0.2
<< We are the children of love
Lost inside this war
We wear the scars on our hearts
But we don't know what they're for >>
- Crow The Empire
NICO
Le leggere goccioline di acqua, scendevano delicate sui suoi capelli ebano, togliendo tutta la vernice incrostata, trasformatasi in un denso liquido, che scendeva sul suo corpo, disegnando la linea appena accennata dei pettorali, fino ad unirsi con l'acqua calda che riempiva la vasca da bagno. Nico automaticamente, passo un dito, sulla sottile ragnatela di cicatrici bianche che aveva sulla coscia, mentre, guardava con sguardo apatico il nuovo taglio che si era procurato al braccio e il sangue che colorava lievemente l'acqua di rosso nel punto in qui questo era sommerso. La lametta fredda era abbandonata sul bordo della vasca da bagno, ancora macchiata dal liquido cremisi.
Con la coda dell'occhio vide il suo cellulare, buttato sul porta biancheria, illuminarsi insistentemente e svariate notifiche di messaggi anonimi che gli dicevano di suicidarsi.
I ragazzi della sua scuola avevano ripreso ad insultarlo, dopo un breve periodo di stallo. Non capiva come, non capiva il perché. Sapeva soltanto che quella era la sua punizione per essersi dimenticato, la sera prima, di quanto la sua vita facesse schifo.
All'ennesima notifica, prese un grosso respiro e si immerse nell'acqua sporca, ad occhi spalancati. Fissava il soffitto apaticamente, mentre delle piccole bollicine uscivano dalle sue labbra socchiuse.
Odiava tutto quel grigio che lo circondava. Odiava quella vita fatta solo di sofferenze. Odiava sentirsi sempre come la più grande nullità del pianeta. Odiava se stesso e avrebbe preferito morire piuttosto che continuare a vivere in quel modo.
Improvvisamente, il ricordo di un caldo sorriso e di una massa informe di ricci, fece capolino nei suoi pensieri e in quel preciso istante, suo zio busso forte alla porta, del bagno, intimandogli di uscire.
Uscì dall'acqua e respirò faticosamente. Mise i palmi delle mani sugli occhi, mentre un "Ho fatto" decisamente brusco, usciva dalle sue labbra.
Chiuse il rubinetto e tolse il tappo della vasca, facendo sprofondare nelle tubature il ricordo della sera precedente.
Uscì dalla vasca, appoggiando le mani sul bordo della superficie marmorea, che si confondeva con la sua carnagione.
Troppo pallido, pensò.
Prese l'accappatoio e avvolse il suo corpo, stringendo la cintura di spugna sulla sua vita, formando un cerchio fin troppo stretto.
Troppo magro.
Alzò lo sguardo verso lo specchio, situato di fronte alla vasca. Fissò i suoi occhi scuri e privi di ogni emozione, contornati da due occhiaie violacee. Infilò le dita tra i sottili capelli color ebano sfibrati, mentre passò la lingua sulle pallide labbra screpolate.
Troppo debole.
Pulì in fretta tutto quanto, mentre suo zio continuava a battere forte i pugni sulla porta. Nascose la lametta in un cassetto dove era sicuro che Thanatos non avrebbe mai guardato, prese il cellulare ed uscì, ignorando suo zio che gli imprecava contro.
Tornò in camera, ancora con il cellulare che brillava e si vestì in fretta, con dei semplici skinny neri, strappati sulle ginocchia e un maglione scuro di tre taglie più grandi. Si infilò le scarpe e, prendendo skateboard e cuffie, si catapultò fuori casa sua senza nemmeno salutare.
Salì sul suo skateboard per andare dritto nel negozio di CD in cui lavorava.
Nel preciso istante in cui, passò davanti casa di Jason, il biondo si fiondò fuori dalla porta principale e corse nel vialetto, cercando di fermare il moro, che per tutta risposta, alzò il dito medio, senza degnarlo di uno sguardo. Se ve lo state chiedendo, sì, quello era il naturale rapporto che avevano quei due. Quando Jason combinava qualcosa, la mattina si appostava davanti la finestra della cucina e correva dietro a Nico, non appena questi usciva, per farsi perdonare.
Ma quella volta Nico non lo avrebbe graziato. L'aveva abbandonato e non voleva sapere né perché né per come. Gli avrebbe tenuto il muso fino a quando il biondino non si fosse intrufolato in camera sua con un Happy Meal in mano.
Nico sfrecciò per alcuni isolati, fino a quando non arrivò difronte al piccolo negozio vintage. Salutò con un cenno della testa Hazel e Reyna, sue colleghe, nonché compagne di disegno, che stavano amorevolmente chiacchierando su una mostra fotografica che si sarebbe tenuta nel quartiere, ed entrò, pronto ad affrontare la bestia.
Will Solace, in tutto il suo splendore gli si parò davanti con un sorriso talmente tanto smagliante, che avrebbe potuto accecare anche il più cieco dei ciechi.
Will era semplicemente perfetto. Era il figlio perfetto, di una famiglia perfetta, ragazzo perfetto di una ragazza perfetta e capo perfetto di un negozio perfetto. Amorevole con le vecchiette e socievole anche con i drogati.
Nico non poté fare a meno di trattenere un pugno che si sarebbe scagliato su quella faccia altrettanto perfetta. Sì, lo trovava perfettamente irritante.
<< Nico >> squittì il biondo << hai i capelli completamente bagnati, ti prenderai un malanno >> cercò di toccarglieli, ma il moro semplicemente lo schivò, senza guardarlo nemmeno, sussurrandogli un "non rompere, Solace".
Si diresse verso la cassa e si appuntò il traghettino con il suo nome, scritto con una bella grafia. Passò le dita in mezzo ai capelli bagnati, che aveva completamente dimenticato di asciugare, ma rimase comunque impassibile, dando l'idea che fosse tutto calcolato. Posò il cellulare, che continuava a ricevere notifiche, sul bancone e aiutò un ragazzino che si trovava nel reparto "rap".
La giornata passò lentamente in quel modo. Entrava un cliente, lui lo aiutava e Will rompeva le scatole. Tutto questo a ripetizione fino alle sei del pomeriggio.
Per tutta la giornata, inconsapevolmente, si era ritrovato a pensare sempre più spesso a Leo. Ogni volta che il campanello appeso alla porta suonava, lui si girava di scatto, sperando che una buffa chioma riccia spuntasse da dietro gli scaffali.
Le due ragazze - e quel peso morto di Will - notarono che era più silenzioso del solito. Così, ogni tre per due gli chiedevano se andava tutto bene, facendo saltare ogni singolo nervo presente sul suo corpo. Odiava quando non aveva niente e la gente si auto convinceva che lui stesse male per un qualsiasi motivo. Perché Nico sapeva di non avere niente. A parte quella fastidiosa sensazione che si formava alla bocca dello stomaco, ogni volta che quel cavolo di campanello suonava. Ma per il resto, era sicuro di stare bene, seppur nel suo malessere emotivo.
<< Nico puoi andare >> pronunciò qualcuno - sinceramente non gli interessava chi - da dietro uno scaffale, mentre lui riordinava ed accarezzava dei vecchi vinili, come se fossero più preziosi dei gioielli della corona reale.
Sistemò l'ultimo vinile e si staccò il traghettino, buttandolo da qualche parte sul bancone. Prese lo skate e salutò tutti, uscendo.
In mano aveva il cellulare e piano, con il pollice, scorreva tutte quei messaggi. Ma una cosa in particolare lo colpì: tra tutti quei "muori", "frocio", "suicidati" e "a nessuno frega un cazzo di te", vi era un messaggio. Un messaggio che, anche se non ne era consapevole, aveva aspettato come un bambino aspetta i regali la vigilia di Natale.
Da: Sconosciuto
Allora? Tuo zio ha dato le tue budella in pasto al cane?
Lx
LEO
Poggiò il cellulare sul carrello degli attrezzi, dopo aver inviato il fatidico messaggio, scritto almeno una decina di volte. Dopo la fine dell'effetto della droga, aveva rimuginato per tutta la notte, con la schiena e la faccia che facevano male ad ogni suo movimento, se inviare un messaggio al moretto, oppure no. Alla fine si era deciso e in quel momento si stava pentendo amaramente di averlo fatto, mentre aspettava impaziente che lo schermo scuro si illuminasse all'improvviso. Restò lì per pochi secondi, prima che il suo capo, vecchio amico di sua madre, gli strigliasse nelle orecchie di tornare a lavoro.
Si infilò di nuovo il guanto marrone e afferrò una chiave inglese. Tornò alla sua postazione e, dopo essersi seduto sulla pedana con le ruote, cominciò a cambiare le candele di quella vecchia moto. Adorava lavorare in quell'officina. Si sentiva più vicino a sua madre lì, che al cimitero a parlare ad una lapide vuota. Erano passati dieci anni da quando era morta. La pensava tutti i giorni e ormai il dolore si era un po' attenuato, rispetto ai primi tempi. Ma si sentiva comunque vuoto, completamente incapace di vedere i colori o di provare qualcosa che non fosse apatia.
All'inizio adorava il fatto di fare lo stesso lavoro che faceva lei, di continuare la tradizione di famiglia che, quel verme di Efesto aveva interrotto dopo il giorno dei funerali. I primi tempi si sentiva bene nell'aggiustare cose, perché gli dava una speranza. "Tutto può essere riparato" gli ripeteva sempre Esperanza e lui ci aveva sempre creduto, a quelle parole. Quella frase era l'unica cosa a tenerlo a galla, a non farlo sprofondare nell'oblio.
Ma quella, alla fine, non era altro che una meravigliosa bugia, ripetuta fino a far venire la nausea, con le lacrime agli occhi, quando suo padre lo picchiava. Leo era perfettamente consapevole che ormai fosse diventato una macchina irrimediabilmente rotta e da buttare. Sapeva che niente avrebbe mai potuto aggiustarlo e aveva smesso di sperarci. L'unica cosa che sembrava renderlo vivo, erano le droghe. L'unica cosa che gli permetteva di provare qualcosa, di vedere qualcosa, anche solo per pochi minuti. Poteva sentire sua madre urlargli contro di smetterla di farsi del male in quel modo, ogni volta che l'ago si infilava nella vena o che la pasticca scendeva dolcemente giù per la sua gola. Non gli importava. Adorava quel senso di assuefazione che solo la droga gli dava. Fosse stato per lui, avrebbe sempre vissuto in quel suo paese delle meraviglie.
Scosse la testa, non appena l'invisibile buco sul suo braccio cominciò a bruciare, chiedendo insistentemente di essere riaperto. Dopo aver cambiato l'ultima candela, si alzò stiracchiandosi. Aveva fatto un ottimo lavoro. Si sbottonò la tuta da meccanico arancione, lasciando che la parte superiore gli solleticasse le gambe. Rimase con un semplice top bianco che gli risaltava la corporatura esile, ma allo stesso tempo allenata. Si stiracchiò le braccia, tendendo i muscoli e sospirò.
<< Ottimo lavoro Valdez. Qui oggi hai finito, poi andare >>
Sospirò per la centesima volta e si infilò negli spogliatoi. Aprì il suo armadietto e velocemente si cambiò, dopo una bella doccia rigenerante. Si sentiva stranamente rilassato quel giorno, sebbene il continuo pensare al moretto lo avesse preoccupato e non poco.
Scosse la testa, eliminando quei pensieri e prese tutto ciò che era di sua proprietà infilandolo disordinatamente nel borsone nero. Prese il cellulare senza controllarlo e uscì dall'officina.
Impiegò pochi minuti, prima che arrivasse a casa sua. Erano le sei. Le luci erano accese, segno che Efesto era lì dentro. Imprecò a bassa voce, infilando la chiave nella toppa. Cercando di fare meno rumore possibile entrò in casa e chiuse la porta alle sue spalle. Fissò il soggiorno. L'uomo di mezza età, dormiva sulla scomoda poltrona, con un bicchiere di scotch in una mano e una sigaretta ancora accesa nell'altra.
Leo si avvicinò piano, sventolando una mano davanti agli occhi del padre. Dormiva profondamente. Il ragazzo sorrise e guardò il soffitto, sussurrando ad occhi chiusi un "Grazie" riferito a non si sa chi.
Prese la sigaretta dalla mano del padre e fece un lungo tiro, per poi riposizionarla dove si trovava prima. Uscì fuori dal soggiorno e cacciò il fumo dal corpo, sorridendo.
Salì in camera sua e chiuse la porta a chiave, evitando di fare rumore.
<< Sono un fottuto ninja >> sussurrò complimentandosi, mentre la tasca del suo pantalone si illuminò.
Immediatamente prese il cellulare e lo sbloccò. Sull'icona dei messaggi vi era un piccolo pallino rosso con su scritto un uno. Sperava che fosse Nico ad avergli risposto e non qualche compagnia telefonica che inviava il solito messaggio di pubblicità.
Incerto, cliccò sull'icona verde. Si aprì immediatamente la casella dei messaggi e, senza leggere il mittente, l'aprì.
Per poco non cadde dal letto urlando quando nella nuvoletta verde comparve il testo.
Da: Nico
Voglio vederti.
Nx
Angolo autrice:
EHILAAAAAA! Ma salve miei cari. Come state? Io bene considerando che sono riuscita a rispettare la scadenza. Un applauso a MEEE!
...
Okay la smetto. Non sono per niente contenta di questo capitolo, perché odio quelli di passaggio e siccome questo è uno di quelli, lo odio. (Non credo si sia capito molto, ma vabbè ahah)
Allora, iniziamo dalla parte che preferisco: Will. Si vede tanto che non mi va a genio? Non fraintendetemi, è un personaggio carino, ma boh, non mi ha per niente ispirato. Ma non potevo non metterlo nella storia, perciò...
Volevo ringraziare voi belle persone che leggete e commentate le mie storie. Siete fantastici, mi fate morire con i vostri commenti e sono contenta che questa storia abbia riscosso un discreto successo. Vi adoro ragazzi <3
Detto questo vi abbandono. Spero che il capitolo vi sia piaciuto e nel caso no, fatemelo sapere cosa devo cambiare secondo voi.
Καλησπέρα,
Ovis c:
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