Hells Bells (parte 2)

Doveva salvare Theodor e Ofelia, entrambi nel quinto girone infernale, e senza l'aiuto del suo fidato Iron Man. Gli serviva qualcuno di abbastanza forte, a cui nessun demone avrebbe osato opporsi.

Ebbe all'improvviso un colpo di genio, ringraziò mentalmente la professoressa di letteratura e si mise in cammino. Qualcuno laggiù poteva dargli una mano.

I corpi dei seminatori di discordia, mutilati costantemente da una spada, erano quasi gradevoli rispetto a ciò che attendeva Joey nella decima e ultima bolgia: i falsari di metalli, ovvero gli alchimisti, emanavano un insopportabile fetore di carne putrida, mentre torturavano i propri corpi sfigurati dalla lebbra e dalla scabbia grattandone via le croste; le unghie affondavano nella pelle, marcia e molle come quella di un animale in decomposizione, senza riuscire a placare il prurito. I falsari di moneta giacevano a terra, con il ventre gonfio di liquidi a causa dell'idropisia ed i loro volti, al contrario, erano asciutti e scarni per la costante sete che li attanagliava. I falsari di parola erano colpiti da una febbre così violenta che i loro corpi emettevano fumo. Come se tutto ciò non fosse abbastanza orribile, i falsari di persona attaccavano e mordevano gli altri dannati, mossi da una furia bestiale.

Il ragazzo fu quasi tentato di rinunciare quando capì che, per raggiungere il girone successivo, sarebbe dovuto passare proprio lì in mezzo. Non era mai stato schizzinoso, ma quelle scene erano le più disgustose che avesse mai visto, e non se le sarebbe mai più tolte dalla testa. Poi sospirò e prese coraggio, non poteva abbandonare i suoi amici e nemmeno restare lì come un idiota. Portò la divisa da carcerato sopra il naso nonostante la puzza si fosse ormai insinuata nelle narici, e tentò di attraversare più velocemente possibile quell'immensa bolgia.

Le anime, notando che lui era l'unico dal corpo intatto, cominciarono ad andargli incontro, strisciando stanche e doloranti.
«Perché tu non soffri con noi?»
«Acqua... acqua... acqua...»
«Salvami, non ne posso più, ti prego!»
Continuavano a grattarsi, a disperarsi. Vedendoli, Joey non riuscì a trattenere le lacrime, e gli chiesero se potevano berle, se potevano usarle per bagnare le loro fronti bollenti.
«Farò in modo che questo posto sparisca, ve lo prometto, lo giuro! Lo distruggerò con le mie stesse mani, ma ora lasciatemi passare, o non potrò aiutarvi!»

Niente, non lo ascoltavano, erano attratti da lui, l'unico dalla pelle umida e senza piaghe. Tentavano di toccarlo, si gettavano ai suoi piedi supplicandolo in lingue che nemmeno conosceva. Non sarebbe riuscito a sopportarlo ancora per molto, e capì di doversi seriamente sbrigare quando dei falsari di persona iniziarono a dirigersi verso di lui, pronti ad azzannarlo. Quindi chiuse gli occhi e prese a correre, finché i lamenti non furono lontani, a malapena percettibili, finché non rimase senza fiato e fu costretto a fermarsi, tenendosi il fianco dolorante con una mano. Pianse come un bambino.

Fece di nuovo buio, sembrava non ci fosse nulla attorno a lui oltre all'oscurità, come quei sogni enigmatici in cui continui a camminare sperando di vedere una minuscola fonte di luce. Pian piano la temperatura si abbassò fino a fargli battere i denti, era l'esatto opposto del soffocante calore che aveva provato vicino alle lingue di fuoco dei consiglieri di frode. Un forte vento gelido gli rendeva difficile ogni passo e, anche se non riusciva a vedere niente, credeva sempre di scorgere qualche lebbroso, un serpente o delle fiamme.

Sentì un forte desiderio di rannicchiarsi a terra, di piangere ancora, fino ad addormentarsi, facendo prendere il sopravvento a freddo e tenebre. Voleva solo dimenticare le sofferenze a cui aveva assistito, le immagini che avrebbe per sempre visto nell'ombra, le suppliche da parte di tutte quelle persone. Chissà da quanto si trovavano lì a causa delle manie di grandezza di Minosse. Si pentì persino di aver intrapreso quel viaggio, maledisse le frecce e anche se stesso.

E proprio quando stava per cedere, uno strano calore gli nacque nel petto. Se la stava prendendo con tutto ciò che lo aveva portato a fare certe decisioni, tranne due persone, la cui unica colpa era essere ottimi amici. Ofelia, seppure per rabbia, aveva combattuto accanto al suo stand nonostante la terrorizzasse da sempre, e Theodor era letteralmente stato torturato pur di ricevere informazioni. Erano riusciti ad affrontare loro stessi, non poteva essere da meno! Doveva meritarsi la loro fiducia e ricambiare il favore. Non si era mai arreso sul ring, anche a costo di perdere in modo imbarazzante con la faccia piena di lividi, e non si sarebbe arreso neanche adesso. Perché c'era sempre qualcuno a fare il tifo per lui. Sapeva che lo stavano aspettando.

Prima che potesse rendersene conto, il vento aveva smesso di rimbombargli nelle orecchie. Davanti a lui, da sempre fiero della sua grande stazza, c'erano torri così alte da farlo sentire minuscolo. Strabuzzò gli occhi e sorrise, finalmente era arrivato al Pozzo dei Giganti.

Li aveva sempre immaginati come creature talmente maestose da essere indifferenti alle pene dell'Inferno, ma si sbagliava di grosso, anche sui loro volti poteva scorgere molta sofferenza.  Incatenati a pozzi profondissimi, alcuni si dibattevano e altri imprecavano con rabbia, tra cui uno che parlava in modo incomprensibile. E poi lo vide, libero e sua unica fonte di salvezza: Anteo.

«L'unico a non aver partecipato alla guerra contro gli Dèi e a non aver peccato di superbia... Dal vivo incuti rispetto più di quanto abbia mai potuto immaginare!»
Lentamente, Anteo si chinò, curioso di sapere cosa stesse borbottando quella creatura tanto piccola, ma ben informata.
«Per me, un mortale, è stato difficile giungere fin qui, e non ho percorso molta strada rispetto a quella che mi separa dall'uscita. Solo la tua immensa forza può aiutarmi! Tornerò tra i serpenti se non riterrai giuste le mie parole»
Ecco fatto, stava rischiando il tutto per tutto.

Cominciò a raccontare. Voleva sbrigarsi, ma si prese il giusto tempo, temendo che la fretta potesse remargli contro, proprio come quando aveva tentato di afferrare il frammento dal collo della guardia. E quasi gli venne da ridacchiare: all'inizio di tutto era stato sconfitto perché troppo restio ad iniziare uno scontro, adesso invece doveva calmare la sua avventatezza.

Lusingato dai complimenti e commosso dalla storia appena ascoltata, Anteo decise che lo avrebbe aiutato a uscire da quel posto. Minosse stava di nuovo venendo meno al suo compito, ovvero quello di proteggere il frammento dalle anime impure. E se la bestia poteva mandar lì sotto degli innocenti, allora lui poteva abbandonare il Pozzo dei Giganti e far ricongiungere quello strano ragazzo con i suoi compagni.

Joey venne afferrato e posato con inaspettata gentilezza sull'enorme spalla. Nonostante fosse completamente diverso dal salire su un aereo, non era tranquillo al pensiero che così tanta distanza lo separasse dal suolo, e le vertigini cominciarono a fargli tremolare le gambe. Fece dei profondi respiri, mentre il gigante si levava in tutta la sua altezza approfittando della mancanza di catene, e si aggrappò ad una lunga ciocca di capelli. Anche quelli erano grandi, come tante funi grigiastre.

Anteo si avvicinò ad una parete. Alle sue forti mani bastò sfiorarla per creare dei solchi. Poi cominciò ad arrampicarsi, girone dopo girone, rendendo una sciocca passeggiata ciò che al ragazzo sembrò il cammino più lungo e difficile della sua intera vita. L'oscurità non gli impedì di proseguire, le fiamme tornarono a sembrare tante piccole lucciole, i demoni non osavano far nulla oltre a svolazzargli intorno. Non ci volle molto a scorgere in lontananza la città di Dite, circondata dalla palude dello Stige.

Nell'acqua torbida, le anime degli iracondi si accorsero a malapena del loro arrivo, talmente erano concentrate nel farsi del male a vicenda. I pochi che ebbero la sfortuna di distrarsi, vennero subito colpiti da calci e pugni, a volte persino morsi o testate. Se gli si fosse parata davanti la persona a loro più cara, l'avrebbero attaccata con rabbia senza pensarci due volte. Erano feroci. E nel frattempo mandavano sempre più sotto la superficie ribollente gli accidiosi, immobili compagni di sofferenze. Eternamente senza fiato, senza parole.

Con il cappotto ancora sulle spalle, Ofelia ringhiava a chiunque le si avvicinasse e, se la malcapitata anima non cambiava strada, gliela faceva pagare a suon di manate. Girava in tondo, come una leonessa che percepisce il pericolo e tenta di proteggere il proprio territorio.

Un uomo alto e robusto provò ad attraversare quella zona...
«NON OSARE TOCCARLO!»
La ragazza si avventò impavida contro di lui, dandogli una forte ginocchiata nello stomaco per poi ribaltarlo senza fatica. Joey non potè fare a meno di essere fiero di quella tecnica, ma forse non era il momento di complimentarsi.

Osservando meglio la scena, capì che Ofelia non stava proteggendo i propri spazi, ma una persona: Theodor. Anche se sporchi di fango, i suoi riccioli biondi erano ben visibili, mentre si dimenava tentando di riemergere in superficie. Eppure, più provava a riprendere fiato, più una forza invisibile lo affondava.

Riconoscendoli, Anteo avvolse entrambi con la sua grande mano. Ofelia, con le nocche arrossate e un occhio gonfio, continuò a divincolarsi furibonda, e Theodor sputò tutta l'acqua sporca che aveva ingerito. A differenza degli altri peccatori, nei loro occhi c'era un po' di luce, come se si fossero aggrappati ad un unico, piccolo, barlume di speranza per mantenere la lucidità. E sulla spalla del gigante caddero in uno stato di incoscienza.

Il cammino proseguì, tra anime costrette a trasportare massi enormi, cattivo tempo, cani infernali e lamenti. Sembrava non finire più, nonostante i lunghi passi del gigante. Poi, all'improvviso, vennero accecati da una forte luce bianca, e ancor prima che riuscissero ad abituarsi sentirono le grida di Minosse.
«Come avete osato rifiutare la vostra pena? State vanificando il mio lavoro, sono il guardiano del frammento, della stirpe che mi ha risvegliato, e...»
«Taci, Minos! Hai corrotto l'ordine dei gironi e condannato anime innocenti. Stupida bestia, accecata dal potere, non meriti più tali responsabilità!»
Era stato Anteo a parlare, per la prima volta, con una voce così possente e roboante da far tremare i vetri dell'infermeria.

Joey non perse tempo, e approfittò di quella sorta di ramanzina per correre verso la guardia, in stato di trance proprio dove l'avevano lasciata. Afferrò la freccia che, orgogliosa, lo inondava di energia per non concedersi ad un altro padrone. Ma il ragazzo non stava lottando solo per se stesso, aveva ben impresse nella mente e nel cuore le sofferenze di tutte quelle anime, gli occhi spenti dei suoi amici, il sangue e il dolore. Trovò forza in queste disgrazie e, alla fine, la punta dorata si arrese, ritenendolo adatto.

Vide Minosse e Anteo svanire in una nuvola di polvere eterea, il primo con la serpentesca coda tra le gambe e il secondo fiero di sapere che sue nuove gesta saranno raccontate. Della voragine non rimase che una piccola crepa da cui cominciarono ad uscire moltissime anime: una sorrise a Theodor, che si stava risvegliando, una accarezzò dispiaciuta lo zigomo di Ofelia, mentre un'altra chiese perdono a Joey per la bruciatura che aveva sull'avambraccio.

Sorrise. Aveva mantenuto la sua promessa, ora quell'Inferno non esisteva più.

Dietro le quinte:
«Come descriveresti gli iracondi?»
«Molto arrabbiati, non ci dividerei un pasto»

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