Lo sguardo del cervo preannuncia pioggia
Decido allora che è il momento del ritorno e, dopo aver pescato un altro pesce, raggiungiamo la casa. Mi dico che questa mia vita mi sta piacendo e mi ha infuso un profondo senso di serenità. Se solo il mio ardore giovanile, il nostro ardore, non avesse risposto così repentinamente alle fiammeggianti parole di mio padre! Se solo io e Fingon avessimo avuto tanto coraggio da rinunciare alla vanità di quel discorso, che bruciava soltanto... Se avessi almeno dato ascolto a mia madre!
Mi tornano allora in mente le parole di Melian, quando mi diceva che un modo per comunicare con lei posso comunque trovarlo.
Occupatomi di Haboel e chiuso la stalla e la porta principale, frugo tra i libri della libreria e trovo per miracolo dei fogli ed un calamaio... Manca però una penna! Con cosa avrei scritto se non... infine trovo ciò che mi serve e scrivo alcune frasi: "Avrei dovuto darti ascolto, perdonami per non essermi curato della tua saggezza, avevi pienamente ragione, su tutto. Avrei dovuto rimanere con te a Valinor, avremmo dovuto farlo tutti. Perdona, tuo Maedhros." Piego subito il foglietto e lo metto nella cesta assieme ad un fiore, azionando l'incanto. In un attimo tutto si affloscia e, se non altro, sono certo che sia arrivato a lei.
Rileggo di nuovo alcuni brani del Silmarillion, dopo aver cucinato, mangiato ed essermi preparato per la notte. Sto ripercorrendo i passi che ci condussero all'esilio, anzi ad un auto allontanamento forzato... Mio padre si era rivelato troppo impulsivo, davvero, tanto che aveva ceduto, forse di proposito, agli inganni di Morgoth. Era bruciato nel fuoco della sua stessa ira, quando era morto... Me lo ricordo, in maniera più che vivida, ed è stato orribile vedere quel prodigio cruento. Io in fondo ho fatto lo stesso... Sono più simile a mio padre di quanto voglia ammettere, e questo pensiero mi fa mancare l'aria. Anch'io sono stato animato dalle stesse pulsioni di mio padre e per troppo tempo ho deciso di abbandonare la tenerezza per la durezza della vendetta e della guerra. Forse, se fossimo stati più assennati, avremmo potuto gestire la faccenda in modo diverso. Non dico di donare i Silmarill a Yavanna, mio padre non l'avrebbe mai fatto in ogni caso, ma assieme ai Valar avremmo potuto... Ma tanto a che cosa serve pensare a come sarebbe potuta andare? Non è stato così e non si può tornare indietro.
Gli incubi della notte mi danno molto tormento. Continuo ad essere inseguito da mio padre, anzi da un cadavere ambulante all'interno di fiamme vive. Dice che avrei dovuto essere fiammeggiante anch'io e, visto che non lo sono più, devo averlo tradito... Fortunatamente sono soltanto incubi notturni e se ne vanno inconsistenti assieme ad Isil.
E' proprio una bella mattina, dall'aria fragrante, con gonfie nubi bianche e vaporose che si stanno approssimando. Non c'è vento, ma forse negli strati più alti del cielo sì. I suoni della natura sono splendidi e tutto mi invita a vagare in questi boschi colmi dei canti degli uccellini. Faccio colazione, mi occupo di Haboel e poi prendo un cesto di vimini ed inizio la mia passeggiata, che spero possa durare per delle ore. Vado a piedi, meditando se lasciare indietro anche i calzari, ma poi mi dico che non sono così temerario da rischiare di ferirmi. Non sono uno dei Vala, di cui la natura ha premura che non si feriscano in alcun modo. Trovo molte cose nel sottobosco ed inizio a raccogliere quelle che mi sembrano le migliori. Vago allora qua e là, attraverso quelle vaste aule naturali che hanno gli alberi come pilastri ed ho il fugace ricordo del Menegroth, la dimora di Melian e Thingol. Mi convinco davvero che sia ancora un gioiello, pur essendo inabissatasi ormai da diverse ere. Prendo allora a cantare un piccolo motivetto, di cui però non ricordo quasi nulla... Forse è un tema di quando ero bambino, ma non rammento alcunchè delle sue parole. Di sicuro mi ricorda di qualcosa di lieto ed è particolarmente orecchiabile, ma chissà cos'è. Non ne ho la più pallida idea... Mi siedo allora sopra una roccia, posta sul terreno davanti ad un grande albero, la cui chioma si erge talmente in alto che pare una torre di un immenso palazzo. E' proprio un bello spettacolo, devo ammetterlo. Appoggio il canestro a terra, con le mani conserte in grembo, e chiudo gli occhi. Prendo a sentire i suoni del bosco e quella maestevole melodia che è il loro insieme. Gli uccellini cantano ognuno al proprio ritmo, basso, veloce, alto, nenioso, più forte e men forte in base al loro volo. Poi prendo a sentire il canto delle foglie delle chiome degli alberi ed il loro respiro nella brezza. Avverto in lontananza un suono d'acqua che scorre, ma è lontana ed appena avvertibile. Poi sento il rumore del sottobosco, repentini fruscii in corsa, scricchiolii sulle cime degli alberi, degli scoiattoli forse. Rimango così per un po' fino a che non sopraggiunge un nitido e chiaro suono di zoccoli che calcano il terreno. Aprendo gli occhi, a pochi metri da dove sono io, mi trovo di fronte ad un cervo dalle immense corna ritorte e mi sembra che sia lo stesso che ieri la schiera di Oromë stava inseguendo. Quando si accorge che lo osservo scalcia, come a segnalarmi che lui è il sovrano della foresta. Colgo in lui un'intelligenza profonda, a cui manca soltanto il dono della parola. Non so perché lo faccio, ma chino il capo e dopo poco se ne va, forse soddisfatto dalla sua prova di autorità.
Decido allora che sarei ritornato a casa e nel mentre prende a levarsi un vento sempre più poderoso, che trasporta le nubi; ben presto sarebbe arrivata la pioggia.
Allora è vero che i Valar hanno ammesso a Valinor perfino le stagioni. Di sicuro non sarà una perturbazione potente, ma non si può mai sapere. E così hanno davvero a cuore i Noldor, tanto da ammettere dei cambiamenti addirittura a Valinor. Questa considerazione è dirompente, almeno per me. Infine ecco, ho compreso che mio padre Feanor aveva sbagliato del tutto. Se i Valar hanno addirittura cambiato la stagione, perennemente dolce, allora c'è davvero speranza per tutti, io compreso, come in effetti mi hanno già dimostrato.
Arrivo a casa giusto in tempo e prendo a chiudere tutto, dalle porte agli scuri delle finestre. Il vento filtra qua e là tra gli spifferi alle pareti, quasi ci siano molte persone intente in un canto anticamente oscuro. Ognuno va al proprio ritmo, ma insieme creano effetti rabbrividenti, quasi cantino tra il fischio ed il sussurro. Haboel nitrisce preoccupato, così vado nella stalla e riesco a convincerlo a calmarsi. Rimango un po' con lui e lo striglio mentre la prima pioggia prende a picchiettare il tetto dell'edificio, il terreno e le alte chiome degli alberi. Il ticchettio prende a velocizzarsi, gonfiandosi e spandendosi quasi un'entità poderosa che voglia sgravarsi dell'acqua. La casa scricchiola a colpi alterni, ma tutto sommato la furia esterna si limita a questo. Chissà se Manwë si diverte ad orchestrare questi venti, magari assieme ad Ulmo. Chissà poi che cosa ne pensa Nienna di tutto questo. La pioggia assomiglia in parte alle sue lacrime e forse quella comune mestizia, che però è feconda, la spinge a passeggiare per Valinor durante queste perturbazioni. Chissà perché ho avuto questo pensiero... Può essere del tutto irreale, come anche completamente vero.
"Che mi dici, Haboel? Chissà che in un giorno di pioggia non si incontri anche Nienna! Non temere il vento, dono di Manwë, ne la pioggia frutto di Ulmo." Dico mentre Haboel muove irrequieto le orecchie.
Gli butto giù del fieno e quando vedo che è sereno torno nell'altra stanza ed accendo un'altra lanterna di Varda, preparandomi la cena.
Nuovamente prendo del lembas e poi con delle fette di pane rimasto e delle marmellate, lasciatemi da Melian, mi faccio dei panini, anche se ci sarebbe stato bene del burro. Intanto il ticchettio della pioggia si è fatto regolare ed il vento ha preso a calare, facendosi più mansueto. Sorrido pensando ai funghi di bosco che sarebbero nati nei giorni successivi e mi dico che in fondo la mia dieta non mi fa mancare nulla, forse soltanto il formaggio. Chissà che in qualche modo non me ne arrivi un po'.
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