Capitolo 6 incontri imprevisti

“Ora che finalmente stai raggiungendo dei risultati, non ti fermare.
Anche il test di matematica di martedì sarà importante, quindi vedi di impegnarti."
Il motivo per il quale il padre si stia così interessando ai suoi studi, tanto da controllare il registro dei test, per Oliver rimane un mistero.
Seduti nel suo ufficio, ascolta il monologo del padre, senza però dargli peso.
Sa benissimo che quel test è importante, anche perché se andasse male, il Coach, non gli farebbe iniziare la stagione.
Al contrario di quello che pensa il padre, Oliver si sta già preparando per quel maledetto test.
Quella mattina, appena hanno scoperto che ci sarebbe stato, con uno sguardo si è subito messo d'accordo con la Lopez, che gli ha poi lasciato un bigliettino nell'armadietto, con scritto che si sarebbero trovati domani alle 16:00.
È inevitabile che la testa vada a lei, soprattutto a ieri sera.
Mentre stava entrando nel locale per recuperare le chiavi della macchina, le aveva detto di aspettarlo e che l'avrebbe riaccompagnata lui.
Ma quando era tornato fuori, lei non c'era più.
A detta di Al, che era fermo sulla porta a ridacchiare, Oliver ci aveva messo troppo e lei era tornata a casa da sola.
In più stamattina non gli aveva rivolto la parola, a parte per quel bigliettino.
Come se nulla fosse.
Oliver non sa cosa pensare di lei, tanto meno di se stesso.
Sa solo che quella ragazza lo scompone e lo completa a suo piacimento.
Alzandosi dalla poltrona, ormai stufo del monologo inutile del padre, decide di andare dall'unico famigliare che lo ama davvero.
"Dove stai andando?
Stavamo parlando e tu..."
Ma Oliver ha già chiuso la porta dello studio alle sue spalle, fregandosene delle urla di disapprovazione del padre.
Uscì di casa, portandosi una sigaretta alla bocca, osservando la giornata ormai prossima alla fine.
Deve sbrigarsi, tra qualche ora, l'orario di visita sarà finito.
Decide di prendere l'Alfa Romeo, ritenendola meno appariscente delle altre.
Senza però rinunciare ad avere abbastanza cavalli sotto il culo.
Ingrana la marcia, con la sigaretta ancora alla bocca.
Correndo verso l'unica persona che vuole vedere, nella speranza che lei possa dirgli che cazzo succede nel suo cervello.
Da ieri sera, l'immagine dei polsi di Emma macchiati di rosso, non gli danno tregua.
Ha odiato quel colore rosso sulla sua pelle e non sa spiegarsi il perché.
Nella macchina la musica rimbomba, ingoiandolo nelle parole di un estraneo che però lo indentificano perfettamente.
Ed è vero che a volte le canzoni sembrano fatte a posta, perché Oliver è così che si sente, sempre alla ricerca di un brivido in più.
Il mondo lo crede il ragazzo perfetto solo troppo viziato e superficiale.
Solo chi gli è vicino, ha conosciuto i suoi demoni.
La sua ribellione al dolore a soli 15 anni, che l'ha portato a scappare di casa.
A vivere di brividi per due anni.
Ha provato qualsiasi cosa potesse dargli piacere, potesse attutire la rabbia.
Una lotta contro la figura fredda e autorevole del padre.
Contro un’immagine perfetta che gli stava stretta.
Contro l'abbandono di una madre che credeva l'amasse.
La sete di pace, l’ha portato a fare così tante cazzate da rischiare di perdersi.
Per un anno si è persino allontanato dai suoi due amici, anche se quest'ultimi non si sono mai arresi.
Al contrario del padre, che aveva insabbiato la sua scomparsa, con la scusa di un viaggio di studi all'estero.
Onde evitare di macchiare il suo buon nome.
Abbandonato alla sua stessa rabbia, Oliver si è ritrovato mischiato con la peggiore feccia sulla terra.
Droga, alcol, sesso occasionale, gare illegali e persino combattimenti clandestini.
Insomma era diventato succube di quel bisogno di trovare sempre un brivido in più.
Parcheggia tranquillamente nel posto a lui riservato, guardando poi l'immensa villa davanti a sé.
Una casa di riposo a cinque stelle, più lussuosa di un qualunque hotel altolocato, con tanto di servitù interna ed esterna alla struttura.
Entra senza che nessuno lo fermi, ormai è come di casa in quel luogo.
Non si guarda intorno, conoscendo a memoria quel luogo.
Quelle sale dove gli anziani giocano a carte o quel piccolo bar dove vecchi imprenditori non hanno perso il vizio degli affari.
Si ferma solo arrivato davanti alla stanza 56, che appartiene a Camilla Johnson, nonna paterna di Oliver.
La donna e seduta comoda vicino alla finestra, mentre fuma una sigaretta.
Bellissima nei suoi 65 anni, si trova lì per ordine di suo figlio, ossia il padre di Oliver.
A parere di Ivan Johnson, la madre doveva vivere lì per non farle mancare nulla, ma ancora una volta, era solo una scusa per nascondere il suo animo ribelle.
Infatti Camilla è sempre stata una donna poco incline alle regole sociali, e non l'aveva mai nascosto.
Era una donna umile innamorata di un miliardario, che aveva accettato e amato quell'animo ribelle.
Al contrario del figlio che se n'era sempre vergognato.
Ancora oggi la donna si chiede da chi il figlio abbia preso tanta superbia.
Ma per fortuna si era rifatta con il nipote Oliver, che era lo specchio del suo carattere.
Il giovane, infatti, aveva ereditato quell'anima ribelle, e ciò aveva creato un legame indissolubile tra loro.
"Non si fuma qui, sei già arrivata alla perdita di memoria con la vecchiaia?"
La prende in giro Oliver, entrando nella stanza.
Ricevendo una smorfia annoiata della donna.
'"Non rompere le palle ragazzino.
Con quello che pago per stare qui, posso permettermi anche di dargli fuoco."
Gli risponde la donna, spegnendo la sigaretta in un posacenere di ceramica pregiata.
Insomma, si capisce a pieno il carattere forte della donna, che ha versato lacrime due volte, solo due nella sua vita.
Alla morte del suo amato Oliver Johnson, nonno di Oliver e quando il nipote si è presentato da lei conciato malissimo e bisognoso di un aiuto e di soldi.
La donna, a quella immagine sofferente e impaurita, aveva pianto pregando il nipote di tornare a casa e riprendere in mano il suo futuro.
Quelle lacrime, sono state il segnale di allarme nel cervello di Oliver, che gli avevano fatto capire quanto fosse caduto in basso.
La nonna lo aveva aiutato a riprendersi.
Aveva pagato ogni suo debito con spacciatori e strozzini. Aveva minacciato il figlio, di prenderselo in casa, di aiutarlo e di intestargli un conto da lei riempito, ma da poter usare solo alla sua maggiore età.
Oliver inizialmente non era d'accordo a rientrare nel mondo del padre, ma pur di non rivedere quello sguardo triste nella nonna, aveva accettato ogni cosa.
Da un anno ormai si era ripreso completamente.
"Spero tu abbia portato qualcosa di buono!
O sei qui solo per farmi la predica?"
Oliver sorride alla nonna, mostrandole la piccola bustina d'erba presente nella sua tasca.
L'unico vizio che la donna gli ha concesso, a parte il fumo, con la promessa di portargliene un po' anche a lei ogni tanto, con la scusa di curare i suoi dolorini di vecchiaia.
"Solito posto?"
Gli chiede, rimettendo a posto la busta.
Se le infermiere dovessero scoprirlo, il padre farebbe un bordello.
La donna annuisce, facendogli strada verso la terrazza.
Ormai ritenuto il loro posto privato e preferito.
In teoria sarebbe chiuso a tutti.
Ma qualche mese fa Oliver è riuscito a rubarne la chiave e a farne una copia, per non dare sospetti.
A passo sicuro in modo da non attirare l'attenzione si muovono nel corridoio e una volta sicuri di essere soli, accedono alle rampe di scale, che portano alla terrazza.
Sono due piani, prima di aprire la porta e il gioco è fatto.
Una splendida terrazza con nulla, se non uno splendido panorama sul mare.
Un posto che vale tutto il patrimonio speso in quella casa di riposo.
La terrazza è posizionata in modo da essere nascosta a chi è nel giardino e l'unico ingresso è quello da cui sono entrati loro.
Raramente qualcuno sale lì sopra, e comunque Camilla ha già "convinto" qualche suo amico a fare da guardia, in cambio di qualche regalo costoso.
Oliver tira fuori da una fessura segreta, due sedie pieghevoli, quelle classiche che si vedono sulla spiaggia, molto lontani dalle poltrone di cotone egiziano presenti in tutta la struttura.
"Era ora, è da una settimana che mi rompo le palle.
Ti ricordi quella sciroccata di Zaffira?
Che nome del cazzo...
Comunque, mi si è attaccata come una cozza, dicendo che siamo amiche inseparabili.
Come se io potessi davvero essere amica di quella scopa senza carattere."
Gli racconta la nonna, mentre si mettono sulle loro sedie tutt'altro che comode.
"Ah sì, mi fa male il culo a stare seduti su questa cosa.
Ed è fantastico."
Ed ecco nuove risate, prima che Camilla inizi a raccontare queste due settimane passate senza il nipote.
Va sempre così.
Lei gli racconta di vecchie snob che sono più puttane di una prostituta di lusso.
E lui l'ascolta mentre rulla con cura la loro canna.
"E tu invece?
Qualche nuova cazzata da raccontare?"
Gli chiede in fine, rubandogli la canna dalle mani.
Per poi accenderla con uno Zippo fatto d'oro, la cui storia è assurda.
In poche parole il nonno di Oliver le voleva a tutti costi regalare un diamante per il fidanzamento, ma Camilla si era rifiutata di accettare qualsiasi gioiello, ritenendoli ingombranti e inutili.
Alla fine erano arrivati a un compromesso, lei aveva chiesto al suo amato un accendino Zippo, dicendo che almeno quello lo avrebbe usato e tenuto con cura fino alla morte.
E così il suo amato aveva esaudito questa sua richiesta.
Aveva fatto creare per lei un accendino zippo d'oro, con inciso sopra una scritta: Tu sei il mio vizio.
A dieci anni dalla morte del suo amato, causata da un incidente in mare durante un viaggio di lavoro, lei manteneva ancora la sua promessa.
Non perdendo mai quel gesto così prezioso per lei, più di un diamante inestimabile.
"Solite cose.
Ho rischiato di essere cacciato dalla squadra per i miei voti. E..."
La donna subito lo fulmina con lo sguardo, sapendo quanto il football conti per il nipote e come esso sia la chiave per il suo futuro.
"Non guardarmi così, sto già risolvendo.
Mi hanno affiancato un tutor e sto migliorando."
La donna fa un ultimo tiro, prima di passarla al nipote.
"Immagino!
Un secchione con tanto di occhiali e apparecchio ai denti che hai terrorizzato."
Oliver sorride alla consapevolezza che la nonna lo conosca così bene.
Perché in fondo era davvero questo il suo piano.
Almeno finché non è entrata nella stanza Emma Lopez.
"O no.
È una ragazza con un culo da favola e un carattere di merda.
Forse peggio del mio."
La donna, che prima era ad occhi chiusi con il volto verso il cielo, si volta di scatto verso il nipote.
Mostrando un sorrisetto perfido e soddisfatto.
"Che Dio sia benedetto.
Ho vissuto abbastanza da vedere una ragazza farti il culo."
Quasi gli va di traverso il fumo, ma cerca di mostrarsi sicuro.
E di nascondere quanto quelle parole siano vere.
Ma inutilmente.
"Che bellissima notizia.
Finalmente una ragazza con carattere, e che non ragioni solo con la..."
"CAMILLA!"
La blocca subito il nipote.
Ok che entrambi ormai non hanno peli sulla lingua, ma sentire la nonna parlare di...
Beh, non è d'aiuto alla sua sanità mentale.
"O andiamo.
Cosa credi che facessimo io e tuo nonno?
Che ci guardassimo negli occhi tutto il tempo?"
Gli risponde, per poi tirare fuori dalla tasca il suo iPhone 11, poiché ha ricevuto una notifica.
Camilla non è sicuramente la classica vecchina.
Sa usare perfettamente quell’aggeggio, è al passo con i tempi e odia essere chiamata nonna.
Quando il nipote in tenera età lo faceva, Camilla lo sgridava dicendogli che lei non voleva sembrare vecchia.
E non voleva essere paragonata a quelle nonnine vecchie e rincoglionite.
"Non voglio sapere della vostra vita sessuale.
Altrimenti potrei avere grossi problemi con la mia."
Le risponde Oliver, facendo l'ultimo tiro, per poi schiacciare il mozzicone sotto la suola.
Quando la donna sta per rispondere, la porta alle loro spalle si apre.
Mettendo subito in allerta Oliver, al contrario di Camilla che torna a prendere il sole tranquilla.
Dalla porta entra una donna, che avrà circa quarant’anni e che, da come è vestita, è sicuramente un’infermiera.
"Camilla io ho quasi finito il turno, hai bisogno di qualcosa prima che vada via?"
L'infermiera, sotto lo sguardo attento di Oliver, si avvicina alla nonna.
Piegandosi al suo fianco.
"Sta tranquillo Oliver.
Caterina è la mia nuova infermiera, ed è dalla nostra parte."
Gli fa l'occhiolino, facendo subito rilassare il nipote.
Che rimane comunque sorpreso.
La nonna, come lui, non è incline a fidarsi.
Ma se Caterina è qui, vuol dire che anche lui si può fidare.
Mentre le due donne parlano dei loro impegni per il giorno dopo, Oliver non riesce a distogliere lo sguardo dall'infermeria.
Ha qualcosa di così maledettamente famigliare.
Capelli neri, occhi castano chiaro, lineamenti molto femminili e un corpo formoso.
Gli ricorda qualcuno.
"Bene, allora a domani Camilla."
Oliver, abituato alle buone maniere, si alza per salutare l'amica fidata della donna.
"È stato un piacere signora..."
Le porge la mano lui, aspettando che lei si presenti.
"O perdonami.
Sono Caterina Lopez.
E sono quasi sicura che tu sia Oliver.
È davvero un piacere."
Stringe la mano di lui, sorridendogli cordiale.
Mettendo in evidenza una somiglianza, ancora più forte, con la Lopez che conosce lui.
Quando la donna se ne va, lui si risiede di fianco alla nonna, restando però confuso e frastornato.
Che sia davvero una coincidenza?
Si chiede pensando alle due Lopez.
"Una donna straordinaria Caterina.
Ha una figlia che, da come ne parla è una forza della natura.
Se non sbaglio viene nella tua scuola, forse la conosci."
Ormai nella mente di Oliver è tutto chiaro.
Quella donna, Caterina Lopez, è la madre di Emma.
"Oh sì che la conosco.
È la mia tutor."
La donna lo guarda sorpresa, per poi scoppiare a ridere e indicarlo divertita.
"Cazzo, sei nella merda.
Se quella ragazza è testarda la metà, di come dice la madre, sei proprio nella merda."
E lo è davvero.
In un modo che la nonna non può nemmeno immaginare.
Ma, quel piccolo incontro imprevisto, può giocare a suo favore.
E decide di approfittarne.
"Cosa sai di lei.
O meglio di entrambe."
Torna seria, capendo che forse quella ragazza è qualcosa di più di un tutor per il nipote.
Anche se lui non è pronto a dirglielo.
"Poco in realtà, è una donna molto riservata.
So che suo marito è fuori per lavoro.
Che ha un figlio di sette anni.
E che la figlia Emma va nella tua scuola grazie a una borsa di studio."
Erano informazioni futili, tranne l'ultima.
La borsa di studio.
Questo dava un senso a quella discussione nello studio del preside.
Al perché le servissero tutti quei crediti e perché abbia una media da lode.
Credeva che lei fosse una ragazza figlia di papà come lui, e invece Emma si dimostrava sempre più diversa dalla massa.
Per quanto lui cercasse difetti in lei.
Lei si mostrava sempre più dannatamente perfetta.
"Una figlia esemplare insomma."
Sbuffa lui, sentendo uno strano senso di sbagliato dentro di sé.
Perché in fondo lei è tutto ciò che lui non è.
Ma che dovrebbe essere.
"Credo che abbia solo una vita diversa dalla tua.
Siete cresciuti su strade diverse.
Ma ciò non fa di te un uomo inferiore a lei.
Questo non pensarlo mai, nemmeno per scherzo."
La donna gli parla, accarezzandogli una guancia con dolcezza.
Mettendo in mostra uno dei suoi pochi momenti di fragilità.
"Riesci sempre a leggermi dentro."
Le sorride lui baciandole la mano con devozione.
Con un amore che mostra e riserva solo a lei.
Cosa che non farebbe nemmeno a sua madre.
"Sei un libro aperto.
Dovresti fare un corso di teatro.
A mentire fai schifo."
Ed ecco che l'atmosfera torna giocosa e leggera.
E ad entrambi va bene così.
Nei loro cuori confusi e preoccupati, sentono il bisogno di serenità.
Che solo tra loro riescono a trovare.

Dopo essere andato via dalla casa di riposo, non prima di aver promesso a Camilla di tenerla aggiornata sui cambiamenti della sua vita, decide di schiarirsi le idee con una passeggiata in centro.
Le strade sono deserte, per la notte appena calata.
È quell'orario perfetto per girare soli nei propri pensieri.
Si perde nel panorama dei negozi che vengono chiusi.
E dei lampioni che pian piano si accendono.
È troppo preso dai suoi pensieri, per rendersi conto che quel giorno ha in serbo un altro incontro per lui.
Questa volta, però, non sarà piacevole.
All'improvviso più mani lo afferrano, tirandolo verso un vicolo buio e cieco.
Cerca di liberarsi, strattonando la presa da sé, inutilmente dato che gli assalitori sono in tre e lui è da solo.
Prova a dire qualcosa, ad urlare, ma un pugno nello stomaco gli blocca il fiato e la voce.
"Non posso crederci, Oliver Johnson, qui davanti a me.
Dopo un anno che non lo vedo, che fantastico giorno."
Riconosce subito quella voce, e la figura che esce dalla penombra, posizionandosi davanti a lui.
"Logan, non sapevo fossi in città.
Ti avrei inviato per una birra."
Sorride amaro Oliver, guardando il suo peggior incubo negli occhi.
Almeno finché un altro pugno nello stomaco, non gli fa abbassare la testa.
"Non fare lo spiritoso con me, Oliver.
Te ne sei andato, lasciandomi nella merda con la bisca di Los Angeles."
Oliver lo sapeva bene, era il suo campione nelle lotte clandestine, cioè le bische, che aveva abbandonato grazie all'aiuto della nonna.
Scomparendo dalla vita di Logan Hughes.
"Se non sbaglio sei stato ripagato profumatamente per la perdita."
Gli aveva dato, non ricorda quanti soldi prima di scomparire.
Proprio per evitare questi spiacevoli incontri.
"I soldi non ripagano la perdita del campione, e il tempo passato a dover riorganizzare una intera bisca."
Col cazzo, è solo una questione di orgoglio.
Perché con i soldi che ha ricevuto, poteva crearne tre di bische.
Ma preferisce tacere, non volendo fare arrabbiare ancora di più i tre gorilla alle sue spalle.
"Ma sai cosa, oggi mi sento clemente.
Mia sorella ha appena partorito un bellissimo maschio, quindi faremo un patto."
Si inginocchia davanti a lui, tirando fuori dalla manica un coltellino, che punta alla sua gola con divertimento.
"Sabato prossimo iniziamo una bisca qui e tu parteciperai.
Se vincerai tutti e venti gli incontri, ti lascerò tornare alla tua vita perfetta del cazzo."
Avvicina il coltello alla gola, quasi a sfiorargli la pelle sottile sotto il pomo d'Adamo.
"Ma se ne perderai anche solo una.
Tu diventerai mio.
E se mi farai uno altro scherzetto come quello, i tuoi amichetti ne pagheranno le conseguenze."
Gli arriva un ultimo pugno dello stomaco che, grazie alla lasciata presa dei gorilla, lo fa cadere a terra.
La mano stretta allo stomaco dolorante, mentre osserva i quattro andare via.
Mentre vede il suo peggior incubo ricadere nel suo presente.
Sa che non può tirarsi indietro.
Sa che dovrà tornare a lottare, questa volta per i suoi amici.
Ma sa anche che vincere venti lotte su venti è quasi impossibile.
Si rialza a fatica, senza spostare il braccio intorno alla pancia, che sembra dargli un po' di sollievo.
"Vedrò di renderlo possibile."
Promette a sé stesso.
Anche perché se non lo farà, la sua vita e il suo futuro, cadranno nel cesso delle scelte sbagliate del suo passato.

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