capitolo 20

Una ciocca di capelli, di un insolito color platino, è attaccata alla fronte sudata da cui scendono, con lentezza costante, gocce di sudore. Con un gesto brusco l'uomo scuote il capo, staccando la ciocca di capelli dalla fronte e portandola davanti agli occhi; seppur lo infastidisce non avere la completa visuale della situazione, l'uomo non se ne cura arrendendosi, impercettibilmente, ad una vista parziale.
Una bocca sinuosa, colorata di uno spento rossetto nero, bacia con avidità la linea del collo, lasciando l'impronta del suo gesto. Gli occhi verdi, accesi di una passione aggressiva, squadrano il corpo dell'uomo; il suo viso, di una bellezza ricercata e travolgente, si contorce in una smorfia non completamente soddisfatta.
-Per essere uno dei membri più potenti di questa organizzazione, non sei un granché a letto!- dice la donna usando un tono di voce carico di perfidia e acceso di una punta di malizia che ormai caratterizza ogni sua parola.
L'uomo piega le labbra in uno sbuffo facendo uscire aria calda che colpisce il naso della donna, costringendola a grattarsi con fastidio la parte esposta ad un leggero solletico; gli occhi, solitamente incolori dell'uomo, guardano con disprezzo ed una punta di meraviglia la figura seduta sulle sue gambe.
-Non ti ho chiesto io di farlo!- ringhia l'uomo, riprendendo a guardare la donna con un odio incondizionato stampato sul volto. Nonostante l'avesse sempre considerata viziata e arrogante, aveva ceduto alle sue grazie; ciò non vuol dire che sarebbe cambiato qualcosa tra loro.
Il loro, è sempre stato un rapporto difficile; il primo giorno di lavoro insieme, Lui non l'aveva degnata di un solo sguardo. Né una veloce occhiata, né uno scambio di battute. Fin da subito, Lei era nel suo mirino; il suo carattere l'aveva sempre infastidito, portandolo il più delle volte a puntarle la canna della pistola sulla tempia. Non gli importava se era la preferita del Boss, rimaneva sempre una schifosa puttana.
-Eppure non ti sei tirato indietro quando ho aperto la cerniera del mio vestito...- controbatte lei pronunciando quelle parole sensuali emettendo un leggero soffio in direzione dell'orecchio destro.
L'uomo a quel gesto emette un grugnito, alzandosi e mettendo alle strette la donna costringendola a sostenere il suo peso con le proprie gambe. Fulmineo il suo sguardo si scontra con quello della donna, lanciandole chiari segni di impazienza.
-Sono stanco di te, Vermouth. Vattene!- urla adirato l'uomo, avventandosi sulla maniglia della porta e aprendola con forza; successivamente il dito della sua mano indica lo spazio vuoto dietro la porta, nella speranza che la donna se ne vada subito senza che lui sia costretto a prendere la sua fedele amica.
-Ma come siamo acidi oggi! Ti sei svegliato di cattivo umore, Gin? Come sono dispiaciuta!- risponde Vermouth con falsa dolcezza, curvando le labbra sinuose in un sorrisino divertito e sprezzante. Adora stuzzicarlo e, nonostante la maggior parte delle volte si trovasse ad un passo dalla morte, non smette mai. Un lato del suo carattere ama il brivido e di conseguenza il rischio, non per niente è una campionessa nel gioco d'azzardo.
-Ti pregherei di andartene se non vuoi una pallottola in fronte, chiaro?- dice Gin, mettendo in chiaro le cose; solitamente quando usa questo tono stanco ma allo stesso tempo arrabbiato, qualunque persona sa che è arrivato il momento di tagliare la corda; con la sola eccezione di Vermouth, non paragonabile all'appellativo di 'persona qualunque'.
-Come scusa? Mi stai pregando? Hai imparato le buone maniere finalmente! Quasi non ti riconosco!- esclama falsamente stupita la donna, mantenendo il suo solito cipiglio arrogante e quella sua aria di sfida.
-Ora mi hai stancato! Ho detto di andartene!- urla Gin al culmine della pazienza, con tono ancora più adirato della precedente situazione. Vedendo che Vermouth non si era mossa di un millimetro dalla sua posizione, Gin afferra la sua fedele pistola e la punta contro la donna. E' stanco del suo atteggiamento; lo costringe a procedere in maniera avventata, pur non volendolo.
-Okay, okay. Stai calmo mio caro! Non ho intenzione di rovinare il mio bel corpo per un tuo stupido capriccio.- risponde la donna, indicando se stessa e rivolgendo uno sguardo di superiorità a Gin, ormai con il dito sul grilletto.
-In ogni caso, levati quell'espressione da stronzo. Sai benissimo che posso fare di te quello che voglio, non dimenticarlo.- continua la donna, pronunciando le parole con tono gelido per poi scoppiare in risata che aveva una nota canzonatoria; vedendo la donna arrendersi, Gin toglie il dito dal grilletto e ripone la pistola nell'impermeabile precedentemente rimesso.
La donna, lentamente, comincia ad andarsene non curandosi del fatto che è vestita solo della sottile biancheria che la copre nei suoi punti più intimi; uscendo, nessuno avrebbe potuto fare a meno di notarla e, di conseguenza, lanciarle uno sguardo interessato.
"Non ha il minimo pudore..." pensa Gin, solo in camera, provando uno nota di ribrezzo nel ricordare la donna vestita di pochi indumenti fuori dalla stanza.
Lentamente Gin si avvicina alla finestra dove scorge, qualche attimo più tardi, la figura di Vermouth vestita con l'abito nero e provocante con cui si era incontrata prima; senza poterlo fermare, le labbra dell'uomo si curvano in un sorriso soddisfatto.
*
Corre.
Non ha il coraggio di guardare indietro, per paura di incrociare quegli occhi lilla. Se avesse girato il viso, se ne sarebbe sicuramente pentito. Non sarebbe riuscito a non cedere al potere che quegli occhi esercitano su di lui: l'avrebbero sicuramente distolto dalla corsa e sarebbe caduto; ma sicuramente il dolore sarebbe stato meno atroce di quello che ha provato sentendo quelle parole.
"Mi hanno scelta"
"Mi hanno scelta"
"Mi hanno scelta"
Le parole di quella piccola ma importante frase, rimbombano nella sua testa e nel suo cuore. E ad ogni parola ripetuta, nuovamente, di quella frase lui non fa che versare sull'asfalto una lacrima. Cerca di pensare ad altro ma subito quelle parole tornano furiosamente a occupare i suoi pensieri. Non aveva mai pianto in tutta la sua vita, è la prima volta. Pensandoci meglio, non si stupisce affatto che quel gesto sia rivolto a Ran. Il pensiero di perderla accresce nuovamente il suo dolore, provocandogli un bruciore alle iridi e un fastidio al cuore.
-Shinichi non andartene!- urla una voce femminile a distanza. Una voce rotta dal pianto e soffocata dai singhiozzi; una voce che tenta inutilmente di dissuaderlo da quel gesto avventato; una voce che cerca di riportarlo indietro;
Shinichi non torna indietro. Continua a correre a perdifiato, fuggendo da un terribile dolore e da una sofferenza enorme. Non era riuscito a resistere. Non poteva sapendo che Ran, l'avrebbe lasciato. Per tanto tempo. Sarebbero stati divisi da una distanza che non poteva essere colmata con le telefonate che si sarebbero fatti; sanno che una telefonata non può sostituire i secondi, i minuti, le settimane, i mesi e gli anni che li avrebbero divisi. Niente può. Che senso ha continuare? Che senso ha rimanere vicini e aggrapparsi ad un amore che non può sbocciare?
"Niente"
Ecco quello che Shinichi teme di più. Allontanarsi da ciò da cui non può allontanarsi; stanco e affaticato, il ragazzo si ferma. Lentamente si accovaccia sull'asfalto lasciandosi andare a quel pianto disperato che non può essere represso. A quel pianto dal sapore amaro, la prima conseguenza della loro lontananza.
*
L'ha seguita a sua insaputa, nonostante lei gli ha esplicitamente detto di no; la conosce talmente bene da poter giurare in una situazione incresciosa. In fondo è andata ad incontrare Iroka, un pazzo assassino. Definirlo 'pazzo' è un diminutivo per lui, qui ci vuole il superlativo;
E' entrato nello stabile dove aveva visto Shiho entrare. Appena l'avrebbe visto gli avrebbe sicuramente urlato contro; che scusa aveva per averla seguita? Il cuore. Non avrebbe potuto mai e poi mai lasciarla sola in una situazione del genere, il cuore non glielo ha permesso. Lui l'ama, e si sa che l'amore fa compiere follie.
L'odore acre del sangue gli investe le narici; è entrato nell'edificio. Annusa l'aria: oltre al sangue, si sente l'odore della muffa. Perché si erano diretti proprio lì?
Comincia a camminare per l'edificio sporgendo le mani davanti al viso. Essendo buio se avesse toccato qualcosa lo avrebbe percepito. Ad un certo punto, dopo aver girovagato per un paio di minuti, il suo cammino viene bloccato da qualcosa; Andrei si abbassa, sostenendosi sulle ginocchia, cercando di capire cosa ostruisse il passaggio.
Un mugolio infastidito rompe il silenzio. A quel suono Andrei si spaventa, compiendo un balzo e finendo seduto sul pavimento di legno. Lo ha riconosciuto. Quel mugolio appartiene alla sua Shiho.

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