Capitolo 4 - Cadute

Il giorno dopo, fu come tornare indietro nel tempo: quando dovetti alzarmi, era decisamente troppo presto per connettere il cervello e mettere vestiti fatti apposta per farmi massacrare durante l'allenamento. Eppure stavolta le cose erano un po' diverse.

Jackson indossava dei pantaloni grigio scuro della tuta, ma mentre io sopra avevo una sobria maglietta bianca, lui portava una canottiera. E cavolo, poteva decisamente permettersi di sfoggiare le braccia! Non aveva la pelle floscia o le braccia esili, ma sfoggiava dei bicipiti ben definiti, frutto di ore di esercizio.

Appena entrai in palestra, sfoggiò un sorrisetto malizioso e, dal modo in cui mi guidò durante il riscaldamento e mi ordinò di srotolare tutti i materassini, capii che sarei stata a pezzi a fine giornata.

"Quanto ricordi del tuo precedente assestamento?"
Mi guardai attorno e vidi attrezzi su cui non mettevo gli occhi da quasi un anno. Prima di trasferirmi, i miei genitori mi avevano obbligata a seguire corsi individuali di tecniche di combattimento per prevenzione, dicevano.

Avevo preso parecchie botte dai miei vecchi istruttori, tanto che la sala era disposta di un fornitissimo kit di pronto soccorso.

"Le solite cose: la roba dei libri di testo, l'addestramento all'attacco, calci e pugni."

Jackson andò al centro della stanza e si puntò le mani sui fianchi stretti. "Non molto, allora" ripeté.

Lo seguii con lo sguardo. "No, in effetti."

"Abituati a questa stanza. Passeremo qui dentro tre ore al giorno, dopo scuola."

"Stai scherzando, vero?"

Nonostante un guizzo di ironia negli occhi, sapevo che era serio. "In fondo al corridoio c'è una sala con gli attrezzi. Dovresti andarci... spesso."

Rimasi a bocca aperta.

Il biondo mi esaminò con lo sguardo. "Sei fin troppo esile. Devi mettere su peso e massa muscolare." Allungò la mano e mi diede un colpetto scherzoso sul braccio ossuto. "Sei veloce e forte di natura. Ma al momento anche un lupo mannaro di dieci anni riuscirebbe a sconfiggerti."

Chiusi la bocca. Aveva ragione. Quella mattina avevo dovuto fare il doppio nodo al cordoncino dei pantaloni per farli stare su. "A proposito, ho un po' di fame. Niente colazione?"

Quella mattina ero stata svegliata di fretta da un Jackson in tenuta da allenamento che era piombato in camera mia, aprendo le tende ed intimandomi di alzarmi. Mi chiesi cosa gli avessero promesso i miei genitori per fargli fare questo sporco lavoro.

Non sapevo perché tenessero così tanto alla mia abilità in combattimento; insomma, a quante persone poteva interessare il fatto che fossi un lupo mannaro? Oltre ai cacciatori - che avevo scoperto essere i nostri unici nemici naturali- non capivo quale fosse il pericolo.

Il suo sguardo rigido mi squadrò attentamente, soffermandosi un attimo di troppo sulle cosce. "Ti ho portato un frullato di proteine."

"Passo, ma grazie del pensiero" brontolai io, ma quando sollevò il contenitore di plastica e me lo passò, lo presi comunque.

"Bevilo tutto. Così poi, quando la principessa ha finito di lamentarsi, possiamo cominciare dalle regole base." Fece un passo indietro. "Siediti pure. Voglio che mi ascolti con attenzione."

Alzai gli occhi al cielo e feci come richiesto, mi accomodai su un tappetino e mi portai la bottiglia alle labbra con cautela: aveva l'odore della cioccolata stantia e sapeva di frappé annacquato. Che schifo.

Si piazzò davanti a me ed incrocio sul petto le braccia scolpite. "Prima cosa: niente fumo e alcol, anche perché non riusciresti nemmeno ad ubriacarti."

"Ma pensa un po', dovrò smetter con il crack."
Continuò a guardarmi dall'alto in basso, per nulla colpito. "Non potrai dire a nessuno della tua natura, non potrai andartene in giro per la città senza permesso o... Non guardarmi così!"

"Cavoli ma quanti anni hai?" Non capivo se fossi in una palestra o in un carcere. "Sembri mio padre." Cercai di assumere un'espressione severa e dissi con voce profonda: "Non guardarmi così, altrimenti..."

Aggrottò le sopracciglia infastidito. Immaginavo che farmi da balia non fosse tra le sue attività preferite, eppure se era lì qualcosa in cambio lo doveva pur ottenere. "Non parlo così e non ho detto altrimenti...".

"Ma se l'avessi detto, cosa sarebbe stato l'altrimenti?"
Nascosi un sorriso furbo dietro la bottiglia.

Lui guardò da una parte, alzando le sopracciglia. "Eviteresti di parlare finché non finisco?"

"Come vuoi, maestro."
Parve sul punto di ribattere, ma poi lasciò perdere conscio che se avessimo cominciato, non avremmo più smesso. Quand'ebbi finito il frullato, tornò verso la parete contro cui erano appoggiati diversi sacchi da boxe.
Mi alzai e mi stirai. "Allora, cosa imparerò oggi? Credo che dovremmo cominciare da qualcosa in cui non mi distruggi."

Gli fremettero le labbra, come se stesse trattenendo un sorriso. "Se volessi distruggerti, non lo farei su un tappetino da yoga" ammiccò malizioso. Ammutolii, non sapevo cosa ribattere.

Vittorioso, cominciò a girarmi intorno. "Voglio vedere come gestisci le cadute." Mi mossi in avanti, stufa di essere alla sua mercé e mi fermai di fronte a lui. "Il trucco è non lasciare mai che ti buttino a terra, ma succederà, succede anche ai migliori. Se capita, devi essere in grado di rialzarti." Mi fissò con gli occhi azzurri.

Che noia. "Jackson, mi ricordo l'addestramento. So reagire ad una caduta."

"Davvero?"

"È la cosa più facile che..."
Sbattei la schiena contro il materassino. Fui travolta da una scarica di dolore. Rimasi a terra, senza parole.

Il biondo incombeva su di me. "Era solo un colpetto delicato e non sei affatto atterrata correttamente. Dovevi scendere con la parte alta della schiena. Fa meno male e permette di rialzarsi più facilmente." Non ero certa di potermi muovere. Mi tese la mano, che io non accettai. Mi rimisi in piedi e lo fulminai con lo sguardo.

"Non potevi avvertimi prima?"

Fece un sorriso storto. "Anche senza preavviso, hai comunque un secondo prima di cadere ed è più che sufficiente per posizionarti correttamente." Lo guardai male, massaggiandomi la schiena. "Ruota i fianchi e tieni il mento basso. Tira su le braccia... così."
Me le posizionò in modo che mi bloccassero il petto. "Contrai i muscoli! Non hai degli spaghetti scotti, nonostante tu sia parecchio magra."

Poi mi colpì, non tanto forte, ma il caddi comunque. E nel modo sbagliato. Rotolai su me stessa con una smorfia.

"Diana, sai cosa devi fare."

"Be', a quanto pare l'ho dimenticato!" brontolai io.

Mi offrì di nuovo la mano, ma io non la presi nemmeno quella volta. Mi rialzai. "Tira su le braccia."

Lo feci, preparandomi all'inevitabile impatto. Caddi di nuovo, e ancora, e ancora. Passai le due ore successive sdraiata sulla schiena, e non in senso buono. Arrivammo al punto in cui Jackson, spazientito, mi rispiego la dinamica dell'atterraggio come avessi avuto sei anni.
Alla fine, tra tutta la roba inutile che mi galleggiava nel cervello, ripescai la tecnica che mi avevano segnato secoli prima e riuscii ad eseguirla perfettamente.

"Era ora" mormorò Jackson.

Mi misi a saltellare di qua e di là, allegra. Fui sul punto di vantarmene come mai prima d'ora, quando fummo interrotti da mia madre.

"Tesoro, Hanna è al telefono e chiede di te."

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