Il grande match

"Okay ragazze, vi dico la formazione titolare: 11, 18, 4, 9, 7, 8". Ah, mi ha messo in campo, poche volte mi capita di partire titolare, figuriamoci in una partita così importante... chissà cosa si aspetta da me; lo guardo in cerca di un appoggio e lo trovo nel suo sorriso e in un suo piccolo movimento della testa.
Mi faccio coraggio ed entro in campo. Voglio dimostrare a tutti quelli che mi guardano che tutta la fatica, tutto il sudore che ho lasciato, che abbiamo tutte lasciato in questo ultimo mese di allenamento non sono stati vani.
Il fischietto dell'arbitro risuona nella palestra, e tutti si zittiscono, pronti per vivere un piccolo pezzo di storia.
I primi tre set passano velocissimi, fra buone difese e ottimi attacchi da entrambe le parti, e ci troviamo così due set a uno per loro; il nostro allenatore ci dà la carica, come tutto il pubblico: con un ultimo sforzo, dopo un'ottima difesa da parte nostra, me la alzano, vedo che stanno preparando un muro, sorrido e faccio un pallonetto che supera con un bell'arco le due che hanno saltato a muro e la palla cade alle loro spalle, facendoci vincere il quarto set.
Mi siedo in panchina con il fistone mentre le mie compagne mi danno una selva di cinque.
Chiedo un minuto al mio allenatore per rifiatare, mentre le mie compagne entrano in campo: so che non dovrei pensarci, ma quanto vorrei avere il loro fisico, quelle gambe lunghe e snelle, quelle braccione lunghissime... io sono abbastanza bassa, anche se non mi causa troppi problemi, ma quello che odio sono le mie gambe giganti e il "posteriore" troppo grosso.
Sto divagando, devo rimanere concentrata: vedo l'arpia dagli occhi verdi entrare in campo, i miei occhi si infiammano di rabbia quando vedo che anche lei porta il numero nove: non se lo merita, lo sporca con la sua mente diabolica.
Il set sembra partire molto bene per noi, infiliamo punti su punti e non sembra riescano a fermarci fino a quando l'arpia non schiaccia in faccia a Rebecca, il mio rimpiazzo: è una schiacciata cattiva, fatta per buttare fuori qualcuno; purtroppo riesce nel suo intento e Rebby è costretta a lasciare il campo col naso sanguinante.
L'allenatore mi fa cenno e io entro in campo sistemandomi i pantaloncini e le ginocchiere, non devono rallentarmi; la numero nove mi dice:"la prossima sei tu" sorridendo e tornando al suo posto; digrigno i denti e mi preparo per giocare.
Riesco ad evitare scontri troppo diretti contro la stronzetta fino ad arrivare a 13/13 pari.
La nostra battuta si spegne contro la rete, 14/13 per loro, iniziano a sorridere e a gongolare.
La loro battuta è molto flottante e potente e riusciamo a malapena a prenderla, me la alzano e io faccio per saltare ma in quel momento un dolore lancinante alla caviglia mi blocca e mi fa cadere a terra con un tonfo. La palla cade alle mie spalle non toccata da nessuno. Le avversarie festeggiano mentre il pubblico esplode in un boato e io sono obbligata a zoppicare fino alla panchina aiutata dalle mie compagne. Al momento di dare il cinque le nostre facce sono di pietra, fisse in una delusione continua; i miei amici cercano di consolarmi con abbracci e parole dolci, ma adesso non possono fare granché.
Facciamo la doccia in silenzio e in silenzio torno a casa, dove mi chiudo in camera mia e vado sotto le coperte, sperando che il giorno passi più in fretta possibile.

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