13. La vera Pauline

Adam mi ha spiegato che nei Giardini non esiste un vero e proprio ciclo temporale. Tutto è un’alternanza di tramonti e albe, che variano a seconda della quantità di maestri dell’anima presenti. Quello che sulla terra è il nostro sole qui si presenta come una sfera di energia che avvolge la volta celeste, maggiore è la quantità, maggiore è la luminosità.

Non posso quantificare il numero di maestri presenti al momento, però sono certa che sia diminuito nell’arco delle poche ore trascorse, perché il cielo si sta nuovamente tingendo di rosa.

-Che ore sono?- chiedo, ormai pratica dell’uso della canalizzazione del pensiero, sebbene non riesca ancora a entrare nella mente degli altri senza essere guidata.

Il mio insegnante chiude gli occhi e il suo corpo perde consistenza, riacquistandola una volta tornato nei Giardini. -Le due e mezza. Per oggi può bastare, anche perché, non essendo abituata a essere separata così a lungo dal tuo corpo, rischi di avere difficoltà nel ritorno.-

-Sto benissimo.-

-Per ora- aggiunge persuasivo, invitandomi a chiudere gli occhi e a tornare sulla terra.

Il viaggio richiede più energie del previsto e il ritorno nel mio corpo non si può definire piacevole. Tutti i miei muscoli sono indolenziti. Le orecchie mi fischiano e la gola brucia, talmente è secca, tuttavia mi basta deglutire per alleviare il fastidio.

Dopo essermi sgranchita le gambe, la prima cosa che noto è la fame che divora il mio stomaco. Faccio per muovermi, ma la pancia trema ed emette un lungo brontolio, che fa voltare Adam, appena rientrato nel suo corpo.

“È normale avere fame a quest’ora” borbotto.

Lui annuisce, però le irritanti fossette che gli contornano la bocca non gli permettono di dissimulare il divertimento e mi fanno alzare gli occhi al cielo.

Quando Charles varca la soglia, avendo percepito il nostro ritorno, Adam lo saluta con un cenno del capo e si dirige verso il corridoio. Poco dopo esce di casa, senza preoccuparsi di indossare un cappotto, tra gli sguardi di curiosità e diffidenza che gli rivolgono i passanti.

“Ho preparato dei Sandwiches. Li trovi in cucina” mi dice di colpo Charles, indicandomi la stanza mentre sussulto.

Ringraziandolo impacciatamente mi avvicino al mio spuntino, una torretta di panini con prosciutto e burro, rimanendo a bocca aperta davanti a questa visione, quasi con le lacrime agli occhi. Ne prendo uno e lo avvicino alla bocca, bloccandomi prima di morderlo.

Perché è così gentile nei miei confronti? Con questo genere di umani soprannaturali non riesco a non essere diffidente.

Lui, invece, non è turbato e con la solita flemma risponde ai miei dubbi. “Kath mi ha parlato di te e avete dei gusti simili, almeno in fatto di cibo.”

“Solo in quello."

Il solo nome di quella donna mi rende ostile e, anche se Charles non ha fatto nulla per meritarlo, mi chiudo in me stessa. Non mi fido di lei, del suo astio nei confronti della mia amica, e non posso correre il rischio che il mio incontro clandestino venga scoperto.

Mentre ci fissiamo penso a quanto io sia falsa, però non riesco a criticarmi per quello che ritengo essere un atteggiamento necessario.
In seguito, temendo che possa violare la mia mente, mi affretto a mangiare e mi dirigo al piano superiore con l’intenzione di cambiarmi e uscire, o meglio scappare.

Il mio turno comincia alle tre e mezza, perciò ho ancora tempo per organizzare l’incontro con Pauline e assicurarmi che tutte le possibili variabili siano a prova di maestro dell’anima.

La mia amica sembra più ansiosa di me all’idea di mettere piede in casa nostra, ma allo stesso tempo mostra una risolutezza che non pensavo le potesse appartenere.

“Aspetto con ansia domani” mi confessa, prima di chiudere la chiamata e lasciarmi al mio lavoro.

Durante il pomeriggio Kale si mostra permissivo, spinto forse dal senso di colpa per la sera precedente, arrivando persino a concedermi di bere durante il mio turno.

L’idea di ingerire qualcosa che annebbia la lucidità non mi esalta, se ripenso a ieri, eppure dopo un paio di rifiuti mi riempio un boccale, assaporando il sapore frizzantino della birra. Il gusto mi invade la bocca e arriva a solleticarmi il naso, costringendomi a fare una smorfia per non tossire.
I clienti abituali ridono della mia reazione e improvvisano battute che accolgo di buon grado. La serata trascorre in questo modo, così spensierata e calma da sembrarmi strana.

La normalità sta diventando qualcosa di estraneo nella mia nuova vita. Lo realizzo quando il senso di panico che mi invade la mattina seguente mi risulta quasi familiare.

Mi sveglio all’alba e rimango a letto fino a quando non sento Bryan uscire, dopo la consueta doccia, preceduto da Charles e Kathleen. E, quando la porta sbatte un’altra volta, indicandomi l’uscita di Erin, mi alzo e mi cambio. Ho dato appuntamento a Pauline tra un’ora, perciò ho tempo di fare colazione e camminare in cerchio nella sala da pranzo per dieci minuti buoni.

Ormai è arrivato il momento. Manca solo una cosa da fare. Cerco Chim in ogni angolo, sapendo bene che non ci si può fidare del gatto, e, quando lo riesco ad afferrare, lo chiudo nel salotto.
Soddisfatta, ritorno verso la sala da pranzo, nel momento esatto in cui Erin risale dalla sua camera, situata sotto al piano terra della casa, come fosse un locale caldaia o una lavanderia.

Mi impongo di contare fino a dieci, per riprendere colorito, prima di chiedere. “Credevo fossi uscita. Non devi andare a lavoro?”

“Le vacanze prima o poi le devo iniziare” mi risponde, stropicciandosi gli occhi e sbadigliando. Si guarda in giro. “Chim” chiama e, sentendo il suo miagolio, lo va a liberare. “Sei rimasto di nuovo bloccato. Che stupidino!”

Il fatto che Erin sia ancora in casa è ancora più problematico se penso a come Chim potrebbe fare la spia su chi sia stato a imprigionarlo. “Che bella giornata, eh” intervengo in ansia, attirando lo sguardo della maestra, incuriosita dalla mia loquacità.

“Stupenda.” Nonostante concordi, non accenna a muoversi.

“Non ti fa venire voglia di una passeggiata?”

Rivolge un’occhiata sfuggente al cielo fuori dalla finestra, prima di decretare. “Nah, non mi va.” La seguo, mentre va in salone, col gatto in grembo, prende una coperta da una cesta e si sdraia sul divano accendendo la televisione.

A questo punto, non avendo altra scelta, estraggo il cellulare e mando un messaggio a Pauline, scrivendole di non venire, anche se l’ora del nostro incontro è giunta. La sua risposta mi arriva immediatamente, non per sms, bensì a causa del rumore di passi sull’ingresso.

Corro subito fuori dalla stanza, ignorando Erin e le sue domande su che cosa sia successo. Mentre raggiungo il portone il campanello suona. “Vado io!” urlo alla maestra.

Apro la porta di scatto e Pauline mi saluta tremolante, mentre soffia sulle mani arrossate. A questo punto non posso che cedere al panico, spingendola indietro e seguendola a mia volta. In breve tempo i miei calzini sono ridotti a stracci fradici e gelidi a causa della pioggia dei giorni precedenti e la rossa se ne rende conto. “Che stai facendo?”

“Ci sono dei problemi. Non è il caso che entri.”

“E quindi mi butti fuori a piedi scalzi?” mi domanda scettica, incrociando le braccia. “Se mi dici che hai, posso aiutarti.”

“Fidati, non lo puoi risolvere.”

Nonostante la mia evidente preoccupazione, non accenna a scendere dal portico e continua a scrutare me e la casa. “Sherry, devi dirmi che ti hanno fatto!” esclama improvvisamente, lasciandomi di stucco.

È evidente che tra lei e Kathleen ci sia stato un odio a prima vista, però nulla giustifica questa sua richiesta. Così il dubbio, che era rimasto latente fin dai tempi della cena, mi sale alle labbra. “Paul, di cosa stai parlando?”

Non esita a fare un passo verso di me con fare risoluto.

“Ma guarda! Abbiamo ospiti” esulta Erin alle mie spalle.

Tutto quello che riesco a sentire è il suono del mio piano che va in frantumi, mentre il sorriso smagliante della maestra ci invita a entrare, senza dare spazio a rifiuti.

Valuto la possibilità di restare fuori, al sicuro tra i passanti, ma in breve tempo capisco di essere l’unica a voler evitare questo confronto. Pauline non indietreggia e continua a sfidare Erin, sorreggendo i suoi occhi verde muschio, mentre con una mano stringe il ciondolo della collana che porta da sempre.

La mia coinquilina rientra in casa, seguita da Chim e da Paul, che mi lascia sul portico, incapace di negare ciò che ho davanti agli occhi: Pauline sa tutto.

Infatti, quando il fuoco del camino si ravviva di colpo, dal mucchietto di carbone che era prima, sussulta, ma non appare sorpresa. Si volta verso la maestra dell’anima e si concentra su ogni suo gesto.

“Kath era strana in questi ultimi giorni, ma mai avrei immaginato questo. Sono ancora più emozionata di quando ho scoperto chi era il padre di Luke.” La rossa non risponde ed Erin si rattrista. “Andiamo! Luke Skywalker! Non mi dica che non lo conosce. È una delle colonne portanti di quest’epoca.”

“Smettila subito” la blocca.

“Non c’è bisogno di essere così tesi.”

“Mi sto solo guardando da voi demoni” le sibila, sporgendosi col busto verso di lei.

“Signorina, questo comportamento non è ammissibile in un’area che fa capo a me. Lo ripeterò un’altra volta e la prego di accettare il mio invito. Si rilassi” termina il tutto incurvando le labbra in un sorriso che può essere scambiato per un ringhio e Pauline sbianca, allontanando la mano dal pendente. “Ora ci spieghi il perché è venuta.”

“In verità è colpa mia” sussurro guardandola. “Volevo solo capire perché Kathleen la odiasse.”

Erin scuote la testa. “Non è solo questo che l’ha spinta a venire. Dico bene?”

Pauline coglie al volo l’invito a spiegarsi, indicandomi. “Voglio che la liberiate dalla vostra setta." Si chiude nelle spalle, sulla difensiva. “Lei non è una di voi, non è come voi, e non avete diritto di trattenerla.”

“Bambina, per quanto faccia male, deve scendere a patti con la realtà. Sheridan è a tutti gli effetti una maestra dell’anima e nessuno la sta costringendo.”

“La state ingannand…”

“Paul, che ne sai tu?” la interrompo, tremante, ma non per paura. “Chi sei?”

La luce di colpevolezza che gli illumina lo sguardo mi svela molto, ancora prima che lei possa parlare. “Sono solo una persona che sa della loro esistenza. So quanto questi mostri siano pericolosi e non voglio che tu sia ingannata.”

“L’hai sempre saputo” mormoro, per poi alzare il viso e la voce. “In venti dannati anni non hai mai avuto modo di dirmi una cosa del genere?!”

“Non potevo farlo.” La meccanicità della sua risposta mi affonda nel petto come una lama.

“Sono cose che succedono” interviene Erin, scuotendo la mano e guardandomi. “Anche se te lo avesse detto non le avresti creduto.”

“Non ho bisogno delle tue spiegazioni” le sibila Pauline.

La maestra rotea gli occhi e sbuffa, come se stessa parlando a un bambino capriccioso, abbandonandosi sul divano. “Posso capire perché si sia arrivati all’inquisizione, ma che delle superstizioni del genere continuino in tempi moderni è un affronto all’intelletto umano.” La scruta inespressiva, poi scuote la testa davanti all’impassibilità della rossa. “Posso chiederle da cosa nasce il suo odio nei nostri confronti?”

Sia io che Paul rimaniamo spiazzate, per motivi diversi. Non ho una grande passione per la storia, ma chiunque conosce il periodo dell’inquisizione. Ho sempre provato un misto di disgusto e fascino nei confronti di un’età così oscura per la razza umana e, ora, il nome di coloro che hanno messo in atto quelle atrocità è stato associato alla mia amica.

“Andate contro ogni legge naturale. Creature come voi non meritano di essere chiamate persone, ed già tanto che vi sia permesso di vivere.”

Contro ogni previsione logica, Erin comincia a farle un applauso, ridendo. “Brava, brava. Un indottrinamento degno della tua famiglia, anche se le parole di Jacob non furono proprio queste.”

“Jacob?” domando.

“Jacob Sprenger è un mio antenato.” Pauline è restia a dirmi di più e il mio sguardo corre verso qualcuno più loquace, ma non viene ricambiato.

Erin sta fissando il camino, con gli occhi spenti fissi sulle fiamme.

-Erin.- la chiamo, ma non risponde, mentre il silenzio aleggia su di noi, minacciando una tempesta.

Tento un altro attacco, cercando di violare il subconscio della maestra.
Il mondo inizia a ruotarmi intorno in un vortice di colori, suoni e odori e, quando si ferma, il salone è stato sostituito da un panorama scuro e nebbioso. Mi trovo al centro di una piazza in un paese dall’aspetto medievale, ma non sento niente oltre alle urla di una giovane donna che si dimena tra le corde che la stringono, mentre il fuoco consuma ogni cosa sotto i suoi piedi e poi raggiunge il suo corpo. Quando questo accade lancia un grido acutissimo, che mi fa chiudere gli occhi e tornare nel salone.

La situazione non è cambiata e l’unica novità sono gli occhi profondi di Erin puntati su di me. -Ero sovrappensiero e ti ho coinvolta- si affretta a dire, prima di rivolgersi a Pauline. “Sprenger, non ho intenzione di immischiarmi nel vostro credo, ma voglio farle presente un dato oggettivo.” Fa una pausa. “Se io le chiedessi cosa vuol dire essere umana in confronto alle bestie a cui ci associate, lei mi risponderebbe…”

Incoraggiata da un suo gesto della mano, la ragazza continua al suo posto con diffidenza. “Direi che vuol dire essere buoni e provare dei sentimenti. Voi siete solo entità svuotate da ogni emozione, macchine.”

Il viso della maestra si piega in un broncio infantile. “Personalmente mi emoziono anche troppo. Provi con qualcos’altro.”

Pauline si trattiene dall’urlarle in faccia e avanza di un passo. “Gli esseri umani vivono e muoiono, così come dovrebbe essere per ogni essere vivente. Voi, invece, vi ostinate a rubare corpi a poveri neonati pur di non accettare la fine.” Torna a stringere il ciondolo. “Siete degli assassini.”

Erin rimane sorpresa dalla sua sentenza e aggrotta le sopracciglia. “Fermati un secondo, bambina. Noi non rubiamo niente a nessuno. Il feto non ha un’anima appena si forma, ma solo dopo la venticinquesima settimana... come minimo. Noi ci limitiamo a cercarne uno che non sia ancora occupato e a inserirci la nostra anima.” Pauline si apre in un’espressione di disgusto, mentre io ripenso alle parole della maestra e a come in un futuro mi ritroverò in un altro corpo, rabbrividendo. Intanto la donna si è alzata dal divano e si muove lentamente, con passi fluidi da pantera, verso il camino. “Per la storia della morte, invece, anche noi possiamo avere una fine.” Ci pensa un secondo e si corregge. “Più di una.”

Non aggiunge altro e con un gesto veloce si toglie una ciocca di capelli, che viene via così facilmente da farmi valutare la possibilità che abbia usato un qualche magia, e la fa cadere tra le fiamme, che la divorano sfrigolando. “Come vede, non esiste più” afferma sorridente.

Irritata, Pauline le punta l’indice contro. “Smettila di prendermi in giro! Sappiamo benissimo che se tu potessi veramente morire non saresti qui.” Si avvicina e mi stringe il braccio. “Sai che questo è sbagliato, vero? Sei ancora in tempo per non essere un mostro.”

Non so se mi ferisca di più il fatto che definisca mostruosa la mia natura o che mi abbia nascosto per anni questo suo lato, volontariamente.
Nonostante il disprezzo e la rabbia che l’energia della sua stretta sul mio arto mi stanno comunicando, riesco a pensare solo alle scene di vita quotidiana vissute nel mio breve soggiorno in questa casa, con i miei coinquilini e le loro stranezze da esseri centenari.
Poi, a queste immagini si sovrappone quella del rogo, a cui stava pensando Erin, delll’inquisizione, degli Sprenger e della mia amica. 
Tutte queste tessere mi si sono unite davanti e mi mostrano un quadro che avrei preferito ignorare.

“Non sono cattivi” provo a dirle, ma la voce mi muore in gola quando la vedo ritrarre la mano, schifata. “Mi conosci, non sono un mostro e so scegliere le persone con cui stare. Non importa se mi hai sempre tenuto all’oscuro” mento, non volendo peggiorare le cose. “Per una volta prova a fidarti di me.”

Nessuna risposta. Lei abbassa semplicemente lo sguardo sulla mano destra, che non ha mai smesso di stringere il ciondolo. “È colpa vostra...”

“L’unica cosa di cui può incolparci è di farle mangiare troppi carboidrati.” Nonostante Erin sembri serena il suo sguardo è più vigile del solito e si sposta dall’ospite al gatto. “Non è facile capire che l’unica cosa che ci rende umani è la memoria, non quella personale, ma quella della nostra razza. Non si può capire l’uomo basandosi solo sui sentimenti e sulle superstizioni. La vita è troppo breve per insegnarci come essere umani, ma non lo sono i millenni di avvenimenti che stanno alle nostre spalle, per questo li studiate durante la vostra formazione.”  La maestra piega la testa di lato e incurva gli spigoli della bocca. “In questo frangente chi credete sia più umano? Un maestro dell’anima, che vive attraverso le ere, o voi, che vi affannate a cercare la verità su libri che cambiano continuamente trama a seconda del vincitore?”

Appena Erin termina la domanda, l’aria pulsa e un secondo battuto mi fa individuare l’origine di questo fenomeno in Pauline. La rossa continua a mormorare, mentre il ciondolo che ha al collo si illumina dello stesso azzurro dell'inquisitore del pub.
Scuote la testa e poi raddrizza la schiena, facendo ondeggiare la folta chioma che ora appare rosso sangue, a causa dell’illuminazione della collana.

“Non un’altra bestemmia” sibila, prima che il cristallo nel ciondolo rilasci un’onda di luce che trapassa la maestra dell’anima.

~Sheridan sa sempre come scegliersi le amicizie giuste, signori e signore u.u
Penso non ci sia altro da dire. È scema e si vede...

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