3. Maestri dell'anima
Mi trovo divisa tra la consapevolezza di stare sognando e l'impotenza derivante dal sonno. So che quello che sto vivendo e vedendo non è reale, benché meno sensato.
Un turbinio di colori mi ruota davanti e una voce indistinta, priva di provenienza, mi arriva all'orecchio. Sembra una cantilena. L'immagine inizialmente confusa di una donna bionda si fa più nitida, fino a rivelare Kathleen. Mi sta parlando. Sono sicura di aver già vissuto questa scena. Mi giro senza poterlo evitare, guidata da quel sogno così vago, e lo vedo. Il fantasma.
Mi sveglio. La luce inonda i miei occhi, che si spalancano quando ricordo cosa sia successo. L'improvviso movimento mi causa un lieve senso di nausea, ma in breve tempo riprendo il pieno controllo del mio corpo e mi alzo.
Sono nuovamente nel salotto della casa, poggiata sul divano bianco. Il suono della tempesta è ancora presente, ma più attenuato rispetto a prima.
Mi guardo in giro e cerco di trovare qualche punto di riferimento per salvarmi dal caos che sta divorando la mia mente. Solo adesso noto Erin che, assorta nel giocare con Chim, non si è accorta di niente. Non appare preoccupata e i sorrisi caldi che rivolge al gatto la rendono più spensierata di quanto dovrebbe essere.
Mi schiarisco la voce.
"Bentornata." Smette di giocare e si siede meglio sulla poltrona.
Non mi curo più di tanto di lei, mentre nella memoria si fa sempre più nitido il ricordo del fantasma e ciò che le mie potenziali future coinquiline mi hanno detto. Controllo ogni angolo della stanza, temendo di veder riapparire quella creatura diafana.
"Quello era Charles." Pronuncia senza difficoltà quel nome francese e notando la mia perplessità aggiunge ironicamente. "Il fantasma."
Non ho sognato. Era reale. "Do... Dov'è andato?"
Lei stende il braccio per aria, come se si stesse appoggiando a qualcuno, e mi indica il vuoto con la testa. "È proprio qui." Sbianco. "Stavo scherzando! Non so dove si trovi." Alza le spalle e mi strizza l'occhio.
Ignoro lo scherzo di Erin, attira dall'innaturale silenzio della casa. Proprio per questo un'ipotesi tanto assurda quanto spaventosa mi costringe a domandare. "Dov'è finita Kathleen?"
Che sia stata rapita da quella creatura?
"Smettila di pensare che Charles sia un fantasma" mi rimprovera ridendo e scompigliandosi i capelli in quello che dovrebbe essere un gesto esasperato, ma che non ha quell'effetto. "Lui è il marit... o meglio, il fidanzato di Kath. Sono usciti, ma ignoro dove si trovino ora."
"Non so se l'hai notato, ma quel ragazzo è trasparente!" Esclamo con voce grave.
Erin mi guarda come se avesse davanti un bambino di due anni e dopo un sospiro ricomincia a dire cose incomprensibili. "Pensi che l'anima sia rosa? È normale che sia trasparente. Quello non era un fantasma, ma la parte immateriale di Charles. Lavora in Francia. Non sarebbe molto logico spendere una fortuna per venire ogni weekend qui, quando può comodamente spostarsi spiritualmente." Non è la prima volta che parla di anime e le mie domande si moltiplicano, senza però trovare risposta. Infatti, lei si alza e si avvia verso la libreria a muro, facendo scorrere velocemente l'indice sulle copertine. Si ferma su un grande tomo dalla rilegatura in cuoio e comincia a sfogliare le pesanti pagine ingiallite. Guarda tra le righe e finalmente trova quello che cerca.
Mi si avvicina sventolandomi un foglio davanti al viso. "Questo è Charles!"
Sto stringendo tra le mani una foto non molto vecchia, mentre l'indice di Erin mi indica freneticamente il volto di un ragazzo di colore. Charles deve essere più grande di me, perché nell'immagine dimostra almeno venticinque anni e penso non sia recente, visto che Erin e Kathleen sono più giovani. Il fidanzato della bionda sembra una persona tranquilla.
Le ridò la foto e lei la risistema nel libro, senza curarsi di rimetterlo al suo posto. "È normale che tutto ti sembri assurdo, anche se pensavo fossi già a conoscenza della tua natura."
"Cioè... quella cosa che chiamate controllori dell'anima?"
"Maestri" mi corregge e poi si apre in un grande sorriso, congiungendo le mani. "Suvvia, non fare quella faccia. Bisogna essere gioiosi in questi momenti, no? Hai un grande dono. Dovresti giudicarti onorata. Quando scoprirai tutto quello che puoi fare rimarrai a bocca aperta. All'inizio è un po' pesante, ma col tempo puoi trovare centinaia di applicazioni, come la chiaroveggenza e la dematerializzazione."
"Un po' come delle streghe" mormoro.
Lei si irrigidisce e guarda il muro alle mie spalle stringendo i pugni, poi, inspiegabilmente, torna alla sua solita spensieratezza. "Non siamo streghe, né demoni, né spiriti satanici. Ricordalo sempre." Mi indica con la testa la porta. "È quasi ora di cena e non credo tu voglia far preoccupare i tuoi genitori."
Con un gesto meccanico prendo il cellulare, trovandolo con sollievo nella tasca dei pantaloni, e guardo l'ora. 18:00. Tardissimo.
Scatto in piedi e mi avvicino al portone, per fermarmi poco dopo. Erin mi aspetta pazientemente, mentre guardo la casa indecisa. La cosa che mi spaventa più di tutte è il fatto che io accetti tutto questo. Ho come la sensazione di esserne sempre stata a conoscenza, che sia sempre stata una parte di me.
-Non devi forzarti. Lascia che sia la tua anima ad accogliere tutto questo e ti sentirai molto meglio.- La voce di Erin mi rimbomba nella testa.
Mi giro verso di lei. "Smettila di fare così." Mi dà fastidio pensare che il mio luogo sicuro venga violato da altri.
Lei alza le mani in segno di resa, non sapendo che già sto pensando ad altro, cercando di aggrapparmi a quell'esile senso di razionalità che mi rimane. Tuttavia, so molto bene che in una situazione come questa non si può essere coerenti. Il mondo si sta rivelando diverso da come lo conosco e in qualche modo dovrò farci l'abitudine. Ma non adesso.
Prendo il libro che Erin ha lasciato sul pavimento e lo osservo rapita. È più pesante di quel che pensassi. La rilegatura è stata sistemata di recente e rimanda un forte odore di cuoio, che mi spinge a inspirare. È qualcosa di antico.
"Quanti anni ha?" I miei occhi non si spostano da quelle pagine ingiallite, mentre rivolgo quella domanda.
Passano diversi secondi al termine dei quali la sua voce infantile riempie il vuoto. "Chi lo sa" mi risponde, cercando di essere misteriosa. "Se mi prometti di entrare nella nostra famiglia, potrei anche decidere di dirtelo."
Si comporta come mia cugina che, per inciso, ha sette anni. A causa di questo suo modo di porsi mi verrebbe naturale risponderle che non mi interessa e che lei e il mondo possono andarsene al diavolo, ma non lo faccio. Sono troppo incuriosita, oltre che emozionata e impaurita.
"Ci penserò" borbotto, poggiando il tomo sul pavimento e arrotolandomi la sciarpa intorno al collo.
Metto il giacchetto, pronta per andarmene, ma quando apro la porta sono costretta a piantare il piede nel pavimento per non essere trascinata via dal vento. Porto una mano davanti al viso, nel deludente tentativo di vedere qualcosa in mezzo alla cortina bianca che ho davanti. Ma, per colpa sia del buio che dei miei occhi quasi chiusi, non ci riesco.
"Ti accompagno io." Ecco che la sua voce divertita mi raggiunge di nuovo.
Erin mi sventola davanti al viso delle chiavi, vittoriosa. Sospiro e la ringrazio. In fondo non vuole fare niente di male, anzi, la sua disponibilità è da apprezzare.
Ci avviamo fuori dalla porta, tenendoci con una mano alla ringhiera di ferro che costeggia la facciata dell'edificio. Non riesco a vedere molto bene in mezzo alla bufera, ma le luci di sblocco di un'auto mi indicano improvvisamente la via. Erin si sta già incamminando verso di essa.
Con sollievo metto una mano sulla maniglia, desiderosa di tornare in un posto riparato e caldo, però la portiera non si apre. Dopo due tentativi arrivo a una conclusione: la macchina si è ghiacciata.
Mi sporgo oltre il veicolo e vedo Erin concentrata a fare qualcosa. Faccio il giro della vettura furtivamente. Sta tenendo la mano sulla maniglia e i suoi occhi sono assenti. Le guardo le labbra, ma non noto nessun movimento e constato così che non sta recitando strane formule, come mi sarei aspettata.
In questo momento sembra del tutto estranea al mondo, perciò mi avvicino ancora di più e finalmente mi accorgo di qualcosa: il ghiaccio che blocca lo sportello si sta sciogliendo ed evaporando in lievi fili di vapore.
Rimango a guardare quello spettacolo, del tutto rapita.
"Dovresti pensare al tuo sportello" mi dice tornando in sé.
Non vedo quale sia il problema. Visto che ha appena sciolto una lastra di ghiaccio con le mani, in un attimo sistemerà anche la mia portiera e potremo avviarci verso casa.
"Non pensarci nemmeno." Apre lo sportello. "Voglio che tu capisca appieno quello che hai appena visto, quindi dovrai cavartela da sola."
All'inizio penso che stia scherzando però, quando si chiude nella macchina, capisco di essermi sbagliata. Ritorno dal lato del passeggero, imitando la sua voce con fare gracchiante, e rimango ferma a pensare al da farsi.
Non ho del sale e non ho la minima idea di cos'altro si possa utilizzare in queste situazioni. Non capita tutti i giorni che a Dublino faccia così freddo da congelare un'auto e purtroppo non tutti hanno un termosifone incorporato nelle dita.
Chiudo le mani a coppa intorno agli occhi poggiando il naso sul finestrino e guardo all'interno della vettura. Erin non è interessata a me, troppo impegnata a cercare una stazione radio che le piaccia. Perfetto. Posiziono le dita davanti alla maniglia.
Brucia! Fondi!
I miei sforzi non servono a molto e il ghiaccio appare ancora più resistente. Mi mordo il labbro, frustrata per non esserci riuscita, ma non mi do per vinta.
Abracadabra! Bibidi Bobidi bù!
Nessuna delle formule funziona e sconsolata mi decido a utilizzare un metodo molto poco aggraziato. Mi avvicino allo sportello e comincio a soffiare sulla maniglia. Inizialmente il mio fiato caldo non aiuta, ma col passare del tempo riesco a sbloccare lo sportello.
"Bella la vita da umano normale, eh?" mi chiede, mettendo in moto la macchina sulle note di No woman no cry.
La parte iniziale del viaggio passa in totale silenzio. Non mi sento a mio agio sapendo che il guidatore può leggermi nella mente, cosa che probabilmente Erin sa, nonostante cerchi in tutti i modi di non pensarci.
Alla fine, stanca e rassegnata, la guardo. "Come faccio a non farmi leggere il pensiero?"
Non stacca gli occhi dalla strada, mentre comincia a tamburellare con le dita sul volante. "Schermare la mente è una delle prime cose che imparerai, ma non posso dirti altro." Cerca di farmi un mezzo sorriso. "Siamo speciali e come tali dobbiamo tutelarci. Sei una di noi, ma continui a rifiutarti di accettare quello che ti ho detto. Finché continuerai a negare l'esistenza dei maestri dell'anima e non sarai iniziata, non potremo dirti altro. Sono le regole."
È molto seria nel sottolinearlo e non oso andarle contro.
"Se vuoi posso parlarti di quello che devi sapere sulla casa." Annuisco. "Abbiamo uno studio, cucina e, come avrai visto dalle foto all’agenzia immobiliare, un bagno per ogni piano. La mia camera è in quello inferiore, tu e Bryan al primo e l'ultimo è per la coppietta felice, che sta in città solo per le festività. In pratica siamo io, te e Bryan per il resto dell'anno."
"Chi è Bryan?"
"Uno la cui massima forma di espressione è il rutto" mi dice ridacchiando, per poi ripetere quella parola che sto cominciando a odiare. "Scherzo. È un membro della nostra combriccola di maestri. Diciamo che..." Lascia la frase incompleta e si ferma. "Siamo arrivati."
Una fila di villette familiari mi sta accanto, dall'altro lato della strada deserta a causa del maltempo.
L'arrivo è stato più veloce di quanto credessi. In men che non si dica mi ritrovo fuori dall'auto. La tempesta si è placata e l'unico suono che accompagna i miei pensieri è il lieve passaggio del vento tra i tetti imbiancati.
Mi appoggio all'auto e guardo all'interno. "Grazie."
"Non c'è di che, compagna." Erin mi strizza l'occhio.
Questo suo strano modo di fare sta cominciando a diventare normale, quasi contagioso, e così mi apro in un sorriso, dimenticando per qualche secondo i miei dubbi.
Nessuno dice più niente. La macchina riparte e io non ho il coraggio di fermarla, anche se vorrei. La lascio correre via e quasi mi manca il fiato quando la vedo diventare solo un punto nella buio invernale.
-La nostra casa sarà sempre aperta e se non ti vedremo tornare accetteremo il tuo no. Nessuno ti obbliga. Fai la tua scelta.- Quelle parole riecheggiano nel silenzio.
Cosa farò? In questo momento mi sto costringendo a negare ciò che in parte ho già deciso. Mi sto ingannando, illudendomi di non credere in ciò che ho provato.
Mi avvio verso casa, trovando, senza troppa sorpresa, la porta bloccata. Si deve essere ghiacciata anche questa serratura, nonostante non lo sembri dall’esterno. La maniglia non vuole girare ed emette un suono stridulo ogni volta che provo a forzarla. Le nocche mi diventano quasi bianche e le vene si arrampicano sul dorso della mano a causa della stretta che ho sull'oggetto.
Il gelo si trasmette nella carne, entrandomi anche nelle ossa, poi quella sensazione cambia e un bruciore mi pervade le mani. Una lieve colonna di vapore sale dalla maniglia, che ora non è più un problema, così come non lo sono più i miei dubbi.
Non so se questa sia stata una coincidenza o quello che molti chiamano destino, ma non posso ignorarlo.
Respiro a pieni polmoni l'aria di un mondo nuovo.
So cosa voglio e so cosa fare.
[...]
È un'insolita giornata serena qui a Dublino. Le persone mi passano accanto, soffermandosi alle volte a guardare con curiosità la nuova venuta. I bambini mi indicano, mentre salgo le scale che mi separano dall'entrata.
Sono nuovamente ferma davanti alla soglia della mia futura casa, ma stavolta senza timore o incertezza. So chi mi aspetta all'interno e a cosa vado incontro.
Quando Kathleen fa la sua apparizione non esito a guardarla e ad annuire con sicurezza. "Sono dentro."
~Ho provato a disegnare il modo in cui immagino un maestro dell'anima quando è separato dal suo corpo fisico:
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