CAPITOLO EXTRA


Nota autrice

Siete pronti?

Lo so che state morendo di curiosità.

Voi lo volete sapere, non è così?

Cos'è successo in quell'ora di tempo, dopo che Sasha la pazza ha rinchiuso Pam e Bill nella camera di Aaron.

Io lo so che lo volete sapere.

Perciò stringetevi forte.

Preparate i popcorn.

Accendete la musica.

SI.

INIZIA.

***



Io ucciderò Sasha Porter.

A costo di sacrificare chili di zucchero all'altare dei cibi salati, a costo di rinunciare per un anno intero alla nutella, a costo di dire per sempre addio alle mie riviste porno di cornetteria al cioccolato, io ucciderò Sasha Porter, da viva o da morta.

Sapevo che era una stronza, l'ho sempre saputo. Per tutto il liceo non ha fatto altro che fregarmi gli appunti, copiare dalle mie verifiche e rubarmi le merendine dallo zaino. Quando ho iniziato a lavorare ha provato a farsi vendere gratis il cibo della pasticceria e ha tentato pure di corrompere il mio capo con dei panini al salame. Sapevo che era una stronza e sapevo che non ha alcun ritegno a rovinare la vita delle persone per un proprio tornaconto, ma non avevo previsto potesse arrivare a tanto solo per la soddisfazione di potersi dichiarare la cupido perfetta della famiglia.

La ucciderò.

Come prima cosa, cospargerò di zucchero le sue fette di salame quando lei è distratta, dopodiché sostituirò tutti i suoi panini con altri ripieni di burro, infine le priverò di tutti gli assorbenti esterni e la costringerò ad usare quei tampax che lei tanto odia.

Molto probabilmente rischierò la morte o, ancor peggio, la perdita del gusto, ma ne varrebbe comunque la pena.

Perché diavolo ho deciso di parlarle, quel giorno di quattro anni fa, quando vidi che era la nuova arrivata alla Star High School Academy? Non potevo farmi gli affari miei e divorarmi le mie sacrosante meringhe, piuttosto che iniziare ad avere a che fare con una pazza femminista che meriterebbe l'eutanasia?

«Io la uccido.»

Ho parlato ad alta voce?

Ah, no, è stato l'imbecille.

Bill, di fronte alla porta della camera, lancia un calcio allo stipite chiuso, con una furia che sarebbe preoccupante, se non fosse per il fatto che sono estremamente abituata alla sua impulsività. «Sasha Porter!» strilla, battendo i pugni contro la porta. «Giuro che un giorno o l'altro io ti ammazzo! Ti ammazzo!»

Be', siamo in due a volerlo fare, la cosa in parte mi rincuora, se non fosse per il fatto che ora, per colpa di quella bastarda, sono intrappolata con William King nella camera da letto di Aaron: una stanza piccola, asettica e sterile, in perfetta linea col suo proprietario. Scrivania in legno piena di libri ben ordinati, coperte azzurre perfettamente stirate, pareti bianche lucide. Tutto sarebbe meravigliosamente a posto, se sul comodino a fianco al letto non ci fossero dei preservativi disposti per formare un cuore al cui centro c'è un bigliettino.

"Fate tanti bei figli, 

Firmato

Sasha"


Come diavolo ha fatto quella ragazza a non essere ancora uccisa da qualcuno?

Magari li ha uccisi lei prima che loro potessero farlo.

«Maledizione!» L'imprecazione di Bill mi ridesta dalla lettura del biglietto, quando sollevo lo sguardo lui è ancora lì, di fronte alla porta che non vuole saperne di aprirsi nonostante i suoi calci e le sue bestemmie. 

Era passato davvero tanto tempo dall'ultima volta che ho potuto guardarlo in questo modo, noi due da soli, senza essere interrotti da qualcuno. Quei capelli biondo cenere, lunghi e spettinati, che ricadono sul suo volto solo apparentemente perfetto. E quella mascella volitiva, ricoperta da un sottile strato di barba. E quelle labbra carnose, di solito perfettamente stirate in un finto sorriso.

Il calore che si annida nel mio cuore, pian piano, mi impedisce di provare davvero rancore nei confronti della mia amica. Sono terribilmente stupida, me ne rendo conto, ma esser qui, così vicina a lui, non può che rendermi felice. Certo, lo vorrei evirare o comunque buttare dalla finestra, ma sono comunque felice.

«È inutile che ti arrabbi così tanto» dichiaro alla fine, serrando le braccia al petto, «se n'è andata e, a meno che tu non voglia buttar giù la porta così da sentire tuo fratello che ti grida contro per un mese intero, ti consiglio di stare al suo gioco e aspettare qui per un'ora.»

Gli occhi di Bill, verdi come la foresta e dannatamente meravigliosi, si posano su di me per un istante, uno solo, per poi ritornare a scrutare la porta dietro cui siamo intrappolati. Le sue spalle rigide vengono scosse da un sospiro quando lui inizia a massaggiarsi le tempie, disperato. C'è davvero un che di vendicativo e soddisfacente nel vederlo in queste condizioni, non lo posso negare.

«Dio, la voglio uccidere.»

«Mettiti in fila, c'è la coda.»

Un guizzo di divertimento attraversa le labbra di entrambi e io, ignorando volutamente il cuore di preservativi sul comodino, mi siedo a bordo del letto, cercando di dare un senso a tutta questa folle e assurda storia. Il disagio torna a schiacciarmi non appena il silenzio torna a farsi preponderante dentro la stanza, un silenzio nato dal risentimento di entrambi, dalle parole che non ci siamo dette, e che ora ci soffoca e ci fa rabbrividire.

Il mio sguardo cade di nuovo su di lui, inginocchiato per terra, la fronte posata contro la porta, quasi distrutto e esasperato da tutta questa situazione. Non ha perso quest'abitudine, vedo: quella di rannicchiarsi in un luogo isolato, afferrarsi i capelli fra le mani e cercare di rimanere rinchiuso nel suo stesso corpo, nel tentativo di tornare tranquillo.

La sua schiena, quanto mi era mancata la sua schiena, così stirata e perfettamente salda, quasi fosse nata per resistere a ogni supplizio e tormento: una schiena contro cui poggiarti, sapere di essere a casa. Lunga, ampia, liscia. Vederla così, ora che lui mi dà le spalle, provoca un moto di incertezze in me. È difficile accettare di aver dimenticato così tanti dettagli della persona che ami perché a separarvi c'è stata morte, rancore e insicurezza da parte di entrambi.

«Bill...»

«Lo so che dobbiamo parlare» m'interrompe lui, la voce arrochita dall'incertezza. Quando si solleva da terra, sussulto. Ha uno sguardo così severo, ora, completamente diverso da quello birbante e deficiente con cui, di solito, maschera e cela tutte le sue insicurezze. «Ma possiamo direttamente passare a quello che so vuoi fare da tutta una vita?»

«Come?»

Si ferma di fronte a me, io seduta sul bordo del letto, lui montagna di fronte ai miei occhi, in piedi e sicura. La sua mascella è contratta, segnata dall'indecisione, e quando il suo sguardo intrappola il mio le mie ovaie iniziano a ballare il valzer della fecondazione. 

Questa è davvero una pessima posizione per discutere.

«Sì, lo so» prosegue lui, «è una cosa che volevi farmi già da tempo, non è così? L'ho sempre saputo, in realtà, non te lo volevo dire, ma l'ho sempre saputo.»

Sommo Marshmallow, come fa a saperlo?

«E hai tutti i diritti di farlo» aggiunge, annuendo con vigore, «dico davvero, Pam, hai tutti i diritti. Puoi farlo come vuoi e come più ti piace. Puoi anche essere violenta al massimo, se ti va.»

Gli occhi rischiano di cadermi per terra tanto li sgrano. «Violenta?»

«Certo, violenta. Pensi che non ci sia abituato?» Si stringe nelle spalle, come se stesse parlando del tempo. «Ci sono dannatamente abituato, ormai, colpa un po' anche mia, non lo nego, e del fatto che prendo sempre pessime decisioni.»

Immagini che dovrebbero essere censurate in tutti i siti invadono la mia mente mentre lo fisso sconvolta. Il mio sguardo ricade sul cuore di preservativi. Devo davvero smetterla di pensare, e soprattutto di fissare i pettorali intrappolati in quella maglia. Sì, dovrei davvero smetterla. Pensa a qualcos'altro, Pamela Polish: ai marshmallow, per esempio, quelli sono buoni.

Be', Bill sarebbe più buono in realtà.

Soprattutto se sdraiato sopra un materasso di marshmallow. 

Specie se nudo.

«Perciò forza, avanti, facciamolo.»

Ora? Così? All'improvviso, senza neanche parlare e chiarirci? 

«Non pensi che sia... un po'... cioè, non che me ne lamenti, però...»

«Be', ovvio che non me lamento, sii più violenta che puoi, andiamo.» Solleva entrambe le braccia in aria, mi guarda, gli occhi verdi serissimi, nessuna traccia di un sorriso su quelle labbra. Sono pronta a buttarmi addosso a lui come se fosse un barattolo di nutella appena aperto, quando poi aggiunge: «Dammi un pugno

Per poco le mie ovaie non cascano a terra.

«Come

«Picchiami» ripete lui, con una tranquillità che ha dello spaventoso. «Forza, avanti, colpisci dove ti pare, pure sulle parti basse. Anche ai gioielli. Me lo merito. Fallo, forza. Non ho paura, lo giuro.» Inspira a fondo, gonfiando il petto. «Me lo merito da un sacco di anni. Avresti dovuto colpirmi in testa e assassinarmi con un lampione dai funerali di Andrew, perciò, ti prego, fallo ora.»

La tensione cala come si sgonfia un pan di spagna se tirato fuori dal forno troppo presto. Lo fisso allibita, la mascella a terra, e la delusione profonda nel cuore. Avrei dovuto immaginarlo: Bill è un deficiente. Troppo idiota per rendersi conto di alcune situazioni. «Non voglio picchiarti!» gracchio alla fine, disperata.

«Ma devi!» esplode lui. «Me lo merito!»

«Non è vero!»

«Sì che è vero!» la sua risposta tagliente, stavolta, mi blocca. Non c'è più ironia nella sua voce, nemmeno un pelo, il suo volto è contratto, rovinato dal dolore e dall'umiliazione. Gli occhi verdi, di solito così meravigliosamente illuminati di vita, ora sono una foresta adombrata, nascosta dalla coltre di foglie scure. «Merito di esser picchiato nel peggiore dei modi da te, hai tutti i diritti per farlo e io non me ne lamenterò. Non posso rimediare a quello che ho detto, perciò se questo è l'unico modo per ripagare anche solo in minima parte a tutto il dolore che ti ho fatto patire, che sia così, allora.»

Il rammarico è palpabile nell'aria, lo inspiro ad ogni boccata, penetra nella pelle come spilli acuminati e fa piangere il cuore. Il volto di Bill è intraducibile, serrato nella morsa dei rimpianti, col capo chino, rivolto verso il basso, troppo spaventato di incontrare i miei occhi.

Questo è l'inizio di tutto.

C'è turbolenza nel mio cuore, tante migliaia di emozioni che si sono accalcate nel corso di questi anni passati a restare in silenzio, senza mai dire e sussurrare i nostri rispettivi segreti. Le emozioni conservate da una vita intera si mischiano insieme senza più aver forma o volume: un fascio di luce che mi abbaglia e mi riporta da lui, proprio come sempre è stato, sin da quando eravamo bambini.

«Bill, io non ti ho mai odiato» sussurro a bassa voce, nel disperato tentativo di trovare quel coraggio che temevo esser perduto per sempre. Lui non si muove, rimane paralizzato, in piedi a sguardo chino, con le mani strette in due pugni serrati e il respiro bloccato nella gola. «Mai, nemmeno una volta.»

«Be', dovresti, invece» ribatte lui, «perché ti ho ferita in un migliaio di modi diversi, e l'ultima cosa che dovrei meritare è il tuo amore.»

L'amaro assale la mia bocca, impedendomi di parlare, mentre le sopracciglia afflitte di Bill cadono sui suoi occhi, tormentate dal dolore. «Non riesco davvero a capire come tu possa ancora accettarmi, Pam» confessa alla fine, la voce spezzata dalla sofferenza, incrinata dal più terribile dei dolori. «Sono uno stupido impulsivo che tre quarti delle volte dice cose che non pensa, non dovresti nemmeno guardarmi. Tu sei così dolce e buona, Pam, meriteresti davvero un uomo migliore di me.»

Il fantasma di Andrew, i peccati che possediamo e le parole crudeli che ci siamo scambiati per troppi anni per poterli contare si abbattono su di noi, rendendoci spogli di qualsiasi emozione che non sia senso di colpa. Il corpo di Bill si fa rigido quanto il mio, mentre entrambi ci ubriachiamo di questa sofferenza: è satura nell'aria, è presente nella nostra pelle, ci cosparge delle sue flagellanti coltellate.

«Ti ricordi del vostro nono compleanno, dopo che tuo nonno morì?»

Il volto di Bill viene attraversato da una luce di curiosità, quando solleva il capo. Inevitabilmente, mi ritrovo a sorridergli. Le mie mani ricercano le sue, come avrebbero dovuto fare molti anni prima, quando ancora avremmo potuto guarire invece che ferire, quando ancora avremmo potuto perdonarci invece che odiarci. Ha dei dorsi duri, lui, un palmo ampio e disteso, pieno di calli, ruvido al tocco. Queste mani, così decise e forti, sembrano petali avvizziti sotto il mio tocco. 

«Io e Andrew venimmo a trovarvi in casa, voi tre eravate da soli, a festeggiare quel compleanno senza nessuno che potesse aiutarvi davvero.» Il ricordo di quei giorni lontani, quando eravamo ancora troppo piccoli per conoscere appieno il dolore, ma che avevamo già imparato a riconoscere, avvolge la mia mente. Ed eccolo lì, proprio di fronte a me, un piccolo e tenero bambino, dai capelli biondi spettinati e il volto accartocciato per la sofferenza, nel disperato tentativo di non far trapelare le lacrime con cui si stava devastando. «Tu continuavi a comportarti come se nulla fosse...» sussurro. «Pensavo che fossi un idiota, che non era giusto che ti privassi così tanto di quella sofferenza, solo perché volevi dimostrare a tutti di star bene, solo dopo ho capito perché continuassi a sorridere in quel modo così idiota. Volevi far ridere anche gli altri, non è così? Soprattutto Sophia.»

Le sue labbra si storcono in una smorfia di colpevolezza, quasi imbarazzato distoglie lo sguardo. «Ora non esagerare, ero un idiota anche all'epoca...»

«Sì, è vero» ammetto, sghignazzando. «Tu sei quel tipo di persona che per non far star male gli altri decide di prendersi tutte le colpe. Bill, pensi che non sappia perché mi hai detto quelle parole al funerale di Andrew?» Quando incrocio i suoi occhi, le sue spalle vengono attraversate da un tremore. «Eri arrabbiato, eri furioso, eri convinto che io avessi indotto Andrew al suicidio...»

«Fermati» mi blocca lui. «No, Pam, non ci siamo. Non voglio che tu ti dai delle colpe che non possiedi» scuote lentamente la testa, disperato. «Non avevi fatto nulla tu, e se io fossi stato abbastanza intelligente da capire, se avessi pensato al fatto che mai tu avresti potuto fare cose simili...»

«Perché? Ti avevo forse lasciato intendere altro?» Mi stringo nelle spalle. «Bill, io non ce l'ho con te per questo. Era quello che volevo, all'epoca. Volevo che mi odiaste, era quello il mio desiderio, e ci sono riuscita. Non è colpa tua se sei caduto nella mia trappola.»

«Invece sì» sussurra alla fine, le sue dita che si muovono sulle mie, giocherellando con loro. «Ti conosco da tutta una vita, Pamela Polish, so quanto amavi tuo fratello e so quanto volevi bene a noi, avrei dovuto capire che qualcosa non andava, intuire che...»

«Abbiamo sbagliato entrambi, non solo tu» replico alla fine. «Bill, tu sei maledettamente impulsivo.» Quando dichiaro ciò, lui inarca un sopracciglio, perplesso. «Dico davvero, sei il ragazzo più stupido e impulsivo che abbia mai conosciuto. Ti ricordi quando avevamo dieci anni? Tuo padre ti disse che non sarebbe potuto venire a vedere la vostra partita di calcio e cos'hai fatto tu in risposta?»

«Gli ho tirato un pallone in faccia.»

Le spalle di entrambe tremano di fronte a questo ricordo.

«O quando alle medie quel nostro compagno di scuola mi prese in giro, dicendomi che la mia passione per i dolci era quasi disgustosa?»

«La tua passione per i dolci non è disgustosa» sentenzia immediatamente lui, strappandomi un altro sorriso. Del rossore si insinua nelle sue guance, mentre rivolge le attenzioni dei suoi occhi a un punto non ben precisato del letto: tutto, pur di non incontrare il mio sguardo. «Ti piace lo zucchero, e allora? La trovo una cosa molto carina.»

Il mio cuore si riempe di calore, nel sentirlo dire queste cose. Idiota o no, Bill King non è in grado di mentire a se stesso per troppo a lungo, è sempre stato così. «Gli hai riempito l'armadietto di zucchero, Bill.»

«Avevi detto che eri una drogata di dolci, cazzo.»

«O quando Aaron ti proibì di giocare alla playstation perché dovevi fare i compiti?»

«Cazzo, è mio fratello, non mio padre.»

«Hai dato il suo quaderno dei compiti in pasto al vostro doberman.»

Distoglie lo sguardo, imbarazzato, e una risatina leggera sgorga dalla mia gola, liberandomi di tutte le ansie e fatiche collimate in me nel corso di questi anni. «Bill, tu sei impulsivo» gli ripeto «così impulsivo che a volte ti ritrovi a fare cose di cui poi ti penti amaramente. Non te ne rendi conto, è nel tuo carattere, purtroppo o per sfortuna, ma io, che ti conosco bene, so alla perfezione quanto tre quarti di queste volte queste tue azioni siano più nate dall'istinto che dal tuo desiderio. Per questo so, l'ho sempre saputo, che non hai mai creduto alle parole che mi hai detto al funerale di Andrew.»

Lui sigilla le labbra, trepidante, l'ansia che gonfia il suo petto mentre sfioro con i polpastrelli il dorso della sua mano. Trema, sotto la mia presa: uno stupido, impulsivo, ragazzo ingenuo che non riesce a frenare i suoi istinti. Per poi pentirsene amaramente. «Ti ho ferita» ribatte infine, mormorando queste parole fra i denti serrati.

«E io ho ferito te» replico sottovoce. «Non pensare che sia esente da colpe, Bill. Ho sbagliato anche io. Abbiamo sbagliato entrambi. Forse io per motivi più giusti dei tuoi, chissà, ma ciò non fa di me una persona migliore rispetto a te.» Quando sorrido, il calore si dirama ovunque, riempendo questa stanza asettica e fin troppo piccola per noi due. «Per esempio, anche io sono impulsiva quando tu mi dici che mi consideri come una sorella.»

«Ti prego, dimentica quella parte» mi supplica alla fine, chiudendo gli occhi e strappandomi una risata. «Non ci ho mai creduto... Nemmeno per un istante.»

«Lo so» annuisco. «Mi ha ricordato quando, a dodici anni, io ti dissi che per me eri un amico fantastico.»

«Be', sì, quella è stata una friendzone amara da digerire.»

«Be', ora siamo pari, non trovi?»

«Non mi hai ancora colpito in faccia» ribadisce lui. «Almeno quello, Pam.»

Santo Cereale Al Cioccolato...

«Non voglio picchiarti!» mi costringo a strillare alla fine, al limite dell'esasperazione. 

Lui ha lo sguardo allibito, davvero, non riesco a comprendere come sia possibile che desideri così tanto esser picchiato. Non è mai stato un tipo masochista, almeno fino a quando non si è messo insieme a quella francese: quello era masochismo puro. «Un calcio sulle palle» sentenzia lui. «Almeno quello, me lo merito, dai.»

«Dio, Bill, sei un deficiente.»

«È l'unico modo che mi viene in mente per potermi redimere anche solo in minima parte per tutto ciò che ho fatto» è la sua stupida scusa, con quella faccia da idiota patentato che da sempre e per sempre dipingerà il suo viso. Si stringe nelle spalle, mentre si china su di me: profuma di testosterone al massimo, santo cupcake, non è giusto. È difficile prenderlo così seriamente, quando i miei occhi sono posati unicamente su quelle labbra così vicine alle mie, carnose e succulente come una meringa avvolta nel cioccolato.

Il mio cuore freme, le ovaie divise in due fra la parte che vorrebbe saltargli addosso e quella che vorrebbe seriamente prenderlo a schiaffi. «Va bene» gracchio alla fine, «ti darò un solo colpo, perciò chiudi gli occhi.»

Obbedisce immediatamente, con così tanta docilità che quasi me ne sorprendo. Le sue ciglia curve, folte e lunghe si piegano a ventaglio e sfiorano i suoi zigomi contratti. È ingiusto che tutti i membri della sua famiglia abbiano ereditato una simile bellezza, davvero. Sarebbe stato più facile prendere le sue parole più seriamente, se lui non fosse stato divino come Ryan Gosling in Le pagine della nostra vita

«Ho chiuso gli occhi» gracchia, «schiaffeggiami con tutta la forza che possiedi.»

Il suo profumo brucia le mie narici, il mio corpo si muove da solo, pronto a lasciargli lo schiaffo morale più difficile di tutti da accettare. Chiudo gli occhi anch'io, con fatica, costringendomi a sporgermi col viso. E quando le mie labbra toccano le sue, il calore scaturisce in me in una fiamma che nessun pompiere potrebbe mai spegnere. La sua bocca è morbida e soda al tempo stesso, il suo tocco è delicato, semplice: riempe le crepe del mio animo, riaggiusta i pezzi distrutti della mia vita.

Il corpo di Bill sussulta, sgomento, e per un istante resto terrorizzata, spaventata all'idea che questo bacio da me così atteso fosse più voluto dalla mia persona che dalla sua. I miei dubbi, tuttavia, si sfaldano come un castello di carte trasportato via dal vento non appena la sua bocca preme contro la mia. Le sue mani sono su di me, avvolgono il mio viso, lo stringono a loro fino a rendermi priva di qualsiasi pensiero.

Com'è dolce, com'è delicato, tutto il contrario di come appare. Perché Bill è sempre stato così: un ragazzo che ha paura di esser visto per davvero, che copre il suo animo con uno stupido sorriso. È un idiota, davvero, non si è mai reso conto della bellezza che nasconde in se stesso, della bontà che possiede ogni volta che si è arrabbiato per me, quando eravamo piccoli e qualcuno mi prendeva in giro. Di quella che possiede ancora ora, quando ha cercato di proteggermi facendosi odiare, proprio come ho fatto io al liceo.

Una volta Andrew mi disse che io e Bill eravamo simili sotto molti aspetti, benché infatti Bill fosse più impulsivo e io più pacata, entrambi, secondo lui, eravamo disposti a farci odiare pur di proteggere chi amavamo.

Mio fratello, come sempre, aveva ragione. Lui guardava e comprendeva, più di quanto potessimo fare noi.

E ora, proprio ora, sono sicura che sorriderebbe nel vederci così.

Perché lo sto facendo anche io.

La lingua di Bill scivola nella mia bocca, quasi timida e indecisa, per chiedere il permesso, e quando io mi aggrappo alle sue spalle con vigore, afferrando il tessuto della sua camicia, un verso strozzato prorompe dalla sua gola. Cadiamo distesi sul letto, io sotto e lui sopra, mentre finalmente, dopo troppo tempo, impariamo a conoscerci e perdonarci per davvero.

Questo è molto meglio di un marshmallow al cioccolato.

«Pam..» la voce di Bill è roca quando le sue labbra scivolano lentamente lungo il mio collo, saggiando il sapore della mia pelle. Un verso strozzato fuoriesce dalla mia gola. «Giusto perché tu lo sappia... Non ti ho mai vista come una sorella.»

«Grazie al Sacro Gelato» impreco, strappandogli una risatina. «Se no in questo momento per te sarebbe come baciare Sophia.»

«Vuoi farmi venire l'orticaria?»

La risata che scuote entrambi è un'onda di sollievo che ci travolge, lasciandoci felici di poter condividere, finalmente, questo momento che è solo nostro, unicamente nostro. Le sue labbra così calde, meravigliose a contatto con la mia pelle, e il suo corpo, che è duro e piacevole al tocco, che è marmo e argilla al tempo stessa, con cui si plasma e mi plasma, con cui diventiamo piacevoli intrecci di legami e di pensieri.

«Sai...» sussurro alla fine, fra l'affanno di un bacio e l'altro, «so che mi odierai ora, ma... stavo pensando... Vogliamo davvero dare a Sasha la soddisfazione di aver ragione?»

Bill si solleva un istante, il volto adombrato, i capelli spettinati che gli ricadono sul viso. Mai nella vita è stato così bello ai miei occhi, nemmeno quando eravamo bambini e la nostra vita sembrava ancora una meravigliosa favola. Le mie dita contornano i suoi zigomi, così da non perder per sempre la visione che ho davanti, non di nuovo, mai più. «Ammetto...» gracchia, la voce roca, «che una parte di me è dannatamente disperata per dargliela vinta, mentre l'altra vorrebbe solo farla soffrire...»

«Sono con te» sghignazzo insieme a lui, intrappolata sotto il suo corpo. «Perciò... che te ne pare se per il momento non le concediamo questa soddisfazione... E ci occupiamo di quel che vogliamo fare più tardi, quando saremo in un'altra camera e senza l'ansia che loro tornino da un momento all'altro.»

Le sue labbra si sollevano lentamente verso l'alto, pian piano, con dolcezza e meraviglia, e quando incontrano le mie, mi rendo conto di star sorridendo a mia volta.

«Tu, Pamela Polish, sei una donna perfetta.»


Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top