8. Una cena movimentata

La cena sta trascorrendo senza complicazioni, però riesco a fiutare il pericolo nelle frasi di comune conversazione che si scambiano i miei genitori e la mia coinquilina.

Quando viene invitata a mangiare ancora, Kathleen non si tira indietro, taglia in piccoli pezzi una fetta di arrosto e, dopo averla assaggiata, decreta con un sorriso accattivante: "è delizioso."

Mia madre la ringrazia, mentre si sistema i capelli e arrossisce.

"Quindi ti sei laureata." Mio padre, invece, non si lascia abbindolare e la squadra con attenzione, attendendo una risposta.

"Sì, ho studiato a Boston e ho conseguito la laurea in diritto internazionale a pieni voti."

Boston? Ora che ci penso così come Bryan, neanche Kathleen ha il tipico accento dublinese e non sembra neppure inglese, ma la sua dizione quasi perfetta non mi permette di avere indizi sulle sue origini. Erin ha detto che viene a trovarla solo durante le vacanze, perciò non deve abitare vicino.

Che sia americana?

Al contrario della sottoscritta, mio padre non è interessato alla nazionalità della maestra dell'anima.
"Hai capito quale sia il compito di un bravo figlio" le risponde con approvazione, lanciandomi un'occhiata che non riesce a zittirmi.

"Papà, non mi sembra il caso..." lo ammonisco, ma lui sa di non avere nulla da perdere e continua.

"Signorina Kathleen, faccia capire a mia figlia quanto degli studi universitari ben fatti possano servire durante la vita. Nonostante ciò che le ho detto non ha voluto comunque ascoltarmi e ora si ritrova a fare la cameriera."

"Barista" lo correggo, cercando di reprimere la voglia di lanciargli l'arrosto.

Lui mi risponde con un cenno della mano, minimizzando l'importanza della mia precisazione, e continua a guardare la mia coinquilina aspettando una risposta.

La bionda poggia le posate a bordo piatto e drizza la schiena, quasi lo volesse sfidare. "Non posso non essere d'accordo sull'importanza di possedere una base di studi salda in quest'era, ma non condivido l'idea che un genitore affidi il suo compito a qualcuno appena conosciuto. Non sono la madre di Sheridan." Termina il tutto alzando il bicchiere e bevendo il vino in esso contenuto.

La stima che prima alimentava le parole di mio padre adesso è svanita e la ruga che gli solca la fronte rende abbastanza esplicito il suo stato d'animo.

Apprezzo che Kathleen non abbia supportato la sua asfissiante convinzione, ma così facendo ha scatenato le sue ire.

"Tuo padre se la mangia viva" mi sussurra Pauline, seduta accanto a me.

Annuisco senza staccare gli occhi dai due.

"Suvvia caro, non dobbiamo essere scortesi con un'ospite" interviene mia madre, alzando la voce per distrarre tutti. "È già una buona cosa che Sherry abbia trovato una coinquilina così adorabile. Prima mi sembrava preoccupata, ma ora la vedo molto più serena."

Serena un corno! Sto cercando di mantenere la situazione calma da quando abbiamo cominciato a cenare, ma è come remare su una barca in mezzo a una tempesta. Non riuscirò a reggere ancora per molto e le parole di mia madre rischiano di far incuriosire Kathleen. "Mamma, lascia stare."

"No no, è una cosa importante." Gli occhi di Kathleen sono puntati su di me. "Cosa ti fa preoccupare così tanto, Sheridan?"

-È successo qualcosa prima che arrivassi.- completa la frase nella mia mente e io mi irrigidisco.

"Non c'è niente di niente che mi preoccupi" rispondo sorridendo e gesticolando.

"Ma prima hai detto che devi parlarci di qualcosa" insiste mia madre sporgendosi verso di me.

So che non lo fa per cattiveria, bensì spinta dall'istinto materno che le impone di preoccuparsi, eppure non riesco a sopportare che tutto quello che faccio, tutto quello che penso, venga sempre in qualche modo svelato. Ho tollerato di essere indifesa davanti ai maestri dell'anima, ma non ho intenzione di essere un libro aperto anche a casa mia.

"Ho detto che sto bene" ripeto alterata, alzandomi dalla sedia. Faccio un profondo respiro e guardo tutti, soffermandomi anche su Pauline che mi osserva con cameratismo, pensando di capire come mi senta in questo momento. "Vado a prendere una boccata d'aria."

"Ma, tesoro, si gela!" mi urla quando già sono arrivata in cucina.

Non mi curo di rispondere e mi avvio verso la porta scorrevole che introduce al giardino. È buio, illuminato solo dalla luce che proviene dalla casa. Nonostante il freddo mi entri nelle ossa, la sensazione del vento che mi scompiglia i capelli non mi dispiace.

Affondo le mani nelle tasche dei pantaloni e con il piede tolgo l'acqua dal seggiolino dell'altalena che usavo da bambina. Mi metto a dondolare, assaporando la libertà che dona il non dover toccare coi piedi per terra.

Sono consapevole di stare scappando con questo mio atteggiamento, rifiutandomi di vedere la realtà e chiudendomi nei ricordi dell'infanzia, quando ero ancora ingenua e normale.

Che cosa dolce che era la normalità, un po' noiosa ma pur sempre bella.

Quando la porta della cucina scorre nuovamente alzo lo sguardo e mi ritrovo davanti Kathleen. Ha indossato il giacchetto, però continua a soffiarsi sulle mani per riscaldarle.

Mi irrita che si comporti come se nulla fosse. "Cosa c'è?"

"Dovrei essere io a chiederlo" ribatte, fissandomi e poggiandosi alla parete. "Perché non ci hai detto niente?"

Non rispondo immediatamente e mi limito a dondolare. "Suppongo volessi vivere come prima almeno questa serata" sussurro alzando la testa al cielo e ammirando la luna. "Non ho fatto nulla di male."

"Non l'hai fatto, ma sono certa che avresti voluto."

Mi blocco e pianto i piedi nel terreno. "Io non sono questa persona... Mi è sempre piaciuto essere me stessa, essere sincera a prescindere dal giudizio degli altri, ma adesso non faccio altro che il contrario. Mi state chiedendo di mentire alle persone che amo di più e di fingermi qualcuno di diverso."

"Non ti stiamo chiedendo di non essere te stessa" mi corregge lentamente. "Se ti chiedessi chi sei ora, me lo sapresti dire?"

Apro la bocca per rispondere, ma mi accorgo di non sapere cosa dire.

"Se vuoi renderli partecipi di qualcosa che anche tu ignori fai pure, non ti fermerò. I tuoi genitori ti accetteranno, ti rassicureranno e si rassicureranno, mentre il mondo che conoscono si fa sempre più distante. Tu imparerai a controllarti, scoprirai chi sei e piano piano capirai che la nostra vita è ben lontana dal potersi dire sicura." Provo a domandarle il perché, ma lei mi zittisce cominciando a camminarmi intorno e a parlarmi con fare significativo. "Sei più forte di quel che credi, ma non sei al sicuro per questo. Immagina cosa potrebbe succedere a degli umani normali quando persino tu, maestro dell'anima, rischi di perdere."

"Di che parli?" chiedo in fretta per evitare che ricominci a parlare.

"Ti sto dicendo che noi ci siamo presi la responsabilità di educarti. Erin ha accettato il rischio di accogliere un maestro dell'anima, nonostante abbia un passato misterioso e problematico come il tuo. Possiamo anche sembrarti ipocriti, ma vedi di portare un minimo di rispetto a colei che sta cercando di aiutarti" finisce tutto d'un fiato e sospira. "Mi spiace per quello che stai passando, credimi, ma non puoi fare le scelte sbagliate."

"Quindi mi devo accontentare dell'illusione di avere una possibilità di scelta" constato corrugando la fronte.

Lei alza le spalle. "Puoi vederla come vuoi." Si sfrega un'ultima volta le mani prima di comunicarmi che sta tornando in casa.

La seguo, dal momento che rimanere ancora fuori farebbe insospettire tutti quelli nel salone. Mentre attraversiamo la cucina mi soffermo sulla figura di Kathleen, che mi sta davanti e avanza con passo sicuro e tranquillo. Da una come lei mi aspetterei più fretta di rientrare, per poter controllare i pensieri dei miei genitori.

Si comporterebbe così, ne sono certa, a meno che... non l'abbia già fatto.

Spronata da questo dubbio aumento l'andatura e la supero, piombando nel salone e aspettandomi il peggio.
Invece, mi ritrovo davanti a mio padre che si versa un bicchiere di vino e a mia madre che dialoga con Pauline riguardo il suo viaggio. Al contrario di loro, la mia amica ha un'aria confusa e, non appena mi vede entrare, mi rivolge uno sguardo indecifrabile, che successivamente sposta su Kathleen.

Anche io devo apparire spaesata, visto che mia madre non è il tipo di persona che si tranquillizza così velocemente dopo una mia sfuriata.

Quando cerco la maestra, che so bene essere la responsabile di quanto sta accadendo, la trovo già seduta. "Abbiamo risolto il problema con i nostri coinquilini, scusate il contrattempo" comunica.

"Cara, non c'è problema. Stavo parlando con Pauline del suo viaggio. Sentite che cose emozionanti accadono fuori dal nostro paese."

"Dov'è stata?" chiede Kathleen, più per cortesia che per reale interesse.

"A Roma, e poi in Spagna e in Francia" spiega orgogliosa mia madre, che non dovrebbe vantarsi di niente, non essendo il soggetto che ha compiuto il viaggio. Ormai ha preso lo slancio e comincia a domandare dettagli alla mia amica, che si vede costretta a rispondere.

Colgo l'occasione per sporgermi verso la maestra dell'anima e sussurrarle accusatoria. "Cos'hai fatto? Si sono dimenticati tutto. Sono sicura che sei stata tu." Ma lei non mi ascolta e tiene lo sguardo fisso sulle due donne che dialogano alla sua sinistra. "Ehi!" Le tocco il braccio.

Scuote leggermente la testa, come per scrollarsi qualcosa di dosso, e poi si accorge di me. "Ah, non ti stavo ascoltando."

"Lo vedo. Che c'è questa volta?"

"Niente di che, spero. È solo che la tua amica ha fatto un viaggio peculiare." Ritorna a osservare Pauline, ma questa volta i suoi occhi sono taglienti, mentre tamburella con le dita sul tavolo.

Paul sta fingendo di ascoltare mia madre. Si passa una mano tra i ricci rossi, allontanandoli dal viso, e mi lancia un'occhiata. I suoi occhi sono seri e la bocca non ha ombra di sorriso. Il suo atteggiamento è completamente diverso da quello dei miei genitori, che si sono dimenticati di tutto, eppure sembra esserci qualcosa di più, qualcosa che la rende differente rispetto a pochi minuti fa.

Proprio quando cerco di capirne il motivo, una fitta lancinante mi attraversa la testa, costringendomi a serrare i denti così come gli occhi. Mi porto una mano alla fronte, mentre sento ancora l'eco di quella pugnalata risuonare nella mia testa. Fa male e non smette.

Credendo che sia colpa della maestra dell'anima la cerco per farla smettere, ma mi blocco subito. Kathleen non si cura di me e continua a essere focalizzata sulla rossa dall'altro lato del tavolo. Ha il volto piegato in una leggera smorfia e un piccolo tic le arriccia ripetutamente l'angolo destro della bocca.

La fitta colpisce di nuovo, ma questa volta dietro alla nuca, poi di colpo sento un manto caldo avvolgermi. Riesco a percepirne l'origine nella bionda e mi viene spontaneo abbandonarmi a quella sensazione, rendendomi conto solo dopo che un alone luminoso ci circonda.

C'era anche prima? Non saprei dirlo, ma intanto ho la certezza che l'aria della stanza stia diventando sempre più calda, tanto che mio padre comincia a sventolarsi una mano davanti al viso.

-Non muoverti o non riuscirò a mantenere lo schermo- mi ammonisce la maestra e io resto immobile e disorientata.

"Quasi dimenticavo!" esordisce mia madre dal nulla. "La torta."

Senza aggiungere altro si alza e corre in cucina. Il suo piccolo intervento è bastato a far placare quella che sembrava essere una battaglia invisibile.

Purtroppo non ho tempo di chiedere spiegazioni, perché in meno di un secondo Kathleen interviene: "Pauline, non abbiamo ancora avuto modo di parlarci. Tu e la nostra Sheridan vi conoscete da molto?"

La mia amica serra le labbra. "Da molto più tempo di voi e mi sorprende che abbia accettato di vivere con una come te."

L'altra raddrizza la schiena e alza il mento, mentre scandisce ogni parola. "Potrei dire lo stesso di te." Si porta una mano al collo, passando pigramente le dita sulla gola. "E quale sarebbe il tuo cognome?"

"Non ti deve interessare" le risponde seccamente, facendole morire il sorriso di circostanza che fino a quel momento era riuscita a mantenere.

Kathleen non insiste. Si alza, facendo stridere la sedia, e senza distrarsi da Pauline mi fa cenno di fare lo stesso. Guardo la mia amica, stranita a causa del suo comportamento solitamente socievole ed educato.

"Vi conoscete?" domando a entrambe, mettendo così in chiaro che non mi alzerò fino a quando non avrò capito cosa stia succedendo.

Ma ecco che il cellulare della mia coinquilina squilla e lei non mostra la minima sorpresa mentre risponde. Parla a monosillabi e, dopo aver riattaccato, afferma con decisione: "dobbiamo tornare a casa, il problema non si era risolto, a quanto pare."

"Oh cielo, spero nulla di grave." Mia madre è apparsa sulla soglia con in mano una torta di mele fumante.

Kathleen le sorride e fa un cenno negativo con la testa. "Nulla di grave."

"Sherry, non farla aspettare. La torta sarà per la prossima volta."

So bene cos'è appena successo. La maestra dell'anima è riuscita a mettermi all'angolo e ora sarò costretta a seguirla, se non voglio destare i sospetti o le ire dei miei. Così, furibonda, vado a prendere il mio cappotto, rinunciando all'idea di dir loro la verità, visto che sarebbe troppo rischioso farlo davanti alla bionda.

Saluto in modo meccanico i miei genitori e mi soffermo su Pauline che mi guarda con altrettanta intensità. Mi avvicino lentamente e le sorrido con esitazione, temendo che possa essere ostile anche a me, però con mia sorpresa lei ricambia e mi abbraccia. Sembrerebbe la stessa di sempre, eppure riesco a percepire la sua preoccupazione.

"Non devi andare per forza" mi sussurra mentre il viso affonda nei miei capelli.

A questo punto la stacco e vorrei raccontare tutto, ma devo resistere. "Devo."

Kathleen tossisce e richiama la mia attenzione, facendomi cenno di uscire, mentre saluta i presenti. Una volta chiuso il portone alle mie spalle, corro verso la macchina grigia parcheggiata al lato della strada, che riconosco essere quella di Erin, e, non appena viene aperta, mi fiondo al suo interno.

Ora, al sicuro da orecchie indiscrete, sbatto il pugno sul cruscotto e urlo. "Si può sapere che stai facendo!"

La maestra inserisce la chiave e, invece di avviare il motore, mi punta il dito contro. "Ti porto via da quello che ti metterebbe in pericolo."

"Da chi?"

"Dagli Sprenger" ringhia.

Sono bastate due parole per far nascere in me un profondo senso di angoscia, poiché quello da lei pronunciato è un cognome che conosco fin troppo bene.

È il cognome di Pauline.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top