35. ARTE

Da un oggetto

può nascere un disegno.

Dal disegno,

può nascere una scultura.

Dalla scultura nasce l'arte.

Dall'arte nasce tutto.

«Un giorno me li farai vedere tutti questi disegni?» Mi chiese Mister Douglas, mentre attendevamo la partenza del nostro aereo, diretto in Spagna, esattamente a Oviedo, nelle Asturie.

Strinsi il quaderno contro il mio petto. «Non lo so. Tu ci sarai sempre, con me?»

«Certo che ci sarò. Mi piace starti accanto, ed è bello vederti fare quello che ti piace.» Mi rispose, quindi io mi rilassai, allentando un po' la presa.

«Va bene, allora. Quando farò un disegno degno di essere visto, te lo mostrerò.» Fissai la copertina, e quella coppia davanti alla luna mi sembrò quasi muoversi fino a baciarsi. L'ombra raffigurata era stupenda, così come la grande luna dietro di loro.

«Prima di andare nella mia vecchia casa, devo chiederti una cosa urgente, anche se non credo che tu sia d'accordo.» Mi avverte, mentre sfreccia con la Cross sulle strade ancora un po' ghiacciate. Ha cominciato di nuovo a nevicare, ma non cadono molti fiocchi.

Guardo la sua mano sulla mia, e poi guardo il suo volto rivolto verso di me, confusa.

«Se non mi dici quello che devi, non puoi sapere se sarò d'accordo o meno.» Rispondo, ovvia.

Sorride, consapevole della mia ragione. Spero di poter soddisfare qualsiasi cosa lui mi chieda. Per lui attraverserei mari e monti, pur di averlo al mio fianco.

«Non so come chiedertelo, perché sono convinto che non ti piacerà.»

Cosa sarà di così drastico da non piacermi? Per quanto mi riguarda, non sono una ragazza selettiva o antipatica.

«Non credo, ma se non chiedi non saprai mai la mia risposta.»

«Ma non so neanche cosa dire per non risultare prepotente.» Ribatte, ridacchiando.

«Prova a fare come se dovessi prendere uno sciroppo orribile.»

«Ovvero?» Assume un'espressione quasi schifata.

«Devi farlo tutto d'un colpo, senza pensarci.»

«E cosa c'entra con quello che devo dire?» È confuso, ma la risposta è semplice.

«Hai detto di non sapere come chiedere, quindi non pensarci e dici quello che vuoi tutto d'un fiato, quasi senza rendertene conto. È l'unico modo fattibile.»

Mi fissa per un momento, mentre poi riporta il suo sguardo alla strada. Sbaglio o sta andando verso casa nostra?

Lo sento fare un profondo respiro, e le sue parole successive mi colpiscono come un uragano.

«Devi darmi il tuo quaderno dei disegni.» Tira fuori in un secondo.

Lo guardo, scioccata. Come sarebbe a dire che devo dargli il mio album dei disegni? È l'unica cosa che custodisco con tremenda gelosia.

«Vedi, lo sapevo che sarei apparso come un prepotente.»

«Ehm... un pochino sì.» Ammetto, ridacchiando.

Non... di solito non dico di no alle richieste, perché chiedere una cosa per cortesia è un grosso gesto da ammirare.

Ma ora? Non so proprio come comportarmi.

Insomma, i miei disegni sono privati, perché ad ognuno ci ho affidato una descrizione che rappresenta anche me.

Racchiude i punti più nascosti del mio essere;

Cela il dolore provato nel corso degli anni per la mancanza di una famiglia;

Occulta i pianti fatti alla fine di ogni schizzo, perché molte pagine sono un po' rovinate dalle chiazze delle lacrime;

Nasconde quel che io penso dell'unica persona che mi ha rapito il cuore, ovvero lui.

Non credo di poterglielo dare.

«Cosa ci devi fare, con il mio album privato?» Chiedo, per non saltare subito ad una risposta negativa.

Non credo di cedere, in questo caso, ma vorrei almeno sapere che intenzioni ha. Cosa c'entrano i disegni, poi, con la sorpresa che vuole mostrarmi? Riguarda lui o me?

Nei suoi occhi vedo scorrere un barlume di speranza. «N-non vorrei spoilerarti quello che voglio mostrarti più tardi, ma a che fare con i tuoi disegni.»

Resto un po' stupita dalla sua risposta. Insomma, in che senso potrebbe riguardare i miei disegni? Non li ha neanche mai visti. O forse sì?

«Io... continuo a non capire.» Ammetto, con una lievissima risata.

«Te l'ho detto: non posso anticiparti di cosa si tratta. Te lo chiedo in ginocchio, anche se sto guidando, e ti assicuro che non te ne pentirai. Nel caso non fosse così, non ti direi che è una sorpresa, ma un incubo.»

La sua voce è chiara, e soprattutto non ha una vena scherzosa nascosta. Sta cercando davvero di convincermi con tutto sé stesso.

«Non so se voglio che tu lo veda.» Ammetto, con un tono di voce molto basso.

«Linny, non sto a giudicare i tuoi modi di usare una matita su un foglio. Tu sei tu, e senza dubbio anche i tuoi disegni rappresentano qualcosa di te e qualche tua particolarità. L'arte, come qualsiasi altro hobby, rappresenta uno sfogo soppresso, e rappresenta proprio quello che non riusciamo ad esprimere a voce.»

Il fiato mi si blocca in gola, appena lui finisce di parlare e accosta davanti al vialetto di casa. Lo guardo, sorpresa ma anche un po' spaventata.

Non so se avere paura di questo suo aspetto, ma Koray mi comprende anche senza conoscermi appieno. Ha descritto perfettamente quello che rappresenta l'arte per me: uno sfogo per esprimere parole non dette.

Una piccola lacrima mi sfugge dall'occhio destro, e siccome sono voltata verso il posto di giuda, lui la nota e, con un piccolo sorriso sul volto, la asciuga.

«Che c'è? Pensavi che uno stronzo bipolare non sapesse cosa fossero le valvole di sfogo?» Chiede con ironia e scioltezza nella voce, facendo ridacchiare anche me.

«No...»

«E cosa? Che sono un pazzo senza cuore?»

«No.» Rido di nuovo.

«Oh, ho capito... sei colpita dalle cose che riesco a capire di te.» Centra il punto esatto, facendomi arrossire.

È imbarazzante ammettere di essere stupita, a maggior ragione se si tratta di una cosa che ti fa sciogliere l'anima. È così, però... lui riesce a toccare i tasti più profondi di me e stupirmi della delicatezza che usa in mezzo alla sua apatia.

«Sì... nessuno ha mai osato intromettersi nella cosa che proteggo con più cura. Rappresenta ogni mia sfaccettatura, comprese quelle che mostro raramente nella vita reale.» Come il fastidio, quel che non riesco a tramutare in odio. «Per me l'arte è come leggere un libro: posso essere una persona che non sono senza averne paura.» Ammetto, guardando le sue mani che si appoggiano sulle mie.

«Lo so, perché è lo stesso che provo io. So di averti detto che la detesto, ma fra un po' capirai perché l'ho fatto.»

La sua risposta, mista tra verità e tristezza, mi arriva dritta nel cuore. Anche lui ama l'arte per le sue grandi capacità di liberazione? È per questo che capisce ciò che provo...

«Quindi la tua risposta resta un no?» Domanda infine, guardando le mie labbra che non accennano ad altre parole.

Lo studio per qualche secondo, ma senza neanche rendermene conto, mi ritrovo a sorridergli. «Aspettami qui per un secondo...» Esco dall'auto senza sentire obiezioni o domande varie, e continuo diretta verso il portone prima di cambiare idea.

Appena raggiungo la mia camera, afferro subito il quaderno nascosto sotto una montagna di libri sulla scrivania, e lo apro all'ultima pagina.

Fisso l'ultimo disegno con un'espressione ansiosa ma anche imbarazzata sul volto. Il volto rilassato di Ray, mentre dorme, mi scava nel profondo, tatuandosi nelle particelle più nascoste di me. Leggo la descrizione lasciata in sospeso e... no, devo assolutamente cambiarla. Se dovesse vedere questa pagina, voglio che gli trasmetta un messaggio positivo che possa ricordare, facendolo sorridere.

Con la gomma rimuovo le lettere scritte a matita, ed incido le parole definitive con una penna nera, in modo da non poterle cambiare.

"Solo nei momenti di riposo, puoi capire se un lupo può essere buono, o resta un lupo cattivo. Koray Makay, lupo che ulula alla luna, cerca solo aiuto e comprensione. Io l'ho capito dall'inizio, ma questa è la mia conferma."

Non è una descrizione a mo' di poesia, ma racchiude quel che Koray deve sapere di sé stesso. Chiudo il quaderno, soddisfatta, e metto da parte ogni paura che insorge mentre ritorno alla Cross bianca.

Il cuore dentro di me palpita all'impazzata, e credo che lo percepisca anche Ray al mio fianco, mentre rimette in moto il motore.

Ho la testa china, fissa sul mio album, con la copertina che raffigura l'ombra di una coppia, faccia a faccia, davanti ad una grande luna luminosa e la neve sparsa ai loro piedi.

Lo sfondo quasi boreale mi rapisce ogni volta che mi ci soffermo: è come se il destino avesse sempre cercato di comunicarmi che la Norvegia è il mio posto.

Sorrido, cercando di nasconderlo. Sicuramente è una cosa imbarazzante da far vedere al ragazzo seduto al posto di guida. Insomma, lui non è un tipo da coppie di innamorati...

«Carina la copertina.» Commenta, ridacchiando.

Visto? L'ho detto, mi sta prendendo in giro.

Le mie guance diventano un fuoco di vergogna, e rido per mascherarlo, voltando la testa verso il finestrino.

Prima di ripartire, però, le sue mani calde afferrano il mio mento, voltandomi verso di lui per guardarlo negli occhi. Se fosse possibile, le mie guance scoppierebbero in pozzi di sangue bollente.

Lo osservo mentre lui incrocia il mio sguardo con insistenza, e un sincero sorriso si dipinge sul suo volto. Senza neanche accorgermene le sue labbra si stampano sulle mie in un bacio rubato, sorprendendomi. Mi sento incendiare, e vederlo ritornare al suo posto, come se nulla fosse successo, mi crea una sensazione di vuoto incolmabile. Sono costretta a guardare avanti a me, respirando profondamente, per calmarmi.

L'inizio del "viaggio" prosegue nel silenzio, accompagnato dai respiri molto profondi. Non capisco cosa lo stia turbando, ma si sta sforzando per non scoppiare. Probabilmente, non si sente pronto a mostrarmi una parte di sé.

«Ray...» Pronuncio il suo nome con timore. Non voglio turbarlo ancora di più.

Non mi risponde, quindi riprovo: «Ray, non sei obbligato...»

Si volta verso di me in uno scatto. «No.» La sua voce esce fuori in un colpo secco, e si placa subito dopo, appena se ne rende conto. «Non sei tu ad obbligarmi. Sono io che sto insistendo me stesso, perché non voglio lasciarti più in disparte in questo.»

Sorrido per la sua ammissione, grata. Sta cercando di mostrarmi fiducia.

«E poi... c'è una cosa che devo farti assolutamente vedere. Non ci crederai mai.» Continua, fiero di sé.

Mi lascia un po' incredula, ma soprattutto piena di dubbi. Cosa potrebbe mai aver fatto da non poterlo credere possibile? Non ho nulla che mi salta in mente.

Poco dopo - nonostante la mia mente fra le nuvole, intenta a ragionare sulle possibili cose che voglia farmi vedere - accosta la macchina in un vialetto.

Lo osservo scendere dalla macchina - cosa che faccio anche io subito dopo - e ci avviamo verso la foresta.

«Ti piace camminare?» Gli domando, per evitare di torturare ancora il mio cervello. Non posso continuare ad immaginare le possibilità, per poi vedere la verità e restarne delusa. Quel che sarà, senza dubbio mi piacerà. Stop.

«Sì... insomma, non lo facevo spesso da piccolo, ma io, Hailey e Günes passavamo i pomeriggi tra la foresta, e andavamo sempre a trovare Serkan a lavoro. Da quando lei non c'è più...» Ingoia un po' di saliva. Non pronuncia il nome di sua sorella alla fine, perché già farlo per una volta è tanto. «... avevamo smesso di farlo. Lei, Nes, non so come passa le giornate, adesso. Io invece, da quando sei piombata in casa mia, ho ripreso ed ho realizzato che è un ottimo modo per liberare la mente e rilassarsi. Avevo dimenticato la pace che si prova stando fra gli alberi pieni di neve.» Spiega, ed un piccolo sorriso gli si forma sulle labbra.

«Anche adesso hai bisogno di svagare la mente per sentirti più tranquillo?» Annuisce, con la testa china. È agitato - per quel che vuole farmi vedere - e lo si nota molto facilmente.

«Sai...» Rialza la testa verso di me, sfoggiando di nuovo il suo stupendo sorriso ammaliante. «Sono davvero tante le cose di cui dovrei ringraziarti, ma io sono una persona non molto abile a parole. È per questo che sto cercando di fartelo capire attraverso i piccoli gesti.» Rivela, ed io abbasso la testa per nascondere il mio imbarazzo, ma anche la mia espressione sorpresa.

Non... non pensavo che stesse cercando di ringraziarmi in questo modo. È... davvero carino da parte sua.

«Sono i piccoli gesti a fare la differenza.» Dico, sincera e stralunata.

«Perché è da essi che nascono le cose più belle.» Continua lui, sorridendomi di rimando mentre mi cinge un braccio attorno alle spalle.

Le mie guance si incendiano per l'ennesima volta in poco tempo, mentre sento il respiro serrarsi in gola. Il mio stomaco sfarfalla - brontola forte, come se avessi fame - facendo ridere anche lui.

Perché deve farmi questo effetto assurdamente bello? Non sono un'adolescente innamorata... giusto?

«Ti faccio davvero un bell'effetto.» Si vanta, ridacchiando. «Sembri una di quelle ragazzine delle scuole medie alle prime armi con i ragazzi.»

Lo spingo, divertita ma anche un po' infastidita. «Dai, non ho bisogno di prese per il sedere.»

«Uh uh, imbarazzata la ragazza. Questa è una conferma.» Continua a prendermi in giro.

«E dai, basta.» Mi lamento, nascondendo il mio volto tra le mani.

«Ti piaccio da impazzire, Linny?» Mi domanda, con un sorriso malizioso sulle labbra, scortando le mani dai miei occhi.

Le mie guance stanno diventando un puro incendio, quindi mi costringo a chiudere gli occhi. «Basta, ti prego. È imbarazzante. Forse sei tu quello innamorato pazzo.» Rispondo, con un tono un po' duro ma divertito.

Scoppia in una fragorosa risata, lasciando libere le mie mani, e riprendiamo a camminare.

Una storta nella neve mi fa cadere, ma sono le braccia di Ray ad afferrarmi prima dell'impatto. Fisso la neve proprio sotto di me, a cinque centimetri dal mio naso, con il fiato sospeso.

«Non sei equilibrista neanche con me al tuo fianco.» Scherza ancora su di me, sorridendo di gusto ma in modo sincero.

Non rispondo, ma riprendo a camminare. Non so quanto manca per arrivare a casa sua, ma spero che non sia troppo lontana. Come lui ha detto, camminare è bello, ma io mi stanco abbastanza in fretta.

«Devo portarti sulle spalle?» Chiede ma, anche se sorride, il suo tono di voce esprime solo serietà.

«No.» Rispondo subito, guardandolo con gli occhi un po' storti.

Ride di nuovo. Forse in questo momento il suo disturbo è sulla strada della vivacità.

«Dai, parlo serio. Stai inciampando troppo spesso.» Ripete, notando i miei successivi sbandamenti. Sbuffo, non sapendo se ridere o piangere.

Lo guardo negli occhi, e lui intuisce subito la risposta che sto per dare.

«Ottimo, stai ferma allora...» A passo rapido, mette la sua testa tra le mie gambe da dietro, sollevandomi come se fossi una... «Volpina. In questo momento sei davvero la mia volpe portafortuna.»

Sbarro gli occhi, sorpresa per il suo modo di afferrarmi. Le mie gambe sono sulle sue spalle, mentre il mio sedere giace dietro al suo collo. Cammina con una facilità innaturale, come se non portasse un peso addosso.

«E tu cosa sei, Hulk?» Domando, ancora stupita. Come faccio a non esserlo, vedendolo così?

«No, io sono sempre il lupo.»

«Ma ora non sei cattivo.»

«Esattamente, ora c'è un piccolo cambiamento: in questo momento, io sono solo un lupo che si rivolge alla luna, e quella luna sei tu.»

Rifletto sulle sue parole a lungo, con ammirazione. Le sue frasi espresse mi scavano l'anima, raggiungono le parti più profonde di me. Mi riempie ogni singola cellula, facendomi sentire sempre più bisognosa della sua presenza.

«Tu sei la luce della luna, quindi la speranza, ricordi?»

Annuisco, anche se non è in grado di vedermi, sopra di lui.

«Spero ti averti trasmetto abbastanza speranza per la tua vita, e magari di continuare a farlo fino alla fine.» Ammetto, con un tono un po' triste, insicuro.

«Aylin Keenan... se ci sei tu, la speranza non mi abbandonerà. Sei tu ad avermi dato la forza di tornare a lottare.»

«Va bene...» Sussurro, con un piccolo sorriso, fatto di malinconia, sulle labbra. Lui voleva morire, e la mia presenza lo ha fatto riflettere.

«Beh...» Parla, dopo un paio di minuti di silenzio, rallentando il passo. «Credo che puoi anche scendere, adesso. Siamo arrivati al mio rifugio.»

Mi fa scendere a terra, ed io mi guardo intorno. Ma... qui non ci sono case. Aveva detto che mi portava a casa sua, giusto?

«Perché siamo al bunker?» Chiedo, confusa, mentre lo vedo avvicinarsi al buco sotterraneo che rappresenta l'ingresso.

«Questo è il mio rifugio personale, e qui custodisco due delle cose che ho più a cuore. Devi entrare, se sei curiosa di sapere di cosa si tratta.»

Annuisco, raggiungendolo, quindi scivolo all'interno del bunker, catapultandomi in un'altra dimensione. In senso figurativo, ovviamente, ma davvero sembra di essere in un altro mondo.

Lo osservo dirigersi subito verso il fondo, accendendo una lampadina sopra ad un tavolino, mentre io spolvero il retro del pantalone.

«Vieni o no?» Mi chiede, quindi lo raggiungo, anche se un po' dubbiosa.

Appena mi trovo a qualche passo da lui, la lampadina illumina avanti a me un grosso piano nero, con una tavola alzata in obliquo e una piccola seggiola senza schienale davanti, altrettanto nera. La mia bocca si spalanca per lo stupore. Questo... è un pianoforte?

«Era di mia sorella. Lei era una musicista, ma i giudizi negativi hanno contribuito a farla sentire una fallita nel suo sogno.» Sussurra, e dal suo tono capisco immediatamente che questa confessione è una cosa profondamente personale, che mai avrebbe pensato di dire a qualcuno.

Mi avvicino a lui, accarezzandogli la schiena, e lui tira su con il naso. «La pianola che è nella mia camera era un suo regalo. Amavo vederla suonare, e quindi lei ha cercato di insegnarmi con la pianola, che è un po' più semplice.» Spiega.

Sì, la pianola situata al muro, con sopra di essa, attaccate, una sfilza di fotografie che formano una K.

«È riuscita ad insegnarti a suonare, alla fine?» Chiedo, la voce flebile. Ho paura di portare a galla brutti ricordi.

Annuisce. «Oltre ad essere una bravissima musicista, era anche l'insegnate più brava che io conoscessi. Aveva una pazienza invidiabile.»

Il suo sorriso, legato ai bei ricordi con la sorella, fanno sorridere anche me.

«Ti... ti andrebbe di suonare qualcosa?»

Il suo sguardo vacilla, non sapendo cosa fare.

«Non devi, se non ti va di farlo. Tranquillo.» Chiarisco subito, realizzando che potrebbe essere una cosa pesante da fare, per via dei ricordi.

«No...» Sussurra, facendo un respiro profondo che gli riempie i polmoni, per poi svuotarli di nuovo. «Posso farcela.»

Si accomoda piano sulla sedia davanti alla tastiera, alzando il coperchio dei tasti. Testa un paio di tocchi, per garantirne la funzionalità, emettendo piccole note.

«Vediamo se riconosci la melodia.» Mi mette alla prova, cominciando a comporre le prime note. Resto in attesa, assaporando ogni suono che emana il pianoforte, componendo anche la canzone nella mia testa. Proseguo in questo modo fino alla fine, con un sorriso ammirante stampato sul volto.

Quando termina, chiude velocemente la tastiera con il suo coperchio, alzandosi dal posto, mentre io asciugo alla svelta le lacrime sulle guance.

Lo guardo fare qualche profondo respiro, mentre tiene appoggiate le mani sul piano, e poi si volta verso di me.

«Allora, l'hai riconosciuta?» Domanda, ed io annuisco subito, sorridendo.

«È il quattordicesimo brano de "La Sonata" di Beethoven.»

«E ricordi qual è il titolo esatto?» Mi raggiunge, appoggiando la sua fronte alla mia, in modo da guardarmi negli occhi.

«Al chiaro di luna.»

Il suo sorriso si allarga, e le sue labbra si scontrano con le mie per un millisecondo.

«È stata la prima canzone che ho sentito suonare da lei, quando aveva otto anni. Era anche la sua preferita.»

Sorrido, sincera. «Io ho sempre amato la musica classica, e questa canzone la consideravo speciale, perché sembra rappresentarmi anche senza l'utilizzo delle parole.» Ammetto, e la sua emozione arriva fino agli occhi.

«Non sapevo amassi questo genere di canzoni.»

«Neanche io sapevo questo di te.» Ribatto, felice della scoperta.

Si stacca, sospirando. Subito dopo mi afferra la mano fino a condurmi davanti alla parete dietro al pianoforte. Tanti fogli sono appesi qua e là in un modo preciso. Sono vari brani da suonare, con l'ordine delle note sul piano musicale, e i diversi fogli appesi formano una grande H.

I miei occhi si inumidiscono. È simile alla K di fotografie fatta in camera di Ray, ma qui c'è l'iniziale di sua sorella Hailey.

«È stupendo, Ray.» Commento, con la voce un po' incrinata ma sincera.

«Lo so... il bunker è sempre stato il mio nascondiglio segreto, ma Hailey ci passava più tempo di me, qui dentro. È per questo che ci sono tante cose che appartenevano a lei, qui.» Spiega, eliminando una lacrima fugace dalla guancia.

Senza pensare molto ai miei gesti, gli stringo le braccia attorno al busto, abbracciandolo. Lui ricambia, stringendomi a sé, ed io mi sento grata. Sì, apprezzo davvero tanto che mi abbia mostrato questa piccola ma grande parte nascosta. Mi rendo conto che si cela tanto dolore, dietro, ma ammiro la forza che ha provato ad avere.

«Ti va di uscire? Rischio di scoppiare, se resto qui per un altro secondo.» Borbotta, mentre un singhiozzo gli spezza il respiro.

Annuisco subito, quindi lo lascio libero. Esce dall'unica apertura - ovvero la stessa che viene usata per l'entrata - e subito dopo si volta per afferrare la mia mano e aiutare me. Sia lodato il Signore.

In momenti come questi, in cui lui veste una premura impeccabile, vorrei solo afferrargli il volto e riempirlo di baci. Non devo esagerare, ma la mia mente viaggia un po' troppo.

«Ora andiamo davvero a casa. Manca un'ultima cosa da farti vedere, e se questo ti ha scioccata, non vedo l'ora di vedere come reagirai fra un po'.»

Gli rivolgo un piccolo sguardo con la coda dell'occhio. «Mi fai paura così, però.»

Ridacchia, ma la sua mano destra afferra la mia sinistra, e basta questo piccolo gesto a farmi togliere il fiato per l'ennesima volta.

Proseguiamo nella foresta, giocherellando qua e là con la neve. Me ne spalma un palmo pieno sul mio volto, e il gelo mi fa quasi sobbalzare.

«Ma sei impazzito? È ferrata.» Urlo, sconvolta.

«Ma dai, ora sei così bella... la barba di Santa Klaus ti dona davvero. Ora sei proprio Linny Klaus: barba bianca, cappello rosso, guanti e sciarpa nera, cappotto rosso... più perfetto di così non si può.» Commenta, sincero ma divertito.

Lo guardo malissimo. «Se stai girando attorno al fatto che sono grassa, bastava dirmelo chiaro e tondo.»

Ora è lui a perdere il buonumore, diventando inspiegabilmente apatico e sconvolto.

«Stavo solo scherzando con il soprannome che ti ho dato. Non ho mai detto che sei grassa.»

«Ma lo pensi sicuramente, altrimenti il nome da cosa è nato?» L'ombra di fastidio nella mia voce è ben udibile.

«No che non lo penso. Il nome è nato dai vestiti che porti per l'inverno. Non azzardarti mai più a dire che sei grassa, perché non è vero. Anzi...»

Abbasso il capo, quasi imbarazzata. Non dico di essere tanto grassa, ma a volte mi sento davvero enorme nel mio corpo, e credo che questa mia pippa mentale sia stata scatenata dal mio passato turbolento, senza alcuna figura familiare da poter seguire.

«Ricordo che quando eri piccola eri un po' paffutella.» Continua quel che ha lasciato in sospeso due secondi fa. Oh... se n'è accorto, quindi...

«Sì, a cinque anni ero un po' cicciotta, ma poi sono rimasta sola, due anni dopo, e con tutto il trambusto ho continuato a mangiare abbastanza normalmente, ma ho perso molto peso. Anche lo sviluppo è stato un po' compromesso da questa cosa. Mangiavo, ma i pensieri legati a mia madre mi facevano dimagrire. È per questo che ora sono così diversa da prima, fisicamente.» La mia voce è un po' bassa, ma cela anche un po' di imbarazzo. Mai a nessuno ho svelato questo aneddoto. Non l'ho mai detto neanche a Mister Douglas, che a quanto pare è mio padre.

Cavolo, mio padre e mia madre insieme...

«Sei molto più magra, ma eri carina con le guanciotte.» Ridacchia, stritolandomi le guance che ho adesso.

«Mi trovavi carina?» Chiedo, con occhi un po' sognanti. Oddio, sto scoprendo un sacco di cose di lui, oggi.

«Tu sei sempre bellissima, Linny. Con o senza qualche chilo in più, sei diventata anche più carina.»

La sua risposta sincera mi fa diventare un peperone.

«Okay, adesso basta con le cose smielate, e soprattutto non abituartici. Io resto pur sempre un lupo, e i lupi non sono molto affettuosi.» Mette fine alla pace, tornando ad essere scherzosamente stronzo.

Mi fa ridere questa sua protezione verso sé stesso. «Eppure da piccolo pensavo che fossi un jet attorno alla luna.» Lo prendo in giro, e lo sguardo truce che mi rivolge mi fa ridere ancora di più.

«Non azzardarti a giudicare un povero bambino di sette anni. Mi stavo solo ribellando, perché mia madre non voleva farmi divertire.»

Alzo le mani in segno di resa, senza però riuscire a placare le risate.

«Si, brava, continua pure... intanto, se non fosse stato per quella mia vena volatile, non mi avresti neanche notato.» Il suo tono è molto serio, fermo, ma riesco a scorgere un piccolo, piccolissimo sorriso che gli si forma sulle labbra.

La mia ilarità si blocca, lasciando il posto allo stupore. «Stavi facendo lo stupido per attirare la mia attenzione?»

«Ovviamente sì... avevo sette anni, assomigliavi a mia sorella, non volevo stare da solo ed avevo già una indole rimorchiatrice in atto.» Il suo tono di voce è divertito ma anche altezzoso, fiero di sé.

Notando la mia espressione lusingata ma ancora più scioccata, però, si scuote, ritornando più serio. «Non montarti la testa, avevo comunque sette anni e non capivo un cazzo.»

«Perché devi sempre rovinare le cose belle che dici?» Mi lamento, mantenendo il sorriso divertito dal suo strano comportamento.

«Perché sono un lupo stronzo.» Risponde con schiettezza, contraddicendosi da solo.

«No, sei un lupo scemo.» Ribatto, sicura di quel che dico.

Mi rivolge un piccolo sguardo fugace e infastidito, al che io distolgo il mio, un po' timorosa. Non l'ho offeso, vero?

Una parete in legno, fatta di finestre, risalta fra gli alberi e la neve, creando un contrasto molto bello. Siamo arrivati.

Prima ancora che Ray comunica a voce alta quel che ho pensato, un cane bianco saltella sulla neve fino a raggiungermi, saltandomi addosso. Mi fa cadere a terra, ridendo, e sfrutta l'occasione per leccarmi tutta la faccia.

«Kurt... ma sono io il tuo padrone...» La voce affranta di Koray mi fa ridacchiare.

«A quanto pare ho rubato il suo cuore.» Rispondo, continuando a ridere mentre l'husky non si calma. È impazzito.

«Ok ok, basta così. Mi avete tradito entrambi.» Dice, e non capisco se lo pensa sul serio, o se sta solo scherzando. In ogni caso, gli rivolgo uno sguardo veloce, prima di accarezzare Kurt e alzarmi da terra, scuotendo il corpo per rimuovere la neve dai vestiti che ho addosso.

«Andiamo? Non mi va di perdere altro tempo. Più tardi dovremmo prepararci per la festa, ricordi?»

Annuisco, un po' controvoglia. Alla fine sì, ho accettato di partecipare. So che non fa al caso mio, ma constatarlo con la mia stessa pelle non mi farà male. Sarà solo una festa universitaria, ed io non sono obbligata a bere o a fare tutte quelle smancerie.

Lo seguo fino all'atrio di casa sua, dove solleva la serranda del garage con poco sforzo, sorprendendomi. «Ma non pesa quintali, questa cosa?» Domando, a bocca aperta.

«Sì, ma un po' di pratica e tanta voglia di entrare risolvono tutto.» Risponde lui, come se fosse la cosa più normale del mondo. Questo ragazzo ha troppe sorprese che tiene nascoste.

«Non badare a quel che vedi all'apparenza, perché sono cose di Serkan e sono tutte messe a caso.» Mi avverte, facendomi ridacchiare. Effettivamente, qui è lo stesso posto dove ho trovato il biondo a tagliare la legna. «Le mie cose sono sempre le più nascoste, e almeno io ci tengo all'ordine.»

Arriviamo al suo angolo, e le prime cose che vedo mi lasciano completamente a bocca aperta. Appesa alla parete c'è una luna ben ricamata fatta in legno, definita con le giuste incavature e la luce perfetta. Poco più sotto di essa, c'è un'altra scultura che raffigura il volto del lupo di profilo, con il mento all'insù. Il posto dove è stato appeso richiama esattamente un lupo che ulula alla luna. Sembra una cosa unica.

Poco distante da quelle, a terra c'è un pianoforte finto, un'altra scultura in legno fatta così perfettamente da sembrare reale. Persino i colori utilizzati per la pittura richiamano al pianoforte che mi ha fatto vedere poco prima, quello di sua sorella.

La mia bocca è completamente spalancata per la sorpresa. «Tutte queste le hai fatte tu?» Domando, anche se so qual è la risposta. Fatico a crederci, ma credo davvero che lui abbia una mano ferma, perfetta per queste cose.

«Sì, tutto...» Mi conferma, fiero di lui, mentre con lo sguardo ripercorre tutti i suoi lavori.

«Questo... non me lo aspettavo. Tua sorella mi aveva detto che amavi fare le sculture, perché l'arte ti rendeva libero, ma non avrei mai pensato che fossi così... così...» Mi mancano le parole, non so come descrivere tutta questa meraviglia.

«Magnifico?» Si descrive da solo, facendomi annuire con sincerità.

«Se di questo pensi che sia magnifico, non hai ancora visto la parte stratosferica.» Mi avverte, e il mio sguardo scioccato lo fa ridere.

Mi intima di seguirlo, quindi a piccoli passi lo raggiungo fino a quando si ferma davanti ad un qualcosa di strano, il quale è coperto da un lenzuolo bianco.

«Cosa c'è qui? Hai creato una bara di mano tua?» Domando, seria. Insomma, cosa può aver costruito, ancora? Tutto ciò che ho visto supera le mie aspettative, e se come dice lui questo è stratosferico, non ho la più pallida idea di cosa potrebbe essere.

«Ah ah, non sei divertente.»

Ridacchio per quel che avevo dedotto. In effetti, creare una bara per sé stesso è un po' esagerato.

«Ora mi serve il tuo quaderno. Non fare domande, altrimenti ti rovini la sorpresa.»

Titubante, gli porgo il quaderno senza fare storie. Ho paura di quel che vuole fare, onestamente.

Lo sfoglia, come se fosse una cosa del tutto naturale, facendomi sentire a disagio. Lo ha già visto altre volte alle mie spalle?

Si blocca, reggendo la pagina con le dita senza farmela vedere, e afferra il lenzuolo che copre la sua scultura in legno, guardandomi negli occhi.

«Sei pronta?» Chiede, anche se sa benissimo che mi sto crucciando dall'ansia.

Lui, invece, sembra abbastanza tranquillo, nonostante sta per mostrarmi una cosa che preferisce tenere privata. Sembra persino emozionato.

Annuisco piano, quindi lui agisce di colpo, rimuovendo il lenzuolo e scoprendo il tesoro.

Quel che vedo, la scultura in basso, mi emoziona tanto da farmi cadere alcune lacrime. Oddio.

Mi avvicino per toccare quel corpicino in legno, il volto rilassato, gli occhi chiusi. Il pelo rosso sembra reale, e la sua colonna vertebrale, accovacciata su sé stessa mentre dorme... sembra proprio quella che ho visto io nel bosco.

Con un gesto fulmineo, Ray mi mette davanti agli occhi il mio quaderno aperto, il quale mostra il mio primo disegno fatto ad Honningsväg: la volpe appisolata.

«La volpe scappa dagli esseri umani, ma può essere la creatura più dolce del mondo.» Recita ad alta voce la descrizione che io ho scritto in basso. «L'hai scritta pensando a me?» Chiede, curioso.

Annuisco piano, con un sorriso sulle labbra.

«Ho visto questo disegno per sbaglio, quando ti cadde il quaderno sulla neve. Da lì mi è rimasto impresso nella mente come se fosse un tatuaggio. Ho dovuto ricrearlo perché a me ricorda quella che sei tu: sei una creatura tranquilla e molto dolce, che scappa solo se è l'altro a spaventarti. Resti dove sei soltanto se sai di dover insistere ed essere tu a spaventare l'altro. Sei forte ed è per questo che, per me, sei la mia volpe portafortuna.»

Ogni singola parola che esce dalle sue labbra è una lacrima che cade dai miei occhi per l'emozione. Mi sento il cuore cadere e continuare a battere fortissimo allo stesso tempo. Mi sento mancare l'aria, ma respiro anche profondamente.

«Io... io... oddio.» Non riesco neanche a trovare le parole esatte per descrivere quel che sto provando. Tutto ciò è stupendo.

«Ti piace?» Chiede, e nella sua voce sembra esserci un pizzico di paura.

Annuisco alla svelta, e forse anche troppo emozionata. «Oh mio dio, assolutamente sì. È pazzesco.» Ridacchia, rivolgendomi un sorriso grato, e mi afferra la mano destra, chiudendo il quaderno.

«Quello lì, invece...» Indica la scultura al fianco della volpe. «Non so se ti piaccia, ma l'ho fatta a tredici anni, pensando ancora te. Rappresenta il luogo dove ci siamo incontrati da piccoli, e in qualsiasi modo sia andato il futuro, io non ho mai voluto dimenticarti. Quei tre giorni insieme mi hanno segnato tanto.» Rivela.

Il mappamondo al centro del prato, apposto dove si può ammirare l'Aurora Boreale in tranquillità, ora è davanti ai miei occhi, ricreato in legno. Lo stupore dentro di me è ad un livello stellare. Quello che ha fatto è assurdo, così come lo sono le sue parole, le quali lui detesta chiamarle sdolcinate. In quale altro modo posso descrivere tutto ciò?

«Chi l'avrebbe mai detto, che un bambino di sette anni potesse innamorarsi.»

Mi guarda in modo minaccioso. «Non dirlo mai più, altrimenti tutto questo verrà distrutto.»

Ridacchio, calmandomi lentamente. «È tutto bellissimo, Ray.»

Mi ringrazia attraverso un sorriso ed un piccolo bacio impresso sulla mia mano. Avvampo, e ringrazio il cielo appena sento le sue labbra che si legano alle mie. Mancava solo questo, per rendere questi momenti con lui indimenticabili.

Si stacca poco dopo, rivolgendomi un sorriso malizioso. «Ah, comunque è stupendo il modello che hai disegnato mentre dorme. È bellissima anche la descrizione. Puoi dirmi come si chiama?» Domanda.

Capisco subito cosa intende, e le mie guance si tingono di rosso fuoco per la vergogna. Ha visto il disegno che appartiene a lui.

Spazio autrice:
Buonasera, lettori e lettrici. Come state? Come avete passato la Pasqua e la Pasquetta? Avete ricevuto qualche uova di cioccolato?

Domanda esistenziale: preferite il classico al latte, il bianco, il fondente, nocciolato? Quale marca?

Spero sia andata tutto bene, perché almeno compensate i momenti che a me sono stati più critici🥺❤️
Proprio adesso sto tornando a casa da Ostuni e Monopoli (dove ho passato la pasquetta, ed ecco perché il capitolo è stato pubblicato a quest'ora.

Pareri su questo capitolo? Ditemi che anche voi, come me, state amando l'evoluzione del rapporto tra Koray e Aylin🥹😍

Vi comunico già adesso che manca molto poco alla fine, e questa cosa mi spezza perché è un pezzo che piano piano se ne va. Attualmente, poi, non ho neanche la testa adatta per scrivere altro, ed ho paura di non riuscire più a scrivere.

Ad ogni modo, stavo creando cose e pensando altre. Se nel caso questo libro dovesse uscire cartaceo (ALT, NULLA DI CERTO) lo prendereste? Vi piacerebbe sfogliare le pagine, annotare le scene più belle, le più toccanti, le più strappalacrime? Pensate possa essere una bella cosa?

Ci sentiamo presto❤️

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