Fourteen | Abuse
Trattando qualsiasi tipo di abuso nel Mondo Magico, credo sia giusto, - persino lecito -, analizzare alcuni dei personaggi il cui abuso subito è passato inosservato davanti agli occhi degli altri o, peggio ancora, davanti ai propri.
Perché la negligenza, l'abbandono, la violenza fisica, morale e psicologica vanno combattute. Ed il primo passo è sempre imparare a riconoscerle.
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Fu solo dopo la fine della Guerra, che Harry prese coscienza effettiva dell'abuso che aveva subito da parte dei Dursley. Certo, durante la sua adolescenza era stato abbracciato parecchio da Molly, che aveva cercato in tutti i modi di trasmettergli quel calore umano che Harry a stento conosceva. Gli preparava il cibo, gli puliva i vestiti, si preoccupava per lui e si accertava sempre di ricordagli che faceva parte della sua famiglia. Ma tutto quello che Harry riusciva a fare era categorizzare questi gesti e separarli nella sua mente da quelli dei Dursley. Per lui, il comportamento di Molly era diverso perché, semplicemente, si trattava di Molly. E quello che i Dursley gli facevano, invece, era dovuto alla loro paura della magia. Tutto qui.
Ci vollero numerose allusioni da parte di Ron e discorsi incoraggianti da parte di Hermione, affinché Harry capisse che non solo non meritava di vivere nel sottoscala e di essere picchiato da Dudley, ma anche, più di tutto, che non era un comportamento normale per una famiglia.
E perfino dopo averlo realizzato, cercò di soffocare le sue emozioni. Cercò di trovare delle giustificazioni per Dudley, che si era scusato e aveva cercato di costruire un rapporto con lui. Successivamente, a seguito di collasso mentale legato alla sua condizione post traumatica da stress, riuscì ad accettare completamente ciò che i suoi amici avevano cercato di dirgli. Poté perdonare Dudley, ma non accettò di costruire qualcos'altro con lui, perché anche se Dudley era cambiato, Harry capì di potersi sentire giustificato a mantenere le distanze da lui. Aveva sofferto troppo.
Ed anche dopo negli anni, volle dare una possibilità a chiunque ne chiedesse una. D'altra parte, però, sapeva che quel tremolio che avvertiva nelle mani ogni qualvolta leggeva il nome di Dudley sul telefono, o quel senso di nausea che provava al sol pensiero di incontrarlo di persona, erano giustificati. Non doveva biasimarsi, per questo.
Tutti quanti si offrirono di comunicare a Dudley che doveva smettere di chiamare, ma Harry disse che l'avrebbe fatto lui stesso. La voce di Dudley fu ridotta a un sussurro sommesso, pieno di rimorsi, quando rispose: «Ah, okay». E non chiamò più.
Harry non parlò per ore, dopo quella telefonata. Non era sicuro se stesse rivivendo i suoi incubi d'infanzia nella mente o se stesse cercando di lottare contro la parte di sé che avrebbe voluto richiamare Dudley per dargli un'altra occasione. E, poi, lentamente e gradualmente, guarì.
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Draco ebbe molto tempo a disposizione per chiarire la mente e riprendersi in mano la propria vita, dopo l'arresto di suo padre. Era oppresso dalle paranoie, che si presentavano sotto forma di occhi: occhi di gente che lo guardava con disgusto, o con diffidenza, o con pietà.
Fu solo dopo aver realizzato che dopo la Guerra erano tutti troppo occupati a riprendersi e a ricostruire la Società Magica come la si conosceva un tempo, e che quindi a nessuno importava di lui, che riprese ad uscire di casa.
Iniziò a sentire uno strano senso di libertà che non aveva mai provato prima d'ora. Non doveva più tener conto del giudizio del padre per ogni cosa che faceva. E quando smise di tener conto anche del giudizio della madre, realizzò che non doveva temere la sua reazione. Non doveva pensare sempre "È questo che farebbe un Purosangue?". Queste realizzazioni vennero lentamente, all'inizio. Poi, quei pensieri colpirono Draco come un'alluvione che ti bagna dalla testa ai piedi.
Iniziò a temere il rilascio di suo padre dalla prigione a tal punto che cominciò a soffrire di incubi frequenti. Incubi talmente tremendi, che sentì la necessità di parlarne con sua madre. Aveva paura della sua reazione. Aveva paura che potesse non accettare ciò che provava. Ma non aveva nessun altro da cui andare.
Il volto di sua madre si fece pallido, quando lo seppe. Draco pensò che volesse perfino piangere, ma la donna si affrettò a darsi un contegno. Il ragazzo rimase in silenzio, e quando, infine, la madre parlò, strinse il figlio tra le braccia e gli sussurrò molteplici scuse che il ragazzo, in ogni caso, riuscì a comprendere solo per metà. Insieme, si accordarono su alcune regole che Lucius avrebbe dovuto seguire dopo il suo scarceramento e Narcissa promise che, se suo marito non avesse rispettato queste condizioni, Draco sarebbe stato autorizzato ad andarsene.
E quando, sedici mesi dopo il rilascio del padre, Draco decise finalmente di andarlo a trovare, Lucius aveva accettato di rispettare le regole e Narcissa si premurò di non lasciare la stanza neanche per un secondo.
E nonostante ci furono per sempre dei giorni in cui Draco si sentiva convinto di voler tagliare i ponti definitivamente con suo padre, non riuscì mai a farlo. Volle sempre ricostruire un rapporto con lui. E, anche grazie alle regole, riuscì a farlo e a guarire le parti infrante del suo animo.
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Dopo la Guerra, Neville seppe d'aver trovato la sua forza. La sua voce. Il suo potere. E dopo tutto quello che gli era capitato, seppe di non voler mollare mai più. Non poté mai perdonare Piton per la violenza verbale che gli aveva recato, ma riuscì sempre a trovare la forza di parlare bene di lui in merito al suo ruolo durante la Guerra.
Non si azzardò più a permettere a sua zia, o a qualsiasi altro membro della sua famiglia, di buttarlo giù, di scoraggiarlo, umiliarlo o deriderlo. Non esitò mai più a lanciare un Incantesimo Scudo ogni volta che un parente gli si avvicinava troppo. Fu in grado di alzarsi in piedi, e dire loro che non avrebbe partecipato più a qualsiasi incontro di famiglia volessero organizzare.
Affrontare sua nonna fu la parte più difficile. La donna che aveva permesso che venisse gettato giù dalla finestra per verificare se avesse o no delle capacità magiche. La donna per cui lui, Neville, non sarebbe mai stato abbastanza bravo, abbastanza degno. La donna che gli mandava regolarmente delle Strillettere nei suoi anni di scuola.
Il loro litigio fu lungo e violento. Dopo la Guerra, Augusta aveva finalmente iniziato a sorridere non appena vedeva suo nipote, a seguito della notevole partecipazione di quest'ultimo nella battaglia.
Ma quando, quel giorno, l'espressione di Neville si fece seria e rigida e cominciò ad accusarla di esser stata negligente nei suoi confronti quando era un bambino, chiedendole una spiegazione per tutti gli abusi che gli aveva recato, la donna irrigidì ogni singolo muscolo che aveva in corpo. All'inizio, tentò di ignorarlo; ma nel momento in cui Neville continuò a chiederle una spiegazione, fu allora che la nonna prese in mano la bacchetta, imponendogli di andarsene.
Doveva essere una discussione, non un duello. Neville aveva cercato semplicemente di difendersi, prendendo la bacchetta di rimando. Ma poi finì con il combattere con lei. La donna gridava. Il nipote gridava. Continuarono così fin quando una squadra di Auror, chiamata per via dell'eccessivo baccano, non li interruppe.
Neville decise di non parlare mai più. Augusta restituì il favore. Non si salutarono più, nemmeno quando si incontravano in ospedale durante le visite a Frank e Alice.
Una parte di Neville continuò a sperare che la nonna realizzasse cosa aveva voluto dirle, e insieme cercassero un modo per ricominciare. Nel mentre, prese a pranzare sempre più spesso con la McGranitt (la quale, era sicuro, continuasse a litigare con Augusta per il modo in cui lo aveva trattato) e, gradualmente, riprese in mano la sua vita.
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Quando Dean scoprì che suo padre era, effettivamente, un mago, ne soffrì molto. Una parte di lui voleva giustificare l'uomo per aver tenuto all'oscuro sua madre riguardo la sua vera natura: voleva proteggerla dai Mangiamorte, che avevano finito per uccidere solo lui. Dopotutto, pensava, suo padre doveva esser stato davvero una brava persona, per farsi uccidere dai Mangiamorte piuttosto che unirsi a loro.
Ciò nonostante, Dean sentiva di esser perlopiù arrabbiato nei confronti di suo padre. Arrabbiato per aver tenuto sua madre nell'ignoranza. Arrabbiato per aver tenuto lui nell'ignoranza. Arrabbiato con lui, che era morto ancor prima che Dean potesse conoscerlo.
Visse con questa rabbia fin quando Seamus non lo portò nel cimitero dove si ergevano numerose tombe senza nome, che onoravano la memoria di tutti i morti della Prima e Seconda Guerra Magica. Seamus produsse un Incantesimo Silenziatore, così da non disturbare nessuno, e poi disse a Dean di lasciarsi andare. Di far uscire tutto.
Dean, all'inizio, poté solo rimanere in silenzio. Improvvisamente, poi, si ritrovò a piangere e urlare. Poi si sedette sul prato, in silenzio, con le lacrime agli occhi e la mano di Seamus sulla spalla.
Disse definitivamente addio a suo padre, e poi lui e Seamus se ne andarono, lasciandosi il cimitero alle spalle.
Successivamente, Dean si offrì di aiutare Seamus se avesse voluto affrontare sua madre, che aveva anche lei cercato di nascondere chi era. Ma Seamus, semplicemente, alzò le spalle e disse che era successo troppo tempo prima, per preoccuparsene ancora.
☾
Non si può sminuire, biasimare o incolpare qualcuno che decide di allontanarsi da qualcun altro che gli/le/* ha recato degli abusi. Perché la violenza non può esser giustificata. Ognuno ha i suoi problemi, ma ci sono ancora persone che fanno di tutto per dare il meglio di loro, nonostante tutto. E la violenza verbale e/o fisica non va scambiata per educazione.
Niente, ci tenevo ad aggiungere queste parole. Mi sentivo in dovere di farlo.
Grazie dell'attenzione.
Fatto il misfatto
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