Capitolo 20 - Coppia improbabile (R)
«Evviva, è di nuovo lunedì!» esordii mentre facevo colazione.
«Che hai detto?» Un Cal assonnato si affacciò alla porta della cucina, ancora in pigiama.
«Nulla. Che ci fai già sveglio?» sbiascicai mentre addentavo l'ennesimo biscotto al cioccolato.
«Ho delle cose da fare. E già sono in ritardo» afferrò il mio ultimo dolcetto e corse via prima che io potessi anche solo protestare.
Questa me la paghi, caro.
Oramai andare a scuola con Stiles era diventata un'abitudine: ci vedevamo tutti i giorni al solito posto e al solito orario; questa volta però, ero terrorizzata. Se Malia gli avesse detto qualcosa? Lui sicuramente avrebbe iniziato a raccontarmi tutto senza lasciarmi nemmeno il tempo di assimilare. No, non ero ancora pronta, nonostante avessi passato tutta la giornata precedente a tentare di ricostruire il quadro generale, aiutandomi persino con disegni e colori.
«Buongiorno!» cominciò lui non appena presi posto al suo fianco.
«Ciao. Tutto bene?» Osservai attentamente la sua espressione, cercando di individuare eventuali segnali che evidenziassero il fatto che sapeva ciò che era successo sabato.
«Sì dai, sono solo un po' agitato per il test di matematica di domani. Ho passato questi due giorni a studiare, o almeno a provarci. A te invece è successo qualcosa di particolare questo weekend?»
Sa tutto.
«Cosa intendi per "strano"?» chiesi con tono indagatore, sperando di non tradirmi.
«Tipo che so, strani attacchi da esseri sovrannaturali» disse accompagnando queste parole con gesti sconnessi.
Il mio battito cardiaco aumentò esponenzialmente, i palmi cominciarono a sudare e il respiro si fece accelerato.
Menti, vediamo se conosce davvero la verità.
«No, tutto normale» risposi con voce strozzata.
«Oh, va bene. Se mai dovesse accedere qualcosa, chiamami subito.» Mi fece l'occhiolino e, con il sorriso beffardo di chi la sa lunga, riportò gli occhi sulla strada e proseguimmo il tragitto evitando di tornare su questo discorso.
Arrivati a scuola, saltai giù dalla vettura e corsi agli armadietti scambiando un veloce saluto con Stiles.
«Ehi, passato un buon fine settimana?» Theo apparse al mio fianco, sorridendomi dolcemente.
Perché tutti ce l'hanno con questi due giorni?!
«Uhm, certo» asserii con noncuranza. Strinsi i libri al petto un'ultima volta, prima di riporli nell'armadietto con un bel sospiro.
Con la coda dell'occhio lo vidi appoggiarsi stancamente agli armadietti, senza smettere di guardarmi intensamente. «Ti sei anche ripresa da ciò che è successo venerdì.»
Quella maglia rossa gli donava davvero molto.
«Intendi-»
Ero certa di aver assunto un'espressione piena di panico perché lui sviò l'argomento. «La storia del limite.»
«Assolutamente sì. L'ho digerita benissimo!», sospirai di sollievo: fortunatamente non aveva tirato fuori l'imbarazzante storia del "è stato un errore, non dovevamo".
Notai alle sue spalle Malia e Stiles che parlavano animosamente: quanto avrei pagato per sentire ciò che stavano dicendo.
«Diana?» Il ragazzo di fronte a me schioccò le dita all'altezza del mio viso per attirare la mia attenzione. «Cosa stavi guardando?»
«Nulla.» Sorrisi con innocenza sperando non si girasse a controllare se avessi detto una bugia e per far sì che ciò non accadesse, gli chiesi cosa lui avesse fatto dopo la nostra uscita.
«Ho aiutato i miei genitori in varie commissioni. Niente di emozionante. Al contrario del tempo che passo con te: sempre pieno di colpi di scena.» Ridacchiò, probabilmente ricordando quei momenti in cui per colpa mia se l'era vista brutta; io non potei fare altro che arrossire imbarazzata e mormorare delle patetiche scuse.
Stavo per informarlo che sostanzialmente era colpa sua: si era trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato ogni volta, quando mi saltò all'occhio Malia che aveva cinto le braccia attorno al collo di Stiles e si stava avvicinando a lui con malizia, non senza prima avermi lanciato un'occhiataccia.
Ora ti faccio vedere io il vero significato di "far ingelosire".
Una volta certa di avere la sua attenzione, mi avvicinai a Theo e posai con dolcezza le mie labbra sulle sue: in un primo momento rimase immobile, con gli occhi leggermente sgranati.; ero quasi certa che mi respingesse dicendomi che mi sono fatta solo fantasie. Ero pronta a interrompere quel contatto prima di ridicolizzarmi del tutto, quando lui poggiò le mani sui miei fianchi e mi attirò a sé approfondendo il bacio.
Pochi istanti dopo un rumore di tosse, poco delicatamente emesso dal coach, ci fece separare e, finché non ci allontanammo di alcuni passi l'uno dall'altra, lui non voleva saperne di andarsene.
«Scusa» sussurrai sottovoce con le guance in fiamme, appena fui certa di essere fuori dalla portata del professore.
«Non farlo» commentò lui, ritornando con le labbra quasi sulle mie. « Semmai ti saresti dovuta scusare per una cosa come questa.»
Mi strinse nuovamente a sé e mi baciò con tale foga che mi tolse il respiro. Solo quando sentii le mie gambe minacciare di tremare mi ricordai che stavamo dando spettacolo di prima mattina davanti a tutto il corpo studentesco.
«Hai ragione, per una cosa così avrei dovuto per lo meno finire dal preside» scherzai tentando di sdrammatizzare.
Il suono della campanella mi salvò dall'imbarazzo che ero certa sarebbe seguito a quel momento così romantico.
Prima di salutarci e prendere direzioni diverse, riuscii a scorgere l'espressione esterrefatta del mio vicino di casa e quella infuriata della sue ragazza.
***
«Oggi vi lascerò del tempo per studiare in vista del test di domani. Formate delle coppie e siate silenziosi: se anche sento volare una mosca, mi metto a spiegare. Buon lavoro» E tornò ad immergere il naso nel suo quotidiano, affondando nella scomoda sedia.
Ero pronta a mettermi accanto a Lydia -avevamo così tanto di cui parlare e dal suo sguardo capii che necessitava mille spiegazioni - ma la voce del professore richiamò la mia attenzione.
«Martin, con Stilinski. Tate con Shaw.», alzai gli occhi al cielo non appena sentii con chi fossi capitata.
Questa proprio non ci voleva.
Ci dividemmo come aveva chiesto e subito lei cominciò acida. «Senti per l'altra sera-»
«Non c'è nulla che mi devi spiegare», ribattei liquidando l'argomento.
«Non vuoi parlare di come io abbia fatto a diventare così?», chiese evidenziando le sue parole, sfoderando gli artigli.
«No.» Repressi un brivido di paura e captai una scintilla divertimento nei suoi occhi nocciola. «Continua quell'esercizio, domani abbiamo la prova», riportai la sua attenzione sulla lavagna, indicandola con la matita che stavo torturando.
«Quindi non ti interessa sapere che io sono un coyote mannaro», affermò con noncuranza.
«Scrivi più in fretta, non abbiamo tutto il giorno.» Sperai davvero mi lasciasse in pace: non avrei retto ancora a lungo.
«E il fatto che ho ucciso mia madre - che ho poi scoperto essere adottiva - e la mia sorellastra, proprio non ti tocca.» Annoiata e quasi per nulla affranta dalle proprie parole, iniziò a picchiettare sul banco con la penna, provocando un fastidioso e costante ticchiettio.
«Condoglianze» dissi poco convinta. «A te cosa viene questo calcolo?» domandai sporgendomi verso di lei.
«Oh giusto, ho omesso il fatto che sono rimasta animale per otto anni?» Passò le unghie sulla pelle nuda del mio braccio, graffiatomi leggermente.
Adesso basta.
Appoggiai con poca delicatezza ciò che avevo in mano, sbattei i pugni sulla superficie liscia del legno e a denti stretti, finalmente risposi.
«Senti, se stai aspettando una mia qualunque reazione, sappi che ne rimarrai delusa: non mi importa assolutamente nulla di ciò che esce a tua bocca.»
«Eppure è strano» continuò come se non mi avesse nemmeno sentita, con fare pensieroso. «Strano, l'unico segno di panico che sono riuscita a percepire è stato quando mi sono trasformata davanti a te la prima volta. Oggi invece non fiuto alcuna emozione negativa se non fastidio, forse.»
«Esatto, sono parecchio infastidita dal tuo comportamento.»
«Ma non sorpresa. Perché sembra che tu sappia già tutto e che io ti stia dicendo solo cose ovvie?» Eravamo praticamente naso contro naso, a ringhiare l'una contro l'altra.
«Io voglio risposte. Solo che questo non è né il momento né il luogo adatto per ottenerle. Quindi, adesso tu finisci quell'esercizio che ti aspetta da quasi un'ora e oggi pomeriggio ci prendiamo un bel caffè e mi spieghi ogni cosa», affermai duramente.
Incrocio le braccia e si appoggiò stancamente allo schienale della sedia, interrompendo quel contatto. «Cosa ti fa credere che io abbia alcuna voglia o intenzione di fornirti spiegazioni?»
«Me le devi!» sbottai a voce forse un po' alta. Un paio di teste si voltarono verso di noi. Lanciai loro un'occhiata di fuoco e questi si rigirarono, fingendo che nulla fosse accadutole
«Io non ti devo assolutamente niente.» Assunse un'aria di sfida ed il tono di chi voleva averla vinta a qualunque costo.
«D'accordo. Chiederò direttamente a Scott. O Lydia. Anzi, credo che Stiles sia il più adatto a darmi informazioni.»
Un guizzo del suo zigomo mi fece capire di aver colto nel segno. «Non oseresti.»
«Perché no? Insomma, qui tutti muoiono dalla voglia di dirmi cosa sta succedendo, lui in particolare. E se tu non hai intenzione di rivelarmi nulla, mi rivolgerò a qualcun altro.»
«Tutto bene signorine? Risolto l'esercizio?», s'intromise il professore facendoci sobbalzare: nessuna delle due si era accorta della sua presenza, chissà da quanto ascoltava.
«Certamente!» rispondemmo all'unisono sfoggiando un sorriso raggiante.
Aspettammo che andasse ad importunare qualcun altro, e proseguimmo il battibecco.
Malia mi porse il foglio con il suo esercizio, certa che il professore ci stesse ancora osservando. «Perché non chiedi al tuo fidanzato?»
«Non è il mio fidanzato. E, per la cronaca, credo proprio di essere libera di poter chiedere a chiunque io preferisca.» Tornai ad appoggiarmi "comodamente" allo schienale della sedia, accavallando le gambe per darle ancor di più l'impressione di essere totalmente a mio agio in quella conversazione molto imbarazzante.
«Certo. Così come io sono libera di sventrarti se ti avvicini al mio ragazzo.»
«Quanto siamo aggressive stamattina. Ti sei svegliata con la luna storta per caso?»
«Sei tu che mi fai uscire di testa.»
«Lo prenderò come un complimento», la sbeffeggiai prima di cominciare a disegnare fiorellini sul quaderno.
Dopo minuti di silenzio in cui vidi lei che tentava di svolgere l'esercizio, aprì nuovamente il discorso, a voce bassa, con timidezza. «E, quel bacio?»
«Devo seriamente spiegarti cosa accade tra due persone quando si piacciono? Credevo che ne fossi esperta.» La guardai di sottecchi maliziosamente, alche mi subii un pugno - non tanto delicato - sul braccio.
«Piantala.» Si stava davvero alterando, tanto che fui certa di aver udito un ringhio basso.
«Di fare che? Dire ovvietà?» continuai a stuzzicarla.
«No, di fare così.»
«Così come?» Venni salvata dal suono della campana.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top