Capitolo 3 - Istinto di caccia

Salutai Giselle con un forte abbraccio e le promisi che l'avrei chiamata quella sera, così come ogni altra, per aiutarla con chimica. O era  meglio questa era la scusa che lei usava per controllarmi, e a me andava bene così. In fondo avere qualcuno che teneva tanto a me non poteva che farmi bene.

Mi squadrò a fondo con quegli occhi verde smeraldo, tanto limpidi da potercisi specchiare e ricambio la stretta, infondendomi tanto calore che quasi mi commossi. Avevo tanto bisogno di parlare con qualcuno di ogni cosa, ma ero certa che sarei passata per pazza, d'altronde io per prima l'avevo creduto, quando Stiles mi aveva rivelato il grande segreto. In più, il pensiero che Eve fosse di nuovo in città mi preoccupava molto e mi sentivo in dovere di fare qualcosa.

"Buongiorno tesoro, come stai?" Mia madre apparve sulla soglia della cucina, in mano un piatto bagnato ed uno straccio. Non l'avevo mai vista pulire in diciotto anni di vita, per cui fui alquanto sorpresa dalla sua mise casalinga.

"Io sto bene, tu invece? Ti senti bene?" domandai curiosa. Da quando i miei genitori erano venuti a prendermi a Beacon Hills tre mesi addietro, erano stati molto presenti nella mia vita: li avevo visti più in questo breve lasso di tempo, che da quando ero nata fino al trasferimento.

Nel frattempo Calum era disperso e nessuno aveva più avuto due notizie, mentre Hanna era rimasta in Italia per 'portare a termine la missione'. Chissà quale poi.

"Splendidamente. Sai, da quando abbiamo dovuto mandare via gran parte del personale di servizio, le stoviglie non si lavano da sole e neppure il pavimento si spazza da sé." Con un cenno indicò una scopa poco distante, intimandomi di cominciare a svolgere qualche faccenda.

Le rivolsi un sorriso tirato e, di malavoglia, feci quanto mi venne implicitamente richiesto: partii dalla mia camera e proseguì, lentamente, per il resto della villa.

Era proprio in momenti come quelli che mi domandavo perché mai avessimo una casa tanto grande, e perché ero stata così incosciente ed impulsiva quel giorno, qualche mese fa.

Ero da poco tornata a Londra, ogni sensazione o rumore nuovo mi ammattivano; chiedevo solo tranquillità e calma, ne avevo così bisogno.

I miei genitori parevano sapere benissimo cosa mi stesse succedendo, ma non avevano alcuna intenzione di affrontare il discorso: erano infatti rimasti taciturni, osservandomi costantemente di sottecchi pronti a qualunque evenienza, fin troppo quieti per i miei gusti e la cosa mi irritava molto.

Così, un giorno in cui ero particolarmente nervosa, dopo aver risposto alle ennesime domande di circostanza su come stessi da parte della mia famiglia, mi richiusi in camera per cercare la solitudine.
Passati pochi minuiti a respirare a fondo per tranquillizzarmi entrò, senza bussare, la nuova ragazza delle pulizie, ancora era ignara delle mie abitudini. Poiché parlava al telefono con l'auricolare, non si era subito accorta della mia presenza; accese dunque l'aspirapolvere e, dopo che rimasi a fissarla interdetta per qualche attimo, lei finalmente mi notò.

Sorridendo in maniera impertinente, mi domandò se mi stesse disturbando ed in me scattò qualcosa: passai dall'essere inversa ad avere una placidità  impressionante. Peccato solo che quello stato d'animo stava nascondendo una mente calcolatrice e spietata.
Avevo represso ogni mio istinto a lungo, per paura che i miei genitori scoprissero qualcosa e facessero domande alle quali non avrei saputo rispondere.

Feci segno di no con la testa. Poi, feci brillare gli occhi e, per la prima volta, estrassi gli artigli: fu come se tornassi finalmente a respirare aria fresca dopo mesi di reclusione, mi sentivo libera.

Lei rimase impassibile, terrorizzata tanto da non essere neppure in grado di urlare. Si addossò contro la porta, impugnando saldamente l'elettrodomestico, pronta a reagire.

Sorridendo furbescamente, feci qualche passo verso di lei, arrivando fino a sfiorarle quasi il naso con il mio. Allungai una mano e le feci scivolare via l'arma improvvisata, mentre con l'altra le raccolsi una delle ciocche che le era sfuggita alla treccia, arricciandomela tra le dita e ripetendole quale grande errore aveva commesso per colpa della sua negligenza.
Sentivo il suo cuore battere a mille, il respiro accelerato e notai che la sua pelle cominciava ad essere imperlata di sudore. Era così divertente vedere che effetto potevo farle, la paura viva nei suoi occhi azzurri mi deliziava come niente altro.

Ridacchiai, istericamente, avvicinandomi ulteriormente al suo collo per imprimermi bene il suo odore: ero pronta a farla andare via, per poi correrle dietro e giocare un altro po'. Sentivo l'acquolina in bocca ed il corpo fremere per l'eccitazione.
Le sussurrai di non preoccuparsi, che presto sarebbe finito tutto.
Con uno scatto aprii la porta e le feci cenno di  scappare, mantenendo un'espressione sinistra.

Lei, nonostante le gambe molli, non se lo fece ripetere due volte e fuggì, cominciando ad urlare come una dannata, dando le dimissioni seduta stante.

Destati dai rumori e dalle grida, i miei genitori si palesarono immediatamente in fondo alle scale nel momento in cui io, ancora in versione animalesca, scendevo piano facendo scorrere gli artigli affilati contro la ringhiera di legno.

Un suono agghiacciante e tanti riccioli di segatura accompagnarono la mia entrata di scena. Il resto del personale accorse spaventato dal frastuono e, quando mi videro, scapparono anch'essi a gambe levate.

Mai vidi i miei genitori più furiosi di quel momento e, finalmente, ebbero una reazione: una volta rimasti soli, i loro occhi si illuminarono di rosso rubino e, in un battito di ciglia, furono di fronte a me.
Ero estasiata, percepivo la loro potenza e mi sentivo finalmente in parte capita: erano come me, più o meno.
Mi sgridarono come mai, intimandomi si non osare mai più agire in tal modo e di ridimensionarmi, altrimenti ne avrei pagato conseguenze inimmaginabili. Di colpo, quando mi ordinarono di tornare nella mia forma umana, contro la mia volontà il mio corpo reagì e fece quanto richiesto.

Tutta la rabbia, l'istinto di cacciare e l'eccitazione svanirono tanto in fretta quanto erano apparsi. Mi assalì una stanchezza enorme, quasi avessi speso ogni energia e svenni.

Il rumore di una porte che sbatté mi riportò al presente, destandomi dai miei ricordi.

Papà era rientrato, il che significava che a breve sarebbe cominciato l'allenamento.
Era dura: ne uscivo ogni volta con qualche osso rotto e più insulti di quanti credevo ne esistessero. Era assai severo, perfezionista ed eccessivamente più forte di me e, quando glielo facevo notare, lui rimarcava il fatto che il mio avversario non sempre sarebbe stato debole o clemente.
Insomma era uno scontro impari!

"Diana, vieni qui per favore. Devi presentarti il tuo nuovo allenatore" disse, a mezza voce per farsi sentire.

Inaspettatamente, ringraziai il cielo per avermi ascoltata e scesi di corsa, incurante della velocità.

"Sono così felice che nemmeno ti immagini quante volte io..."

Mi bloccai di colpo, esterrefatta. Pregai fosse uno scherzo, perché non avevo alcuna intenzione di fare ciò che mi avrebbe detto quel biondino.

"Non sei felice? Passeremo tanto tempo assieme" affermò sarcastico Jackson che se ne stava tranquillo seduto sul divano, con un bicchiere d'acqua in mano, un sorrisetto sinistro stampato sul viso e gli occhi che brillavano di un azzurro intenso.

Guardai ripetitivamente mio padre ed il nuovo allenatore, indecisa per che cosa cosa essere più indignata: per il fatto che il mio ex ragazzo fosse un lupo mannaro ed io non me ne fossi accorta, oppure per il fatto che mio padre mi stesse scaricando per l'ennesima volta.

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