Let me down slowly
«Cinzia? E com'è?»
«Bellissima e dolcissima, arrossisce ogni volta che le faccio un complimento»
«Sembra davvero una bella persona»
Joey sorrise al fratello, con la consapevolezza che ciò che stava facendo avrebbe soltanto reso tutto più difficile. Ma non era riuscito a non raccontare qualcosa alla copia di Joule, che rispondeva proprio come avrebbe fatto quello vero, se fosse stato in vita. Oppure come avrebbe fatto il suo ricordo idealizzato.
Tornati alla Fondazione dopo le avventure in Egitto, il ragazzo aveva subito chiesto a Ofelia di restituirgli la scatola che le aveva affidato prima di partire. Forse perché troppo stanca per controbattere o forse a causa dello sguardo pensoso dell'amico, lei gliela diede senza fare troppe storie anche se, di questo ne era certo, l'aveva appositamente fatta ricoprire di saliva nera e melmosa dal suo stand. Poi, mentre tentava di togliere lo scotch senza sporcarsi troppo, si mise a riflettere su come porre fine alla faccenda.
Era ben consapevole di come Theodor e Ofelia l'avessero salvato in casa di DIO. Se non fosse stato per loro, l'incubo l'avrebbe soffocato e fatto morire terrorizzato su un aereo, con la consapevolezza di non aver salvato coloro che amava. Sapeva anche che tutto quello gli sarebbe dovuto servire da lezione, un po' come la morale di alcuni film per bambini: l'unione fa la forza. Ma proprio non voleva metterselo in testa.
Sentiva di dover trovare il modo di affrontare Joule senza i due compagni, di superare la più grande perdita, di chiudere definitivamente quel capitolo della sua vita e imparare a conviverci. Era diverso, era personale. Qualcosa di più profondo e viscerale di finire in una bolgia infernale, affrontare una paura o un centauro inferocito.
E poi, continuava a rimbombargli nella testa quell'ultima telefonata:
«Fratellone! Allora, com'è andata? C'era gente forte a combattere?»
«La più forte che io abbia mai visto»
«Eeeh?! Più di te?»
«Certo che no, solo tu riuscirai a sconfiggermi, prima o poi»
Solo tu, aveva detto. Non l'intelligenza di Theodor o la forza d'animo di Ofelia. Solo ed esclusivamente Joey.
Non riuscendo a mantenere lo sguardo si mise a osservare la stanza, notando particolari a cui prima non aveva mai fatto caso. Cercare di memorizzare ogni minimo dettaglio di quelle mura spoglie non l'avrebbe affatto allontanato molto dal suo destino, quello era il più disperato tentativo di rimandare ancora un po'.
Alle lenzuola bianche, anonime, asettiche rispetto a quelle colorate della sua vera camera da letto, era attaccata una targhetta con scritto "SPW", l'abbreviazione di Fondazione Speedwagon. Le pareti, spoglie e senza neanche un poster di qualche pugile famoso, venivano illuminate dalla luce fredda, leggermente intermittente. Il silenzio pesava come non mai, attesa struggente e soffocante. Doveva farlo.
Manifestò Iron Man dopo essersi posizionato davanti all'essenza della freccia, con i motori azionati per scaldarli come si deve, facendoli ruggire per riempire quella stanza non sua. Fiammelle azzurre presero vita, un solo segnale e lo stand avrebbe affondato un colpo dritto nel petto di Joule. In meno di un secondo tutto sarebbe finito. Solo tu riuscirai a sconfiggermi.
Sopra la scrivania c'erano un portapenne e un piccolo quaderno vuoto, né righe né quadretti, né una scritta. Gli mancava il suo tavolino disordinato, con sopra sparse riviste sportive. Solo tu. C'era anche una mensola, tutto sembrava di plastica lì dentro. A cosa gli serviva una mensola? Non aveva nulla da metterci sopra. Solo tu, Joey. Solo tu riuscirai a sconfiggermi.
«Vieni, ti porto in un posto» disse, facendo sparire l'intreccio di tubi e marmitte, per poi incamminarsi nel labirinto di corridoi.
Nel bel mezzo dell'edificio, prima che l'isola venisse trasformata in una base della Fondazione, c'era un enorme pilastro circolare. Alto ben ventiquattro metri e con un diametro sette, venne costruito ai tempi dei romani e utilizzato, per molti secoli dopo, come luogo d'allenamento per una particolare tecnica di combattimento: le onde concentriche, in grado di emanare energia con la stessa struttura della luce solare tramite la respirazione. La superficie del pilastro veniva interamente ricoperta di olio scivoloso, e la si doveva scalare con il solo aiuto delle onde. Joseph Joestar, un antenato di Joey, ci mise venticinque ore prima di capire come restare attaccato alla pietra senza scivolare giù. Era una prova mortale.
Adesso il pilastro era asciutto, attraversato da gallerie e ponti che servivano da collegamento tra i vari livelli della torre, così da non dover ogni volta fare tutto il giro del piano. Sulla cima, forse per pura coincidenza o forse per mantenere un minimo di tradizione, c'erano attrezzi e strutture per l'allenamento. Ovviamente non delle onde concentriche, dimenticate e sostituite dagli stand nel corso del tempo.
Joey, la notte in cui si era messo a vagare per la Fondazione non sapendo bene cosa fare con questa stessa freccia decorata dallo scarabeo, non aveva avuto il coraggio di attraversare il ponte che univa il pavimento al centro del pilastro, in cui un ring nuovo di zecca non aspettava altro che essere usato. Il solo pensiero di stare a ventiquattro metri da terra gli faceva tremolare le ginocchia ma pensò che, se proprio doveva affrontare la morte di suo fratello, l'avrebbe fatto in modo completo cercando di non avere le vertigini.
Tenne persino gli occhi aperti, mentre percorreva la passerella a passo spedito. In realtà sentiva di poter svenire da un momento all'altro, gli fu estremamente difficile resistere alla voglia di aggrapparsi al cornicione e attendere che qualcuno lo andasse a prendere. Però lo nascose bene, come se Joule fosse quello vero e lui il bambino che voleva dimostrargli quanto fosse coraggioso.
C'erano altre persone: alcune occupavano la zona pesi, sollevando pesanti manubri da varie posizioni, altre allenavano i propri stand, come una ragazza dagli stani capelli acuminati che tentava di centrare un bersaglio. Nessuno li degnò di troppa attenzione, erano normali ragazzi pronti ad esercitarsi in un pacifico combattimento. Non un ricordo struggente e colui che aveva tentato di imitarlo per tutta la vita.
«Proprio come una volta»
«Già» ebbe a malapena il coraggio di biascicare Joey, il cui nodo alla gola già aveva iniziato a tirare.
Si tolse le sneakers colorate e le posò all'angolo, lasciando sulla spessa corda del ring anche la fidata felpa-gilet. Non si accorse di ciò che fece suo fratello, ma quando lo guardò di nuovo aveva addosso solo canotta e pantaloni, il resto degli indumenti sparito nel nulla. L'ennesima dimostrazione che quello non era davvero Joule, morto invece nell'incidente aereo. Consolazione o sconforto?
Alzarono le braccia, in guardia, allargando le gambe in una posizione comoda ma in grado di farli scattare, agevolati da piccoli saltelli. Rimasero a guardarsi, il maggiore con quella giocosa aria di sfida che si usa con i bambini. Non avrebbe attaccato per primo, non lo faceva mai con il suo fratellino.
Il ragazzo strinse i pugni, le nocche gli si fecero bianche. Solo tu. Chiuse gli occhi, tentò di calmarsi regolando il respiro e, quando li riaprì, non c'era più nulla oltre il tatami quadrato. Nessuna ragazza con i capelli letali, nessun attrezzo, nessun pilastro. Come quando, durante un incontro, non riusciva a vedere nulla oltre il ring poiché tutti i riflettori erano puntati su di lui e, con un po' di concentrazione, poteva ovattare anche le voci dei tifosi. C'erano solo lui e Joule in quel momento.
Sollevò la gamba destra e la allungò con un movimento circolare, che gli permise di raggiungere col dorso del piede la testa dell'avversario.
«Alza il ginocchio in questo modo, come quando i cagnolini fanno la pipì»
«Ah ah ah! Come i cagnolini!»
«Sì, esatto! Forse anche loro si allenano con i calci rotanti mawashi geri»
A Joule bastò piegare un po' il braccio verso l'orecchio per parare il colpo. Il contatto fu strano, solido ma etereo.
Quello, però, era solo un diversivo per ottenere un'apertura sulla bocca dello stomaco, dove venne tirato un forte montante.
«Per entrambi la forza viene dalla rotazione del bacino, ma la differenza sta soprattutto nella traiettoria del braccio: il montante arriva dal basso, il gancio lateralmente»
«Devo ruotare così?»
«Bravissimo! Fa attenzione a tenere i piedi ben saldi a terra»
Granelli dorati si dispersero nell'aria, come polvere soffiata via dalla copertina di un vecchio libro.
Ciò non impedì al maggiore di contrattaccare subito, a mano aperta, sul largo petto dell'altro.
«Non è molto più debole di un pugno?»
«Dipende: se non vuoi arrecare gravi danni all'avversario è la tecnica perfetta, ma sul mento o sul collo può mandare a tappeto»
Cosa stava a significare? Non voleva fargli male, dopotutto era il suo piccolo Jojo.
Goccioline di sudore cominciarono a cadere a terra, sfruttando piccole ciocche dei capelli castani come scivoli. Joey non si allenava da quando era partito per quello strano viaggio, ma la vera fatica era mandar via tutti quei ricordi. Non sapeva se fosse la sua mente a giocargli brutti scherzi o se fosse il maledetto poter della freccia, lottava tra la voglia di abbracciare stretta quella finta versione di Joule e il volerla far sparire il prima possibile.
«Kuzushi è la prima fase, e serve per far perdere l'equilibrio all'avversario. Tsukuri è la fase intermedia, in cui assumi la giusta posizione. Kake, terza ed ultima fase, è la proiezione vera e propria»
«Quella che ti fa buttare il cattivone per terra!»
Lo catapultò sul tatami. La caduta avrebbe tolto il fiato a chiunque, ma quel volto così simile al suo continuò a mantenere un accenno di sorriso, incurante delle crepe auree che si stavano formando sul corpo. Stava sparendo, sgretolandosi a mano a mano.
Joey non era mai stato tanto triste, doveva dirgli addio, e allo stesso tempo pervaso dalla strana gioia di poter combattere con Joule un'ultima volta.
Era ormai in ginocchio, a cavalcioni sul fratello e con le mani serrate alla sua canotta. Ne staccò una, umida di sudore, dolente, e sollevò il gomito pronto a colpire.
«Ma mi vergogno a gridare mentre combatto, sembra strano!»
«Quando sarai allo stremo, quando sentirai di non potercela proprio fare, soltanto il kiai potrà ricaricarti di energia e donarti la forza di andare avanti. Urla, Joey, è una tecnica speciale da usare su se stessi»
E lo fece, urlò più forte che poté, gettò fuori in un grido straziante tutto ciò che provava in quel momento, che aveva provato da bambino, che provava ogni volta che saliva su un ring. Quel misto di dolore e soddisfazione, di malinconia e familiarità. Tutto, tutto, tutto fuori.
Non ne fu consapevole, ma un'aura lo circondò. Era diversa dall'energia emanata dai portatori di stand, seppur calda e piacevole in modo simile. Sembrava in perfetta armonia con la sua respirazione, i suoi movimenti, la sua sofferenza, la sua forza. Luce. Onde concentriche.
E affondò il colpo finale.
Joule si frantumò in sabbia d'oro, che sparì luccicando con uno sbuffo, donando a Joey un ultimo sguardo fraterno.
Era riuscito a sconfiggerlo, solo lui.
A Diego.
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