PROLOGO

Salve! Mi permetto di rubarvi qualche riga dicendo che questo racconto breve di fantasia è autoconclusivo, ma che può benissimo far trasparire possibili seguiti.

Si tratta di una piccola creazione nata per il contest "compagni di viaggio" di @cheshirecatcontests

E nulla, BUONA LETTURA!

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Lica, Vora, Tagi, Faru.

Sono queste le ultime - e brevi - parole che riecheggiano negli echi celesti. E proprio con esse, comincia questa storia.

«Lica!» Urlò affannato un ragazzo.
«Sei lento, sai?» Rispose spiritosa una ragazza.

Lica, una caucasica esile e brunetta dal carattere eccentrico e vivace.
E Vora, un asiatico poco atletico ma dal fisico robusto ed un carattere gentile e un po' ingenuo.
Due adolescenti inesperti che si sfidano imprudentemente fra le montagne innevate dell'Astrale, la catena montuosa che può vantare vette a stretto contatto con il cielo.

Fra quei microscopici fiocchi d'acqua congelata che ricoprono il terreno e gli alberi maestosi delle radure innevate, vi erano anche altri passanti: fra cui ad esempio i lupi delle nevi; nascosti da qualche parte, nelle vette più alte, anche coloro chiamati Lupi Celesti.

Durante la loro frenetica corsa a tempo, dove Lica stava nettamente primeggiando, s'imbatterono in qualcosa di nuovo.
Steso a terra, fra i suoi ultimi respiri, giaceva inerme ciò che rimaneva di un fiero lupo dal manto niveo e splendente; ricoperto da un po' di nevischio e impregnato dello stesso sangue che si diramava attorno a lui, sul terreno.

Lica si fermò a guardarlo da lontano mentre Vora, che era stato distanziato, cercò di raggiungerla, finendo però per andarle addosso e farla cadere.
«Vora!» Esclamò lei, risollevando la faccia dalla gelida neve.
«S...Scusa.» Disse lui col fiatone e una faccia dispiaciuta, standogli sopra.

Si tolse da lei permettendole di rialzarsi, continuando: «Non mi aspettavo di trovarti ferma; scusa ancora... Lica?»
Guardandola incantata con lo sguardo avanti a sé, volse la sua attenzione e scorse anche lui le spoglie dell'animale.
«Quello è uno dei lupi delle nevi che abitano queste montagne?» Si questionò Vora.
«Sembrerebbe di sì... però siamo ancora lontani dalla loro tana.» Rispose lei.

Muovendo la testa di pochi millimetri a destra e a sinistra notò qualcosa che luccicava flebile attraverso il pelo della creatura, e le si avvicinò.

Fra le zampe anteriori, adagiato nella fredda neve, si nascondeva furtivo un piccolo cristallo trasparente a forma di ottaedro.
Brillava leggermente di luce turchina; sembrava che al suo interno ci fosse un piccolo fuoco fatuo che girava e girava senza sosta, senza arrendersi, continuando a bruciare di vita.
«E questo?» Sussurrò Lica.
Preoccupato - lui - si rialzò di fretta e la raggiunse.
Nel momento in cui entrambi ebbero in bella vista quella tragica scena, il lupo tirò qualche fiacco respiro.
«Guarda! respira.» Urlò sorpresa e un po' compiaciuta Lica.
Lei si chinò sull'animale, pensando ingenuamente di poter fare qualcosa... ma per quell'anima selvaggia era ormai tardi. Esalato l'ultimo rumoroso respiro affannato, calò il silenzio.
«Lica... ormai è...» Biascicò Vora rammaricato, poggiando una mano sulla spalla della compagna.
«Sembra di sì...» Gli rispose lei con tono debole e pacato. Continuò dicendo: «Voglio pregare perché la sua anima possa raggiungere le stelle e non scompaia».
Vora annuì ed entrambi pregarono affinché l'anima del fratello lupo potesse ascendere al cielo, continuando ad illuminare il sentiero che avrebbe sempre condotto a casa.

Non molto lontano dalla loro posizione si udì un forte ululato e il cristallo cominciò a brillare forte, sempre più intenso e luminoso, quasi accecandoli.
Si coprirono prontamente gli occhi e con gli istanti che passavano, pure l'oggetto misterioso finì per spegnersi, intorbidando completamente la sua struttura.
«Cosa è... successo?» Si domandò Lica spaesata.
«Non lo so con sicurezza ma guarda il cristallo; si è oscurato dopo quella forte luce.» Affermò Vora.
«E non lontano da qui deve anche esserci il branco di questo cucciolo; meglio che ce ne andiamo. Lasciamoglielo, non siamo stati noi a ucciderlo e le sue carni non ci servono a tal punto. Se ne occuperanno i suoi simili.» Suggerì lei, prendendo il cristallo e cominciando a retrocedere.
Lui, prima di raggiungerla, fece un gesto che nella sua tribù si usa fare quando si desidera mandare un buon augurio. Fra quelle montagne, in mezzo alla neve, cresceva l'Elleboro. Ne strappò un ramoscello e lo mise accanto al corpo dell'animale, avvicinò le mani in preghiera e abbassando la testa disse: «Che l'Elleboro possa guidarti, mio giovane amico». Attesi pochi silenziosi istanti annuì porgendo gli ultimi omaggi e a quel punto si voltò, seguendo Lica senza rimorsi.

La loro sfida venne annullata. In compenso, trovarono qualcosa di molto più interessante.





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