18. CURIOSITÀ
La curiosità
può avere due versioni:
l'invidia e l'interesse.
«Signorina Keenan?»
«Come fai a sapere bene chi sono?» Risposi ad uno strano uomo in ghingheri, con giacca e cravatta e tanto di valigetta dei documenti. Mi sembrava di averlo già visto...
«Ho ricevuto tutte le informazioni possibili per trovarla.»
«È stata mia madre, vero? Voi sapete dove se n'è andata?»
L'uomo avanzò di qualche passo verso di me, alzando gli angoli della sua bocca. «Piccola... tua madre non è lei, lei ti sta salvando... ma ne riparleremo quando sarai più grande. Adesso afferra la mia mano e andiamo, abbiamo una bella cosa da fare.»
Se avessi saputo che il resto dei miei giorni, dopo la scomparsa di mia madre, sarebbero stati così tristi e difficili, non avrei mai dato ascolto a quell'uomo strano. Ancora oggi non ho capito come mai conoscesse mia madre. Mi aveva incitato a seguirlo, mi mise in testa cose strane sulla donna che mi era stata accanto per sette anni e, cosa peggiore, mi portò in aeroporto. Cosa dovevo fare in un aeroporto? Mi riportò subito alla mente l'unica volta che fino a quel momento avevo volato: il viaggio in Norvegia... quello che ha segnato il cambiamento di mia madre Kira.
Non ricordo nulla di dove mi trovavo, e l'aereo era diretto a Brooklin – lo ricordo solo grazie al mio primo disegno - ma è stato quel signore a badare a me, e vedere dove mandarmi.
Una bambina di appena sette anni non poteva restare da sola, e quell'uomo, forse indirettamente, si è preso cura di me.
Forse era un amico stretto di mia madre.
Seppur dovrei essere grata di essere dove sono ora, non ci riesco. Da quei giorni, la mia vita si è complicata sempre di più, e mi chiedo come sarebbe andata, invece, se mia madre non se ne fosse mai andata: niente uomo in ghingheri, niente aerei in incognito, pace dei sensi, luce di luna e Norvegia per sempre... un bel sogno che mi è stato infranto.
Cerco di fare il maggior silenzio possibile, mentre prendo i piatti dal tavolino e li porto al lavello. Non abbiamo mangiato molto, ieri sera, ma credo che Koray si sia svegliato durante la notte per mettere in bocca altro cibo. Sono rimasti solo quattro pezzetti del mio piatto di frittura, e il suo è perfettamente pulito. Come me lo spiego, altrimenti?
Al pensiero della sera prima, un sorriso di delusione e malinconia si impossessa del mio corpo, e i ricordi del passato si fanno ancora più insistenti nella mia testa. Sento sempre di più di essere io il problema di me stessa e delle mie disgrazie.
Perché non è il momento giusto? Si, avevo la febbre, ieri sera, ma non credo che sia solo questa la motivazione. È strano. Certe volte sembra davvero rapirmi con lo sguardo, mentre altre non riesce neanche a guardarmi. Lui mi ha già rapita, e quando non riesce a tenere lo sguardo nel mio mi sento vuota. Forse ha paura che io possa leggerlo dentro, che riesca anche io a rapire lui.
Dio, non riesco a smettere di pensare alla nostra vicinanza, al nostro quasi bacio, al nostro incrocio di sguardi...
Smettila, Aylin. Se dovrà succedere, succederà. È la prima volta che provi queste cose, non puoi pretendere di avere già tutto.
Smettila con la negatività, tu non sei così.
Smettila di sentirti un errore, ogni persona è degna di vivere, a prescindere dalle cose belle e brutte che deve affrontare.
Non do ascolto ai perenni capogiri che mi colpiscono la tempia, e appena rimuovo tutto ciò che era stato messo sul tavolino - faccio molta attenzione a non calpestare i piedi allungati di Kore, ancora seduto a terra, con la testa appoggiata al divano dietro di lui, dove fino a poco fa c'erano i miei piedi - con molta cautela lavo i piatti sporchi.
Vorrei fare colazione, perché la fame mi sta divorando dall'interno, ma con tutto il trambusto nel mio cervello non ne ho la minima voglia.
Ho bisogno di tenermi impegnata in qualche modo, e al momento eliminare i residui della sera prima mi sembra la scelta più giusta.
«Le cose che fai non sono molto silenziose, sai?»
Sobbalzo al suono della voce, e il bicchiere che stavo pulendo internamente mi sfugge dalle mani. Al contatto con il pavimento, il suo vetro lucido e schiumato provoca un tonfo assordante, quasi in grado di perforare un timpano, frantumandosi in tanti piccoli cocci sparsi attorno a me. Oddio, ho appena distrutto un bicchiere della sua collezione.
«Adesso devo prendermi proprio in parola.» Lo sento ridacchiare. Si riferisce al non essere silenziosa. Ride per la sua battuta? Non comprendo, altrimenti, cosa possa farlo ridere.
«S-scusa, non v...»
«Smettila di scusarti.» Mi blocca, ma la sua voce non è irritata.
Come faccio ad evitarlo? Non so neanche cosa dire, perché mi dispiace averlo svegliato con i rumori che io non ho percepito - facendo anche attenzione a non farne - e soprattutto per avergli rotto un bicchiere a causa del mio spavento.
Non posso restare ferma, a far finta di nulla.
«Non volevo, stavo lavando i piatti, e mi sono spaventata... pulisco tutto, scusa.» Parlo talmente veloce, a causa dell'ansia, che neanche lui riesce a bloccarmi. Mi calo per raccogliere i cocci più grandi, e lui si avvicina calandosi. Io mi muovo veloce, agitata. Dio, che mi prende?
«Fai con calma, che così rischi di tagliarti.» Neanche il tempo di ascoltare il suo consiglio, che dalla mia bocca fuoriesce un lamento di dolore. «Come non detto.»
Si avvicina subito a me, prendendomi per i polsi. Mi costringe a mollare tutto e ad alzarmi, ma io non riesco ad alzare lo sguardo verso di lui. Lo sento esaminare il palmo ferito, toccare il taglio con delicatezza, e guardare la mia espressione dolorante ma ancora agitata.
«Devi disinfettarla, se non vuoi che la mano diventi un pallone.» Commenta, ridacchiando.
Sembra insistermi con lo sguardo a girarmi verso di lui, ma resto immobile a guardarmi la mano.
Sospira. «Resta ferma, e non muovere la mano. Prendo l'acqua ossigenata e i cerotti.»
Si allontana, ed io butto fuori tutta l'aria che ho in corpo, come se l'avessi trattenuta per tutto il tempo che ha tenuto un contatto con le mie mani. Sono particolarmente irrequieta, oggi, e non capisco perché.
Per placare i pensieri e frenare il battito impazzito del cuore, prendo la scopa e tento di radunare tutti i frammenti del bicchiere rotto.
La mazza mi viene strappata di mano. «Ti avevo detto di stare ferma. Così facendo, irriti soltanto l'infezione del taglio, che poi si gonfierà e ti farà più male.»
Il suo lato altruista mi manda sulle nuvole, e il respiro è squilibrato. Sto impazzendo, perché mi fa questo effetto quasi fastidioso?
Mi prende di nuovo la mano senza chiedere, facendomi tremare per il subitaneo contatto. Ci fa cadere qualche goccia di disinfettante, e il bruciore mi costringe a serrare occhi e denti. La presa di Koray che aumenta, però, riesce ad alleviare il dolore.
Mi solletica il braccio nudo per la maglia tirata su, provocandomi una scarica elettrica e un mare di brividi. Trasalisco, e lui se ne accorge subito.
«Che ti succede?» Mi chiede, di punto in bianco. Ha esaminato ogni mio singolo movimento con particolare attenzione, ma la sua domanda mi lascia appesa. Neanche lui ha compreso l'effetto che mi fa.
«Mi fa male.» Dico, sperando che se la beva.
Passa qualche altro minuto di silenzio, con il suo sguardo vigile su di me. Non oso alzare il mio su di lui. Mi leggerebbe dentro e, per tutta la baraonda che sta patendo il mio interno, voglio evitargli altre ragioni di sbalzi.
«Che ti succede?» Ribatte sotto domanda, più conciso di prima.
«Ho detto che mi fa m-» Mi trovo ad alzare la testa per essere più convincente, ma mi interrompe, brusco, prendendo il mio volto tra le mani. Senza in secondo si sosta, poggia le sue labbra sulla mia fronte, provocandomi fuoco, brivido e tanta adrenalina sotto di esso. Credo di morire giovane.
Le schiaccia contro la mia fronte per un tempo che mi sembra infinito, per quanto stratosferico, e si scosta con un ghigno soddisfatto, facendomi sentire vuota e stralunata. «La febbre è sparita, quindi non è per questo che sei strana.»
I miei occhi vacillano, quindi abbasso di nuovo la testa, e mi lascio mettere il cerotto sul taglio.
Sto per ritirare la mano, ma mi blocca di nuovo dal polso: altre scosse.
«Ti stai divertendo?» Chiedo, debole, senza guardarlo.
«No. Sto cercando di capire cosa ti passa in quella testolina buffa, ma non mi guardi neanche. Mi stai evitando?»
«No...»
«Linny, mi stai evitando?» Insiste.
Alzo lo sguardo su di lui, ma l'incrocio dei nostri occhi mi tradisce, perché una lacrima fugace mi cade dall'occhio destro senza preavviso. È lui ad asciugarla con il suo caldo tocco, lasciando poi la sua mano sulla mia guancia, solleticandola.
«Che ti succede?» Chiede una terza volta, ora con più dolcezza. Il suo tocco mi scioglie.
«Non lo so, forse sono i postumi della febbre.» Sicuramente una parte della mia fibrillazione è dovuto a questo, ma so che ci sono anche altre motivazioni sotto.
«E poi, cosa ti turba?» Indaga.
Sono a tanto così dal rispondere "tu", ma riesco a sopprimere l'istinto. «Ho tanti pensieri per la testa, ma non mi va di parlarne.»
Mi guarda di sottecchi. «Farò finta di crederti.»
Abbasso di nuovo la testa, consapevole della piccola bugia appena detta.
Sono due i pensieri nella mia testa: lui e il mio passato. Guardando quegli occhi diversi e tutti i suoi strani comportamenti, non riesco a fare a meno di pensare a mia madre, e alle volte in cui anche lei era troppo strana per capire le ragioni dei sui sbalzi. Lui me la ricorda tanto. Persino il suo nome me la ricorda - il suo era "Kira" - e un po' fa male. Tutto questo, però, non posso dirglielo...
Ma anche lui non mi sembra un totale sconosciuto.
Il suo nome è uguale a quello di mio nonno – quello che non ho mai conosciuto – ma non è questa la questione... sono i suoi modi di fare strani, così come i suoi occhi, a ricordarmi qualcuno...
Ma non riesco a capire chi...
Torno a togliere i vetri con la scopa, mentre lui si china per prendere quelli più grandi, facendo attenzione a non tagliarsi come me.
«Guarda, questo è il colore dei tuoi occhi.» Mi mostra un pezzo, provocandomi un piccolo sorriso.
«Lucidi?»
«Chiari e lucidi come un cristallo. Un caleidoscopio uguale alla luna.»
Non riesco a frenare l'emozione. È un complimento, giusto?
«I tuoi, invece, mi ricordano l'ambiguità del cielo di giorno e il mare tempestoso di notte.» Do voce al pensiero che frulla nella mia testa dal primo giorno che l'ho visto, donando anche a lui un bellissimo sorriso.
Passa qualche minuto di silenzio, mentre terminiamo le pulizie del mio disastro.
«Hai presente gli occhi di Kurt?» Mi riscuote dai miei pensieri, ed annuisco. Diversi e speciali come i suoi. «Quando per la prima volta sono andato al canile, era grande come un pugno, e avevo paura di prenderlo e non sapere come prendermene cura. Quando ha alzato lo sguardo su di me, però, ho sentito il bisogno ossessivo di averlo con me. I suoi occhi, di colori differenti quasi come i miei, mi hanno fatto sentire meno solo nel mondo, meno diverso. La vena di protezione è cresciuta, quindi non ci ho pensato due volte, dopo quello sguardo. L'ho preso e sta crescendo.» Ha gli occhi sognanti, mentre ne parla, e i miei occhi si fanno lucidi.
«È una cosa bellissima. Anche lui aveva bisogno di qualcuno come sé.»
«Avere l'eterocromia, agli occhi degli altri è bello, ma c'è tanto altro dietro che la porta, quindi per me non è poi così bella.» Spiega, in tono triste.
«Quindi l'hai acquisita da qualche...» Mi blocco, rendendomi conto di essere scortese a chiedere una cosa simile.
«Si, acquisita.»
Resto in silenzio, perché sono consapevole di averlo un po' infastidito.
«È quasi ora di andare all'università. Vuoi qualcosa da mangiare?» Annuisco alla sua proposta, quindi prende il brik del latte dal frigo, versandone un po' nel pentolino. Io prendo due tazze, stando attenta a non fare altri danni, e metto i cucchiai sul tavolo. Dopo averlo riscaldato e messo nelle due tazze, le porto sul tavolo, e Koray prende le cose da poter mettere all'interno.
Ovviamente, come già immaginavo, lui ci mette il cacao amaro setacciato e lo zucchero, e insieme mangia dei biscotti con le gocce di cioccolato. È patito, ed è bellissimo vederlo con le labbra marroni.
Nel mio, metto un po' di caffè, e mangio gli stessi biscotti.
«Cosa faremo oggi?» Chiedo, delicata.
«Intendi me e te nei corridoi?» Annuisco. «Ci dobbiamo ignorare. Quello di ieri è stato solo un atto di difesa da quello stronzo maniacale, ma non devono sapere niente.»
Concentro il mio sguardo sulla tazza, per nascondere la mia delusione. Credevo che, dopo ieri, sarebbe stato diverso e avrei potuto comportarmi da amica.
Mi sbagliavo, invece...
Il suo pensiero resta irremovibile, e non so neanche per quale motivo non voglia far sapere di avere un'amica.
Mi risponde come se avessi fatto la domanda a voce alta. «Non ho una buona reputazione, e non voglio macchiare anche la tua.»
Lo guardo negli occhi, e nonostante la sincerità, so che non è tutto. Non indago, però. Mi faccio andare bene la sua vaga risposta, e finisco la colazione. Farò come ha chiesto, sperando che questo contribuirà a non allontanarlo.
Pulisco, poi vado a cambiarmi, e partiamo.
Appena metto piede fuori dalla sua macchina, il terrore mi avvolge. Avevo pensato soltanto a come comportarmi con Koray, ma non a come mi sarei comportata io.
Cosa faranno quei due ragazzi di ieri, Zack e Cody? Dopo le brutte parole ricevute gratuitamente da Zack, non ho neanche il coraggio di guardarlo in faccia. Quel ragazzo non ha buone intenzioni, secondo me.
«Vai, prima che ti veda qualcuno qui.» Mi incita il ragazzo dagli occhi particolari, completamente ignaro delle mie pippe mentali.
Annuisco, poco sicura di me, e chiudo lo sportello mentre lui riparte.
Sospiro, sperando di recuperare un po' di coraggio. La mattinata non è cominciata nel migliore dei modi, ma non smetto di pensare al suo gesto di difesa, la sua vicinanza, il suo bacio caldo sulla mia fronte...
Mi basta pensare a lui, per camminare verso l'entrata dell'edificio a testa alta.
Il mio armadietto è uno degli ultimi del corridoio, quindi osservo fugace gli altri sguardi posati su di me, confusi e straniti. Cosa ho che non va?
«Hey...» Un ragazzo mi sbuca davanti, pietrificandomi. «Pensavo non saresti più venuta, dopo quello che è successo ieri.»
«Invece sono qui.» Rispondo a Cody, abbassando la testa. Non posso perdere tutta la determinazione che ho creato dentro di me.
«Mi dispiace, io...» Lo guardo, convinta di leggergli solo balle negli occhi, ma mi sorprende. La sua timidezza lo blocca. Non sa come scusarsi, perché si è trovato soltanto nel posto sbagliato al momento sbagliato.
«Non preoccuparti, non è successo niente.» Cerco di tranquillizzarlo. Non ce l'ho con lui, perché non ha fatto niente di male.
«No, io... non so perché Zack abbia detto quelle cose.»
«Siete amici?»
«Non proprio. Ci aiutiamo con gli appunti, ma non siamo tanto legati da parlare per ore o uscire insieme. Credo che ieri lui ti abbia occhiata, e ne ha approfittato, vedendo che mi sono avvicinato io.» Spiega, e gli credo. Quel ragazzo ha fatto tutto da solo.
«Andiamo insieme a lezione?» Mi chiede, spiazzandomi. I miei libri quasi mi cadono dalle mani, e mi ritengo fortunata a stare davanti all'armadietto, perché riesco a mantenerlo in bilico.
Per evitare di dargli un'impressione negativa per la mia sfacciataggine, mi ricompongo e gli sorrido.
«Certo, va bene.» Chiudo l'anta dell'armadietto, e cammina al mio fianco verso l'aula di Letteratura Norvegese.
Scorgo lo sguardo di Koray a distanza, e lo sento bruciare su di me.
In risposta, però - nonostante la confusione per la sua occhiata truce - lo ignoro.
Proprio lui mi ha detto di farlo, quindi devo dargli ascolto.
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«Ieri non ti ho vista qui.» Mi dice Cody, appena prendo posto di fronte a lui, in mensa.
«Già, ieri sono stata invitata ad un piccolo pranzo di famiglia.» Ammetto, abbassando lo sguardo sul mio vassoio quasi vuoto. Non ho fame, e credo che sia il pensiero di evitare Koray a distruggermi.
«Ah...» Si guarda attorno. «Del ragazzo di ieri?»
Lo guardo quasi scioccata per la sua allusione giusta, ma faccio finta di nulla. «Chi, Zack?»
«No, l'altro.» Ridacchia. Continua a guardare in lontananza.
Credo che abbia alluso a lui perché in questo momento lo sta squadrando. Non so neanche se è in mensa, sinceramente.
«Oh...» Ed ora come me ne esco da questa situazione? Sapevo che sarebbe stato un gesto sospettabile. «No, di una mia amica.» Mi riferisco a Günes, che davvero definisco amica. È una ragazza molto simpatica, anche se ho passato poco tempo insieme a lei.
«Okay, e con lui?» Lo guardo stranita, non capendo la sua domanda. Mi rivolge un sorrisetto malizioso. «C'è qualcosa tra voi?»
Verrò uccisa, se vacillo anche solo con lo sguardo.
«No no.» Alzo la voce più del dovuto, e respiro per placarmi. «Credo che mi abbia soltanto difesa da quelle parole meschine. Non ci conosciamo neanche.»
Non lo guardo. Mi sento malissimo per la grossa bugia che ho appena detto, ma non ho altre possibilità.
Alza e riabbassa le spalle. «Sembravate in sintonia.»
«Sarà un bravo attore.»
«Non ha mai fatto un gesto simile, soprattutto per aiutare una ragazza... mi sembra strano.»
Basta questa sua ammissione a catturare completamente la mia attenzione, ribaltando le carte in tavola. «Tu lo conosci?»
«Non in termini specifici, perché non siamo mai stati amici, ma girano un sacco di cose sul suo conto.»
Non ho una buona reputazione, e non voglio macchiare anche la tua.
«Tipo cosa?»
«È uno dei ragazzi più popolari dell'istituto, perché bello ma soprattutto strano. Le ragazze gli stanno dietro come cagnolini, e c'è chi dice che fa delle belle e soddisfacenti avances.»
No, questo non può essere possibile. Non mi ha dato il minimo sospetto di essere uno di quei tipi. Ieri non mi ha neanche voluto baciare. Non può evitare me, e poi cadere ai piedi delle altre ragazze.
Non sono nessuno, ma pensavo di piacergli almeno un po'...
«Ma è una cosa un po' incoerente, perché in tanti dicono che abbia degli scatti d'ira assurdi, come quello che ha avuto ieri. Molti affermano che da uno stato di calma riesce a passare alla collera senza neanche un motivo.»
Si, questo ho avuto il privilegio - o la sfortuna - di captarlo.
«Credono che sia un falso bipolare, che abbia qualche malattia contagiosa, qualche disturbo psichiatrico.»
Una spada nel cuore mi trafigge.
Speravo di aver pensato troppo assurdamente, ma questo mi conferma che una piccola parte di me ha pensato bene. Ho creduto che avesse la mononucleosi, e questa la portasse a cercare un contatto, per poi essere costretto ad interromperlo bruscamente prima che avvenga.
«Tu cosa credi che sia vero?» Domando piano, nascondendo la tristezza.
«Sicuramente è un po' lunatico. Per quanto riguarda le ragazze, sicuramente ha avuto qualche relazione, ma non credo che sia il tipo da una botta e via. Non l'ho mai visto mano nella mano con una ragazza, e un paio di volte ho notato la sua diffidenza mentre ci parla. Certe volte, le persone inventano tante stronzate per vanità, perché tutte, qui dentro, vorrebbero passare una notte da sogno con lui, ed altre, poi, inventano altre stronzate per gelosia. Credo fermamente che la verità può saperla solo lui.»
Il suo discorso mi solleva.
Ha ragione, solo Koray può sapere cosa fa davvero, o cosa gli scatena i cambiamenti d'umore repentini. Non mi ha mai fatto avances - allusioni - e non mi sembra neanche il tipo. Suo fratello e sua sorella sono preoccupati per lui per aver preso una casa da solo, ma non perché possa portarsi una ragazza diversa ogni sera. Ha qualcosa... qualcosa che vuole tenere a tutti i costi nascosto, quindi lascia credere alle voci che girano. Forse è per questo che non vuole far sapere di me, che mi conosce e che vivo in casa sua.
«Beh, ora credo che anche tu voglia cadere tra le sue gambe.» Ride, e in risposta gli lancio una patatina.
«Non sono chi dice Zack.» Sibilo, con tono duro, ma alla fine ridacchio per la sua espressione.
«Lo so, però so anche che nascondi qualcosa su di lui.»
«Perché? Cosa te lo fa pensare?» Mi allarmo. Non posso rischiare di essere scoperta.
«Hai ascoltato ogni cosa che ho detto su di lui come se stessi facendo un'intervista. Ti stai mettendo in guardia, oppure vuoi capire se vale la pena stare con lui o meno?»
«Ti ho detto che non lo conosco.» Ribatto, ma abbasso di nuovo lo sguardo, a disagio. È inutile, la mia eccessiva curiosità ha avuto la meglio. «Ma mi piace.»
La sua sedia cigola alla mia ammissione, perché è rimasto sorpreso dalle mie parole. «Intendi dire che vuoi andarci a letto?»
«No.» Grido, lanciandogli un'altra patatina. «Mi interessa proprio lui. Sembra un tipo chiuso, misterioso, ma credo che sia molto di più della sua apparenza. Nel suo sguardo ci vedo tante cose, e mi piacerebbe scoprirle.» Esprimo la mia più totale sincerità, e sento le mie guance tingersi di rosso.
«Ti attraggono le cose impossibili, sorella.»
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