9. Theo is dead
(Adoro questa immagine, trovo che rappresenti perfettamente Pansy 🙌🏻)
·≈· PANSY'S POV ·≈·
Vorrei parlarti di quello che è successo ieri.
Possiamo vederci dopo pranzo nel cortile della Torre dell'Orologio?
N. P.
Era da poco passato mezzogiorno e ancora non ero riuscita a staccare gli occhi da quel biglietto e dalla calligrafia sgraziata di Neville Paciock.
Sdraiata a letto, ancora in pigiama, rileggevo quelle poche parole a mezza voce, rovinando con le dita, che mi tremavano dal nervosismo, la pergamena su cui erano scritte.
Neville Paciock voleva incontrarmi per parlare è solo il pensiero di ciò che avrebbe potuto dirmi mi provocava un doloroso fastidio alla testa.
Senza volerlo, ero finita nella lista delle persone da salvare di un altro Grifondoro e la cosa non mi entusiasmava particolarmente.
Se fosse successa una cosa simile l'anno passato, certamente avrei pensato che Neville Paciock si era fumato un po' troppa polvere di fata e avrei buttato il biglietto senza pensarci due volte.
L'anno passato però ero ancora la Pansy Parkinson che arricciava il naso dal disgusto per ogni minima cosa, quella che si limava attentamente le unghie ogni sera prima di andare a dormire, quella che godeva della protezione della propria famiglia e di quella dei Malfoy, quella che viveva nella spensieratezza di un'innocenza che non esisteva più nel mondo magico.
Quella Pansy Parkinson era morta insieme a Theo.
Ora continuavo ad arricciare il naso dal fastidio, ma solo quando le cicatrici sulla mia pelle pizzicavano.
Le sere non avevo tempo di limarmi le unghie, troppo impegnata a piangere fino ad addormentarmi.
La mia famiglia mi aveva voltato le spalle da tempo, così come quella dei Malfoy, ma in compenso potevo vantarmi di avere Hermione Granger come "amichetta del cuore" e Neville Paciock come salvatore.
Distratta dai miei pensieri non mi ero resa conto che era ormai imminente l'incontro con Paciock e io, ancora, non gli avevo dato una risposta.
Non riuscivo a prendere una decisione.
Sapevo che uscire dalla camera e dalla protezione delle spesse pareti dei sotterranei non era saggio; che mi sarei ritrovata a premere le mani sulle mie orecchie per zittire tutti i rumori e le voci. Così come sapevo che alcuni odori mi avrebbero dato la nausea.
Allo stesso modo in cui al solo pensiero di rivedere Paciock, dopo quello che era successo il giorno prima, mi tremavano le dita dal nervosismo.
Sapevo che ci sarebbero state tante domande da parte sua e poche risposte da parte mia, tanta compassione nei suoi occhi e rabbia nei miei.
Io non volevo parlare di quello che era successo il giorno prima, quindi che senso aveva andare all'incontro? Sarebbe solo stato uno spreco di tempo da parte mia e sua. Non ne valeva la pena...
Malgrado tutto, malgrado la mia paura, mi sentivo in debito con lui e quindi propensa a raggiungerlo nel cortile dalla Torre dell'Orologio.
Neville Paciock mi aveva salvato la vita due volte, il minimo che potevo fare era parlare con lui.
Sussultai quando la porta della camera si aprì di colpo e una imbronciata Daphne fece il suo ingresso. Aveva addosso l'odore di cenere e torta al cioccolato.
«Pansy», disse semplicemente, muovendo appena il capo, poi si gettò sgraziatamente a letto.
Non capivo il suo comportamento, fino alla sera prima era saltellante e felice all'idea di uscire con Calì Patil, che le era preso? Avrei voluto chiederglielo, ma preferii nascondere il biglietto di Paciock sotto il mio cuscino, per evitare che lo vedesse, e rimanere in silenzio.
«Pansy, so che non siamo propriamente amiche e che tu stai passando un brutto periodo e che è molto egoistico da parte mia voler condividere con te i miei problemi, ma sei l'unica persona con cui vorrei parlare in questo momento», disse, continuando a rimanere scompostamente sdraiata a pancia in su, le mani giunte sulla pancia.
«Non c'è bisogno che tu mi risponda, puoi anche non ascoltarmi...», sospirò, voltando leggermente il capo, così da guardarmi negli occhi.
Theo era innamorato di lei, affascinato da quelle labbra piene e dagli occhi da cerbiatta, invaghito dei suoi modi delicati e del suono dolce della sua voce.
Ma Theo era morto e non avrebbe più posato gli occhi su di lei. Theo era morto e non avrebbe più potuto confessarle i suoi sentimenti.
«Ho rovinato tutto», disse Daphne, imbronciando le labbra: «Ho voluto essere impaziente e giocarmi il tutto per tutto, sono stata una stupida!»
Daphne si coprì il volto ed emise un lamento soffocato: «Provo una malsana attrazione per Padma da non so nemmeno io quanto tempo e oggi, quando me la sono trovata davanti, le ho detto tutto; le ho praticamente consegnato il mio cuore... e lei? Lei se n'è andata come se niente fosse!»
Quelli di Daphne mi sembravano i capricci di una bambina viziata, ma non commentai, non ero nella posizione per farlo dato che anche io, più volte, mi ero comportata allo stesso modo.
«Come ha osato trattarmi con tanta freddezza?», aggiunse, sollevandosi a sedere con uno scatto: il dolore sembrava essere stato sostituito da una cocente rabbia.
«Mi ha detto che sono un'ottima attrice! E che dovrei smettere di prenderla in giro! Al solo pensiero, io...»
Daphne tornò sdraiata con un tonfo sordo, le molle del letto sotto di lei cigolarono rumorosamente: «Cosa posso fare? Come faccio a farle capire che non la sto prendendo in giro?»
Non ero certa che si aspettasse una risposta, così rimasi in silenzio per qualche secondo, in attesa che continuasse. Quando non lo fece, sospirai e mi sollevai a sedere: «Stai chiedendo consiglio alla persona sbagliata», le dissi, dirigendomi verso il bagno, decisa a lavarmi la faccia prima di raggiungere Paciock.
Daphne mi seguì, rimanendo appoggiata allo stipite della porta, mentre io mi lavavo frettolosamente.
«Perché dici così?», mi chiese, osservandomi attraverso il riflesso dello specchio.
«Tutte le persone per cui ho provato qualcosa mi hanno lasciata in un modo o nell'altro».
«Siamo in due, allora», disse Daphne, appoggiandomi una mano sulla spalla.
Mi abbracciò senza che potessi fare niente per impedirlo e venni avvolta dall'odore di bucato, cenere, torta al cioccolato e una lieve nota di agrumi.
Quando sciolse l'abbraccio sorrideva: «Vado a pranzo, ti tengo un posto?»
Scossi la testa, un flebile sorriso sulle mie labbra: «No, grazie».
Annuì e si sistemò il maglioncino sui fianchi, poi uscì dalla stanza come se niente fosse successo.
Tolsi il pigiama e indossai dei semplici pantaloni neri, un maglione verde muschio e completai il tutto con stivali e mantello.
Ero riuscita a parlare con Daphne e a stabilire con lei una specie di tregua; potevo fare lo stesso con Neville Paciock, potevo farcela.
Sistemai distrattamente i miei capelli, poi uscii dalla camera.
La prima cosa che mi colpì fu l'odore di torta al cioccolato che aleggiava nella sala comune. Capii subito che qualcuno doveva averne portata una fetta dalle cucine e quel qualcuno doveva essere Daphne Greengrass.
Mi stavo lentamente abituando ai miei sensi oltremodo sviluppati, ma le risate e le urla continuavano a provocarmi un acuto dolore ai timpani. Così come alcuni profumi mi facevano girare la testa o avere la nausea.
Il tragitto verso il cortile della Torre dell'Orologio fu tranquillo: la maggior parte degli studenti si trovava ancora in Sala Grande per pranzo e fui abbastanza fortunata da non incontrare nessuno per i corridoi.
Ad ogni passo che facevo mi si formava un nodo di ansia nello stomaco.
Ero ancora in tempo per tornare indietro, sarebbe stato facile e...
Strinsi le mani a pugno e scrollai le spalle: non avevo paura di Paciock, non avevo paura delle sue domande e non avevo paura di me stessa.
Potevo affrontare una conversazione con Paciock.
Il cortile della Torre dell'Orologio era deserto come i corridoi che avevo appena percorso.
La pioggia battente aveva creato numerose pozzanghere tra le siepi che popolavano il cortile.
Rimasi incantata, appoggiata ad una colonna del loggiato, ad osservare le nuvole grigie che si rincorrevano nel cielo e il verde brillante delle foglie tramutarsi in giallo e oro.
«Ti piace l'autunno?»
La voce di Paciock mi avrebbe spaventato se, grazie al mio nuovo e sviluppato udito, non l'avessi sentito arrivare con largo anticipo.
Feci per rispondere, ancora incantata dalla cadenza della pioggia, ma mi riscossi in fretta e mi scostai bruscamente dalla colonna del loggiato per voltarmi verso Paciock: «È di questo che volevi parlare?»
Il Grifondoro parve ferito dalle mie parole per una frazione di secondo, poi mi sorrise.
Non avevo mai realizzato che il ragazzo paffuto sempre alla ricerca della sua stupida rana fosse cresciuto. Da quando Paciock aveva un accenno di barba?
«No, in realtà no», disse, grattandosi la nuca in imbarazzo: «È di altro che vorrei parlarti».
Le sue guance si colorarono di un tenue rossore, così come le sue orecchie. Pensai che dovesse essere una caratteristica dei Grifondoro, avevo visto più volte Weasley reagire allo stesso modo a causa dell'imbarazzo.
All'improvviso mi chiesi perché mai avessi avuto paura di parlare con Neville Paciock.
«Ossia?», lo invitai, notando come il ragazzo sembrava aver perso l'uso della parola.
«Ti sembrerò banale», mormorò, il viso era sempre più rosso: «Ma ti ho chiesto di venire qua, perché vorrei sapere come stai».
Sospirai affranta.
Era proprio come immaginavo e temevo; un altro Grifondoro deciso a salvarmi da me stessa. Una tragedia, in poche parole.
Il problema era che non sapevo come liberarmi da una piaga simile, ecco perché avevo anche Hermione Granger alle calcagna.
«E...», Paciock deglutì nervosamente: «Sono qua anche per dirti che, se hai bisogno di un amico o hai bisogno di aiuto, puoi contare su di me».
Osservai con lo sguardo allucinato l'espressione del Grifondoro a pochi passi da me. Quando mi resi conto che era sincero, scoppiai a ridere.
«Un amico?», faticavo a parlare, ancora a corto di fiato per lo scoppio d'ilarità che le sue parole avevano causato: «Non ho bisogno di un amico».
Ignorai l'espressione nuovamente ferita di Paciock e il modo in cui il suo labbro inferiore sporgeva più del solito.
«Non ho bisogno di un amico», ripetei, smettendo completamente di ridere: «Quello di cui ho bisogno è che la mia vita torni ad essere quella di un tempo».
Mi pentii immediatamente delle mie parole. Non avrei dovuto mostrarmi debole, i Grifondoro ne erano attratti come le api col miele o i vampiri col sangue.
«Posso aiutarti», disse, facendo un passo verso di me.
Sollevai un sopracciglio, annoiata dalla conversazione: «Sì? Come?», chiesi con sarcasmo.
Paciock mi sorrise nuovamente: «Insultami».
«Cosa hai detto?», chiesi, certa di aver capito male.
«Ho detto: insultami».
Lo guardai allibita per qualche secondo, incapace di emettere suono. Paciock doveva aver perso il senno.
«Dimmi che sono grasso, che non sono in grado di tenere la bacchetta dal verso giusto e che i miei denti sono storti come la Stramberga Strillante», disse Paciock, un sorriso triste ad adornargli le labbra: «Magari se mi insultassi come hai sempre fatto, la tua vita tornerebbe ad essere come quella di un tempo».
La Pansy Parkinson di un anno fa avrebbe riso di fronte a quelle parole e poi se ne sarebbe andata senza voltarsi. La Pansy Parkinson di un anno fa avrebbe raccontato l'accaduto a Malfoy con orgoglio e un pizzico di cattiveria e poi se ne sarebbe dimenticata.
Ma non ero più quella ragazza.
Per quanto mi sforzassi, non potevo tornare a quando tutto era facile come respirare.
Calde lacrime iniziarono a bagnarmi le guance senza che potessi controllarle e un doloroso groppo in gola mi fece desiderare di essere sola, in camera mia, avvolta dalle calde coperte del mio letto, l'unico luogo in cui mi sentivo abbastanza al sicuro per piangere.
No, non l'unico.
Mi ricordai con ulteriore dolore e disgusto che quella era la seconda volta in due giorni che Neville Paciock mi vedeva piangere.
L'umiliazione bruciava più di qualsiasi altra cosa.
«Vattene», dissi, semplicemente, dandogli le spalle per tornare a guardare la desolazione del cortile allagato.
Non lo sentii muovere inizialmente, poi fece quello che avrei dovuto immaginare avrebbe fatto: si avvicinò per appoggiare una mano sulla mia spalla.
Percepivo chiaramente il calore del suo corpo vicino al mio e il profumo di patate al forno, bucato e gelsomino.
«Scusami, non volevo farti piangere», disse con un soffio di voce: «Credevo di ottenere la reazione opposta... non avrei dovuto dire quelle cose».
Non risposi, limitandomi a chiudere gli occhi, nel disperato tentativo di trattenere le lacrime.
«Parkinson?»
Avrei voluto scrollarmi di dosso la sua mano e andarmene, ma le gambe sembravano pesarmi come macigni e la sua vicinanza, per quanto assurdo potesse apparire, mi dava conforto.
«Puoi perdonarmi?»
Un singhiozzo sfuggì al mio controllo e un'ondata di rabbia mi diede la forza di voltarmi e guardarlo nuovamente negli occhi.
Quegli stessi occhi che avevano tormentato i miei sogni, notte dopo notte.
«Perdonarti? E per cosa? Per avermi ricordato quanto sia stata una persona orribile e crudele!?», esclamai, asciugando con gesti bruschi le lacrime che mi bagnavano ancora le guance: «Lo so che non ero perfetta, ma almeno la mia vita era facile, almeno potevo guardarmi allo specchio senza provare disgusto o...», chiusi la bocca di scatto.
Avevo di nuovo detto troppo.
«Non ho bisogno del tuo aiuto e non ho bisogno della tua amicizia».
Riuscii a malapena a fare due passi, poi le parole di Paciock mi gelarono sul posto: «Pensi che Theodore Nott vorrebbe questo? Vorrebbe che ti togliessi la vita o che ti facessi morire di fame?».
Tornai a voltarmi verso Paciock con lo sguardo allucinato.
«Tu non sai di cosa stai parlando», dissi, stringendo con forza le mani a pugno, ferendomi i palmi con le unghie.
«So che gli volevi bene, so che la sua morte ti ha fatto soffrire».
«Tu non sai niente!», urlai, cancellando in pochi secondi la distanza tra di noi.
Lo afferrai per il bavero del mantello e lo strattonai, godendo per brevi secondi della sua espressione allibita e spaventata: «Voi Grifondoro dovete smetterla di credervi Merlino sceso in terra: non sapete niente, eppure vi ostinate a pensare di essere onniscienti. Theo non avrebbe voluto molte cose, per esempio non avrebbe voluto morire, eppure è successo. Di quello che penserebbe o vorrebbe Theo non m'importa niente. Theo è morto».
Lasciai andare il suo mantello e Paciock rischiò di cadere, ma recuperò l'equilibrio all'ultimo momento, rimanendo in piedi.
«Tu non puoi sapere quello che provo, non puoi sapere quello che ho provato, non puoi sapere quanto fa male ogni giorno svegliarmi e...», chiusi con forza gli occhi per trattenere ancora una volta le lacrime: «Svegliarmi e rendermi conto che non è possibile tornare indietro, che questa è la mia vita ora e che devo accettarla».
«Parkinson, io non intendevo... io non volevo...»
«Oh, lo so che voi Grifondoro siete animati da buone intenzioni e che non è vostra intenzione fare del male, ma gradirei che imparaste anche ad accettare il fatto che...»
Un rumore concitato di passi in lontananza mi zittì.
Guidata da non so bene quale timore, afferrai Paciock per la manica del mantello e lo trascinai dietro all'arco, oltre il quale c'erano le scale che portavano all'Orologio.
Una volta nascosti, gli intimai il silenzio.
Quella camminata nervosa, i piedi che venivano leggermente strascicati contro il pavimento in pietra, mi ricordava una persona che speravo non avrei mai più incontrato.
Dopo pochi secondi passò lungo il porticato che si affacciava sul cortile della Torre dell'Orologio, quella che all'apparenza sembrava la professoressa Bing.
Alle sue spalle levitava, grazie ad un incantesimo, il corpo privo di sensi di Draco Malfoy.
Paciock cercò di liberarsi dalla mia stretta per intervenire in qualche modo, ma io, pietrificata dalla paura, glielo impedii, continuando ad osservare quella che ero certa fosse Bellatrix Lestrange scomparire lungo il sentiero del parco di Hogwarts, diretta verso il Platano Picchiatore.
*****
Ciao a tutt*!
Come state?
Ci ho messo un po' a scrivere il capitolo, scusate l'attesa, ma non è stato facile.
Vorrei aggiungere solo un piccolo chiarimento: Neville sa, o meglio crede di sapere, cosa legava Pansy e Theo perché durante la guerra, prima di salvare Pansy dalle grinfie di Greyback, ha visto la Parkinson accorrere per stringere Nott, ucciso da Bellatrix Lestrange. Per questo dice quelle cose a Pansy, spera di farla reagire e di farla tornare in sé.
Per quanto riguarda il titolo del capitolo "Theo is dead", non vuol dire solo "Theo è morto", perché come dice Pansy verso l'inizio; con la morte di Theo è morta anche la Pansy di un tempo. Per questo i capitoli dal suo punto di vista sono sempre molto tristi e/o pieni di riflessioni. Pansy deve reinventare se stessa, ma non è pronta a farlo e continua ad essere aggrappata al passato. Forse aver ammesso che Theo e morto la aiuterà? Non è detto, ma secondo me è un inizio averne parlato con Paciock.
Per il resto non credo siano necessari ulteriori chiarimenti, ma in caso chiedetemi pure ;)
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che abbiate tempo e voglia di farmi sapere cosa ne pensate 🤗
Il prossimo capitolo ancora non so quando arriverà, spero entro sabato o domenica di farcela 🤞🏻
Auguro a tutt* voi babban* una buona giornata e che la magia sia con voi!
Un bacio,
LazySoul_EFP
P.s. Per chi fosse interessat*, ho una pagina Instagram (LazySoul_EFP) dedicata alla scrittura e lettura. È ancora un work in progress, ma mi piacerebbe renderla una pagina di scambi di idee e letture.
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