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Questo pomeriggio Oliver si è presentato a lavoro con un occhio nero.
Non so cosa gli sia successo di preciso, né perché lui non lo veda come un grosso problema, l'unica cosa di cui sono certa è che a colpirlo sia stato qualcuno a scuola.
Durante la settimana lavora di pomeriggio, in modo da aver le mattinate libere per poter andare a lezione, e oggi è lunedì.
Gli premo il ghiaccio contro l'occhio, testarda, mentre lui mi ripete, forse per la millesima volta, che si sgonfierà da solo.
«Le cicatrici non ti rendono figo o qualcosa del genere?» scherza.
«Cioè so che il mio è solo un livido, però-»
«Non è “solo un livido”, Oliver.» lo blocco.
«E per favore stai fermo.» continuo, posizionando meglio il ghiaccio. Ne avevo davvero pochissimo nel congelatore. Di solito non serve. È vero che io casco spesso, ma ormai ci sono così tanto abituata che dopo un secondo non sento più dolore.
«Chi è stato?» gli chiedo.
«Sono caduto.» è palese che stia mentendo.
«Cosa? Non mi credi? Tu non riesci a fare mezzo passo senza trovarti a terra!»
Mi mordo l'interno della guancia, frustrata. Oliver è intelligente, se non vuole dirmi nulla è perché la situazione è grave. E non posso nemmeno insistere troppo, altrimenti rischio che si chiuda in se stesso.
Cavolo!
Mi viene davvero voglia di correre in quello schifo di liceo e allestire l'ufficio del preside, riempiendolo di piante di elleboro puzzolente. Perché nessuno fa qualcosa per questo povero ragazzo!?
«Dai, Maddy.» mi tocca la spalla, quasi volesse consolarmi. E so che non dovrei essere io quella a piangere, ma non riesco a trattenere le lacrime.
Sono così arrabbiata!
«Passerà. Mica divento cieco.» ridacchia.
«Ma-» vengo interrotta dalla campanella appesa alla porta. Qualcuno è appena entrato. Mi volto e faccio per dire al cliente che oggi siamo chiusi, però mi paralizzo all'istante non appena vedo Jasper. Ha le mani in tasca, una sciarpa rossa legata intorno al collo e dietro di lui, timidamente, sbuca la testa di un ragazzino. Ha più o meno l'età di Oliver, ma pare un angioletto: una cascata di riccioli biondi gli scende fino alle guance e i suoi occhioni sono così azzurri che sembra indossare delle lenti a contatto.
Jasper inclina il capo, osservandoci come se stesse cercando di leggerci nel pensiero.
Capisco la sua confusione. In effetti la nostra non dev'essere una situazione che si vede ogni giorno: quando uno entra in un negozio di fiori non si aspetta certo di trovare un dipendente ferito, seduto nella saletta all'ingresso, con la proprietaria inginocchiata di fronte a lui, con un impacco di ghiaccio in mano e un diavolo per capello. E io ho pure il trucco sbavato, perché piango da un quarto d'ora. Tiro su con il naso, rimettendomi lentamente in piedi.
Sono felice di vedere Jasper, ma scommetto che ora che non siamo più soli, Oliver non mi dirà proprio un bel niente. Mi dispiace, ma devo mandarlo via. Non sono il tipo di persona che trascura il benessere dei propri dipendenti e Oliver pare sull'orlo di una crisi di nervi. Non ha mai sorriso così tanto come oggi, il che è preoccupante. Quella dipinta sul suo viso non è affatto gioia, sta cercando di rassicurarmi. Non sorride perché lo vuole, ma perché lo vede come un obbligo. E fa male.
«Siamo chiu-»
«Aperti!» esclama Oliver all'improvviso, interrompendomi. Afferra il ghiaccio con entrambe le mani, rubandomelo, e fa un cenno del capo in direzione di Jasper. Non smette di sorridere.
«Oliver...» lo chiamo, tentando di farlo ragionare, ma lui è più testardo di un mulo e non ricambia il mio sguardo.
Intanto Jasper ha girato il cartello appeso alla porta, mettendolo sul chiuso. Pare comprendere perfettamente la situazione, eppure non accenna ad andarsene. Si siede invece al fianco di Oliver e, con una dolcezza disarmante, gli domanda semplicemente: «Ti fa ancora male?»
Oliver scuote la testa.
«Maddy mi ha congelato mezza faccia.» ridacchia.
«Sì, ho visto. Sei fortunato, ai miei tempi mia madre mi faceva usare le bistecche.»
«Per i lividi?» ribatte Oliver, stranito.
«Prese direttamente dal freezer.» conferma Jasper. L'aria sembra essere già meno tesa. Quest'uomo deve avere qualche sorta di potere magico: gli è bastato un attimo, Oliver si è già rilassato e finalmente si lascia andare a una smorfia, mostra un po' di dolore e non si trattiene.
«Non ho iniziato io, ma dovevo difendermi.» precisa, tirandosi via il ghiaccio dal volto. Il livido che gli è rimasto è di un viola acceso, alcune parti tendono al nero, però è già meno gonfio di quando è arrivato. Finalmente riesce ad aprire un po' di più le palpebre.
«Comunque ho vinto.»
«Non avevo alcun dubbio.» annuisce Jasper.
Il ragazzino che l'ha accompagnato, intanto, viene verso di me. Lo fa lentamente, quasi temesse di spaventarmi. Mi porge un fazzoletto di stoffa. Lo prendo, timidamente. È azzurrino, pulito, piegato perfettamente e sopra c'è ricamato a mano un nome: Lewis.
Il ragazzino mi sorride. Muove le mani velocemente, cercando di dirmi qualcosa, poi si ferma, arrossisce, si indica la gola con un dito. Infine piega le braccia, le incrocia e forma una x.
«Lewis non parla.» traduce Jasper, che ha riportato la sua attenzione su di noi.
«Spesso si dimentica che non tutti sanno il linguaggio dei segni.»
Lewis si gira nella sua direzione. Fa il broncio, però gli si piazza davanti. Muove ancora le mani. Non capisco cosa gli stia comunicando, ma quando si gira verso di me ha un'espressione così calorosa che quasi mi sciolgo. È davvero un angioletto!
«Dice che sei molto carina e di usare il suo fazzoletto.»
Lewis aggrotta le sopracciglia, si rigira nella sua direzione. Ripete una serie di gesti e poi puntella le mani sui fianchi, guardandolo male.
«Ha aggiunto che non dovevo dirti che ti trova carina.»
Jasper ridacchia. Lewis arrossisce di nuovo. Sbuffa e poi corre verso un vaso di mughetto. Quelli sono fiori primaverili, fioriscono da maggio a giugno, quindi di solito passano inosservati in questo periodo, eppure quel ragazzino ha scelto quella pianta con decisione e me la sta indicando con l'indice.
«Vuoi comprarla?» chiedo. Lui annuisce, tirando fuori il portafoglio. Lo fa con orgoglio e il suo sorriso è così solare che è impossibile non guardarlo. Perfino Oliver continua a fissarlo, pare quasi si sia incantato.
Gli lancio un'occhiata. Sono ancora preoccupata per lui, ma non posso ignorare Lewis.
«Torno subito.» gli prometto, però Oliver si riscuote all'improvviso, si alza di scatto e mi dice: «Ci penso io.»
«Ma non serve-»
«Maddison.»
Sospiro. Quando dice il mio nome in quel modo significa che è importante. Ha già avuto una giornataccia, è meglio che lasci correre.
Mi faccio da parte, permettendogli di prendere posto alla cassa. Oliver mima un grazie con le labbra, poi mi sorpassa, lesto come una lepre.
Lewis è basso, ma abbastanza forte da prendere la pianta e portarla da solo fino al bancone, dove Oliver lo sta già aspettando.
«Scusa se mi sono intromesso.» mi dice Jasper, venendomi vicino.
«Ci sono passato anch'io da giovane, so quello che prova. Prima o poi si aprirà, vedrai.»
«Lo spero tanto...»
Ora che la situazione si è calmata, la sua presenza si è fatta più forte. Ha un buon profumo. Non riesco a identificarlo, ma è mascolino, mi lascia senza fiato. Mi sa tanto che mi sono presa una cotta con la C maiuscola. Prego solo che non abbia visto troppo, durante quella videochiamata. Impazzirei al solo pensiero. Non oso nemmeno chiederglielo.
«Spero di non essere stato troppo invasivo.» continua lui, con quel tono conciliante.
«Tranquillo, sei stato grandioso. Oliver non voleva dirmi proprio nulla, nemmeno che è stata una rissa.» ammetto, sentendomi un'incapace. Jasper è praticamente uno sconosciuto, eppure è riuscito a farlo calmare in tempo zero. Mi soffio il naso, sono un disastro.
«Forse non ha fiducia in me.»
«Credo che ti voglia bene invece.» ribatte Jasper.
«Non voleva farti preoccupare.»
«Io mi preoccupo sempre per lui.» sospiro.
«È davvero un bravo ragazzo, meriterebbe molto di più.»
«Non conosco la situazione, ma penso di capirti, Maddy.» sussurra Jasper. Ha abbassato la voce quasi temesse di farsi sentire da qualcuno.
«Lewis è mio nipote, ma Luke... Mio fratello maggiore è morto un anno fa. Incidente stradale.» mi spiega.
«Sono tutto ciò che gli è rimasto. Darei la vita per lui.»
«Oh...» mormoro.
«Condoglianze...»
«Grazie.» Jasper sospira.
«In realtà non so nemmeno perché te lo sto raccontando.» confessa.
«Sono strano?»
«Non direi. Sono io quella che assomiglia a un panda.» ridacchio, indicando il trucco sciolto.
«Beh, mi piacciono i panda.» ribatte, facendomi arrossire.
«Pare che vadano d'accordo.» cambio argomento, riportando lo sguardo sui due ragazzi.
È incredibile che Oliver stia davvero trattando un cliente con così tanto riguardo. Sorride, stavolta lo fa genuinamente, e mostra a Lewis i nastri che abbiamo in esposizione, domandandogli se ne voglia uno da allacciare intorno al vaso. E Lewis annuisce, indicandone uno bianco.
«Menomale, era quello che speravo.» mi confida Jasper.
«Lewis non riesce a fare amicizia facilmente, studia a casa ed è in un'età difficile. Anche se è forte, penso si senta solo.» Jasper incrocia le braccia al petto, guarda il nipote con amore. Sarebbe un ottimo padre.
«Volevo fargli incontrare Oliver. Quando l'ho visto ho pensato subito che potessero diventare amici.» si gratta la nuca, nervoso. Forse è in imbarazzo.
«Spero lo diventino.» sorrido.
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