26. ABBANDONO
L'abbandono ci rende tutti uguali:
nemmeno una testa molto ordinata
può reggere alla scoperta
di non essere amata.
«Piccola Aylin, la prossima meta sarà Perugia, in Italia. Ho optato per questo posto perché è una città non molto trafficata, ma riceve comunque molti turisti con i quali potrai allenarti con le lingue. Il tempo, poi, è molto mite, ed anche se siamo in inverno, non farà molto freddo. Che ne dici?» Mi informò quello che ormai pensavo fosse un assistente sociale, anche se era molto più affettuoso di quelli che si sentono in giro.
Avrei voluto dire che volevo andare in Italia con mia madre, perché da lì si vedevano spesso i diversi fenomeni della luna, come l'eclissi oppure la luna rosso sangue. Lei amava la luna, ed era stata in grado di trasmettermi questa cosa... io non potevo smettere di pensare a lei, soprattutto quando qualcosa me la ricordava.
«Va bene, sono già pronta.» Risposi infine, affranta. Forse, avrei avuto l'opportunità di ritrovarla, dopotutto. La Norvegia e l'Italia erano i due paesi che amava di più, quindi era una probabilità.
Mentre ascolto un po' di musica random da MTV, Ray inforna i biscotti al cioccolato che ha preparato lui, ed io definisco anche i miei. Metto nell'impasto quante più gocce di cioccolato possibili, e di nascosto ci aggiungo anche la granella di pistacchio. Amalgamo tutto il composto, e con il cucchiaio formo le palline d'impasto, mettendoli subito in forno.
«Hai finito anche tu?» Mi chiede, per avere una conferma. Annuisco mentre passo il dito nel mio recipiente sporco. Subito dopo faccio lo stesso con quello del ragazzo al mio fianco.
«Hey, così non vale.»
«Perché?» Chiedo, innocente, mentre sorrido per la bontà del suo impasto. Cavolo, sembra quello di una torta. Nonostante il cioccolato fondente, lascia una scarica di dolce stratosferica.
«Perché non puoi valutare i due sapori dall'impasto. La sfida prevede il biscotto più buono, ma quello dopo la cottura. Tu ti sei già spoilerata una parte del risultato.» Mi canzona, ed io ridacchio.
«Ops.» Ormai è fatta, è solo un impasto alla fine. «Non è buono.» Dichiaro, infine.
«Questo lo vedremo. Solo la bocca di un buongustaio può dare il giudizio finale.» Si vanta, indicando la sua persona.
«Che modesto che sei... per regola dovrebbe esserci una terza persona a giudicare chi dei due è il migliore.» Gli faccio presente, divertita.
«Non mi interessa, io non chiamo nessuno. Per me basti tu.»
Per me basti tu.
La sua risposta, seppur non si riferisce esattamente a me come persona, mi fa sciogliere come un ghiacciolo. Alcune volte dice cose che mi fanno quasi illudere, ma sono talmente belle e significative da imprimerle nella mia mente.
Alzo le mani in aria, sorridendo, come per dire che io non farò nulla che lui non voglia. Ebbene sì, è domenica, ma non vuole passare il giorno di "festa" con la famiglia.
A dir la verità, non ha più parlato con nessuno di loro da quando è cominciata la discarica di gossip tra gli studenti dell'università, esattamente tre giorni fa. Ha parlato soltanto con suo nonno attraverso il cellulare, anche se non c'è molto campo, a causa di una bufera di neve avvenuta la notte che siamo rimasti nel bunker.
Siamo rimasti bloccati lì dentro per un giorno intero, infatti, e per mia fortuna sono riuscita a mantenere lui in uno stato di calma - anche se non voleva vedermi. Abbiamo avuto modo di parlare, e soprattutto io ho potuto chiarirmi per l'accaduto. Non credo di aver chiarito tutti i punti, o che lui si sia davvero placato da tutti i pensieri che gli hanno scatenato, ma almeno ora la situazione è abbastanza stabile per noi.
È stato lui a proporre la sfida di cucina, in effetti. Direi che ci sta provando anche lui.
«Nes ti ha detto qualcos'altro in questi giorni?» Mi chiede sulle ultime novità con sua sorella.
Ecco, ho omesso un piccolo dettaglio. Sua sorella ormai è diventata la mia migliore amica, e lo ha deciso proprio lei perché, il giorno che siamo rimasti bloccati nel bunker, ha chiamato suo fratello per difendermi.
«Senti, piccolo gemellino. So che non vuoi sentire Ser, ma io non ti ho fatto niente, quindi ora o mi ascolti, o metto fuoco alla foresta.» Lo avevo costretto io ad accettare la sua chiamata, perché in fondo lei è la sua sorella gemella, e chi più di lei può stargli accanto?
Era talmente infastidito, però, che ha dovuto mettere il vivavoce per rendere partecipe anche me, e fermarlo in caso avesse detto qualche stupidata.
«La foresta non prenderà fuoco, con tutta la neve che è caduta.» Era riuscito a fare una battuta, facendo ridere anche me. Per mia fortuna, ero abbastanza lontana dal cellulare, quindi non sono stata sentita. «Sei una piromane? La foresta non si tocca.» Ha ribattuto poco dopo, sempre con un piccolo sorriso sul volto.
«Lo so molto bene, ed è per questo che ti devo dare un ultimatum. Sei arrabbiato per le voci che circolano, come al solito; con tuo fratello, per aver fatto quel che ha fatto con Lin; sicuramente sei arrabbiato anche con lei, anche se non posso sapere il motivo esatto. Oddio, ho una mezza idea, ma mi uccidi se te la dico, quindi farò finta di essere una testa di rapa.»
«Infatti lo sei.»
Non so quanta forza ho avuto per non scoppiare a ridere per quel che dicevano, ma dentro di me stavo morendo.
«Zitto, tu... sto parlando io. Comunque, il punto di quel che stavo dicendo è: Lin è una ragazza delicata, pura, ma soprattutto molto fragile...»
Quegli occhi particolari fissavano me, mentre sua sorella continuava a parlare. Inutile dire che non capivo dove volesse andare a parare. Le mie pupille si stavano inzuppando di lacrime.
«... Sai benissimo chi ci riporta alla mente...» Si era susseguito un attimo di silenzio, dopo la sua ultima frase, dettata con piccoli singhiozzi. Io non riuscivo a capire cosa intendesse, ma credo che Ray aveva appreso ancor prima di ragionarci.
«... So che fa ancora più male dirlo, ma per me è come una sorella... come se fosse mia sorella...»
La mia confusione aumentava sempre di più, ma le loro lacrime inducevano anche me a singhiozzare, mentre cercavo di sopprimere i suoni. Ogni tanto, Koray si incamminava, come se quasi non volesse più farmi ascoltare.
«... È per questo che, anche se siamo state poco insieme io e lei, io la considero la mia prima migliore amica, dopo di lei. L'ultimatum, in questo caso, è che se ti azzardi ad allontanarla per qualsiasi motivo, rischierai di perdere anche me. Non è una minaccia, ma lei è delicata proprio come lo era Hailey. Se la allontanerai, distruggerai anche lei, ed io non potrò accettarlo.» Terminò il suo discorso. Koray non piangeva, ma era palese che fosse a pezzi tanto quanto lo era la voce di Nes.
Io anche ero abbattuta internamente. Mi stavano paragonando alla loro sorella, quella che non è più in questo mondo.
Non ero infastidita per essere comparata ad un'altra persona, ma provavo un sacco di afflizione perché, anche se era una cosa fatta inconsciamente, ricordavo loro una ragazza che faceva parte delle loro vite.
Questa cosa continua ad annientarmi dall'interno, ma cerco di essere forte. Devo esserlo per loro perché, qualsiasi cosa sia accaduta con la sorella, devono ancora riprendersi, e Koray è forse quello che ha più bisogno di aiuto.
«Ti è chiaro quello che ho detto?»
«Sì... più o meno sì... Nes?»
«Sono qui, che c'è?»
«Lei è qui...» Lui ha rivolto uno sguardo verso di me, con un piccolo sorriso sul volto. Volevo sotterrarmi, perché i miei occhi erano grondi di lacrime, ma con il suo gesto ero riuscita a sorridere anche in mezzo al dolore.
«Oh... Lin, mi senti?»
«Sì.»
«Ottimo. Allora te lo dico a te, adesso. Sei la mia prima migliore amica, perché sei importante anche se ti conosco poco. Come tua migliore amica, allora, ti obbligo a non andare via da quello scemo, perché è quello che è ma anche lui ti considera importante.»
«Vedi che io sono sempre qui, Nes.» Aveva alzato un po' la voce. «E non sopporto che parlate di me come se non ci fossi.»
Non aveva negato che fossi importante, però...
«Tu zitto, Kore... domenica sera pigiama party tra ragazze, preparati al meglio e non accetto un no come risposta.»
Stavo per rispondere ma ormai aveva già staccato la chiamata.
«Hai tu il cellulare, quindi se avesse dovuto dirmi qualcosa, avrebbe dovuto chiamare te.» Gli faccio presente, sorridendo.
Ricordare una delle cose belle che sono successe nel bunker mi fa apprezzare maggiormente questo momento di piccola serenità e divertimento. Credo che sia grazie alla bufera e alla sosta prolungata nel bunker, se ora siamo qui a sfidarci per il bis
cotto più buono, attuando una delle sue passioni. Credo di dover ringraziare quei due giorni, se lui è qui insieme a me, che cerca di lottare contro i suoi sbalzi.
«Uh.» Si porta una mano al petto, ridendo. «Forse non l'ho risposta.»
Sbarro gli occhi. «Stai scherzando?»
Scoppia a ridere più forte. «Assolutamente no. Io non voglio sentirla. È una piccola stronzetta»
Okay, sta scherzando. Mi avvicino a lui, schiaffeggiandolo mentre ride.
«È la mia migliore amica, e se parli così di lei glielo dico e ti facciamo fuori insieme.»
«Oh oh, che paura. Minacciosa, eh?» Non riesce a smettere di sbellicarsi, ed io lo seguo a ruota.
Facciamo passare qualche minuto di silenzio per riprenderci dalle risate, e intanto lavo gli utensili ancora imbrattati di impasto. Pulisco anche le zone separate utilizzate per le preparazioni - inutile dire che, la zona dove sono stata io, per preparare i biscotti, è completamente sporca di farina e gocce di cioccolato sparso. È caduto anche lo zucchero, oddio.
«Cosa ci fanno questi qui?» Guardo le sue mani, per capire cosa ha trovato. Sventola la bustina dei pistacchi granellati in aria. Cavolo, dovevo toglierli prima.
«Oh, avevo fame e ne ho mangiati un po'.» Tento di salvarmi, e lui si avvicina a me. Siamo a circa cinque centimetri di distanza, e il mio cuore comincia ad aumentare i battiti.
«Hai imbrogliato, Linny Klaus?» Si avvicina sempre di più.
«No...» Mi manca il respiro. Appoggia la sua fronte sulla mia, mentre io sono bloccata dal piano della cucina.
Ci guardiamo fissi negli occhi, ed il suo sguardo luccica nel mio. Nel momento in cui sembra talmente vicino da sentire il suo respiro sulle mie labbra, mi supera dal lato sinistro.
Mi pietrifico quando i suoi denti affondano delicatamente nella mia guancia, mentre ride. Resto immobile anche quando, proprio al mio fianco, spegne il forno e apre lo sportello, lasciando fuoriuscire il vapore. Non mi ero neanche resa conto di essere praticamente attaccata ad esso.
Sono già passati 30 minuti? Non mi ero accorta neanche di questo. Ogni cosa che ha a che fare con questo ragazzo passa troppo in fretta.
«Okay, cottura perfetta, ma forse i tuoi si sono un po' bruciacchiati. Ci hai messo zucchero a sufficienza?» Domanda, mentre poggia la teglia dei miei biscotti sul rialzo messo sul piano da colazione.
«Beh... insomma, credo di sì. Ci ho messo anche tanto cioccolato.» Alzo le mani, innocente.
Lui scoppia a ridere. «Oh, vedo eccome.»
Tira fuori dal forno anche la sua teglia, facendo attenzione a non scottarsi, e li mette sullo stesso rialzo.
«No, hanno un aspetto orribile.» Commento, ironica.
«I miei? Io sono il miglior chef del mondo, non esiste una cosa del genere.» Fa il permaloso, ed entrambi scoppiamo a ridere.
Okay, basta. Sto ridendo talmente tanto, con lui, che mi fa male la mascella.
«Io direi di mangiarne subito uno tuo, perché ho una fame da lupi.» Guarda la mia teglia e poi guarda me. «Mi assicuri che non sono avvelenati?»
Alzo di nuovo le mani in aria, in segno di resa. «Io te lo assicuro, perché non abbiamo veleno in casa... a meno che non ci abbia messo il detersivo per i piatti.»
Sbarra gli occhi. «Non stai parlando sul serio, vero?»
«Io dico che saranno buonissimi. Sta a te fidarti di me.»
«Di te non mi fido affatto, ma voglio dare un'occasione al tanto cioccolato.» Senza tirarsi indietro, afferra un biscotto che ho preparato e lo addenta.
Mastica come un esaminatore, come se stesse cercando il pelo nell'uovo. Ingoia il boccone e fa un sospiro. «Allora...»
«Uh, promette benissimo.» Borbotto, ironica, facendogli sparire la serietà.
«Fammi parlare senza distrazioni.» Attua la tecnica di respirazione, cercando di tornare serio.
«Vuol dire che sono fenomenali?» Sogno, divertita, e stavolta cede anche lui.
«Dov'è lo zucchero?» Urla un po', ridendo, ed ora sono io a tornare seria.
«Io non lo so. Ce l'ho messo, ma non molto, perché volevo metterci tanto cioccolato per farteli piacere.»
«Sì, tanto cioccolato e pure la granella di pistacchio, ma con poco zucchero. Sono amari.»
Sbuffo, nonostante il divertimento, quindi rubo il biscotto dalle mani di Koray e ne mangio un pezzo. Ma... non sono disastrosi, dai. Si, la pasta è amara, ma il cioccolato lo rende migliore. La granella di pistacchio non si sente molto. Do il mio giudizio a voce alta, anche se è una autocritica.
«E va bene, ti accontento... sono pessimi.»
Lo schiaffeggio, scherzosamente.
«Ora tocca ai miei. Lo so, i miei sono favolosi.» Si commenta da solo, prendendone uno. Lo seguo e ne metto in bocca un piccolo pezzo.
Faccio una faccia disgustata. «No, non mi piacciono per niente. Questi sono avvelenati, sanno davvero di detersivo.»
Mi fa una faccia beffarda. «Sei solo invidiosa della mia dote.»
«Solo perché le pessime doti fanno scalpore.»
Lo faccio ridere di nuovo, rischiando quasi di strozzarsi. «Va bene, va bene, basta così. Siamo entrambi dei cuochi eccezionali, ma tu un po' meno.»
«Mh, così va un po' meglio.» Sorrido, fiera di me e del risultato un po' disastroso. Sono amari, ha ragione... ma l'importante è che sono mangiabili.
«Hai altre doti nascoste?» Chiedo, mentre ripongo i biscotti fatti in un contenitore ermetico. «Pensavo che nel tuo Bunker tenessi nascosto qualcosa di importante. Collezioni cadaveri sottoterra?»
«Ci sarebbe stata una puzza tremenda, lì sotto, se davvero avessi collezionato dei corpi senza vita. Del resto, beh, non mi va molto di dirlo, perché spesso credo che sia una cosa per bambini.»
Se intende quel che so, allora la mia delusione è una cosa giusta da provare. È proprio come se avesse detto che la mia dote, l'unica che attuo volentieri, sia una cosa che solo i bambini possono fare.
«Quindi per te l'arte è stupida?»
Alza lo sguardo verso di me, scioccato. Cavolo, lui non sa che io so.
«Chi ti ha detto che stavo parlando dell'arte?»
«Nes...»
«Ovvio, ormai lei è diventata la bocca dei segreti altrui.» Si incammina verso la porta della cucina.
Si è arrabbiato di nuovo. No, non posso accettarlo. Non dopo esserci divertiti così tanto per la sfida.
«Il disegno e l'arte non sono cose stupide.» Urlo, facendolo bloccare mentre mi dà le spalle. «Ognuno ha un proprio sogno, e come i sogni, ognuno ha il proprio sfogo. I primi non possono essere considerati stupidi o folli, e la stessa cosa vale per i secondi. Se fare una determinata cosa ti fa sentire bene, allora è la cosa giusta per te.»
Ora si volta a guardarmi, sorpreso dalle mie parole, ma anche un po' abbattuto. Forse c'è qualche ragione sotto, per cui considera l'arte come una scemenza.
«A me non fa sentire bene.»
«Forse perché stai solo passando un brutto periodo che non ti permette di godere delle cose che ti piacevano fare.»
Sì, alludo direttamente alla morte di sua sorella, che non so se sia volata via da molto tempo, o da poco. Non ho il coraggio di chiederglielo.
Non mi risponde. Sembra che le mie parole lo abbiano centrato in pieno come una freccia. Va a sedersi sulla poltrona, seguito dal mio sguardo, e si prende la testa tra le mani, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia.
«Io non lo so cosa penso... da quando ho perso lei, è tutto così confuso nella mia testa. Cose che amavo fare insieme a lei, ora mi ricordano solo lei, e non riesco ad andare avanti. Da quando sei arrivata tu, sono riuscito a fare solo due disegni e una scultura, ma non so se per riuscirci ho dovuto pensare a qualcun altro. Te l'ho detto, è tutto così confuso.»
Si sfoga mentre mi siedo di fronte a lui, con la sedia posizionata ai suoi piedi. Sono un po' ferita, lo ammetto. Ha detto di aver dovuto pensare ad un'altra persona, per poter nuovamente disegnare o creare qualcosa, ma non credo di essere io.
Ciononostante, non mi tiro indietro: appoggio le mie mani sulle sue, ancora impegnate a reggere la sua testa, e lo costringo ad alzare lo sguardo su di me.
Come al solito, le nostre pelli collegate mi provocano una scia di brividi che parte dalle mani e finisce nel mio cuore. Quasi trasalisco, ma non demordo. Sono qui per dargli forza.
«Ray, devi sapere una cosa...» Si acciglia un po', ma continuo: «Anche se...» Ho paura di dire il suo nome. Ho paura che possa farlo sentire più male. «Anche se lei non c'è più, o meglio non è più presente con il corpo dove sei tu, lei è sempre nel tuo cuore. Il tuo ricordo di lei, fin quando cercherai di pensare a tutto il positivo di lei, contribuirà a farla vivere per sempre. La sua anima è sempre accanto a te, pronta a sostenerti, aiutarti e spronarti.»
Qualche lacrima gli fugge dagli occhi. «Il fatto è che io non riesco a ricordare il positivo di lei. Era una persona d'oro, un tesoro umano, ma ogni volta che penso a lei in questo modo, subito dopo mi dico che è colpa mia se lei non c'è più. Quindi, se io non riesco più ad essere creativo perché mi riporta mia sorella alla mente, non può che essere colpa mia. Sono io ad avere le mani sporche del suo sangue.»
Sento il sangue gelarsi, ma costringo tutta me stessa a non staccare la presa delle mie mani dalle sue. Non può aver ucciso sua sorella, è impossibile.
«Non è colpa tua, capito? Non continuare a dirlo, perché ti fa stare peggio, e fai stare male anche chi ti vuole bene.»
«È quello che mi merito, Linny. Mi sarei dovuto consegnare alla polizia due mesi fa, quando è accaduto, ma non l'ho fatto perché sono stato un codardo.» È lui ha staccare il contatto con le nostre mani e, quando lo fa, mi sento immediatamente vuota. È come se qualcosa mi stesse scivolando via.
«Koray, non stai pensando lucidamente. Non potevi consegnarti alla polizia. Tu non hai fatto niente.» Ribatto, con gli occhi ormai pieni di lacrime.
«Ti stai sbagliando di grosso su di me, Aylin, e mi dispiace davvero. Non avrebbero dovuto importi di stare in casa con me. Tu non dovresti neanche starmi vicino, cazzo. Non so cosa gli sia preso a mio fratello, mettendoti in questa casa, ma tu sei tutto quello che era lei: capelli rossi, occhi di luna e cristallo, purezza e delicatezza. A mia sorella mancavano solo le lentiggini, e sareste state identiche. Cazzo, hai anche una variante del suo nome. Non so se Serkan aveva visto una tua foto, ma se così non fosse, allora il karma sta girando contro di me.»
«Io non ti conosco benissimo...» Sussurro, triste, e sospiro.
«Appunto.»
«Ma non penserei mai di avere davanti a me un assassino. Anche se vedessi un filmato che lo dimostra, non ci crederei. Tu non sei quello che credi di essere, ma devi capirlo anche tu.»
La mia sincerità e la mia ostinazione sono in grado di distruggermi, ma sempre mi batterò contro quello di cui sono fermamente convinta. Ed ora la mia convinzione prevede proprio Koray perché, come mi disse sua sorella, lui non è chi crede di essere, ma deve crederci anche lui. Attualmente, è succube di un trauma che lo fa parlare male di sé stesso. Rischierà davvero di farsi del male, se continuerà a vivere con la certezza di essere la causa principale della morte di sua sorella.
«Come fai ad esserne così sicura? Lo hai detto, non mi conosci bene... allora come fai a dire che non l'ho uccisa io?»
«Perché so cosa vuol dire incolparsi per cose che esistono solo nella nostra testa.» Rispondo, con le lacrime che continuano a rigare le guance.
Lui continua a fissarmi con gli occhi lucidi contrastanti, ma non dice nulla. Non capisce cosa voglio dire con quel che è uscito dalla mia bocca: vuole saperne di più.
«L'unica volta che sono stata in Norvegia avevo 5 anni, e sono stata qui per tre giorni nel gennaio 2008. Eravamo io e mia madre...»
Sono costretta a sedermi di nuovo sulla sedia, per evitare di cadere a terra.
«Sicuramente starai pensando "ma cosa c'entra", e potrei darti ragione. Ma quei tre giorni hanno costituito uno strano cambiamento in lei, nel suo modo di essere. Dopo quei tre giorni di totale paradiso, lei ha cominciato a comportarsi male con me...»
Ingoio un grosso groppo, per evitare di cedere al troppo dolore legato ai ricordi che avevo rimosso.
«Però, come ho detto, era strano, perché a volte mi diceva delle parole orribili, ed altre mi trattava come se fossi davvero la sua bambina.»
Oddio, non ce la posso fare. Fa troppo male parlarne. Respira, Aylin. Sei forte.
«Non sapevo se stessi davvero facendo qualcosa di sbagliato, o se semplicemente si annoiava. Non sapevo se avesse qualche problema, ma lei se la prendeva con me come se fossi un sacco da boxe. Non mi picchiava con le mani - almeno per quel che io ricordo - ma mi picchiava verbalmente, e molto. Diceva che era colpa mia, che non ce la faceva più con me, ed è andata avanti così per due anni.»
«Ok ok, non ho bisogno di sentire altro. Ti stai sentendo male.»
Vacillo un attimo, realizzando che Ray mi ha appena interrotta per il mio bene. Lascio liberare le lacrime soppresse e, inaspettatamente, lui lega di nuovo le sue mani alle mie.
Lo fisso negli occhi, e anche lui incrocia lo sguardo. Si inginocchia davanti a me, ed io noto che anche lui ha ancora il volto bagnato.
«Alla fine ti ha lasciata sola, vero?» Domanda, con una certa eleganza mai vista su di lui. Se fosse possibile, la commozione per il suo gesto mi provoca altre lacrime.
Annuisco, continuando a guardarlo con tristezza. «Non so esattamente se si sia allontanata per non terrorizzarmi ancora, o perché non voleva farmi vivere la sua morte... nel caso fosse stato quello il motivo, ecco. Però sì, mi ha abbandonata senza neanche darmi una motivazione, e questo mi ha distrutta più di quanto do a vedere, probabilmente.»
Ammettere queste cose a voce alta mi fa sentire piccola, ma se non mi sfogo adesso, che mi trovo con l'argomento già aperto, non credo lo farò in futuro.
Credo che sia questo il motivo per cui ora sono molto altruista e comprensiva con gli altri: riesco a riconoscere le persone che soffrono per qualcosa.
Sono parecchio sconfortata, mentre ripercorro con la mente gli avvenimenti vissuti prima dell'abbandono, e una lacrima salata mi cade sulle labbra. I tre giorni passati a Narvik – quanto era bella l'Aurora Boreale? -sono gli unici momenti belli che mi fanno sorridere, anche se rappresentano il cambiamento radicale di mia madre.
Cerco di ricoprire un vuoto nella mente, inerente a quei tre giorni di vacanza, ma nulla.
Le sue mani che carezzano le mie mi riportano a terra, e sono in grado di infuocarmi e sciogliermi con un colpo di ciglia. L'effetto che mi fa questo ragazzo è impressionante. Spesso mi fa paura, perché è una cosa del tutto nuova per me, e soprattutto perché scatena emozioni davvero forti per una persona esile come me. Non capisco come faccia.
«Mi dispiace, davvero...» La sua voce si incrina significativamente, mentre stringe entrambe le mie mani, unendole tra di loro e racchiudendole nelle sue.
Trema, e lo percepisco dalla vibrazione del suo corpo. Il suo petto emette qualche singhiozzo, e vorrei solo poterlo abbracciare. Perché non lo fa lui?
«L'abbandono dei genitori non dovrebbe mai essere vissuto, ancor di più se in tenera età.»
«Parli anche di te?»
Annuisce soltanto. Non gli va di parlare di questo, ma basta il suo cenno del capo per capire che anche lui ha vissuto questo genere di dolore.
Sto per dirgli che dispiace anche a me, ma mi precede.
«Avevo 7 anni... mia madre voleva andare a vedere l'Aurora Boreale dove si trova il mappamondo lunare, ma mio padre aveva la febbre, e il resto dei miei fratelli erano a giocare da mio nonno. Andai io con lei, ma esagerai un po' con l'entusiasmo. Cominciai a correre qua e là come un pazzo. Volevo provare a dimostrare di poter essere come la luna, come lei mi aveva chiamato, ma lei la prese molto male. Stavo delirando perché avevo qualche linea di febbre, ma lei non se n'era neanche accorta. Quella sera conobbi una bambina, con la quale giocammo molto insieme, e credeva anche che il mio nome fosse particolare. Passammo gli altri due giorni insieme, passando il tempo a parlare e divertirci, e credo che quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Quando tornammo a casa, mio padre stava un po' meglio, e gli altri dormivano tutti. Costrinsero anche me ad andare in camera a riposare, e lo feci perché, seppur il viaggio era stato breve, ero molto stanco. La mattina dopo mi alzai con le grida e la fronte sudata. Mia sorella, Hailey, si era accorta che mamma e papà non c'erano, e al posto loro c'era mio nonno... ci disse che avrebbe badato a noi per un po'. I miei non sono più tornati, da allora.» Termina con la voce quasi assente, e lo lascio appoggiarsi sulle mie ginocchia.
Vorrei urlare a squarciagola - perché la vita a volte è proprio ingiusta - ma so che non servirebbe a nulla, se non a farmi sentire peggio. È una cosa che non si può decidere e non si può neanche cambiare... sta a noi capire qual è il modo giusto per affrontare le cose e andare avanti.
La nostra storia è molto più simile di quel che avrei immaginato, e mi chiedo come sia possibile che, nello stesso periodo, ben due famiglie sono state distrutte dall'abbandono dei genitori. C'era un bambino, quella sera, sotto il cielo illuminato, e ricordo di aver pensato al suo nome come particolare, ma soprattutto perché mi ricordava quello di mio nonno, che non ho mai conosciuto. Del giorno dopo, invece, non riesco a capire perché la mia mente mi mostra solo immagini sfocate. Riesco a ricordare soltanto - di quella sera sulla neve - quel corpicino esile dai capelli lunghi e ricci.
«Koray...» Lo chiamo, mentre lui mi abbraccia le gambe come se fossero un pupazzo. Sorrido alla vista, ma cerco di mantenermi posata, mentre asciugo il volto con le mani ormai libere.
«Mh mh...»
Nel momento in cui cerco di mettere in chiaro il mio disordine, il campanello di casa riecheggia ovunque, facendoci sobbalzare entrambi.
«Non abbiamo invitato nessuno...» Dico tra me e me, ma mi sente anche Ray.
«Cazzo, credo che sia mia sorella.» Si alza da terra, passandosi le mani sotto agli occhi per rimuovere le lacrime. «Vai tu ad aprire. Io me ne vado in camera.»
Senza alcun dubbio, ho gli occhi iniettati di sangue per le troppe lacrime versate. Me li sento gonfi e pesanti, ed ho quasi paura di essermi procurata gli sfoghi sulle guance.
Cerco di farmi un po' di vento, mentre vado ad aprire la porta. Intanto, guardo anche lui, mentre si allontana. «Ray...» Si volta verso di me senza rispondere, quindi continuo a parlare: «Non abbiamo finito di parlare, vero?»
Abbozza un sorriso, e gira la testa a destra e a sinistra. È un no. Ricambio il sorriso ed apro la porta, mentre la sua figura scompare nel corridoio.
«Buon salve, mia prima migliore amica. All'opera, dobbiamo prepararci per il pigiama party di stasera.» Esulta, entrando in casa.
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