Capitolo 7 - Il ritorno

Dopo le lezioni, come promesso a Giselle, uscimmo per un giro nel parco poco distante dal luogo dell'incontro con Calum. Ero ancora indecisa sul fatto di presentarmi o meno, però ero così curiosa di capire cosa lo avesse spinto a uccidermi che non riuscii a frenarmi dall'impulso di passare il pomeriggio in quell'area. Volevo studiare bene ogni dettaglio, possibile via di fuga, armi improvvisate, ostacoli o punti di agevolazione in una ipotetica lotta.

Fu infatti quando all'ennesima domanda di Giselle io non risposi, che mi beccai una gomitata nel costato. "Ci sei?" domandò scocciata la mia migliore amica. 

Mi riscossi, ringraziandola mentalmente. Forse era meglio distrarsi: stavo diventando paranoica e ossessionata. "Certo! Parlavi di Jackson e Natalia." Sorrisi, osservandola mentre si rigirava una ciocca color del fuoco tra  i capelli. Le volevo un gran bene, eppure dopo ciò che avevo passato mi ero resa conto di quanto fosse superficiale, di quando io per prima lo fossi prima di cambiare vita.
Parlavamo sempre di ragazzi, di gossip, di scuola e di feste.

"Dicevo appunto che ci sono pettegolezzi freschi di giornata sul fatto che si siano lasciati e che lei voglia vendicarsi" concluse con un'espressione tutt'altro che felice. Natalia sapeva essere una serpe e da sempre era contro di me. Aveva ottimi voti, ma io più alti; aveva un fidanzato ambito da tutte, ma il mio lo era di più; era popolare, ma io di più. E così via insomma. Perciò il fatto che volesse vendicarsi implicava il mio coinvolgimento e, onestamente, non avevo tempo e voglia per assecondarla. Un tempo forse mi sarei preparata e avrei giocato d'anticipo, ma adesso non più: non me ne poteva importare di meno, anzi, quasi speravo facesse qualcosa di stupido e avventato così che potessi finalmente farle prendere un bello spavento e obbligarla a lasciarmi in pace.

"Buon per lei!" replicai apatica. In fondo, non mi preoccupava.

Giselle mi lanciò un'occhiata scettica, ma non disse altro. Si limitò a prendermi una mano e a stringerla leggermente. "Parlami, ti prego."

La osservai a lungo, imprimendomi bene nella memoria quegli occhi color della giada e il viso ovale. Le sue mani erano fresche, il respiro leggermente irregolare come fosse agitata e le labbra tremavano leggermente. Era decisamente preoccupata e non la biasimavo.

Pareva che uno zombie mi avesse uccisa e rimpiazzata. Da quando ero tornata non ero di troppe parole, la mia compagnia era pari a quella di un pesce rosso ed ero davvero dimagrita. Dovevo rimediare, lei non mi aveva fatto nulla di male. "C'era un ragazzo" cominciai, riabbassando lo sguardo. Subito sentii la presa farsi più stretta e ridacchiai. Sapevo che lei voleva partire con le sue mille domande e che si stava trattenendo con tutte le sue forze. "Era dolce, intelligente, bellissimo e... Stronzo." Il viso di Theo mi era appeso davanti agli occhi in tutto il suo splendore: gli occhi azzurro-verdi brillavano di malizia e un sorriso furbo era dipinto sulle sue labbra carnose. Mi mancava da morire. "Mi ha salvato la vita, più di una volta." Sentii un singhiozzo, o qualcosa di simile provenire dalla rossa al che mi voltai e vidi che era sbiancata.

"C...Cosa vuoi dire?"

Ero indecisa se confessarle la verità e finalmente condividere con qualcuno il peso che mi stava pian piano schiacciando, quando adocchiai Rose Grayson che si stava avvicinando a noi, sorridente. Nonostante lei fosse del primo anno e noi dell'ultimo, era davvero intelligente e avevamo seguito alcuni laboratori assieme, eppure non avevamo mai avuto una gran amicizia, semplicemente perché avevamo interessi diversi.

Appena ci fu vicina, abbracciò forte Giselle, schioccandole un sonoro bacio sulla guancia.
Subito lanciai un'occhiata più che stranita alla mia amica, che mi rispose con un'alzata di spalle colpevole.

Finalmente, la bionda di accorse che esistevo anche io, poiché si voltò a scrutarmi. "Ciao!" esordì allegra, venendo a darmi una breve stretta. "Come stai, Diana?"

Non sapevo se ringraziarla o arrabbiarmi per l'interruzione. Optai che forse era stato il destino a mandarla, perciò mi ripormisi di essere cortese. "Benissimo, grazie. E tu?"

Non che mi interessasse davvero, però dovevo sforzarmi di essere civile. Indossava ancora la divisa della scuola nonostante fosse quasi sera; prova infatti avesse passato la giornata a studiare nella biblioteca del liceo, piuttosto che a svagarsi da qualche parte. "Altrettanto."

Calò un imbarazzante silenzio, rotto solo dal cinguettio sporadico di qualche uccellino o dal rumore delle macchine sulla strada. Finalmente, Giselle aprì bocca. "Allora ragazze, perché non andiamo a mangiare qualcosa? Sto morendo di fame!"

Istintivamente guardai l'ora dal telefono, constatando che si erano già fatte le sette di sera e, benché avessi ancora almeno due ore buone prima di incontrare mio fratello, dissi loro che non potevo poiché mi aspettavano a casa. La mia migliore amica mi guardò storta, ma non replicò: ormai si era stancata di questi comportamenti strani e si era arresa con me.

Le salutai con un breve abbraccio e feci un giro nel parco, notando quanta gente c'era. Tra chi passeggiava con il cane, chi faceva jogging e chi invece era un compagnia della propria dolce metà, era davvero affollato. Raggiunsi in breve tempo il laghetto e mi sedetti su una panchina a osservare le piccole increspature dell'acqua. Il sole stava calando e una brezza fresca mi solleticava il viso. Mi guardai intorno, girandomi la pace del momento: grossi alberi spogli circondavano lo stagno, tenendolo all'ombra; un sottile tappeto di rami e foglie secche scricchiolava ad ogni minimo spostamento d'aria, facendomi quasi sobbalzare.

Lo squillo del mio telefono ruppe quella quiete. Lo tirai fuori e lessi il nome sul display, che mi fece gelare il sangue nelle vene: Lydia. Mi aveva già chiamata decine di volte, lasciandomi sempre messaggi in segreteria per raccontarmi come andasse la vita a Beacon Hills. Avevo sentito solo il primo che mi aveva fatto ed ero stata distrutta dalla sua voce e dalle sue parole; gli altri erano ancora in casella e forse un giorno li avrei davvero ascoltati.

Quel giorno però, non seppi perché, ma feci il madornale errore di rispondere, mi dissi che avevo bisogno poiché stavo per riaffrontare Calum. Accettai la chiamata e attesi, silenziosa.

"Diana?" La voce di Lydia era incredula e spezzata. "Sei davvero tu?"

Sapevo che non poteva vedermi, eppure annuii con le lacrime agli occhi. Mi era mancata da morire.

Sospirò dall'altro capo del telefono. "Sai, non avrei mai creduto che mi avresti risposto. E onestamente non so nemmeno io perché continui a provarci. Che senso ha insistere su una causa persa? Tu non vuoi più avere niente a che fare con me, con noi e io devo solo accettarlo."

Fui sul punto di risponderle che avevo sbagliato tutto e che non avrei dovuto allontanarli, ma ero spaventata; avevo agito da sciocca, però sapevo che altro fare in quella situazione. Glielo avrei detto, un giorno lo avrei fatto. Ma non quello, perché vidi la figura di Calum venirmi incontro correndo, terrorizzato ed emaciato. Urlò il mio nome, più e più volte, facendo gesti ampi con le braccia. Non capivo cosa volesse dirmi, fino a quando non sentii come una puntura sulla schiena che, sebbene non mi avesse fatto male, mi aveva intorpidita.

Vidi mio fratello cadere sulle ginocchia a pochi metri da me; mi guardava negli occhi e, con le labbra mimò la parola scusa. Poi, un formicolio mi pervase da capo a piedi e mi addormentai, vedendo come ultima cosa le cornee color rubino di Calum e le zanne affilate.

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