Capitolo 2 - Progetto (R)

Interessante. Molto interessante.

Non avevo mai visto una concentrazione così alta di bei ragazzi come nella Beacon Hills High School.

Un sorriso malizioso spuntò sulle mie labbra prima ancora che potessi contenermi: sarebbe stato un anno grandioso.
Essere Senior comportava grandi responsabilità, ma essere Senior-Nuova Arrivata, se possibile, era un ruolo anche più importante: dovevi farti notare ed essere subito nel gruppo "giusto" altrimenti, addio futuro prospero. O almeno così mi aveva sempre ripetuto Giselle, una delle mie più care amiche nella vecchia scuola.

Mi inoltrai a passo deciso nella struttura, fingendo di essere totalmente a mio agio e di trovarmi nel posto giusto al momento giusto; tutti camminavano di gran carriera in ogni direzione, scontrandosi tra di loro e trascinando spesso e volentieri anche me.

Ad un certo punto, per via della calca, spalleggiai una ragazza mora poco più alta di me. «Stai attenta!» mi gridò lei poco gentilmente.

«Non è colpa mia se eri in mezzo ai piedi» risposi acida.
Camminavo per questi corridoi da nemmeno due minuti ed ero già in procinto di attaccar briga e sfogare il mio nervosismo.

«Scusami, che hai detto?» La sua voce si fece stridula e, se avesse potuto, sono certa che mi avrebbe uccisa con uno sguardo.

«Sei anche sorda, oltre che maldestra?»
Nonostante tutto, non mi andava di abbassare la testa, non con una più piccola di me. Strinsi gli occhi a fessura e la squadrai in cerca di un punto debole: così di solito mi comportavo prima di sferrare un colpo basso.

«Hayden, sbrigati che facciamo tardi.»
Un ragazzo biondo si materializzò al suo fianco prima che lei potesse scagliarsi contro di me e la trascinò via di peso, tuttavia non prima che lei mi lanciasse un'ultima occhiataccia.

Ottimo, il primo giorno era appena cominciato ed io mi ero già fatta una nuova "amica"; se avessi continuato così, ora di sera sarei morta altre dieci volte.

Irrequieta, mi diressi in segreteria per ricevere tutto il materiale scolastico e per firmare un centinaio di fogli inutili; avevo già perso la prima ora e, di questo passo, avrei saltato anche la prossima dato che venni fermata da una donna.

«Buongiorno Diana, sono la professoressa Martin.» Un'elegante signora dagli splendidi occhi verdi apparve alle mie spalle. «Oggi il preside è assente per motivi personali, così io sono stata incaricata nel darti il benvenuto alla Beacon Hills High School, dove spero tu ti possa trovare a tuo agio. Per qualunque dubbio, non esitare a entrare nella mia classe per un chiarimento: sono sempre disponibile ad aiutare chi ne ha bisogno.» Si avvicinò e mi posò con gentilezza una mano fresca sulla spalla, sempre mantenendo un sorriso comprensivo. «E non solo inerente alla scuola. Non so se ne sei a conoscenza, ma io e tua madre da giovani eravamo molto amiche e quando mi aveva avvertita che sua figlia si sarebbe trasferita qui, ne sono stata più che lieta. Perciò se ti serve per caso aiuto anche con il trasloco, fammelo sapere.» La stetti ad ascoltare un po' inebetita: dopo la parte "io e tua madre..." iniziai a perdere il filo del discorso.

Mille domande mi affollarono la mente: perché non me ne aveva mai parlato? Per quale assurdo motivo molti conoscevano la mia famiglia? Non sapevo neppure che mia madre avesse vissuto a Beacon Hills: ero infatti convinta che mia nonna si fosse trasferita qui dopo la morte di mio nonno, o almeno così mi avevano fatto intendere.

Gli occhi verdi della signora Martin mi scrutavano curiosi e in attesa di una risposta, dunque balbettai un grazie e feci per andarmene quando nuovamente venni arrestata. Spazientita, mi voltai e sfoderai un gran finto sorriso.

«Tra poco hai biologia se non sbaglio. Hai fatto richiesta per il corso avanzato, giusto?» chiese lei, osservando i libri che avevo in mano.

«Sì.»

«E sai dove si trovi l'aula?»

«No.» Abbassai lo sguardo fino a osservarmi le punte delle scarpe, annoiata.

«Hai la cartina della scuola con te?»

«No.» Non volevo essere scortese, semplicemente non vedevo l'ora di entrare in classe e vedere qualche viso nuovo.

«Oh, capisco. Ti va se chiamo qualcuno che ti accompagni? Almeno fai già conoscenza e ti senti meno sola.»

Annuii sperando di renderla contenta per la sua buona azione e mi sedetti ad aspettare su una di quelle scomodissime panche di legno addossata al muro che avevo adocchiato appena entrata.

La donna sparì in un ufficio, con il telefono in mano e io, per perdere tempo, mi misi a sfogliare una rivista di macchine - l'unica che c'era - sperando di venire recuperata presto: più tempo rimanevo sola, più la mia ansia cresceva.

«Tu sei Diana?» Sobbalzai, non essendomi accorta della ragazza che si era materializzata al mio fianco.

«Sì. E tu sei...?»

«Lydia. Lydia Martin. E prima che tu me lo chieda sì, mia madre è la professoressa che hai appena incontrato. Siamo in classe assieme e siamo già in ritardo, dunque se non ti dispiace, dovresti affrettarti.» Detto ciò, uscì dalla stanza con l'intenzione che io la seguissi a ruota. La sua gonna bianca svolazzava leggera ed il contrasto con i capelli rossicci era davvero notevole.

Non mi degnò di uno sguardo fino a che, una volta entrare in aula, mi augurò velocemente buona fortuna e si sedette composta.
Pregavo che almeno in questa scuola non dovessi attraversare la fase del "presentarsi davanti a tutta la classe", ma purtroppo per me, non feci eccezione. Terminato il mio discorsetto e le relative domande stupide che di solito venivano poste per farti vergognare ancora di più, tornai a posto accanto a Lydia, rossa in viso per l'imbarazzo.

«Bene ragazzi, come vi avevo già anticipato settimana scorsa, per iniziare l'anno in modo "soft" ho deciso che entro la fine del semestre dovrete portare a termine un progetto in coppia» cominciò dunque la professoressa, appoggiando un pesante registro sulla cattedra.

Mormorii concitati si levarono tra le fila di
banchi e notai che tutti si guardavano intorno per scegliere il proprio partner. Tutti tranne me.

«Silenzio.» La professoressa osservò tutti i suoi studenti, sfidandoli ad aprire bocca. Non volò una mosca. «Come stavo dicendo, dovrete svolgere il lavoro con un vostro compagno o compagna. In questi giorni discuteremo spesso dei temi e della preparazione ma, per adesso, focalizziamoci sulla scelta delle coppie. Prima di tutto, non sarete voi a deciderle: sarebbe troppo semplice e non avreste la possibilità di conoscere persone nuove.» Chiunque, lei compresa, voltarono lo sguardo verso di me. «E in secondo luogo, vi aiuterà ad aprire le vostre menti in quanto dovrete ascoltare opinioni che non siete soliti ricevere. Vi è chiaro fin qui? Lo spero. In ogni caso, non sarò nemmeno io a scegliere con chi sarete assieme, ma la sorte: ognuno scriva su un pezzo di carta il proprio nome, lo ripieghi un paio di volte su di sé e. mentre io passo tra i banchi con questo sacchetto rosso», che estrasse dalla borsetta e ci mostrò bene, «lasciatelo scivolare al suo interno. Intesi?»

Un gran fruscio mi ricordò che nella fretta avevo dimenticato le cose con cui scrivere a casa; guardai la mia compagna di banco intenta a decorare per noia il suo nome e poi osservai il ragazzo alla mia sinistra: capelli scuri, occhi marroni e, dalla maglia a maniche corte, riuscii a intravedere un tatuaggio sul bicipite.

Appena notò che lo fissavo, arrossii violentemente e lui di conseguenza mi sorrise incoraggiante.

«Io sono Scott.» Mi tese la mano che strinsi con forza. Ora le persone che "conoscevo" in questa scuola erano tre. Stava andando anche meglio del previsto.

«Diana. Per caso avresti carta e penna?» chiesi timidamente.

«Certamente!» Si mise a frugare nel suo zaino e, appena prima che la professoressa arrivasse al nostro banco, me li porse.

Dopo aver aspettato i ritardatari, finalmente finì il giro. «Grandioso. Ora potete decidere voi: estraggo io, o lo fa qualcun altro?» La donna tornò davanti alla cattedra in attesa.

«La nuova arrivata» tossì qualcuno da dietro e un coro di risate si propagò per la piccola aula.
Pregai non avesse udito, ma dall'occhiata vispa che mi lanciò, ebbi la certezza che avrebbe ascoltato quel suggerimento.

«A grande richiesta, Diana, sei pregata di formare le coppie.»

Udii qualcuno alle mie spalle imprecare se solo lo avessi messo con la persona sbagliata; deglutii forte e andai ad affrontare la mia condanna. Arrivati a fine ora, mancavano solo due nomi: il mio e...

«Theo.» Alzai lo sguardo e incontrai due occhi gialli che mi fissavano e un sorriso furbo che mi suggeriva che sarebbe stato un faticoso progetto.

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