Twenty-Four | Street Harassment

white_alaska mi ha detto: Mi piacerebbe sapere se scriverai un capitolo riguardo le molestie. Mi spiego meglio: poco tempo fa riflettevo sul fatto che noi ragazze non possiamo sempre essere tranquille e sicure, ad esempio se stai camminando da sola la sera e cerchi di fare in fretta per non incontrare qualche malintenzionato.
Oppure a me è capitato di indossare una maglietta che, nonostante mi piacesse, mi ha fatto sentire a disagio, magari perché essendo attillata aveva attirato gli sguardi di qualche persona (e non solo ragazzi).

Era il 1952. Minerva McGranitt, che aveva da poco compiuto diciassette anni, camminava per la stazione di King's Cross, con il baule tra le mani, pronta a far ritorno a casa per le vacanze natalizie.

Camminava senza guardare davvero la gente intorno, senza percepire la confusione della stazione.

Quando, improvvisamente, una voce.

«Hey! Hey, carina! Sei così carina, vieni qui! Vieni qui! Mi dai un bacio? Sì, tu! Non farti pregare, tesoro!»

Minerva si girò, disgustata.

Ebbe un sussulto, quando si rese conto che si trattava di un uomo che, in ginocchio, stava parlando con un piccolo barboncino bianco.

Fu da quel giorno, che Minerva prese piena coscienza di quanto le molestie verbali per strada, i commenti, le urla che gli uomini usano sulle donne assomiglino al linguaggio che usano con i cani.

Era come se non ci fosse alcuna differenza.

*

Era il 1963, e Minerva insegnava da un po' di anni alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.

La campanella era da poco suonata e i suoi alunni erano corsi via dall'aula prima che lei potesse sbatter ciglio.

La donna stava giust'appunto sistemando alcune carte sulla cattedra, quando udì la conversazione di due suoi studenti aldilà della porta, che era rimasta semi-aperta.

Un ragazzo stava molestando una ragazza. Forse alcuni avrebbero pensato che si stesse complimentando con lei, o che stesse solo scherzando. Ma la ragazza cercava di zittirlo. Era imbarazzata. Stava subendo una molestia, e Minerva lo capì. Era evidente.

La professoressa posò le carte sul tavolo,e si sentì come pietrificata.

Quando udì i passi della ragazza farsi più lontani, si alzò velocemente per incontrare il ragazzo.

Gli si avvicinò e, invece di urlargli contro come avrebbe voluto, gli chiese solo perché. Perché si approcciava così ad una donna? Sperava che in quel modo sarebbe entrato nelle sue grazie? Lo faceva sentire meglio, umiliarla? Lo faceva sentire un "vero uomo"?

Il ragazzo la guardò da prima confuso, poi intimorito dalla presenza della professoressa, e infine si limitò a scrollare le spalle e rispondere: «Non ha importanza.»

Fu allora che Minerva capì che, forse, era vero, per la società. Non aveva importanza. Quel ragazzo aveva visto quei comportamenti da bambino e li aveva ritenuto normali.

Perché una donna avrebbe dovuto prendersela, per un complimento? Non era forse per questo che si truccavano, usavano il profumo, o davano importanza alla moda?

Quel ragazzo stava agendo come gli era stato detto di agire. Da qualche suo parente, forse. Da qualche suo amico, magari.
O, più semplicemente, dalla società.

*

Era il 1996, e Minerva fissava la ragazza di fronte a lei.

Quel giorno, era stata incaricata di perdere le veci del Preside e, dunque, quando quella ragazza era stata mandata nell'Ufficio accusata di aver Schiantato un suo compagno, la McGranitt le chiese cosa fosse successo.

La ragazza disse solo: «Non ho fatto nulla di male.»

Era successo che quella studentessa aveva deciso di accorciare la gonna della sua divisa di Hogwarts, perché non si sentiva se stessa con quella che la scuola imponeva di indossare, perché non era il suo stile, e perché credeva nella libertà di espressione.

Era stato per lei un grande shock, quando un suo compagno aveva cominciato a fischiarle, urlarle contro e, in risposta al disinteresse della ragazza, le aveva propinato i peggiori insulti che avesse mai sentito.

«Non mi sono vestita così per ricevere apprezzamenti, professoressa. L'ho fatto per me. Perché mi piace vestirmi così. Non ho fatto nulla di male» disse.

Era vero, dunque: non aveva fatto nulla di male.

La McGranitt la liquidò con un gesto della mano, lasciandola uscire priva di punizione, con la mente che si riempiva dalla frase: Non ho fatto nulla di male.

Prima che la ragazza potesse uscire, tuttavia, la professoressa la richiamò e, seppur mantenendo la solita aria autoritaria, le disse:

«Prendi un biscotto.»

*

Fu così che Minerva McGranitt, Preside della Scuola, cominciò ogni anno scolastico con un aneddoto: un aneddoto su una donna.

Che fosse una donna babbana, una donna magica, una donna bianca, una donna nera, una donna cristiana, una donna islamica, una donna eterno, una donna omosessuale e così via, non aveva importanza.

La donna di cui la professoressa racconta ogni anno è familiare a tutti, davvero tutti.

È la donna che si sente sporca, umiliata, colpevole.

La donna che ha paura. Paura di camminare per strada di notte, paura di esser vista da sola.

E la McGranitt racconta di lei, perché ogni suo studente sappia.

Sappia che una donna deve poter camminare da sola anche di notte senza perdere la propria fiducia nel prossimo.

Sappia che è necessario smettere di commentare i loro corpi.

Perché le molestie non sono complimenti. Sono mancanze di rispetto.










































































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Angolo Moony:
Sono le dieci e mezzo di sera, e sto piangendo. Dovevo pubblicare lo stesso, mi dispiace.
Scusate l'ora.

Ma davvero. Soprattutto dopo quanto avvenuto al funerale di Aretha Franklin, dovevo farlo.

Per ora, non credo di aver altre parole.

Grazie dell'attenzione, comunque.

Fatto il misfatto

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