Capitolo 45 poter solo
Il giorno tanto atteso è arrivato.
La vigilia del compleanno di Emma.
Il piano è ben definito e curato nei dettagli.
Ognuno ha il suo compito, anche Oliver.
Portare via Emma, in modo che loro possano organizzare al meglio la serata a casa di lei.
Poiché il pub stasera ha pienone, ed è già tanto che Sofia non debba lavorare.
La scelta di festeggiare alla mezzanotte del giorno prima, è per sorprendere ancora di più Emma.
E poi, essendo che cade di Pasqua, non avrebbe lo stesso gusto festeggiarlo domani.
Comunque Oliver nel primo pomeriggio è già davanti a casa sua.
Pronta a portarla al Lunapark, in modo da tenerla impegnata.
Da quel pomeriggio, da quando si è dichiarato, nulla è cambiato.
Nulla doveva cambiare.
Non hanno bisogno di etichette o anelli al dito per sapere che si amano.
E che si appartengono.
Negli ultimi giorni le ha rubato spesso qualche bacio, rinfacciandole più volte la sua scenata di gelosia.
Facendo ogni qualvolta soccombere Emma nell'imbarazzo.
Alla porta di casa si presenta Caterina, che non sembra essere così felice.
"Ei Oliver.
Entra caro."
Oliver perde buona parte del sorriso, capendo che qualcosa nei piani è andato storto.
"Come sta?"
Oliver sa la risposta, ma chiede ugualmente.
Forse per renderlo più reale o perché ama farsi male.
E Caterina sospira, preparando un succu d'arancia per la figlia.
Una delle poche cose che può fare.
"Oggi non va.
E stesa sul letto con dolori e stanchezza.
E ha freddo e ha caldo, e..."
Caterina ingoia l'amaro in bocca, ricordandosi la promessa di essere più forte.
Ma non è facile, anzi è impossibile.
"Fa fatica persino a parlare.
E..."
Trattiene ancora le lacrime Caterina, sentendosi impotente.
Un moscerino in confronto ai dolori della figlia.
"Dobbiamo rimandare tutto.
C'è da avvisare i ragazzi, la pasticceria, la..."
Va in panico la donna, aggrappandosi a qualsiasi cosa la strappi via da lì.
E Oliver le corre incontro, le porge una mano, una scialuppa di salvataggio.
"Vai a fare tutto.
Rimango io con lei."
Caterina si nega, non può andare via.
No non può lasciarla sola.
Non vuole.
Ed Oliver la blocca, provando ancora sorpresa per quanto le sue donne siano simili.
"Vai.
Ci penso io."
Litigano ancora mezz'ora prima che Oliver la convinca.
E gli lascia mille numeri e mille raccomandazioni, prima di uscire.
Lasciando da solo Oliver nel soggiorno.
Nei pezzi della casa di lei, nei pezzi della sua vita.
Afferra il succo nella bottiglietta, salendo al piano superiore nella speranza di trovare la camera.
Non è mai stato dentro casa di lei, se non nella sua camera entrando dalla finestra.
Comunque l'impresa non è ardua.
Su ogni porta c'è il nome del proprietario.
E su quella di Emma il suo nome è formato da un rogo di rose.
Molto azzeccato.
Apre lentamente la porta, lasciandosi ingoiare dall'oscurità.
Dal rumore dei suoi sospiri affaticati.
Le tapparelle chiuse nascondono il sole del pomeriggio.
E l'unica cosa che fa ombra sugli oggetti è una lampada vicino al letto di lei.
Si avvicina cauto, non volendo creare disturbo.
Fino a sedersi sul letto vicino a lei, stringendo i pugni nel vederla sudare a freddo e sentendola irrequieta in un sogno che fa male.
Sul comodino una bacinella piena d'acqua fresca e una pezza rossa.
Oliver sbuffa via i mille stupidi pensieri, ripassando a memoria le indicazioni che gli ha dato Caterina.
Si concentra sui gesti meccanici, per non vedere alla tentazione di maledire il mondo.
Posa a terra la bottiglietta, afferando la pezza bagnata, strizzandola parzialmente.
Gliela passa sul viso, sul collo e sulla porzione di petto che esce dalla canottiera.
Facendo attenzione al push scoperto da qualsiasi tessuto.
Ribagna ancora la pezza, sperando di darle sollievo.
Di rifrescare la sua pelle bandita di sudore.
All'improvviso la mano che teneva posata sul materasso, viene afferrata con forza.
Strappandogli il respiro.
"Oliver."
Geme di dolore lei, stringendo con quanta forza ha la mano di lui.
Che ricambia con la stessa intensità, continuando ad accarezzarle il viso con la pezza umida.
"Va tutto bene Em.
Sono qui."
Il silenzio a soffocare le paure.
Le mani di lui, che tremano accarezzandole il viso.
I respiri spezzati di lei, che le graffiano la gola.
Il sentirsi impotente.
Il sentirsi persi in un incubo.
E le loro mani ancora strette.
E lui le misura la febbre con il termometro per l'orecchio.
Sospirando quando la vede a 35.7, nella certezza che almeno non ne ha.
Perché sa quanto anche una semplice febbre può essere rischiosa.
Quanto uno starnuto di lei lo spingerebbe a portarla di corsa in ospedale.
Abbandona la sua mano, solo per andare in bagno a cambiare l'acqua ormai tiepida.
Stringendo tra le dita la pezza, bagnandola con le proprie lacrime.
Si guarda allo specchio, si vede distrutto.
E vede nel riflesso lei più a pezzi di lui.
"Riprenditi.
Lei ha bisogno di te."
Si autoconvince, ci prova, tornando ai movimenti meccanici.
Lavare la pezza, riempire la bacinella, tornare da lei.
Bagnarle ancora la pelle pallida e umida di sudore.
Stringerle ancora una mano, come se così potesse portarla via dai dolori.
E osserva la sua pelle pallida, lontana da quel colore rosato che aveva mesi prima.
I suoi capelli più deboli, lontani da quella chioma ribelle e ondulata.
Persino il suo odore è cambiato, simile all'odore di medicinali, perdendo l'aroma di vaniglia che portava sempre addosso.
Ed è cambiata fisicamente.
Ma l'anima, la parte di cui lui si è innamorato, si sta ribellando al dolore.
Quasi la si vede lottare tra le sue labbra che tremano e gli occhi stretti e umidi di lacrime.
Le ore passano, tra le carezze e i suoi gemiti bassi ma sofferenti.
Caterina è tornata presto, ma non è riuscita a mandare via Oliver.
Rimasto immobile seduto vicino a lei.
Mette via la pezza solo quando vede che il suo sonno è più tranquillo e che a smesso di sudare a freddo.
Ma rimane vicino a lei, tenendole con forza la mano.
Inconsapevole di quanto per Emma sia importante quella mano.
Mentre nella ossa sente un terremoto e i muscoli bruciano come se avesse il fuoco sotto pelle.
Un pugno che le stringe la gola, fermandole il respiro.
Una morsa sul cuore che stringe e ferma il sangue nelle vene.
Nella testa mille spilli che pizzicano fino a portare alla follia.
Trascinando i pensieri nella completa oscurità del dolore.
Poi c'è un amano che stringe la sua, tenendola appesa per non cadere nell'oblio dei suoi incubi.
Sogni oscuri che non hanno uomo neri o streghe cattive.
Ma dolore e gelo che la toccano fino all'anima.
Ma quella mano la tiene su, come se fosse su un dirupo, e quella mano è l'unica cosa che la salva dal cadere.
Il tutto poi crolla di colpo, scompare lasciandola con troppo ossigeno da incanalare.
Il dolore del rinculo come se avesse appena sparato.
Tutto il dolore diventa nulla.
E lei rimane immersa in quel nulla, aggrappata a quella mano che è tutto.
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Il tramonto cala lento sulla città.
Su questa giornata che ha trascinato angoscia e tristezza su tutti.
Caterina apre le tapparelle e le finestre.
Sfruttando la mancanza del sole fastidioso, e sperando che l'aria fresca e pulita dia solievo alla figlia.
Emma è ancora dormiente sul letto, con Oliver che non si è mosso un solo istante.
Contando i respiri di lei, come se fossero sabbia di una clessidra che segna il suo risveglio.
La cosa positiva è che Emma è finalmente stabile da qualche ora.
La cosa negativa è che il dottor Connor ha detto che è normale quel dolore che le hanno visto prova.
Ogni paziente risponde alla chemio in modo diverso.
C'è chi lo assorbe a piccole dosi.
Chi, come Emma, ne subisce gli effetti tutti in un colpo solo.
Un mese di chemio vissuto con, più o meno, tranquillità.
Si è riversato in lei in un colpo unico.
Come un macigno che ti cade adosso con forza e sorpresa.
È normale, ha detto più volte il dottore.
Normale.
Ed Oliver ancora non riesce a darsi pace.
Poiché è impensabile che il dolore che ha visto sulla pelle di lei sia normale.
Eppure è così, e si può solo sperare e starle vicino.
E prepararsi alla prossima crisi.
Con lo sguardo nel vuoto tra mille pensieri, Oliver viene distratto da piccoli versi di lei.
Si gira di scatto, con il panico che il dolore sia tornato.
Per poi sospirare profondamente quando vede che si sta semplicemente svegliando.
Emma apre lentamente gli occhi, con fatica per come li sentisse pesanti.
Con la difficoltà di chi cerca di alzare una montagna.
La vista ancora offuscata e i sensi ovatti.
Ma la mente lucida e la consapevolezza che il ragazzo seduto vicino a lei è il suo ragazzo.
"Ciao."
Sussurra appena, mentre attende di riavere il controllo sul suo corpo..vedendo solo il riflesso del sorriso amaro di lui.
Che la guarda, ascolta quel ciao che lo riporta alle troppe volte in cui quel ciao è stato solievo e amarezza.
"Ciao."
E sono sempre più inutili le parole.
Lei sa che lui le è stato vicino tutto il tempo.
E lui sa che lei si è aggrappata a lui.
Le mille parole che potrebbero dirsi, sono nulla in confronto ai loro occhi che si cercano.
"Come stai tesoro?'
Le chiede la madre, avvicinandosi al letto.
Sollevata di vederla sveglia ma soprattutto vigile.
"Uno schifo.
Ma poteva andare peggio."
Cerca di sorridere Emma, per quanto i muscoli glielo permettono.
Ancora atrofizzati e doloranti.
Sente adosso la sofferenza subita, come se fosse un profumo.
Una fragranza pesante e amara sulla pelle.
"Vorrei lavarmi."
E l'unica cosa che vuole, togliersi la patina di sudore e dolore che sente dentro e fuori.
Le guance si colorano di rosa, guardando imbarazzata Oliver.
Nella muta richiesta di uscire dalla stanza.
Ma Oliver è troppo preso a guardarla, a cercare di memorizzare il suo sorriso.
Come se così potesse cancellare le ultime ore di paura e angoscia.
Si riprende solo quando Caterina gli posa una mano sulla spalla, indicandole la porta con un gesto del capo e un sorriso imbarazzato.
"Potresti aspettare in cucina."
Le sorride la donna, mandando in tilt la mente di Oliver, che non ha seguito una parola del discorso.
E guarda lei, che si morde il labbro a disagio.
La madre che gli indica il bagno.
E qualcosa scatta nel suo cervello.
"Oh.
Si e...
Aspetto di la."
Si muove nervoso, facendo ridacchiare le due donne.
Per poi uscire dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
Ma non va in cucina, rimane in quel corridoi, fermo davanti alla porta.
Seguendo con lo sguardo le linee del nome di lei, impresso nel legno.
Il silenzio è tale che sente ogni cosa che accade all'interno.
E che lo spingono a stringere con prepotenza i pugni.
Persino alzarsi dal letto è difficoltoso, niente nel suo corpo risponde ai comandi.
Caterina la deve prendere di peso, ma il movimento forzato dei muscoli fa stringere i denti ad Emma.
Non controlla il suo corpo ma il dolore che esso subisce controlla lei.
Caterina capisce che così non andranno lontano.
Perciò lascia la figlia seduta sul letto, in affanno per i pochi movimenti che il corpo ha subito.
La madre la raggiunge con la sedia che era vicino alla scrivania.
Comoda per le quattro rotelle che le permettono gli spostamenti.
Entrambe trattengono il respiro per un procedimento che dovrebbe essere semplice.
E invece non lo è per nulla.
"Forza tesoro.
Ce la possiamo fare."
Cosa intende di preciso Caterina, non è diretto a questo momento.
Ce la faranno oggi, domani, fino alla fine.
Emma stringe i denti, rischiando di mordersi la lingua.
Lasciandosi spostare dalla madre, potendo solo guardare le smorfie che ella fa, potendo solo fare lunghi respiri per sopportare il dolore.
Ed Oliver li sente uno ad uno quei respiri profondi.
Con la fronte posata sulla tavola di legno che lo divide da lei, sente uno ad uno ogni gemito doloroso.
E può solo stringere gli occhi, e farsi del male sentendola ancora.
Non può ne meno immaginare quello che la Lopez sta passando.
Non credeva che l'avrebbe mai vista in queste condizioni.
Non credeva possibile vedere tanto dolore negli occhi di una persona.
Caterina fa un lungo respiro di sollievo, quando finalmente raggiungono la doccia.
Un ultima spinta alla sedia, e riesce a posizionarla sul piatto doccia.
Ancora vestita.
"Ok, il peggio è andato.
Ora dobbiamo spogliarci.'
Le sorride dolce la madre, per poi aiutarla a spogliarsi.
Ed Emma si sente una bambina, e ammira la madre come faceva all'ora.
Come se fosse la propria eroina.
Osserva il viso concentrato della madre.
Il sorriso dolce in contrasto con gli occhi lucidi.
Sente quanto la madre sta tremando dietro la maschera di serenità.
Le vede le sue mani fremere ad ogni indumento che toglie.
"Andrà tutto bene."
Sussurra la donna, prendendo il soffione della doccia.
Non sapendo se vuole convincere la figlia o se stessa.
L'acqua scorre sul capo, scivolando fino ai piedi della sedia.
Emma chiude gli occhi, sentendo finalmente sollievo grazie alle mani della madre che la carezzano.
Si lascia cullare dalle sue cure, tornando bambina tra le sue mani.
Caterina le insapona il corpo, sorridendo con gli occhi lucidi vedendo la figlia sospirare di sollievo.
Ancora di più quando passa ai capelli, massaggiando la cute, osservando con attenzione sua figlia.
Osservando quanto il fisico sia più asciutto, quasi consumato.
Eppure attraverso la pelle pallida e sottile, ancora vive e ruggisce la forza che la ragazza ha da sempre dentro.
"Ok.
Ci siamo quasi."
Riprende il soffione, lavando via il sapone e molto del dolore.
Questa doccia ci voleva proprio, Emma sente rilassare i muscoli e rinvigorire le ossa.
Sente finalmente il filo tra nervi e corpo ricucirsi.
Rimane la stanchezza e il ricordo del dolore.
"Va meglio?"
Le chiede Caterina, lavando via i residui dello shampoo.
Mentre Emma si limita ad annuire, con occhi chiusi, assaporando gli ultimi attimi di coccole.
Ed è bello sentirsi bambina, figlia, tornare alle cure amorevoli che solo una mamma sa dare.
"Questa si chè è una buona cura."
Scherza Emma, nascondendo una richiesta ben precisa.
Di prendersi ancora cura di lei, lasciare che sia ancora la sua bambina.
E Caterina lo fa con il cuore, e i gesti, pieni di amore.
L'aiuta ad alzarsi, sostenendo il suo vuole di voler fare da sola.
Le fa indossare l'accappatoio, tamponando con cura la pelle umida del viso.
Con un'altro asciugamano si dedica ai capelli scuri come i suoi, massaggiando ancora la cute, gesto che Emma apprezza molto.
E sorride Caterina, baciandole la punta del naso, per poi strofinarci il suo.
Come faceva quando era piccola.
E continua à sorridere in ogni gesto che fa, cercando di nascondere le paure e le preoccupazioni.
Riversando sulla figlia solo amore e dolcezza.
Perché ora le paure sono inutili, si può solo rimanere vicini e vivere gli attimi belli che vengono donati.
Dopo più di mezz'ora di coccole, Emma è di nuovo sul letto.
Questa volta seduta e sentendosi fresca e rigenerata.
È misterioso e fuori da ogni teoria scientifica quanto le cure d'amore facciano bene.
"Vado a prepararti qualcosa da mangiare.
Intanto sicuramente c'è qualcuno che freme per entrare."
Le fa l'occhiolino Caterina, indicando qualcuno ancora immobile davanti alla porta.
Affermazione che fa allontanare di poco Oliver dalla porta, sentendosi una spia che viene beccata.
Emma si limita ad annuire, osservando la madre uscire dalla stanza.
Senza che però lei resti da sola, poiché passa un secondo prima che Oliver prenda il suo posto nella stanza.
"Va meglio?"
Chiede con retorica lui, avendo davanti agli occhi la risposta.
Perché si vede con limpidezza che lei sta molto meglio.
E questo non può che dargli sollievo.
"Molto."
Sorride finalmente lei, spostandosi un po', per poi battere sul materasso di fianco a lei, invitandolo a raggiungerla.
Un invito che Oliver non si lascia sfuggire.
Sedendosi di fianco a lei, lasciando i piedi ancora calzati fuori dal letto.
Emma abbandona la timidezza, posandosi con la testa sul petto di lui.
Lasciando che le sfiori i capelli e le baci il capo.
"Qualcosa mi dice che non hai voglia di parlare."
Sussurra lui, sospirando tra i suoi capelli neri, sollevato di sentire di nuovo l'odore di vaniglia su di lei.
E sorride quando la sente negare, senza spostarsi dal suo petto.
E va bene così.
Dopo il peso di questa giornata, va bene così.
Rimanere fermi tra i sospiri e le carezze.
Oliver le accarezza il fianco, tirandola più vicina se.
Mentre si passa tra le dita, macchiate di nero, i suoi capelli scuri e lunghi.
Ed è strano come un pomeriggio di incubo finisca in una serata serena.
Ecco cos'è la situazione di Emma, una montagna russa che salta tra alti e bassi.
Lasciando una mente stanca e confusa.
"Sai che sarà così ancora per molto?
Che oggi non è un caso unico e ultimo?"
Gli chiede Emma, senza muoversi, ascoltando la risposta nei battiti del suo cuore.
"Lo so.
Ma ciò non vuol dire che mi abituerò.
O che riuscirai a mandarmi via."
Risponde lui, continuando a drogarsi del suo profumo e dei suoi respiri profondi.
Emma non vorrebbe mai mandarlo via.
Ed è egoistico da parte sua, e sbagliato trascinarlo con sé, a forza, nel turbine di questa malattia.
Ma non può farne a meno.
"Non posso più mandarti via.
Ormai sei essenziale."
Dice lei, alzando gli occhi su di lui, sullo sguardo di lui.
Che sta rispondendo allo stesso modo.
Qualsiasi cosa accada, ormai il loro legame è essenziale
La loro presenza, il loro contatto di mani e sguardi, è essenziale.
E possono solo stringersi e rimanere vicini, lottando insieme ogni giorno.
Ad ogni respiro.
=_==_==_==_==_==_==_==_==_=
Sono ormai le dieci di sera quando i ragazzi scendono in soggiorno, per stare un po' in compagni di Caterina e Thomas.
Emma recupera le forze ogni minuto che passa, anche grazie all'affetto dei suoi cari.
Sia quelli presenti, sia quelli che le sono stati vicini con telefonate e messaggi.
I ragazzi sono abbracciati sul divano, a guardare in TV un cartone a tema coniglietto di Pasqua.
Scelto da Thomas che si è impossessato del telecomando.
Mentre Caterina finisce di lavare le stoviglie della cena.
La serenità della serata viene spezzata dal campanello della porta.
Caterina va ad aprire con il suo solito sorriso, immaginando che sia la vicina a chiedere lo zucchero come sempre.
E invece no.
Il tempo si ferma e con esso il cuore della donna.
"Mamma, che succede?'
Chiede Emma, vedendo la madre scoppiare a piangere davanti alla porta aperta.
Tremare fino a posarsi al muro per non cadere.
Emma si solleva in piedi, cercando di capire chi è la sagoma nascosta dalla porta.
E appena vede lucidamente il viso dell'ospite, fa la stessa fine della madre.
Occhi negli occhi con questa persona, e il cuore smette di battere.
E un respiro, ed Emma cade verso il pavimento, perdendo lentamente i sensi.
Di colpo, come se qualcuno le avesse appena sparato nel petto una pallottola di troppe emozioni.
Ma non è Oliver a prenderla al volo prima che cada a terra.
Ma uno sconosciuto che tutti guardano con occhi spalancati.
Mentre Thomas urla a voce.
"Papà."
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