7. APPARENZE
Nuovo capitolo anche oggi, buon Natale a tutt*❤️ Prendete questo capitolo come un momento di pausa dal pranzo AHAHA
Team pandoro o panettone? Mostacciuoli o mpipatielli?
Vi lascio al capitolo ahah buona lettura❤️
La maggior parte delle persone
giudica ciò che vede.
Sono poche quelle che
comprendono chi sei.
Ti va di seguirmi? Ho un regalino da darti. Voglio dimostrarti che la luna ci segue ovunque noi andiamo, perché non ci abbandona mai. È la nostra amica più fedele. Solo grazie a lei, possiamo dire di essere sotto lo stesso cielo.
Seguire. Ho sempre pensato di dover seguire il mio punto di riferimento, mia madre, proprio come mi diceva lei, ma da quando una parte oscure di lei è salita a galla, ho smesso di farlo. Non ho più avuto fiducia nelle persone. Ho solo avuto il bisogno di avere tante amicizie ed essere sempre circondata da persone con le quali potevo fingere di essere felice.
Alle volte, non ho seguito neanche i miei stessi bisogni o pensieri... e sì, continuo a farlo ancora oggi, a distanza di quattordici anni.
I miei cinque anni, esattamente al compimento dei sei, hanno rappresentato una lenta discesa nel buio.
È questa la ragione per cui, invece di seguire il ragazzo dai capelli castano cenere nei boschi, mi guardo nervosamente intorno, nella speranza di scorgere le mie precedenti piste. Potrei individuare quelle di Koray appena incise dai suoi passi, ma ripeto: ho smesso di seguire gli altri.
Dopo una quindicina di minuti passati a guardare a terra e fare qualche passetto qua e là, apro il quaderno e arrivo alla prima pagina vuota. Ho bisogno di rilassarmi, prima di riprendere sul serio il cammino verso casa. Abbozzo la figura di uno strano ramoscello vuoto e rinsecchito, seguendo anche la sua insolita forma di triangolo con la punta spezzata e larga, quasi come se fosse la bocca di un lupo, dalla gola alla fronte, con la visuale di profilo.
Appena termino il mio semplicissimo ma simbolico disegno, raccolgo il ramo, e lo tengo in mano vicino al quaderno ormai chiuso. Lo conserverò nel quaderno non appena si asciugherà, perché la sua raffigurazione di lupo sta ululando alla luna, e lei è la sua forza.
Considerando il breve tempo che è passato da quando sono uscita dalla piccola casetta di campagna, racimolo il mio coraggio, e seguo le piste lasciate da Koray. È la mia unica via percorribile che non può sperdermi in posti ignoti della foresta.
Passo dopo passo, riesco a riconoscere l'albero dove ho fatto lo schizzo della volpe, ma più avanti comincio a sentirmi nuovamente spaesata, nonostante le piste siano sempre davanti a me.
Perché sto girando a destra? Non ricordo di aver preso questa uscita.
Seppur il terrore cerca di uscire allo scoperto, non perdo la speranza, e continuo ad andare in direzione delle grandi tracce. Qui, gli abeti sono più grossi e corposi, e la neve poggiata a terra ha un'altezza inferiore al resto della foresta. È una zona più coperta.
Proseguendo per un'altra ventina di metri, però, realizzo: questa non è affatto la strada di casa. Il mio intuito ci aveva visto bene: non dovevo girare a destra.
Faccio per retrocedere, ma vengo scaraventata a terra con violenza. Nello stesso instante, avverto uno sparo che sfreccia proprio sopra di me e della persona che mi sta schiacciando con il suo peso.
«Sei anche pazza, quindi?» Sbotta Koray, rimettendosi in piedi.
Non dico nulla mentre mi alzo da terra e tolgo la neve dal mio didietro. Mi ha salvata. Mi ha buttata a terra per proteggermi da uno sparo.
«Cosa sta succedendo?» Chiedo solo. Come faceva a sapere dello sparo?
«Ci sono i cacciatori da queste parti. Cosa ci fai qui? È la seconda volta che mi segui, oggi. Sei diventata il mio cagnolino da guardia?»
Non azzardarti a seguirmi, Linda. Non sei il mio cagnolino da guardia.
Scaccio dalla mente le parole di mia madre Kira. «E per la seconda volta ti ripeto che non ti sto pedinando. Dovevo tornare a casa e stavo seguendo le tue impronte, quindi mi sono ritrovata qui.» Mi giustifico. Sempre e solo la verità uscirà dalla mia bocca, perché è la cosa migliore per tutti.
Lui scoppia a ridere, ed io non posso fare a meno di pensare che sia una cosa decisamente fuori luogo da fare al momento. Cosa c'è di così tanto divertente in me?
«Peccato che c'erano le mie tracce sulla neve, perché sarebbe stato divertente cercarti nel labirinto. Sicuramente ti saresti persa.»
Nonostante la sua allusione all'ovvietà sul mio scarso senso dell'orientamento, una sola cosa detta dalle sue labbra cattura pienamente la mia attenzione: mi avrebbe cercata... ha detto che sarebbe stato divertente farlo.
«Oddio, non hai più la lingua. Kurt, gli dai la tua?» Chiama il cane poco distante da lui, mentre gioca non un ramoscello.
«Ce l'ho, la lingua.» Lo guardo male, e rivolgo di nuovo l'attenzione all'Husky bianco. Koray è in balia di scherzare e di essere ironico, e Kurt trova appetibile il quaderno. No, il mio quaderno.
Mi avvicino con uno scatto fulmineo al quaderno aperto alla prima pagina, un ritratto del ponte di Brooklin risalente al 20 luglio 2010. Avevo 8 anni, e New York è stata la mia prima meta di studio, dopo che mia madre mi aveva abbandonata. Era persino il giorno del mio compleanno... compivo sette anni, e sono stati l'inizio della rovina.
Ebbi il solo supporto di me stessa e di una persona che mi ha accompagnato ad ogni viaggio e spostamento fino al compimento dei diciotto anni. Non so il suo nome e non ho avuto più sue notizie. Non so neanche che ruolo impersonava con me. Ricordo soltanto che mi piaceva stare con lui, perché mi sembrava di avere il padre che non avevo mai conosciuto al mio fianco.
Chiudo il quaderno, interrompendo anche i miei pensieri, e recupero il ramoscello dalla bocca di Kurt, passandolo poi nella neve per togliere le tracce di bava.
«Però, perché non mi fai vedere il tuo quaderno?»
«Te l'ho detto: sono cose private che riguardano me.» I miei disegni non li vedrà mai nessuno. Nascondono il corso della mia storia attraverso i luoghi e le emozioni, e nessuno può comprenderla, se non io.
«Sembra una cosa molto importante.» La sua voce sembra farsi più dolce, quindi gli sorrido.
«Lo è.»
«Anche il rametto è una cosa privata?» Chiede ancora, guardando la mia mano allungata lungo il fianco destro.
Alzo il braccio e osservo la sua strana forma da un lato e dall'altro. «Si, è speciale anche lui.»
«Ma... sbaglio o sembra un lupo?» Nota, e per evitare domande o conferme alle sue teorie, alzo le spalle, facendo finta di nulla, quindi abbasso di nuovo il braccio e mi guardo attorno.
«Cosa ci fai qui, in questa sottospecie di covo? Vuoi farti uccidere?»
«Beh, ammetto di averci pensato.» Ridacchia, quasi chiaramente ironico. Lo è, vero? «Dai, dopo questa possiamo tornare a casa.» Si avvia.
Aspetta... ha detto possiamo? Io e lui? Vuole accompagnarmi a casa? Oddio, la domanda più grossa è: ha accettato la mia convivenza?
«Che fai lì impalata? Vuoi prenderti un malanno? Sappi che la mia idea di lasciarti fuori è sempre in circolo quindi, se non vuoi che venga messa in atto, devi ascoltare quello che dico.»
A questo punto, lo seguo. Almeno, qualunque sia il suo ragionamento, tornerò a casa, e potrò essere abbracciata dal calore del camino.
«Il tuo nome è...»
«Fammi indovinare. Vuoi dire particolare?» Mi interrompe.
«Simbolico. Volevo dire simbolico.» Ammetto, sperando di non essere presa per stupida per questa mia osservazione.
«Oh...» La sua voce è flebile. «Mai nessuno ha notato questa cosa.»
«Mi piace il tuo nome... è simbolico, e strano. Anche mio nonno si chiamava così.»
Accantono questo mio ricordo inesistente in un secondo, confusa. Ma che cosa dicevo, da bambina? La Norvegia mi sta portando a galla anche cose mai dette.
Sorrido, guardandolo, ma non riesco a dire più nulla. Ho paura di toccare tasti deboli, ed io sto cercando di conquistare la sua fiducia.
«Può lasciare a mille interpretazioni, il mio nome, ma prende origine dalla Turchia, e vale a dire "Luna crescente". Non so cosa ci abbia visto mia madre, ma ti assicuro che sono tutt'altro che una luna.» Il suo passo aumenta, forse per sfuggire all'imbarazzo delle sue parole appena confessate.
Io, dal canto mio, vengo rapita da quel che ha appena detto. Koray, Luna Crescente, Turchia... me?
«Ci sei? Devo arrivare a casa per sistemare il fuoco, se non vogliamo morire di freddo.» Si volta verso di me, istigandomi ad aumentare il passo. Non mi ero neanche accorta di star camminando più piano di una lumaca.
«Si, ci sono.» Colpevole la mia scarsa praticità nella neve, inciampo nei miei passi. Il ramoscello si impregna nuovamente di bianco e, se continuerò così, il mio quaderno finirà nel bidone. Sta assorbendo talmente tanta umidità che le cose che ci sono all'interno rischiano di cancellarsi, e non voglio che finisca come succede con i miei eventi più traumatici.
Contrariamente alle mie aspettative, il ragazzo "luna" mi raggiunge e aiuta a rimettermi in piedi. «Certo che sei proprio un'imbranata. Stai facendo il record di tutte le cadute che ho visto in vita mia, e in un unico giorno.» Mi prende in giro, ridacchiando. Mi correggo, dovevo aspettarmi la sua ironia.
Resto in silenzio, mentre mi rimetto in sesto, e lui recupera le mie cose da terra. Cavolo, il quaderno è aperto.
«Disegnare non è una cosa sbagliata.» Commenta, lasciandomi interdetta e terrorizzata. Non vuole indagare, giusto? «Non giudico le passioni delle persone.»
Mi restituisce il quaderno, ed io mi lascio scappare un sospiro sollevato. Si è fermato all'apparenza. «Qualunque sia il significato, deve essere piuttosto importante. Aspetta, nascondi qualcosa di oscuro?»
Come non detto.
«Ovvio che no, sono solo schizzi.»
Nonostante la mia bugia detta in buona fede per proteggere me stessa – e soprattutto i ricordi ai quali non voglio pensare - lui se ne accorge.
Le bugie sono facili da individuare, infatti lui annuisce, poco convinto, ma almeno riparte, lasciando in sospeso qualsiasi cosa pensava di continuare.
«Se non arriviamo a casa fra tre minuti, resti fuori.» Annuisco, consapevole di non poter essere vista, e lo seguo. Questa volta non fa caso a tutte le mie cadute: continua a pensare a sé stesso. È tornato ad essere quello di prima, il Koray distante e apatico.
Nel più totale silenzio, la mia mente riporta a galla i disegni precedenti a questo quaderno, quello che ho preferito lasciare chiuso.
Beh, non erano proprio dei disegni, perché raffiguravano degli scarabocchi muti, che tacevano tutte le sofferenze accusate con la donna che mi ha cresciuta per i primi sette anni.
Pensavo di aver trovato la mia, di luce, ma era tutta una menzogna. La luce sono io, o almeno devo provare ad esserlo per sopravvivere.
«Mi dispiace, Lin. Sei arrivata troppo tardi.» Mi chiude la porta d'ingresso, lasciandomi senza parole.
L'ha fatto sul serio? Dovevo aspettarmelo, considerando il ritorno della sua indolenza. Resto lì, impalata, senza fare nulla. Mi ha chiamato Lin? Molto probabilmente ha perso la testa. Nessuno mi ha mai chiamato così.
Cosa stai facendo, Linda?
Rettifico, nessuno mi ha mai chiamato Lin, ma la donna della mia infanzia – la mia madre adottiva - mi chiamava Linda. Non ho mai capito la ragione di quel nome, ma le piaceva e lo usava sempre con me. Era come un continuo dell'originale.
Aspetto, ma la porta resta chiusa. Questo ragazzo è impossibile.
Dei tocchi delicati, seguiti ad un verso felice, colpiscono il mio piede destro. Non mi serve abbassare la testa, per capire che si tratta di Kurt che ha voglia di coccole. Mi chino, e gli accarezzo il pancino dal pelo grigio. «Arrivi sempre in soccorso della mia solitudine, tu.»
«Wouf.» Mi faccio scappare una risata per la sua risposta.
«Tu che dici, bussiamo alla porta e lo facciamo arrabbiare?» Rido da sola per la mia domanda, ma Kurt sembra capirmi e si alza. Mi alzo anche io e sospiro, per poi bussare. Mi aprirà?
«Devi restare fuori. Puoi portarmi un po' di legna?» Lo sento gridare da dietro la porta. Ma... quanto è stronzo da uno a Koray?
«Kurt ti sta aspettando.» Provo e attendo la risposta. Non tarda ad arrivare, perché la porta si spalanca subito dopo, guadagnandosi i saltelli entusiasti e la coda scodinzolante del cane.
Il ragazzo guarda me, poi il cane, e poi di nuovo me. «Ti diverti ad utilizzare Kurt come scappatoia?»
«È la mia salvezza.» Gli rivolgo un sorriso a trentadue denti, e lui distoglie lo sguardo. Fa così schifo?
«Vi siete tutti coalizzati contro di me per prendermi in giro.» Si sposta dall'entrata di casa, e Kurt entra sculettando.
Entro anche io, chiudendo la porta. «Io non conoscevo nessuno, prima di arrivare qui. Come posso coalizzarmi contro di te?»
«Lo stai facendo ora.» Ridacchio al suo sguardo torvo, ma non nego. In effetti, il fatto di voler guadagnare la sua fiducia è come allearsi contro di lui.
Dopo aver riposto il giubbotto sullo stendino, porto le mie cose in camera, custodendole con cura sulla scrivania. Cambio i vestiti umidi, indossando una tuta calda celestina - mi è stata riportata soltanto la valigia piccola, quella che avevo lasciato nella macchina noleggiata - e torno nel salone, dove mi siedo davanti al camino per incorporare un po' di calore. Questa volta mi metto un po' più distante, per evitare i carboni sulle mani. La vescica ci sta, sul palmo, ma sta passando a tempo suo.
«Ti va se preparo qualche piatto francese?»
Il ragazzo alza il volto dal suo cellulare, ancora accomodato sul divano. «Tu sai cucinare?»
«Beh, non proprio. Non ho più avuto una fi... no, più che altro, avendo vissuto in più parti del mondo, ho osservato ogni momento in cui qualcuno cucinava. Credo di aver saputo rubare qualcosa del mestiere.» Finisco per ridacchiare, per dimenticare quello che stavo dicendo all'inizio. Spero che lui non mi abbia neanche sentita.
«Questa è la risposta più folle che abbia mai sentito. Non puoi rubare il mestiere senza praticarlo.» Ride anche lui, ed io sospiro, sollevata. Devo tenere più cucita la bocca, ma mi è andata bene.
«Chi ti dice che non ho mai fatto qualcosa in cucina?» Alzo un sopracciglio, divertita per la piega che ha preso la conversazione. Posso contarle sulle due mani le volte che ho cucinato un pranzo completo, ma l'ho fatto.
«Perché ti sei bloccata, quando stavi dicendo che nessuna figura ti ha insegnato a cucinare?»
Sgrano gli occhi. Mi ha sentita...
Abbasso il capo e non parlo. Come posso giustificarmi?
«I tuoi genit-»
«Non sono qui per parlare di me.» Lo interrompo, parlando di scatto. Voglio evitare questi discorsi. Sono una peste.
Mi alzo, e vado in cucina. «Preparo la Quiche Parigina. Posso dimostrarti di saper cucinare.»
Mi metto all'opera per coprire una teglia con la sfoglia di pasta brisée e tagliare l'interno di prosciutto cotto e gruyère. Metto la besciamella, mescolando l'interno e copro con un'altra sfoglia, ed infine metto la teglia nel forno acceso a 180 gradi. Lo sorprenderò.
Apparecchio la tavola per due, e lancio un'occhiata al salone, ma lui non è più seduto sul divano. Al suo posto c'è Kurt che dorme beatamente. Forse è andato in camera sua a cambiarsi.
Subito dopo lo guardo passare come una furia davanti alla cucina. «Hey, qui è quasi pronto.» Urlo per attirare la sua attenzione.
«Non mi importa, ho da fare.» Gli sento dire, e subito dopo la porta di casa emette un botto assordante e persino Kurt si spaventa.
Ma... ho detto qualcosa di sbagliato?
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