Capitolo 13 - Selezioni (R)

Dopo l'esilarante scenetta tenutasi in corridoio la mattina, non accadde più nulla di particolarmente emozionante o degno di nota; al termine delle lezioni, andai a casa di Lydia per recuperare i vari appunti che mi mancavano e per riprendere il mio amatissimo telefono.

Mi girai a pancia in su sul morbido letto della mia amica, sbuffando sonoramente «Basta! Giuro che non mi assenterò più nemmeno un giorno.»

Lei rise, buttando la testa all'indietro. «Eddai, non è andata nemmeno troppo male.»

«No, hai ragione. Ho solo il cervello fuso, ma è tutto normale, no?» Osservai la ragazza accanto a me, seduta compostamente con le gambe incrociate, che messaggiava concentrata. Appena notò che la guardavo curiosa, appoggiò il telefono in grembo e cominciò a squadrarmi.

«Allora, dimmi ciò che ti turba.»

La fissai strabuzzata. «Che cosa? Io non sono turbata proprio da nulla.»

«Lo si legge dai tuoi occhi.»

Voltai il viso nella direzione opposta alla sua e cominciai a osservare "incantata" il soffitto bianco, ma lei, nonostante le stessi facendo ampiamente capire che non ne volevo parlare, continuò imperterrita. «Non ti sei accorta che il tuo comportamento ultimamente è un po' particolare?» domandò acuendo la voce sull'ultima parola.

«Può essere.» Mi misi a sedere di scatto, pronta a ogni cosa stesse per dirmi.

«Non offenderti per favore, te lo sto per dire da amica.» Prese un bel respiro e proseguì: «So che sei turbata da tutti gli avvenimenti che ultimamente sono accaduti, ma ciò non toglie che forse oggi hai esagerato un poco con quella ragazza. Non si meritava quel trattamento.» Abbassò lo sguardo sulle sue mani intrecciate, come se si sentisse in colpa ad avermi detto quelle cose. E faceva bene.

Una forte rabbia mi crebbe nel petto. Era come scattato un interruttore nella mia testa. «Perché, io sì invece? Mi meritavo di essere trattata come lo zimbello della scuola tutto il giorno? Hai la minima idea di cosa significhi non essere sempre perfetti come Lydia Martin? Credo proprio di no.»

Lei si allontanò di scatto, come se il letto fosse di lava. «Oh cara, puoi dirmi tutto quello che ti passa per la mente, ma non puoi di certo affermare che la mia vita sia perfetta. Tutt'altro semmai.» La scintilla d'imbarazzo si spense subito, sostituita dall'ira.

«Mi dispiace, ma non riesco a compatirti. Chissà cosa sarà successo di così terribile. Ti si sarà rotta un'unghia prima di uscire di casa? Avevano finito la tua taglia della gonna che volevi tanto? Ah no, ho capito cosa intendi: ricordi quando mi hai detto che contro il parabrezza della tua ultima macchina si era schiantato contro un animale? Be', scommetto tua madre non te ne ha comprata un'altra il giorno dopo, ma addirittura tre giorni dopo.»

Afferrai con violenza i libri sparsi sul letto e li ficcai alla rinfusa nella borsa. «Credo di essere giustificata per il mio comportamento dopo quello che ho passato in questi giorni. Sono qui da poco più di una settimana e ho già rischiato di morire una volta, mi sono imbattuta in un ragazzo che crede di sapere molte cose sul mio conto a me ignote, sono stata pubblicamente umiliata due volte e questa è sola una parte. Tutto è successo perchè sono stata così stupida da decidere di trasferirmi di punto in bianco in una città che nasconde segreti alquanto sinistri. Io credevo che almeno tu fossi diversa, speravo che tu fossi la mia normalità. Ma mi sbagliavo.» Uscii di corsa da casa sua mentre sentivo che mi urlava dietro quanto fosse sciocco il mio comportamento e quanto fossi effettivamente immatura.

Ne avevo proprio bisogno oggi di un'ennesima litigata!

***

Passai tutta la mattina seguente irrequieta, dovevo scusarmi con Lydia: aveva tutte le ragioni del mondo per avermi risposto così, dato che ero stata a dir poco una vera stronza. Non conoscevo quella ragazza abbastanza da giudicarla in tal modo, dunque l'unica cosa che potessi fare per rimediare, era cospargermi il capo di cenere e andare da lei implorando perdono; sapevo che non era molto incline a darlo, però io ci avrei provato fino a che non l'avessi ottenuto.

Ma ovviamente, quel giorno, Lydia era assente.

La fortuna era proprio dalla mia parte.

Ciò mi diede più tempo per prepararmi un bel discorso per l'indomani, quando sicuramente l'avrei rivista. Tale pensiero mi tenne occupata per tutta la giornata cosicché non seguii nemmeno una lezione e non ebbi nemmeno idea di come arrivai fino all'ora di pranzo.

«Diana, sei pronta?» Alzai distratta il viso dal piatto cercando la fonte di quella interruzione, Scott.

Dopo il ballo tutto era tornato normale, come se non fosse accaduto nulla; purtroppo però il problema era che, a parer mio, qualcosa era successo.

«Uhm sì, certo. Non che abbia fatto chissà quale allenamento: onestamente sono qui solo per non essere bocciata in economia.» Mi misi a giocare distrattamente con il cibo: non che avessi alcuna voglia di partecipare a quelle stupide selezioni, ma ero obbligata.

«Sono certo che andrà bene» rimarcò Stiles con tono piatto, senza neppure guardarmi in volto.

Dal nostro ultimo incontro mi aveva evitata come la peste: i viaggi in macchina la mattina erano l'unico momento che passavano assieme e regnava di solito il silenzio più tombale; aveva persino cominciato ad accendere la radio per rendere il tutto più sopportabile.
Era diventato freddo, tanto che quel giorno quando gli avevo mandato un messaggio per dirgli se sarei andata a piedi, lui non aveva nemmeno risposto. E, alla fine, ero davvero arrivata a scuola per i fatti miei.

Scrollai le spalle liquidando l'argomento e, fortunatamente, Malia prese la parola.

«Programmi per le vacanze natalizie?»
Grazie al cielo l'allegra brigata cominciò a discutere di quello che avrebbero fatto, mentre io me ne restavo a rimuginare sulle mille domande senza risposta che mi frullavano in testa, intervenendo giusto quel tanto da non sembrare una completa asociale.

Il suono della campanella determinò la fine della pausa pranzo e l'inizio del mio incubo: presi un bel respiro e mi diressi negli spogliatoi per preparami alla battaglia.

«Come tutti sapete, Lacrosse non è un gioco qualunque in cui voi bambocci dovete solamente rincorrere una palla con una racchetta e tirare a segno. No, è molto di più. È uno stile di vita, un'arte e perciò non permetterò a nessuno di voi imbranati di mettermi in ridicolo durante una partita; a questo infatti servono le selezioni: a eliminare i deboli!» Il coach stava animosamente facendo un lungo monologo che per i miei gusti stava durando fin troppo e quando finalmente, dopo la dimostrazione degli attuali titolari, chiese dei volontari, io non esitai a farmi avanti: via il dente via il dolore.

Inizialmente facemmo dei semplici esercizi di agilità e velocità, nemmeno troppo impegnativi.

«Cameron, alza di più quelle ginocchia santo cielo e tu, nuova arrivata, hai due braccia giusto? Usale per fare qualche piegamento decente!» Si stava decisamente vendicando per il mio comportamento irrispettoso del giorno precedente e me lo meritavo.

Passò un'ora e ancora non avevamo toccato la racchetta, mentre in compenso eravamo sudati, stanchi e nervosi per i continui rimproveri da parte di Finstock.

Eravamo tutti sdraiati sul campo a riprendere fiato, quando il coach richiamò la nostra attenzione «Ricordate che prima ho chiesto dei volontari?» Nessuno si azzardò a rispondere e io mi maledissi per essermi proposta anzitempo. «Ho detto: ricordate che prima ho chiesto dei volontari? Dove sono i miei volontari?» sbraitò rabbioso.

Subito io, un ragazzo coi capelli rossicci e una ragazza parecchio bassa ci alzammo e, con immensa fatica, ci avvicinammo a lui.

I titolari e pochi altri spettatori erano sugli spalti a ridacchiare di noi e come dargli torto: ci stavamo facendo spremere come arance!

Adocchiai anche Malia avvinghiata a Stiles, Scott che mi sorrideva incoraggiante accanto a una ragazza asiatica che lo osservava adorante, i due ragazzi conosciuti il primo giorno e, ovviamente, Theo. Quel ragazzo era peggio del prezzemolo: lo trovavo sempre ovunque.

«Tu coi capelli rossi, in porta. Maglietta viola, in difesa mentre tu, nuova arrivata, in attacco. Poi a rotazione cambieremo le posizioni, a meno che uno di voi» e fissò me intensamente, «non faccia così schifo da dover essere rimpiazzato. Voi altri rimbambiti, formate delle squadre nel frattempo. Tutto chiaro?» Con sguardo minaccioso ci sfidò a replicare, cosa che nessuno fece.

Mi aveva davvero stufato il fatto che mi ritenesse un'inetta: gli avrei fatto vedere io come si giocava davvero a Lacrosse dalle mie parti e si sarebbe pentito delle sue continue frecciatine.

Ci mettemmo in posizione e attendemmo il fischio d'inizio che non tardò ad arrivare.
Impugnai saldamente la racchetta e mi lanciai verso la mia avversaria piccola, ma temeraria: ci mise mezzo secondo a disarmarmi.

Dannazione.

«Riprovate» sbuffò annoiato il coach. «E questa volta, nuova arrivata, cerca di non farti sottrarre la palla da sotto il naso, vedi di impegnarti di più!»

Mi rialzai determinata a fargli vedere di che pasta ero fatta.

Gli ulteriori tre tentativi fallirono miseramente, tanto che il coach si era messo a seguire altri gruppi, ma non mi importava: io ce l'avrei fatta.

«Voglio presentarti due persone.» Era riapparso chissà quando e tese una mano per togliermi gli attrezzi, per poi portarmeli  davanti agli occhi con scherno. «Nuova arrivata, questa è la palla che devi far entrare in rete. Racchetta, questa è la nuova arrivata che devi aiutare affinché faccia punto.» E con violenza me li rimise in mano, senza battere ciglio. In sottofondo sentii dei risolini; la mi faccia si tinse di viola. Dopo un attimo di sbigottimento da parte mia, proseguì: «Sei certa di voler continuare a ridicolizzarti così?»

Adesso basta, ero davvero arrabbiata.

Il portiere, che si era comodamente seduto per terra, si rialzò alla vista del coach e la mia avversaria rise sonoramente nel vedermi tentare l'ennesima volta.

Presi un bel respiro e mi focalizzai sul mio obiettivo: distruggere la difesa per centrare la porta, sbattendo in faccia al coach di non essere una perdente.

Mi sudavano le mani dentro gli spessi guantoni, il casco era leggermente largo così come la divisa, ma non mi importava: dovevo fare punto.

Ero pronta a farti il culo, Bobby Finstock.

Mi avventai con forza sulla ragazza di fronte a me, scansando appena in tempo la sua parata; questa, non contenta, si scagliò su di me sperando di bloccarmi in ogni modo possibile. Tuttavia io avevo qualcosa da dimostrare, perciò tesi i muscoli al massimo per correre più veloce di lei; ero decisamente diventata aggressiva cosicché, oramai in prossimità della porta, si fece da parte lasciando il povero per di carota da solo alle prese con me. Non esitai un secondo e lanciai la pallina contro di lui che, incapace di pararla, mi permise di fare centro.

Ci misi qualche secondo a realizzare di avercela fatta e, nel momento in cui accadde, urlai di gioia e saltellai in giro per il campo vantandomene.
Diedi un'occhiata veloce al coach che se ne stava con la bocca aperta e gli occhi che saettavano tra il cronometro che aveva in mano e la palla abbandonata in una angolo. Soddisfatta mi osservai in giro, cercando qualcuno che avesse da ribattere, ma tutto ciò che notai erano le espressioni esterrefatte dei miei amici - Theo compreso - contrapposte al boato di ammirazione che veniva dal resto dei presenti.

«Tu non puoi averlo davvero fatto, nuova arrivata» disse Finstock dopo essersi ripreso.

Rimossi il casco e fissai il mio sguardo nel suo «Il mio nome è Diana.» Detto ciò, mi diressi negli spogliatoi per cambiarmi e finalmente tornare a casa, ma venni bloccata dalle parole del professore di economia.

«Sei in squadra» bisbigliò nervoso.

Mi voltai incredula. «Che cosa?!»

«Ho detto che sei tra i titolari. Congratulazioni, la seconda donna in una squadra maschile.»

La mia bocca presto si spalancò. Ero incredula. «Ma io...»

«Vuoi passare la mia materia? Bene, ritieniti fortunata e presentati agli allenamenti. Questo è quanto.»

Non ascoltai nemmeno i nomi degli altri ragazzi che avevano passato la selezione e corsi via.

Io non volevo in alcun modo far parte della squadra ma anzi, volevo solo dimostrargli che ero capace nonostante lui mi considerasse un'imbranata.

E adesso?

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top