12. LUPO

Vorrei fare dei video accattivanti su tiktok o reel inerenti alla storia, ma mi rendo conto di essere proprio impedita ahahha non dico di voler andare virale, ma almeno scatenare un po' di interesse 😂
Ad ogni modo, se vi va di seguirmi lì, sono mariacarmelachianca su ig, e mariacarmela01 su tiktok ❤️
Buona lettura, adesso🫶🏻

Una notte, il lupo ululò alla luna.

Si sentiva solo,

voleva solo far sapere

che anche lui era vulnerabile.

Ti è piaciuto? Non sapevo cosa prendere, e questo è stato il massimo.

Osservo il sottile braccialetto arrugginito avvolto attorno al mio polso, per evitare di guardare Koray di spalle e restarci male. Era un regalo di mia madre, per i miei sei anni. Raffigura il ciclo delle lune, ed è sempre stato uno dei miei preferiti, anche se non gliel'ho mai detto.

Mi chiedo, però, perché non l'abbia mai tolto dal polso. Insomma, non perché è vecchio, ma per via di cosa è successo con mia madre.

Con quale coraggio l'ho lasciato illeso? Mi ha abbandonata senza una spiegazione logica.

Ci giocherello un po', e accarezzo le diverse fasi lunari con un sorriso quasi malinconico, ma il ruvido della ruggine si fa sentire sotto il mio dito. Dovrò toglierlo una volta per tutte. Basta restare attaccata alla speranza che tutto possa tornare al posto giusto... alcune cose non possono durare. Appena arriveremo a casa, lo butterò.

«Lin, copri quel braccio, che fa freddo.» Ascolto la voce di Koray, e non posso fare altro che sorridere. Sembra un fratello maggiore, al momento... uno di quelli che si preoccupano del bene del prossimo.

«Grazie, papino. Non ci avevo pensato.» Rispondo scherzosamente, ma finisco per ridere della mia stessa battuta.

«Mh, sono troppo giovane per essere tuo padre.» Si ferma per farmi avvicinare a lui. Quasi mi rimangio quello che ho detto. Non volevo alludere a mio padre, che neanche conosco. «Te l'ho già detto, non ti si addice l'ironia.»

«Beh...» È il caso di dire quel che penso? Mi prenderà sicuramente per pazza. «Credo che i tuoi momenti di calma mi stiano facendo male. Sto...» Mi blocco. Non dovevo parlare. È imbarazzante, e troppo.

La sua espressione vacilla, sorpresa per le mie parole. «Vuol dire che mi preferisci stronzo?» Il suo volto è vicino al mio, e mi rivolge un sogghigno.

Abbasso il volto, sentendo le mie guance andare in fiamme e il battito cardiaco che aumenta. «No, ehm...» Cosa devo dire? Mi sono messa in questo pasticcio vergognoso da sola. Vorrei sbattermi un palmo sulla fronte per la mia stupidità, ma sono certa che il ragazzo mi crederà doppiamente scema.

Insiste con lo sguardo, ma ho troppa vergogna dentro, quindi alla fine si allontana, e aspetta di vedermi raddrizzare per camminare a mia volta al suo fianco. In effetti, dovrebbe andare leggermente più piano, se non vuole perdermi a metri di distanza.

«Chi ha scelto il nome Kurt?» Chiedo, di punto in bianco. Non sopporto molto il silenzio. Mi piace chiacchierare e parlare di cose belle.

Si volta a guardarmi alla sua sinistra. «Vuoi tornare a parlare della storia dei nomi?»

Annuisco e riesco a scorgere un sorriso divertito dalle sue labbra. «Il cane ha un proprietario, e si dà il caso che è proprio il proprietario a scegliere il nome, ovviamente.»

Oddio, che figura. Non ci avevo neanche pensato, ed ora lui mi ha presa in giro. Devo pensare a cosa voglio dire prima di parlare, uffa.

«Va bene, va bene. Ti dico perché ho scelto questo nome, a patto che non resti in silenzio a crogiolarti nel disagio.» Lo sento ridere. Questo è anche più imbarazzante, senza dubbio. Si è accorto del mio stato, e vorrei solo sprofondare. «Kurt prende origine dalla Turchia, ovviamente, come il mio nome. Lui è un Husky Siberiano, e fin da piccolo ho sempre pensato che fosse un lupo, per la sua corporatura e i suoi modi di fare. Potrei dire che è un Cane Lupo, ma non è la stessa cosa. Sarà sempre un vero lupo per me, ed in turco significa proprio questo.»

Non posso fare a meno di allungare un sorriso fino agli occhi. È incredibile la coincidenza di certe cose. Sembra che anche lui, oltre che con la neve e la Norvegia, abbia un legame particolare con la Turchia, tanto da preservarne i nomi derivanti con i suoi significati più belli.

Lo stesso vale per me. Non so perché la donna che mi ha dato alla luce mi abbia dato un nome turco, ma la mia madre adottiva mi ha spesso rammentato che lo amava. Forse mio padre era originario della Turchia, e lei mi dava sempre risposte in codice.

Non lo so, credo che ora sia anche troppo tardi per saperlo. Insomma, non interpellerò mia madre, e di mio madre non so nulla, neanche se è vivo o morto – e la stessa cosa vale per la mia madre biologica - quindi, anche se volessi fare in modo di avere qualche notizia, non saprei neanche da dove partire.

«Approvo il tuo modo di pensare. Anche io ho sempre pensato che l'husky fosse un lupo.» La mia voce deve risultare leggermente più incrinata di prima, perché mi fissa senza staccare gli occhi dal mio profilo, cercando di studiarne l'espressione.

«Hai avuto un cane in passato?» Domanda dopo qualche minuto di silenzio.

Mi ritrovo ad abbassare la testa per tutti i pensieri che vagano. «Non ne ho mai avuto l'opportunità. Mia madre doveva badare a me, quindi non poteva pensare anche ad un cane. Quando poi sono rimasta sola ho vagato qua e là per il mondo, per cui non ho potuto averne. Kurt è il primo che riesco a considerare come se fosse il mio.» Nonostante la mia leggera tristezza sia dovuta alla mia famiglia e al passato, anche questo argomento fa male. Gli animali sono stupendi, ed ho sempre voluto avere una piccola compagnia, soprattutto quando ero più piccola.

«È sempre mio, però.» Precisa lui, riuscendo a farmi di nuovo sorridere.

«Non lo ruberei mai.»

Ormai siamo quasi arrivati a destinazione, e questa volta è lui a cambiare umore. Me ne accorgo dal suo silenzio, dal suo respiro più forte, e dal modo in cui cammina. Non si fa vedere in faccia, ma sono sicura che anche la sua espressione sia diventata più cupa. Non so cosa io abbia detto di sbagliato.

«Ti dà fastidio che io provi tanta simpatia per il tuo husky?» Chiedo. Deve pur esserci una spiegazione.

«Anche se fosse, non posso smontarti la testa.» La sua risposta suona molto acida alle mie orecchie. Mi odia fino a questo punto? Vorrebbe, in un certo senso, farmi fuori dal mondo per la gelosia verso il suo cane? È assurdo, non ho fatto niente di che, se non cercare di creare amicizia con lui e il suo animale affettuoso.

Affretta il passo, costringendomi di conseguenza a velocizzare il mio, facendomi inciampare. Questa volta, però, non ride. Continua a pedalare senza voltarsi, come se io non esistessi.

A passo mio, seguo le sue impronte e raggiungo la casa dove abito, trovando Koray e Serkan intenti a discutere, e Günes a guardarli poco distante da loro, mentre accarezza Kurt.

«Aylin.» Urla, vedendomi sbucare dagli alberi, e mi raggiunge. Sorprendendomi, mi stringe in un caloroso abbraccio, che ricambio con non poca titubanza. Sono preoccupata per il fratello, lo ammetto. Non riesco a togliermi dalla testa i bei momenti passati dopo cena, senza contare gli immancabili episodi negativi.

Vederlo in questo stato rabbioso, ora come le altre volte, mi distrugge.

Mi sento tremendamente in colpa perché, anche se non so cosa lo infastidisce, so di esserne la causa.

«Domani comincerai gli studi alla UiT, giusto?» Mi domanda, felice.

«Corsi di lingua, si.» Me ne ero completamente dimenticata, a dir la verità. Domani mattina dovrò svegliarmi presto per capire dove dovrò andare.

«Ottimo, pensavo di sbagliarmi ma Serkan mi ha confermato questa cosa. È probabile che ci vedremo, perché io sono al secondo anno, lì, insieme a Kore. Gli abbiamo già detto che dovrà accompagnarti lui, perché non puoi fare tardi. Hai scelto un'università con professori abbastanza severi.»

Oh... quindi sarebbe questa l'emergenza che ci ha fatti tornare qui? È per questo motivo, che ora Koray è nervoso?

«E Ser, invece?»

«Lui ha terminato la triennale due mesi fa, e vuole aspettare un po' prima di fare il master.» Si accorge della mia espressione titubante, mentre guardo i due ragazzi che continuano a bisticciare tra loro. «Kore è un ragazzo complicato, e posso immaginare quanto possa esserlo il pensiero di avere un passaggio da lui, come lo è la convivenza con lui.»

«Noi, però, non conviviamo come una normale coppia, perché non lo siamo. Sono qui come un'infiltrata, e non ho ancora capito quale dovrebbe essere la mia missione.» Parlo con un tono basso, sperando di non essere sentita da lui.

«Non c'è nessuna missione alla base. Credo che Serkan ti abbia dato la casa per la sua preoccupazione, ma non perché il mio gemellino è uno squilibrato. Semplicemente, ogni tanto ha bisogno di qualcuno al suo fianco che lo sostenga quando ha i suoi momenti peggiori. È un tipo molto irascibile, e quando si è trasferito per vivere da solo ci siamo spaventati. Devi solo farlo restare a galla, Lin.» Mi spiega con tono calmo e chiaro.

«Come faccio ad aiutarlo, se non so neanche da cosa devo salvarlo?»

«Lo capirai presto, perché è una cosa comune nelle persone, ma in lui si presenta tutti i giorni, in qualsiasi momento della giornata.» Torna ad accarezzare Kurt, ed io guardo ancora i due ragazzi.

Non vuole dirmi di cosa si tratta esattamente, quindi dovrò capirlo da sola. È il caso di avvicinarmi per calmare le acque?

«Ah, Lin.» Nes richiama di nuovo la mia attenzione, alzandosi da terra. «Domani avrò poche lezioni, e sicuramente anche tu. Mio nonno ne ha approfittato per invitarti a pranzo da noi, ed ovviamente verrà anche Kore, perché fa parte della famiglia. Ti andrebbe di venire? Ci farebbe tanto piacere conoscerti meglio.»

Il mio sguardo non si distoglie da quei capelli castano cenere che svolazzano da una parte all'altra, e che si riconoscono anche sotto il buio della notte.

«Lui lo sa?»

«Si, lo abbiamo chiamato poco fa, e credo che sia per questo che è arrabbiato. Non sopporta le sorprese, ma neanche sapere le cose all'ultimo minuto... soprattutto se non ha avuto neanche l'opportunità di scegliere.»

Sarà anche questa la ragione principale della sua rabbia, ma credo che in parte è comunque colpa mia. Sono piombata all'improvviso qui, in questa città, e soprattutto in casa sua, ed ora deve persino subirsi la mia presenza durante il pranzo in famiglia.

Non so cosa gli dia sui nervi del mio riguardo, ma provo a mettermi nei suoi panni. Io non riesco ad odiare le persone, ma per tutti i libri che ho letto in vita mia, so che deve essere snervante trovarsi la persona in questione ovunque.

«Va bene se ci penso un po'? Voglio essere sicura di non creare problemi.»

«Non ne crei, tranquilla. Puoi assicurartene, ma non accetterò un no come risposta.» Rispondo al suo sorriso divertito con una smorfia. Dovrebbe essere un sorriso di apprezzamento, ma non credo di essere riuscita nell'intento.

Mi sento alle strette, e non voglio deludere nessuno. Dovrò fare i salti mortali per accontentare tutti.

Cerco di sviare la conversazione, e mi avvicino ai ragazzi. Serkan si accorge subito del mio arrivo, infatti alza lo sguardo, interrompe la sua conversazione, e mi abbraccia.

«Bella rossa.» Mi saluta, facendomi ridere.

«Ha un nome, coglione.» Sbotta Koray, attirando l'attenzione di entrambi.

Resto un po' scioccata dalle sue parole. Insomma, lui è il primo ad avermi dato cent'ottanta nomi diversi.

«Mi Kore, non sapevo che ti fossi già innamorato di lei.» Lo punzecchia, sfoggiando un sorriso a trentadue denti. «Cavolo, quanto tempo è passato? Una settimana? Wow, non pensavo sarebbe stato così semplice.»

Spero stia solo scherzando, perché, in caso contrario, questa è la scusa perfetta per mandarmi a quel paese a calci nel sedere, come lui disse il primo giorno che mi ha vista in casa.

«Va' al diavolo.» Con espressione furiosa, si allontana da noi a lunghe falcate, sbattendosi la porta di casa alle spalle.

Ho la copia della chiave con me, giusto? Oddio, spero di sì.

«Ser, sei proprio un bastardo.» Commenta sua sorella, avvicinandosi.

«Un bastardo divertente, lo so.» Si vanta, guadagnandosi la sonora risata di Günes.

Io, invece, non riesco a smettere di pensare a Mister Rabbia. Non riesco neanche a staccare gli occhi dalla porta. Cosa è appena successo?

Avverto gli sguardi dei due su di me, ma non ci do peso. Il mio disco mentale si è fermato a lui, e sono spaventata. Non ho paura di lui, ma delle cose che sento dentro di me, completamente nuove. Non ricordo una singola volta in cui mi sono sentita così empatica verso qualcuno.

«Credo che il letto ci sta chiamando. Si è fatto davvero tardi, cavolo. Ora tocca a te, Rossa. Convinci quel testardo. Ci vediamo domani.» Li guardo mentre vanno via, dopo che Ser mi informa su cosa devo fare in codici che non conosco.

Torno a fissare la casa, sospirando. Non avrei mai pensato di ritrovarmi davanti ad un'impresa più grande di me, tornando in Norvegia.

Raccolgo tutte le briciole di coraggio sparse nel corpo, e raggiungo l'entrata. Sono costretta a suonare il citofono, perché non ho le chiavi con me. Tra una cosa e l'altra, ho dimenticato di prenderle quando sono uscita, affidandomi proprio alla sua presenza.

Primo suono, niente. Solo un fruscio di vento.

Secondo suono, Kurt comincia ad abbaiare, e comincio a sentire urla nevrotiche e cocci rotti.

Primi pugni contro la porta, altre urla sommerse. Sta succedendo qualcosa, ha bisogno di me.

Altri pugni contro la porta. «Koray! Kore, aprimi. Sono io.»

Continuo a sbattere le mani al portone e suonare il campanello, ma non credo di riuscire a sovrastare le sue grida. È fuori di sé.

«Koray!» Riprovo, ma niente. Kurt ha smesso di abbaiare, e non sento neanche più lo strido della sua voce. Anche se continuo a bussare, nessuno viene ad aprirmi. Forse è crollato per la troppa furia, oppure ha lasciato la cucina.

È tutto inutile, sono costretta a restare fuori. Fa freddo, ma almeno posso proteggermi nel grande cappotto e negli indumenti invernali del sottoscritto.

Cerco di cambiare i miei pensieri, sostituendoli tutto con un solo pensiero positivo: sono ancora Linny Klaus.

Mi siedo a terra, con la testa rivolta alla luna piena, e respiro tutta l'aria possibile, per poi ragionare sul momento. Non sono sola, perché so che Kurt è dall'altra parte della porta, proprio all'ingresso, arrotolato su sé stesso con il mento sulle zampe anteriori.

«Sai, non so cosa è successo a mia madre, quando avevo cinque anni. Lei ti adorava, ed è stata lei a trasmettermi lo stesso sentimento per te, Luna.» Sospiro tra i miei sussurri, guardandola. «Qualunque cosa sia, ti ha deluso e mi dispiace molto. Io, però, non sono e non sarò come lei. Cerco di lottare, e farò il possibile per non ripetere i suoi stessi errori. Mi hai messo davanti a lui, con le sue difficoltà. Vuole farmi credere di essere un lupo, ma l'ho capito dai momenti di tranquillità che non è cattivo... forse è un lupo buono. Non credo che esistano le persone cattive. Cercherò di scovare i suoi problemi, e lo aiuterò. Manterrò questa promessa.»

Lentamente, chiudo gli occhi e mi abbandono al sonno. Vorrei sognare la pace, la libertà, ma non riesco ad immaginare nient'altro che un ragazzo riccioluto, con un colore castano strano tendente al cenere e una capigliatura che gli contorna la cute, con le labbra abbastanza carnose, la mascella squadrata e, soprattutto, due occhi che mi perforano la pelle con i loro lucenti colori differenti, uno celeste lucido come il vetro e l'alto scuro come la notte.

Mi sento sollevare da terra come una sposa, afferrata dalle possenti braccia muscolose e un forte odore di cioccolato e pistacchio.

Il sogno sta funzionando alla grande. «Non posso asciarti morire.»

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