerentola e il suo principe non ci sono più.
***
C'è voluto un mese intero perché mi riprendessi. Ho scoperto che i colpi da arma da fuoco sono terribilmente difficili da sistemare, anche se possono esser definiti meno gravi di molti altri.
Per quell'intero mese di convalescenza, sono stata trattata come una bambina che aveva bisogno di aiuto per qualunque cosa. La mia casa è stata riempita di persone: da Sasha che mi cucinava, Bill che mi accompagnava a letto, Pamela che mi riforniva di dolci, Aaron che controllava le mie condizioni e Jack che non mi lasciava restare da sola nemmeno per un istante, nemmeno per un secondo.
Per non parlare di Papillon, lui è stato il più terribile di tutti. Una volta essere uscita dall'ospedale e averlo rincontrato, fuori dall'edificio, mentre litigava con Sasha che lo teneva al guinzaglio, ho incrociato il suo sguardo. Lui guaiva e si dimenava sotto la stretta della nostra pazza, per poi paralizzarsi non appena mi ha visto.
A quel punto è corso verso di me, con la lingua a penzoloni, e per un istante ho quasi creduto che si sarebbe fiondato fra le mie gambe per coccolarmi e ringraziarmi di esser sopravvissuta.
Mi ha morso la caviglia.
Stando a quanto dice Sasha, questo è stato il suo modo per vendicarsi di tutta la preoccupazione che gli ho dato quando mi hanno sparato, io, invece, sospetto sia anche dovuto al suo carattere da cinico bastardo. Stranamente, tuttavia, Papillon non ha abbandonato la mia figura nemmeno quando dovevo andare in bagno per fare la pipì. Non appena richiudevo la porta e lo lasciavo fuori, iniziava a guaire e a latrare come non mai, inutile dire che la cosa ha innervosito non molto Jack, per le notti che passava a casa mia. Una volta, mentre stavamo dormendo, il suo urlo mi ha svegliata, e quando ho aperto gli occhi Papillon era aggrappato a lui, mentre cercava di staccargli l'orecchio dalla testa con i denti.
Non sono più andata a trovare Avery.
Non aveva più senso farlo, non ne avevo più il bisogno, all'improvviso, quasi come per magia, mi sono resa conto della stupidità delle mie azioni. Guardarla così rovinata, così distrutta, non mi avrebbe mai fatta sentire meglio. Perché non sono mai stata una persona sufficientemente crudele da godere della sofferenza altrui, perché Avery, per quanto odi ammetterlo, non è mai stata un mostro vero e proprio.
Perché Andrew ha sbagliato.
Quando ne ho parlato con Jack, lui non ha detto nulla, è rimasto in silenzio ad ascoltarmi, per poi baciarmi delicatamente sulla fronte e sussurrarmi: «Sei molto più di una principessa, Sophie, tu sei la mia regina.»
Non ho più ritrovato l'elastico che Andrew mi aveva regalato prima di morire, quasi a confermare che quanto ho vissuto in quel sogno fosse reale. Non era fra gli oggetti personali che la polizia mi ha restituito quando è venuta in ospedale a interrogarmi, non era nemmeno nel luogo del crimine. Io e Papillon lo abbiamo cercato a lungo, più per curiosità che per desiderio di riaverlo indietro.
Non l'ho mai ritrovato.
Forse, solo forse, quel sogno avuto con Andrew era vero. O forse, in realtà, l'elastico è andato perduto durante la sparatoria. Magari è balzato in aria ed è stato preso da qualcuno, magari si è distrutto da solo, magari è semplicemente scomparso, e ora è nelle mani di chi lo aveva comprato.
Non credo verrò mai a sapere quale sia la verità.
E forse è meglio così.
Dopo essermi ripresa del tutto, Jack mi ha portata da Roy. Era ricoverato in una clinica specializzata, che solo da lontano era evidente fosse il motivo per cui lui si uccidesse di lavoro, nel tentativo di guadagnare soldi. Quel luogo puzzava di medicinale e candeggina, i corridoi bianchi, asettici e moderni, non hanno fatto altro che angosciarmi. E quando Jack si è fermato, di fronte a una porta bianca, e ha spalancato la porta, per la prima volta ho avuto modo di conoscere quello che un tempo era stato il suo fratello di sangue, il suo migliore amico.
Roy non era una persona vera e proprio.
Sembrava un ragazzo rovinato, distrutto dal tempo, addormentato in un sogno da cui non avrebbe più riaperto gli occhi. Il suo corpo sdraiato era di marmo, incollato a dei tubi che gli fornivano respiro e nutrimento. Se fosse vissuto per davvero, sarebbe stato un bel ragazzo, molto popolare fra le donne. Con delle sopracciglia folte, dei riccioli castani e un volto delicato, quasi infantile, dalle labbra carnose e il naso a punta.
Non abbiamo parlato e non abbiamo detto nulla di che, ci siamo seduti al capezzale di quella persona che solo fisicamente era ancora viva. Jack gli ha fatto la barba, gli ha sussurrato parole nella loro speciale lingua, e poi ha passato il resto dell'ora della visita in silenzio, con il mio capo posato sulla sua spalla mentre guardava un'ultima volta il suo più grande amico, consapevole che avrebbe dovuto lasciare andare anche le sue spoglie, stavolta.
Roy è morto una settimana più tardi, dopo che Lala ha firmato i documenti per bloccare le macchine che ancora tenevano in vita il suo corpo.
Quando è successo, Jack non ha detto nulla. Siamo rimasti chiusi dentro una roulotte, noi due da soli, fino a quando Lala e Kostana non sono tornate per avvertirci che tutto era finito.
Quella notte Jack ha pianto, e io ho pianto con lui, in silenzio. Lui che si spezzava e io che raccoglievo i suoi resti, impedendo al dolore di portarmeli via. È stato terribile vederlo così, distrutto e disperato per aver perso qualcuno che già se n'era andato, ma è stato in quel momento che il sollievo si è fatto strada nel suo cuore. Forse, solo forse, questo era ciò che era meglio per Roy stesso.
I funerali si sono tenuti due giorni dopo. C'è stata una cerimonia, una funzione, e poi le persone hanno raccolto tutti quegli oggetti che li legavano a Roy e li hanno bruciati dentro un falò, nella speranza che il fumo di quest'ultimo potesse raggiungere quella persona che ora se n'era andata. Abbiamo ballato e festeggiato, augurando un buon viaggio a quell'anima ora svincolata dal legame del corpo, sperando per lui un lieto riposo.
E ora, proprio ora, ogni cosa, pian piano, sta assumendo il suo senso.
***
Sasha sorride come non mai, oggi.
Se ne sta seduta sul divano, una sigaretta intrappolata fra le labbra, appena accesa, le gambe accavallate e il volto soddisfatto di un boss mafioso che ha appena sconfitto una gang rivale. Le braccia conserte, il sorriso diabolico, in un simile momento sono estremamente felice di non ritrovarmi al posto delle sue vittime. Davvero, sono molto felice di tutto ciò.
Alle mie spalle, Aaron, in cucina, che le prepara un gigantesco panino al salame. Non so davvero dire cosa stia pensando, in questo momento, ma le sue labbra serrate vibrano con forza, quasi si stesse sforzando oltre ogni modo di non scoppiare in una fragorosa risata.
Jack, alla mia destra, inarca un sopracciglio e si gode insieme a me lo spettacolo che abbiamo davanti. «Dio» gracchia, «vorrei troppo avere dei popcorn in un simile momento.»
«Ti capisco.»
«Molto bene» dichiara Sasha con solennità, la voce così acuta da svegliare Papillon, addormentato per terra, vicino alla porta del mio bagno. «Come minimo, ora, dovete sfornare una bambina e darle il mio nome. Questo è il minimo che potete fare per mostrarmi tutta la gratitudine che provate nei miei confronti.»
Pamela e Bill, in piedi di fronte a lei, si guardano con sguardi di incertezza. Posso davvero comprenderli, in un simile momento. Non hanno la più pallida idea se morire di paura o prostrarsi ai piedi della donna che è seduta davanti a loro, nella speranza di non dover ricevere la furia della sua ira. «Sai, Sasha...» gracchia Pamela, schiarendosi la gola, «non trovi che sia... prematuro parlare di figli quando abbiamo appena iniziato a...» s'interrompe all'improvviso.
«Frequentarci» conclude Bill al posto suo, stringendola per una spalla. «Come prova per vedere come andrà a finire.»
Jack sta praticamente piangendo per trattenere le risate, alle mie spalle percepisco persino gli sghignazzi strozzati di Aaron. È davvero difficile mantenere un certo contegno, se di fronte a te hai una coppia di neo fidanzati che sai già dovrà subire l'agonizzante vendetta di Sasha Porter. «Frequentarvi, eh?» Il sopracciglio dell'indomabile pazza si solleva così tanto da raggiungere l'attaccatura dei suoi capelli, la gamba accavallata inizia a vibrare piena di minaccia. «Quindi adesso è così che si dice quando due tizi passano intere nottate a conoscere i loro rispettivi genitali?»
Una risata gonfia il mio stomaco, ma disperata tento di trattenerla ingoiandola con la lingua.
«Non so a cosa tu ti riferisca» ribatte Bill con finta innocenza.
«Non abbiamo fatto nulla» aggiunge Pam, incrociando le braccia al petto. «A differenza di quanto tu dichiaravi, non siamo due cani in calore.»
«Capisco» Sasha aspira un tiro dalla sigaretta con fare saccente, prima di dire, «be', meglio così.»
Sia io che Jack ci scambiamo uno sguardo sconvolto, Bill, Pam e Aaron paiono altrettanto confusi. Quest'ultimo si avvicina alla sua ragazza con il panino in mano, guardandola particolarmente preoccupato. «Tesoro, ti senti bene?» le domanda. «Hai la febbre? La malaria? Il parkinson?»
«Sto benissimo» replica lei, afferrando il panino dalle mani di Aaron e osservandolo con goduria. «Sono giunta alla conclusione che sia un bene che Pamela non abbia lasciato che Bill intingesse il suo biscotto nella sua marmellata, perché, dopo l'esperienza che deve avergli dato Cavallina, sarebbe stato senz'altro deludente.»
Temo di aver capito quale sia il piano di quella maledetta.
Sta puntando all'orgoglio di maschio alfa di mio fratello.
E non posso che rispettarla per ciò.
«Come, prego?» Bill si sporge, gli occhi ricolmi di offesa.
«Be', sì...» Sasha muove la sigaretta in aria come se fosse una bacchetta, per poi puntarne la cenere contro i due, ancora stretti l'uno all'altra. «Scommetto che Cavallina ti ha smontato non poco, Ridarella, deve aver davvero fatto tremare il tuo pippolo magico, con tutte quelle risatine. E io voglio che la mia amica Pamela abbia una vita sessuale degna di questo nome, perciò meglio così.»
«Non ci provare, bastarda! Non osare dirlo! Io sono bravissimo! E Pamela non si è mai lamentata, non è così, Pam?»
Sapevo che ci sarebbe cascato, lo sapevo, come lo sapevo!
Il volto di Pamela si tinge di rosso, le sue labbra tremano. Jack, ormai, non ce la fa più, è piegato in due dalle risate, insieme a me, mentre entrambi fissiamo la nuova coppia venir sotterrata dal sorriso crudele, sadico e meraviglioso di Sasha Porter, custode di cuori e, a quanto pare, nuova Cupido della famiglia King.
«Ah, quindi lo avete fatto!» dichiara, con una grossa risata che porta Aaron a massaggiarsi le tempie.
A quel punto succede.
Una risata malvagia, persino più terrorizzante di quella di Jafar e Scar messe insieme, scaturisce dalle labbra della nostra pazza preferita. Bill e Pamela sbiancano, nel vederla venir attraversata dai deliri della soddisfazione. Aaron indietreggia verso di noi, visibilmente spaventato come tutti quanti nell'osservare la sua fidanzata trasformarsi in un cattivo della Disney.
«Ah!» strilla lei, alzandosi in piedi. «Ho vinto! Ho vinto! HO VINTO!»
Pamela si batte una mano sulla fronte. «Bill, sei un cretino...» sussurra.
«Mi ha provocato!» si difende lui. «Non potevo farci niente!»
«Ho. Vin. To» sillaba di nuovo Sasha, buttando la sigaretta nel posacenere che le ho preparato e iniziando a ondeggiare le anche con fare vittorioso. «Ahhhh! Credo di aver appena avuto un orgasmo!»
Le sopracciglia di Jack si inarcano in un modo così ridicolo da farmi ridere di nuovo. «Amico,» dichiara lui, rivolgendosi a Aaron, «se fossi in te, io mi preoccuperei visto che la tua ragazza ha orgasmi ogni volta che riesce a vincere una scommessa.»
Aaron, col volto ancora rivolto verso la sua fidanzata che sta inneggiando alla sua vittoria con una strana danza a noi sconosciuta, sorride ammiccante. «Nah» dichiara, scrollando le spalle. «Meglio così.»
«Per davvero?» gli domando sconvolta. «Tu odi quando Sasha gode per le sue vittorie.»
«Vero» ammette. «Ma per qualche strano motivo, dopo che ha vinto, Sasha ha una grande voglia di festeggiare sotto le lenzuola» aggiunge poi, con un sorriso malizioso quanto quello della sua fidanzata. «Perciò non mi lamento.»
Brrr, preferivo proprio non venire a conoscenza di questo particolare.
«E voi» strilla il soggetto in questione, puntando le mani a me e Jack e Pamela e Bill, col volto raggiante. «Ora, come minimo, dovrete dare il mio nome ai vostri figli, capito? È tutto merito mio se adesso vi montate come se foste dei mobili dell'Ikea, come minimo merito tale privilegio.»
«Oddio...» sussurro, mentre Aaron scoppia in una fragorosa risata al mio fianco e Pamela inizia a insultarla oltre ogni modo.
Accanto a me, Jack rimane in silenzio. Un sorriso lento, delicato, illumina il suo viso. È rilassato come non mai, i muscoli sciolti, le labbra gonfie d'amore, e quando si china su di me, per baciarmi sulle labbra con una delicatezza quasi infantile, mi ritrovo a domandargli: «Per cosa sorridi?»
«Sono solo felice» è la sua risposta. «Sono grato al mondo intero per ogni cosa.»
Il mio cuore sussulta, si rigira in se stesso, mentre lacrime calde bruciano i miei occhi. Sospiro, lenta, rovinata, distrutta, ricostruita, amata. Questo mondo, questa vita, è un qualcosa che non avevo programmato. Non avevo previsto l'atroce dolore di dover perdere la persona che più amavo, il supplizio di affrontare un lutto quando ero troppo giovane per poterlo affrontare, l'ansia di dover vivere in un mondo che pareva andarmi troppo stretto addosso.
Eppure, ora, proprio ora, sono più felice che mai.
Sono grata di tutto.
Di ogni singolo istante.
«E poi...» aggiunge poi lui, mentre un sorriso si stende sulle mie labbra timbrate dalle sue, «Sasha non è un nome così male per un bambino, non trovi?»
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