20. PORTAFORTUNA

E se ti renderai conto

di avere qualcuno che

ti fa sentire amata,

diventerà il tuo

portafortuna.

«Accipicchia, piccola. Fra un po' abbiamo il volo, dimmi che ti senti un po' meglio.» Era l'uomo in ghingheri a delirare al posto mio. Come risposta, scossi la testa a destra e a sinistra. Stavo male, avevo un mal di testa atroce che mi aveva fatto perdere l'equilibrio appena tre minuti prima, e una nausea pesante che si sarebbe trasformata in vomito, se avessi messo un piede in quell'aereo.

«Voglio alla mia mamma. Sto male, voglio dormire vicino a lei.»

Otto anni. Avevo otto anni eppure stavo affrontando la perdita di una madre. Da un anno, ormai... Dicevano che lei non era la mia vera madre, ma io non avrei cambiato la mia considerazione per nulla al mondo. Lei mi aveva cresciuta a modo suo nei primi anni, e dopo non ho più avuto nessuno, se non questo strano uomo che le voleva bene.

«Dai, stai meglio. Il colore della tua pelle si è ravvivato. Dobbiamo andare.»

Nell'esatto momento in cui dovevamo avviarci verso il nostro gate, il mio stomaco si ribellò, spargendo sul pavimento tutto il panino con la cotoletta mangiato poco prima.

«Andiamo, Kore. Sei pesante.» Biascico, con non poche difficoltà, mentre avvolgo il suo braccio destro attorno al mio collo, per sollevarlo.

La strana frase dettata da quelle dannate labbra piene mi è rimasta cucita nella mente.

A volte, anche la luna è troppo debole per lottare.

È una frase che lascia a mille interpretazioni, ed è impossibile capire il significato esatto che ne è stato attribuito nel momento in cui è stata pronunciata.

Beh, è impossibile, a meno che non entro nella mente della suddetta persona, il che, nel caso di Koray, è irrealizzabile.

Ho rivolto un altro sguardo alla luna, non capendo, ma poi ho guardato lui, ed ho collegato una piccola, piccolissima parte: lui è una luna - sa di esserlo - ed è un ragazzo sempre pronto a sfidarsi e lottare contro chiunque osi mettersi contro. Mostra sempre la sua forza, e non si lascia sconfiggere facilmente, proprio come un lupo... ma anche i lupi hanno bisogno di una tregua, ogni tanto. Mostrare sempre la propria vigoria implica a nascondere le debolezze, ma queste non possono essere eliminate.

È proprio questo, quindi, ciò che intende questo ragazzo particolare: anche lui avverte il bisogno di una tregua, come la luna ogni tanto necessita di calare.

«Lasciami stare qui, Linny. Non voglio entrare dentro.» Mi risponde, tosto, mentre si dimena dalla mia presa.

Faccio più difficoltà ad impalarlo, ma non demordo. «Non ti lascerò fuori a morire.»

«Non puoi copiare le cose che dico io.»

Eh? Che cosa intende? Sono stata due volte fuori, sola, e nei sogni sentivo dirmi "non posso lasciarti morire". Era davvero lui a parlare?

«Stai delirando. Dai, forza.»

«No.» Continua a dimenarsi come un forsennato, e finiamo entrambi a terra. Non proprio entrambi, perché lui è completamente steso a terra, con gli occhi lucidi e spalancati, ed io sono allungata sul suo corpo, con il cuore che batte a mille al minuto, e il respiro bloccato in gola.

Come se fossi un cane con la rabbia, mi strattona da sopra di lui e si sposta. «Lasciami in pace.»

Che gli prende? Si è arrabbiato perché mi sto preoccupando per lui?

«Kore, non stai bene.» Cerco di insistere delicatamente.

«Cazzate, io sto una meraviglia.» Ribatte lui, avendo poi uno spasmo allo stomaco che lo fa contorcere. «Vaffanculo, non dovevo tornare.» Si maledice.

«Invece sì, ti sei ammalato.»

«Ancora? Sto benissimo, non vedi?» Insiste, reprimendo qualsiasi dolore lo stia colpendo.

Lo guardo negli occhi, triste per la sua resistenza.

«Perché sei arrabbiato?»

«Oh, cazzo. Ora mi fai anche il terzo grado? Cavolo, fatti un po' i cavoli tuoi e non farti vedere da me.»

Le sue parole sono taglienti come la lama di un coltello, ma cerco di non lasciarmi abbattere.

«Dovrei essere io quella arrabbiata.» Preciso, anche se io non sono affatto arrabbiata. Dentro di me naviga un mare di preoccupazioni, tutte rivolte a lui. «Sei sparito per un giorno intero, e non ho passato un secondo a chiedermi dov'eri o come stavi. Dovrei essere arrabbiata con te, perché non mi lasci neanche un avviso, ma io non faccio altro che essere preoccupata.»

Ammettere le debolezze fa male, e il mio sguardo vacilla, costringendomi a spostarlo dal suo, che continua ad essere gelido. È brutto dover essere sincera in qualcosa di delicato, quando sai che non verrai neanche compresa.

«Allora smettila di preoccuparti per me. Io non esisto, per te e per nessuno, quindi è tutto inutile.»

Ogni sua parola è sprezzante, ma celano tanto odio, odio per sé stesso. Vorrei abbracciarlo forte, ma mi scaraventerebbe a terrà come una mosca.

«Tu esisti eccome, altrimenti non avrei neanche pensato a te per tutto il giorno.»

L'ho detto sul serio?

«Ah, certo... come no. Non sembrava che pensassi a me, quando quello zingaro ti mangiava con gli occhi.» Sputa fuori, quasi schifato.

«Stai parlando di Cody?» Chiedo, confusa. Non mi spiego cosa lo abbia infastidito così tanto.

«E di chi altri, sennò? Cazzo, prima ti allontano da quegli scemi per aiutarti, e poi tu ci pranzi e ci ridi insieme... giusto ringraziamento, davvero.» Sbraita, ad un livello di nervosismo altissimo.

Siamo ancora a terra, sulla neve, ma il freddo non supera la sofferenza che sto provando dentro, e credo che la stessa cosa valga per lui, anche se la sua voce vela anche tanto odio.

«Stavamo solo pranzando e parlando. È l'unico amico che ho del primo anno, e non è una cattiva persona. Ti prego, andiamo dentro.»

Si alza da solo in piedi, con difficoltà. «Vacci tu, dentro. Mi sono rotto le palle di stare qui con te. Anzi no, io entro. Tu corri tra le braccia di quel bambino.» Borbotta, con una voce schifata e piena di sdegno.

Mi alzo di scatto, vedendolo incamminarsi davvero verso il portone mentre barcolla a destra e sinistra. Lo afferro, evitando di farlo cadere, anche se la mia forza è nulla in confronto alla sua.

«Ti ho detto di lasciarmi stare. Vai da quel rubacuori, e continua a ridere, mangiare e dormire insieme.» Continua a latrare, ma stavolta non si dimena per mollare la mia presa. Mi lascia tenere il mio braccio attorno alla sua vita, a sorreggerlo quanto riesco.

«Ed io dico che resto qui, con te. Lui è solo una brava persona, e l'unico dei miei corsi con cui parlo, ma io abito qui con te, e non ti lascio solo.» Chiudo la porta di casa con un leggero calcio da dietro, e cerco di vedere dove portarlo. Non sta bene, e stare fuori ha aggravato la cosa.

«Ma dovresti, perché io lo faccio spesso.»

«Questo non vuol dire che devo fare agli altri quello che viene fatto a me.» Ribatto, sincera.

Lo faccio sedere sul divano del salone, ma ho l'impressione che non gli piaccia molto.

«E cosa significa, allora?»

«Significa che scappare non è la soluzione giusta. Vuol dire che, prima di giungere a conclusioni affrettate, bisogna parlare e confrontarsi.»

Gli tolgo il cappotto umido di dosso, facendo attenzione a non toccare lui, e sperando di non essere allontanata. Voglio solo prendermi cura di lui e fargli capire che mostrarsi debole non è un danno.

«Io scappo sempre.» Ribatte.

«E non va bene.»

«Io non merito niente di buono.»

«Non è vero, tutti abbiamo bisogno di un po' di pace.»

Mi guarda e poi guarda il divano.

«Non voglio stare qui sopra.»

«E dove devo portarti?» La mia camera non va bene per lui, perché si infurierebbe, e la sua camera... beh, lì dentro sono io che non posso entrare. Me lo ha vietato proprio lui, quindi è fuori discussione.

«Voglio andare a letto. La testa sta cadendo.»

«Ti porto in camera tua, allora?» Annuisce, quindi avvolgo il suo braccio dietro al mio collo, ed insieme ci solleviamo.

Sento la sua forza cedere sempre di più, infatti camminare diventa sempre più difficile sotto al suo peso. Cerco di non concentrarmi sul suo imminente profumo cioccolatoso. Il suo corpo sul mio mi provoca una scia di brividi che attraversa ogni cellula, tanto da farmi rabbrividire.

Pensa a lui, Aylin.

«Cavolo, Kore. Ti prego, cerca di resistere e aiutami anche tu.» Sussurro, a fatica. Non parla, e la mia preoccupazione aumenta.

Non può perdere i sensi. Dobbiamo almeno arrivare davanti alla sua stanza e lui dovrà riuscire a camminare verso il suo letto da solo, perché io non posso entrare.

«Per favore, tieni duro.»

Lo trascino, letteralmente, verso la sua camera, mentre i suoi piedi non fanno un passo. Il suo sguardo vacilla, come la sua testa dolorante, e sembra quasi che sia già nel mondo dei sogni, perché i suoi occhi sono più chiusi che aperti.

«Koray, ce la fai ad entrare e metterti nel letto?» Domando, scostando qualche ciocca ribelle di capelli dai suoi occhi.

«P... che?» Ora è lui che tenta di trascinare me, con molte difficoltà.

«Non posso entrare nella tua stanza, Kore. Me lo hai impedito.» Gli faccio presente, ma lui continua.

Forse ora mi sta dando il consenso di metterlo a letto, perché non si sente bene.

Gli do ascolto, quindi adagio meglio il suo braccio attorno al collo, ed entro aprendo la porta.

Appena metto piede dentro, il profumo di cioccolato e pistacchio mi invade le narici. Ma possibile che tutti i posti dove si trova lui hanno questo odore? Ha qualche fragranza di questo gusto, altrimenti non si spiega.

«Piano, Kore, altrimenti ci facciamo male entrambi.»

Come se non avessi detto neanche una parola, il suo corpo cade a peso morto sul suo letto, portando con sé anche il mio.

Respira a fondo. «Oddio.»

Mi mantiene stretta contro il suo petto, come se fossi il suo pupazzo portafortuna, e non riesco a muovere un muscolo.

Sono completamente bloccata, e dentro di me mi sento pervadere da una marea di emozioni strane, traballanti e danzanti. È come se il mio interno stesse festeggiando, e i miei ormoni sono i protagonisti degli auguri. Oddio, credo di star impazzendo.

«Koray.» Mugugno, sommersa dai suoi pettorali pronunciati.

«Mh?»

«Dovrei scendere, devo metterti sotto le coperte.»

Come se avesse sentito il perfetto contrario, mi stringe maggiormente a sé, facendomi sorridere.

È vulnerabile, non ragiona lucidamente, ma è bellissimo.

«Kore.» Insisto, a malincuore.

Non voglio staccarmi, perché stare tra le sue forti braccia è la sensazione di pace più bella che io abbia mai provato.

«Mh, no.» Mugugna. «Tu mi stai coprendo.»

Scoppio a ridere per le sue parole. Mi ha preso per una coperta, e questa cosa è imbarazzante, ma anche un po' carina.

«Non sono una coperta.» Rispondo, ridacchiando e cercando di staccarmi, anche se voglio fare tutt'altro che stare lontana da lui.

Dio, Koray, che mi stai facendo.

«Devo andare a prenderti qualche medicina. Hai la febbre.» Provo ancora.

«E diventa la mia medicina, allora.» Continua a stringermi, e con la sua risposta, le mie guance si fanno ancora più calde del fuoco che ho provato fino a qualche secondo fa.

Mi vuole morta, oggi? Perché mi sento evadere, quando siamo così vicini? Per non parlare di quando dice cose in grado di sciogliermi. Cosa significa tutto ciò?

Semplice, Lin. Lui sta dicendo cose strambe perché ha la febbre, e tu stai impazzendo, perché vorresti che queste cose le pensasse davvero. Ti stai innamorando di lui.

No, non potrei mai innamorarmi. Non ho mai provato un sentimento forte come l'amore, perché quello di mia madre mi ha distrutta, e non credo di essere rinata... o forse sì? Oddio, i dubbi fanno già pensare tanto.

Faccio più forza di prima, e lui allenta la presa, così da farmi alzare. Sto respirando troppo affannosamente.

«Ehm, se riesci cerca di metterti al caldo, nel letto...» Seriamente lo lasci fare da solo, Linny? «... vado a prendere la tachipirina, o qualcosa che possa aiutarti.»

Fuggo fuori dalla stanza, chiudendo la porta alle mie spalle e appoggiandomici contro, tornando a respirare, intralciata.

Non ci riesco, non riesco a calmarmi. Sento il cuore battere troppo forte, quasi me lo sento in gola. Lo stomaco si sta ribellando con le vibrazioni, ma non è per la fame. Le gambe continuano a tremare, come se volessero cedere, perché c'è troppa adrenalina all'interno.

Cosa mi prende?

Nonostante le tantissime emozioni nuove, raggiungo la cucina, bevendo un bicchiere d'acqua tutto d'un sorso. Poi, ne riempio un altro per il ragazzo malato, protagonista di ogni mia novità sentimentale, e ci sciolgo una bustina di antibiotico.

Ora devo solo ritornare da lui. Facile, no?

Raggiungo la porta, e resto ferma alla soglia. No, non è per niente semplice. Tutte le strane emozioni sono alla riscossa nel mio corpo, e vorrei tanto uscire fuori a farmi calmare dalla luna, ma non posso, perché questo ragazzo ha bisogno di me.

Respiro profondamente, incoraggiandomi a rientrare. Koray non si è mosso di un millimetro.

Appoggio il bicchiere sul comodino al fianco del letto, e pronuncio il suo nome con delicatezza, quasi in un sussurro. Nessuna risposta. Riprovo una seconda volta, ma dalle sue labbra fuoriesce solo un suono impastato. Forse si era addormentato.

Determinata comunque a metterlo sotto alle coperte, metto le mie mani dietro il suo collo, facendo forza per alzarlo, almeno per farlo sedere. Ci riesco, ma ad un passo dalla giusta posizione, il suo corpo privo di forze ricade all'indietro, portandosi con sé anche il mio.

Siamo di nuovo l'uno sopra all'altro, e non capisco se lui stia dormendo, o se sia ancora sveglio.

Sicuramente non è completamente cosciente, perché scotta molto. La febbre deve essergli salita ancora, e se non prende la medicina, dovrò chiamare l'ambulanza.

«Koray, devi prendere l'antibiotico. Andiamo, mettiti seduto.» Tento di nuovo di alzarlo con le mie mani dietro al suo collo, e questa volta sembra collaborare, anche se caccia fuori degli strani versi, pieni di stanchezza.

«Forza, manca un atro poco... pochissimo... no no no, non cedere, forza. Manca poco... perfetto.» Caccio fuori il respiro trattenuto.

Recupero il bicchiere con l'antibiotico. «Devi bere piano. Ci riesci?»

Nessuna risposta. Apre solo di poco la bocca. Bene, il bicchiere lo mantengo io. L'importante è che collabora anche lui.

«Piano, Ray.»

«Eh?» L'antibiotico gli cade un po' sul pantalone, ed io mi sbrigo a raddrizzare il bicchiere ancora pieno per metà.

Ha parlato per colpa mia, perché non ha capito quello che ho detto... o per il modo in cui l'ho chiamato?

«Non pensare alle scemenze che dico io. Dai, bevi un altro po'. Ti farà sentire meglio.» Gli avvicino di nuovo il bicchiere, guadagnandomi il suo sorriso, nonostante il suo sentirsi male.

«Ottimo, missione compiuta.» Poso di nuovo il bicchiere - ora vuoto - sul comodino, esaltata. «Torno subito. Vado a prendere uno strofinaccio bagnato.»

Corro via di nuovo, mentre lo sento sbuffare e lamentarsi, maledicendomi da sola per non averci pensato prima.

Fatto il secondo passaggio, torno in stanza, e lo ritrovo di nuovo disteso lateralmente al cuscino.

Cavolo, dovevo essere più veloce.

Evitando altri pensieri - sono consapevole di perdere solo altro tempo, così facendo - gli appoggio lo strofinaccio sulla fronte calda, e sospiro.

Seconda missione compiuta, ma ora come devo fare con la terza, nonché l'ultima?

«Ora devi solo metterti sotto le coperte e riposare. Devi stare al caldo, per poterti sentire meglio.» Lo informo, sperando che possa girarsi e fare da solo ciò che deve.

Niente di più assurdo, perché non muove neanche un dito. Che stupida che sono.

«Okay, devo fare io. Pensa, Linny. Cosa puoi fare?» Mi chiedo ad alta voce e credo che Koray mi abbia sentita e capita... lo sento quasi strozzarsi, poiché non riesce a ridere.

«Adesso ti spingo verso il cuscino, quindi non spaventarti. Non ho le forze necessarie per alzarti di nuovo.» Parlo a lui, ma allo stesso tempo ragiono da sola.

Faccio il giro del letto, raggiungendo il lato della finestra, e lo spingo verso la sua destra, sperando di riuscire a fargli raggiungere la testa con il cuscino. Quasi al termine, mi fermo per recuperare un po' di fiato.

«Riesci ad alzare leggermente la schiena per poter tirare le coperte da questo lato? Non ho altri modi per riuscire a coprirti.» Chiedo, esausta.

Sto dedicando tutte le mie energie unicamente a lui, ma non me ne pento e non lo farò mai. Lo sento, ha un forte bisogno di essere curato, di avere qualcuno al suo fianco, di essere ascoltato nei suoi suoni sopraffatti.

Io sono qui, per lui, e sono contenta di esserci. Anche se mi manderà via a pedate, sono soddisfatta, perché ho percepito che in questo momento lui mi vuole qui insieme a lui.

«Cerca di alzarti solo un po'.» Ripeto, e lui mi dà ascolto.

Con la testa ormai sul cuscino, e i piedi che spingono sul materasso, riesce a radunare un po' di forza per alzare il bacino, quindi agisco di fretta e lo faccio abbassare di nuovo. Riesco a togliere anche il piumone da sotto i suoi piedi, e faccio di nuovo il giro del letto, ritornando al punto di partenza. Si sistema alla bell'e meglio, mentre io lo avvolgo finalmente con le coperte del suo letto, e poi gli sistemo la benda sulla fronte.

Terza missione compiuta, avventura giusta al termine.

«Okay, riposa tranquillo e non togliere le coperte. Ora vado in camera mia, che sono stanchissima.» Ammetto. Faccio dietrofront, avviandomi verso la porta della stanza.

«Linny.» Mi blocco. L'ho sentito davvero, o è solo frutto della mia immaginazione? «Linny.» Ripete.

Okay, è reale, mi ha chiamato veramente. La sua voce, ora, è talmente bassa e distrutta da essere quasi impercettibile.

Mi volto di nuovo verso di lui, confusa.

«Dimmi, qualcosa non va?» Mi allarmo. Forse si sente scomodo, oppure lo strofinaccio si è riscaldato e devo bagnarlo di nuovo con l'acqua fredda.

«Vieni qui.» Anche se la sua voce è sommersa dalle coperte, capisco perfettamente quello che ha detto. Non riesco ad essere disattenta, quando si tratta di lui, e non so giudicare se questo sia un pregio o un difetto.

A passi lenti e leggeri, in modo da fare il minor rumore possibile, mi avvicino a lui. Ad occhi semi aperti, mi tende la sua mano e, titubante, ho la conferma che vorrebbe stringere la mia. Lo faccio, e appena le due mani entrano in contatto, una scossa mi colpisce l'esatto punto che ci unisce, e sono costretta a stringere le labbra, per evitare qualsiasi verso sorpreso.

È una sensazione piacevole, e forse anche troppo, per trattarsi di una semplice stretta di mano.

«Vieni qui.» Ripete, delicato, ad occhi chiusi.

«Sono già qui.» Rispondo, con un sorriso sulle labbra.

«Sì...» Comincio a pensare che stia cercando di addormentarsi, perché non dice nient'altro, ma dopo qualche minuto di puro silenzio, riprende: «Vieni più vicino.»

Il mio cuore sta impazzendo, colpisce il mio petto come se fosse una porta sulla quale fare "tic toc" violentemente.

Provo a dargli ascolto, facendo un passo ma... dove devo andare? «Ray, sono già molto vicina.»

«Lo so.» Lo guardo sorridere mentre neanche mi guarda. È come se stesse sognando.

Che sta cercando di fare? «E cosa...»

«Qui.» Con l'altra mano colpisce il lato del suo letto, ma non comprendo. «Ti voglio qui.»

Oddio, sento il cuore che si tuffa e fa capriole. La mia mente sta collegando le sue parole, entusiasta, ma la parte razionale di me mi dice di no.

«Non posso, Ray. Tu non stai bene, sicuramente stai delirando per la febbre e non mi vu-»

Mi blocca. «No... no, non è la febbre. Sul serio... ti voglio accanto a me. Almeno questa notte.»

Mi sento bloccata. Sono su di giri per la sua ammissione, ma non riesco ad evitare i pensieri negativi. Anche se lo nega, è la febbre che lo fa parlare, quasi come se fosse ubriaco. Lui mi ha ripetuto troppe volte di non stargli vicino, e soprattutto di non entrare in camera sua. Non posso fargli questo.

«Non posso approfittarmi di te mentre sei malato.»

Capisce immediatamente la mia risposta, perché ho alluso alla sua, quando non ha voluto baciarmi perché non ero lucida per la febbre.

Nonostante la mia risposta, non cede. «Ti prego.» Non rispondo, non so cosa sia giusto fare. «Ti prego, non ti approfitterai di me, e lo so. Ti chiedo solo di restare con me questa notte. Sei... tu sei la mia volpe portafortuna.»

Mi sciolgo completamente alle sue parole, infatti la mia bocca è leggermente aperta per lo stupore, e sento che dentro di me i miei organi e i miei ormoni hanno perso i loro posti assegnati. Ho un turbinio che si scatena come un terremoto, ma è quasi piacevole, seppure un po' terrificante. Tutte queste emozioni messe insieme mi fanno crepare.

«Va bene.» Sussurro, e lui si sposta immediatamente un po' più a sinistra per farmi spazio.

Non appena appoggio la testa sul cuscino, lui mette il suo braccio dietro al mio collo, tirandomi a sé. Ho il cuore in gola, il respiro in apnea, e il tremore nel corpo, ma il suo odore invade le mie narici anche se ha la febbre. È una creatura soprannaturale, secondo me.

«Ora dormiamo.» Mi sorprende ancora, lasciandomi un caldo bacio sul collo, facendomi scoppiare in un fuoco.

«O-okay.» Chiudo gli occhi e mi costringo a non svenire.

Cavolo, però... tra le sue braccia, il mondo ha un altro colore, e vorrei che riuscisse a vederlo anche lui. È forte e protettivo, e anche se tutti i giorni si dimostra distaccato e quasi antipatico, so che nel profondo ha un buon animo, e questa notte resterò più calma possibile per godermi di questo momento.

Lo guardo, e solo ora me ne rendo conto: non ho più il bisogno di guardare la luna, perché ho lui.

È lui la mia luna, ed io me ne sto innamorando.

Vi dico solo una cosa: siamo circa a meno storia🙈❤️
Vi sta piacendo? Cosa ne pensate?
Vi comunico che ho pubblicato a caso un'altra storia su wattpad (la trovate sul profilo con cast e prologo, attualmente). Si chiama CHILLS e se vi andasse di dare un'occhiata, mi farebbe piacere qualche parere. Vi voglio bene❤️

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