4. POLARE

Gli orsi polari amano la luce

del giorno. Rappresentano

il legame tra cielo e terra.

Tra positivo e negativo, incarna

la forza, il coraggio e la gentilezza,

ma anche la brama e la brutalità.

«Vorrei vederti morta. La morte è la fine di una vita, e l'inizio della quiete. Tu devi morire, per me. Solo così, potrò avere la mia tranquillità.»

Il cantare degli uccelli, i colpetti dei picchi, i fischi delle cicale... tutto, qui, riporta alla tranquillità, e il freddo non abbatte nessuno. Io, invece, vorrei poter dire che non mi lascio avvilire, ma non sarei onesta con me stessa. Sono buona, anche troppo, e gli altri mi vedono come sbagliata. A volte le parole che mi rivolgono fanno talmente male che uccidono un pezzetto di me. Non so quanto sia rimasto, ma spero di riuscire a resistere ancora qualche anno. Io amo la vita, e non posso far vincere chi vive di invidia. Dimostrerò di essere degna di stare qui anche con il mio buon cuore.

La prima cosa che vedo, appena apro gli occhi, è il cielo completamente bianco. Anche se in questo caso vuol dire che è sul punto di nevicare, non riesco a non pensare a ciò che simboleggia il bianco: purezza, pace, un nuovo inizio. Mi amplifica la speranza che non perdo mai.

Mi alzo da terra con facilità, rendendomi conto di non essere congelata come prospettavo, nonostante gli apparenti sette gradi sotto lo zero. Anzi, ho persino caldo. Gli incubi giocano brutti scherzi, a quanto pare.

Raccolgo la mia roba, ma prima di andare via, faccio un tentativo, quindi mi ritrovo davanti al portone di casa a bussare, sperando di essere aperta. Non ho neanche le chiavi, avendole lasciate all'interno, e non mi va di fare la prepotente. Devo solo tenere fede alla speranza.

«Ma ciao, ti sei accampata bene lì fuori.» Mi prende in giro, con il suo sorrisetto sghembo. Ora che è giorno, riesco a vederlo meglio, e non posso fare a meno di notare i suoi occhi. Sono stranissimi, ma affascinanti, e i suoi occhiali dalla larga montatura contribuiscono alla sua rarità. La cosa particolare è che sono diversi: uno è di un celeste lucente, quasi vetro, e l'altro è molto più scuro, di un marrone cupo. Ha anche delle labbra piene, ma non troppo... piene al punto giusto. Gli zigomi sono pronunciati, la mascella squadrata, e i capelli leggermente riccioluti, di un castano cenere, sono come ieri, solo un po' più scompigliati. Gli occhi, però, ripeto che sono la fine. Mi ci perdo nel suo mare travagliato, fatto di quiete e tempesta. È...

Interrompo i miei pensieri sul nascere. Non sono qui per lui, ma per me. «Non ha fatto molto freddo.»

Come risposta, lui scoppia a ridere ironicamente. «Eh, grazie.»

Sembra quasi voglia alludere a qualcosa, ma cosa?

Non importa. «Posso entrare dentro adesso?»

Lo sto quasi pregando, e sicuramente, conoscendo come sono fatta, è proprio quel che sto facendo.

«No.» Mi schernisce. «Pensavi che sarebbe bastato dormire fuori, per accaparrarti un posto in casa? Ovvio che no. A meno che tu non voglia offrirmi qualcosa, niente sarà abbastanza.»

Resto a fissarlo, sconcertata. Ma... ieri sera? Forse ho davvero sognato dopo infinite notti fatte di incubi. «Io non ho fini, ho solo bisogno di una casa, e l'agenzia mi ha dato questa.» Riprovo. Devo tenere a bada la mia voce, perché si sta incrinando. Mi prenderà per una bambina.

Il suo cane mi raggiunge all'entrata, saltandomi addosso in segno di saluto, e questo gesto mi strappa un sorriso. Inutile a dirlo, il cane è il vero migliore amico dell'uomo.

«A me non interessa. Risolviti questa cosa, ma qui non ti voglio vedere.» Per la seconda volta in ventiquattro ore, questo ragazzo - del quale non so neanche il nome - mi sbatte la porta in faccia. Come fa un ragazzo così bello, lo stesso della foto strappata, a comportarsi in modo così antipatico?

Delusa, agguanto la maniglia del bagaglio, e mi allontano dalla casa, stringendomi nei miei vestiti caldi, nella speranza di ricevere più calore. Mi servirà, se devo passare un'intera giornata all'aperto, senza considerare la notte trascorsa.

La prima cosa che mi salta in mente di fare, dopo aver noleggiato una macchina, è dirigermi a Nordkapp. L'aria di mare, e dei ghiacciai, può aiutarmi. Non ricordo nulla della Norvegia, e la prima cosa che vorrei vedere è il punto più nordico della Terra, dove la luna è più vicina.

Come mi aveva spiegato la mia amica in Francia, questo posto offre una marea di cose da fare e da vedere, e soprattutto è la dimostrazione che ci sono animali che possono vivere nel gelo. Persino, ci sono pescatori che riescono a mettere in atto il loro lavoro anche in inverno.

Lungo il lento tragitto, non posso fare a meno di guardarmi intorno. Le strade sono ghiacciate ma abbastanza pulite, le montagne sfoggiano il loro immenso bianco neve sui pineti, e i negozianti puliscono le entrate delle loro botteghe o boutique. Intravedo cani ovunque, per la maggior parte razze norvegesi con nomi particolari, ed è imprescindibile pensare di stare nel regno dei cieli: la forte luce, i miei animali preferiti, la luna, il ghiaccio... tutto ciò che amo. Ci manca solo l'arte...

Tra spostamenti a destra e a sinistra nel paese nevoso, mi ritrovo costretta a fermarmi in un locale dall'aria rustica. Il freddo si sta facendo sentire davvero troppo, non so ambientarmi alla grande con i cartelli, ed io non ho neanche avuto il tempo per abituarmi. Il caldo artificiale del fienile mi risolleva, facendo tornare attivi i miei movimenti.

Eppure, durante la notte non ho avuto freddo. È possibile che nelle tenebre fa più caldo che durante le ore solari?

Alla vista delle persone che mangiano, nonostante il quarto d'ora che manca all'1:00 pm, la fame comincia a farsi sentire, sicché ordino un brunch da poter mangiare fuori, da asporto, a base di focaccia e salmone tipico della Norvegia, l'affumicato Gravet Laks. A tempo debito proverò qualcosa di nuovo, anche se mangiare carne animale non è il mio forte, considerando la forte simpatia che provo verso di essi.

«Scusa...» Una voce particolarmente calda e squillante mi parla nelle orecchie. «Devi essere la francesina, giusto?»

Pensavo che i nuovi arrivati si riconoscessero soltanto nelle scuole. «Non sono francese.» Ci tengo a precisare di non esserlo, perché sono stata a Parigi e il resto della Francia solo per due miseri anni, in confronto ad altri 17 anni passati in altri posti.

«Non ti ho mai vista da queste parti. Non sei Ailee?» Se sta attuando qualche strana tecnica, è partito con il piede sbagliato... ha sbagliato il mio nome.

«Mi chiamo Aylin.»

«Wow, è più bello di come avevo capito, proprio come te.» Mi rivolge un ampio sorriso, quasi fascinoso, che però non mi fa nessun effetto. Prendo la mia ordinazione appena pronta, e mi avvio verso l'uscita dopo aver rivolto un sorriso di cortesia al ragazzo biondo platino, con i riccioli e l'acconciatura molto simili al ragazzo della casa, e gli occhi chiarissimi, forse di un azzurro che non si distingue molto dall'acqua.

«Aspetta, ti raggiungo.» Rallento il passo, per permettere a lui di mettersi al mio fianco. Le amicizie non si negano, e sono contenta di aver ricevuto un input per crearne una. «Sono Serkan, il tuo capo.» Mima il saluto da militare, guadagnandosi una mia occhiata stranita. Che cosa significa? Io non ho nessun capo da dover seguire, perché neanche so dove cercare lavoro. Mi sta ricordando che devo trovare un vero impiego, per essere accettata in questo paese?

Rendendosi conto della mia confusione, scoppia in una fragorosa risata, poggiando la mano destra sulla mia spalla. «Sto scherzando. Semplicemente il mio è un nome turco che significa capo, ma solo perché sono il primo figlio. Ironia della sorte, però, credo di esserlo, perché ti sei rivolta alla mia agenzia per prendere casa.» Mi spiega, ed io lo guardo sconcertata. Non riesco a capire se è serio o sta solo scherzando. In risposta, ridacchio semplicemente.

«La Real Homie Estate è attiva dai tempi antichi, e sotto le mie mani sta ampliando il servizio anche all'estero, infatti sono contento di aver potuto offrirti un posto.»

Sorrido, ma non riesco a collegare. Mi ha dato una casa già intestata, e non riesco a farglielo presente. Non voglio smontare la sua felicità. Risolverò in qualche altro modo, sperando di trovarne uno.

Ci incamminiamo lungo le strade lucide, facendo molta attenzione a non fare qualche movimento avventato che possa provocarmi una scivolata dolorosa. Nello stesso tempo, però, presto attenzione alle parole del ragazzo. È una piacevole compagnia.

«Come mai hai scelto la Norvegia per il prossimo soggiorno linguistico?» Chiede, curioso come non ho mai conosciuto nessuno.

«Veramente, oltre allo studio della lingua, credo di voler restate qui.»

«Bella idea, la Norvegia è più delle aspettative.»

Sorrido, semplicemente perché concordo con il suo pensiero. L'ho sempre pensato, questo posto ha qualcosa di unico, solo suo.

«Da dove vieni, se anche la Francia era solo una meta di studio?»

«Non...» Sei ignota. «Non...»

«Uh, riesci a vedere l'orso polare dall'altra parte degli scogli?» Mi indica l'oceano, e prima di seguire la sua traiettoria immaginaria, sospiro.

Non è una dinamica tranquilla da pensare, quella precedente.

«Gli orsi polari amano la luce del giorno.» Mi spiega, vedendo la mia espressione singolare. «Rappresentano il legame tra cielo e terra. Tra positivo e negativo, incarna la forza, il coraggio e la gentilezza, ma anche la brama e la brutalità. Trasmette resilienza, e conferma che le cose opposte si completano.»

Ogni parola è come un ago pungente.

Sei ignota.

No, non ci credo. Solo i simili sono in grado di capirsi e starsi vicino. Il lupo sbrana gli animali più deboli, e non c'è verso di cambiare le cose. Gli opposti sono due linee parallele, destinate a non incrociarsi, e se succede, vuol dire che uno dei due ha deviato e ha fatto un incidente. Non finisce bene per nessuno.

Prendo come esempio la favola dei fratelli Grimm, il Lupo e la Volpe. Il lupo mangia la creatura più piccola e indifesa oppure, nella storia originale, la volpe inganna la creatura più forte. È una chiara rappresentazione che gli opposti non hanno successo.

Magari Serkan non alludeva alle persone, ma anche solo ai puzzle. Io, però, non riesco ad evitare questo collegamento. La mia mente mi porta sempre al passato, e questo non fa altro che invischiarsi nel presente in temi che me lo ricordano.

«Il loro pelo sembra essere fatto di seta.» È il mio unico commento, quindi riprendo a camminare. Senza dire altro, gli faccio capire che voglio andare altrove. Nonostante il mio inconscio sia vagante, continuo a guardarmi intorno. C'è neve e ghiaccio ovunque, eppure riesce a non essere stancante.

Nel frattempo, Serkan continua a spiegare cose sopra ad altre sulla storia della Norvegia e di ogni sua regione, ed io sorrido, non sapendo cosa dire a parole. Ora capisco perché fa l'agente immobiliare: ama questo paese come se fosse la sua ragazza, e conosce ogni angolo e persino ogni vicolo cieco. È un appassionato norvegese, a quanto pare.

«Come giorno di riposo, comunque, non è stato affatto male. Dovrei permettere più spesso alle persone provenienti dall'estero di affittare case in Norvegia. Ho passato un pomeriggio pieno ma tranquillo. Grazie, Aylin.» Mi dona un piccolo ma caldo abbraccio, che crea contrasto in tutto questo gelo che mi ha intorpidito le mani. «Credo di averti fatto perdere un sacco di tempo con le mie chiacchiere inutili, quindi mi sento in dovere di farti un favore. Posso accompagnarti a casa? Non mi va di lasciarti sola, perché ancora non conosci questo posto, e una guida potrebbe farti comodo.»

Oh, ed ora cosa gli dico? Se mi accompagna, scoprirà che il proprietario mi ha cacciata fuori. Non posso permetterlo, ho detto che avrei risolto la questione in un altro modo. «Tranquillo, non ce n...»

«Sh, te l'ho chiesto per cortesia, ma non voglio una risposta, perché non ti lascio decidere. Il tour deve ancora finire, quindi ti accompagno io.» Insiste.

«Ma ho preso la macchina...» Cerco di battere.

«Chiamerò l'autonoleggio per avvisarli del ritardo, e passerò a prenderla più tardi.»

Mi mordo la lingua e le guance. Come faccio, ora, a spiegargli che nella macchina c'è la mia unica valigia, e non posso lasciarla lì? «Andiamo, dai. Ti porto al caldo in poco tempo.» Mi avvolge le spalle con un braccio, e i miei occhi si fanno lucidi per la frustrazione.

Sei un'ingrata. Ingenua. Bambina viziata.

Come posso essere così stupida da lasciare il mio unico bagaglio superstite in una macchina che non è neanche mia? Tento di divincolarmi dalla presa, ma non riesco nell'intento. Sono delusa da me stessa, come sempre.

Durante il tragitto verso casa, non faccio altro che guardare fuori dal finestrino. Gli alberi scorrono velocemente, proprio come la vita. Un attimo prima hai il mondo, quello dopo non ti resta niente.

Davanti alla dimora, sono indecisa sul da farsi, ma apro lo sportello e salto giù dal pick-up. «Grazie per il passaggio, comunque.» Mi mostro quanto più grata possibile, cercando di camuffare il lato negativo.

«Prego, francesina. Ci vediamo presto, ed è una promessa.» Ridacchia, strappandomi un sorriso, quindi, con il timore in gola, arrivo al portone e passo qualche secondo a rimuginare, prima di battere tre volte il pugno.

Il ragazzo riccio scuro apre la porta, e si strofina gli occhi mentre cerca di capire chi sono, restando però impassibile. «Ti prego, dimmi che posso entrare... ho bisogno di un bagno.»

Lui guarda me, poi guarda dietro di lui, all'interno della casa, e poi di nuovo me, fino a sbuffare sonoramente. «Entra e muoviti. Solo perché non voglio avere sulla fedina penale la tua morte.»

Lo guardo, sconvolta. Ha detto che posso entrare?

La conferma arriva quando lui si sposta di lato senza sbattermi la porta contro il naso, quindi non perdo altro tempo ed entro nella casa. Subito dopo il calore del camino mi abbraccia. Sta per chiudere la porta, ma si blocca.

«Kore mio.»

«Vai a fare in culo, Serkan. Sapevo che dietro a questa cafonata c'era il tuo zampino.»

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