10. VOLPE

La volpe scappa dagli esseri umani,

ma può essere la creatura

più dolce del mondo.

«Anche se continui a pregarmi in ginocchio, la mia risposta non cambierà. Niente cioccolato fondente.» Mi disse mia madre, mentre io continuavo a tirarle la maglia. Il sole stava appena cominciando a sorgere, era il giorno del mio settimo compleanno... Ma era cominciato davvero male. «Non cercarmi... sarà tempo sprecato. Non mi troverai.» Non mi aveva nemmeno fatto gli auguri, prima di andare via.

Si sarà calmato? Starà ascoltando un po' di musica? Starà dormendo o pensando?

Sono bloccata con la penna nera tra le dita della mano destra, in attesa di capire cosa poter scrivere sul diario, come descrizione dei disegni. Ho la testa da tutt'altra parti. Si divide tra due strade - dettate dai miei incubi e le mie paranoie - che giungono ad una sola domanda: vado a vedere come sta, o penso a me e mi addormento?

La piccola parte egoista di me vorrebbe mandarlo al diavolo e aspettare domani, facendo cambiare le situazioni da sole, vedendo i suoi comportamenti... ma questa non sono io. Io non mi arrendo alle prime difficoltà, e questa situazione non fa eccezione.

Ho già perso mia madre in passato, e solo perché lei mi costrinse a non cercarla. Non commetterò lo stesso errore.

Alla fine rinuncio momentaneamente alla stesura delle descrizioni, consapevole di non poter fare miracoli, se prima non avrò portato questo trambusto ad un punto migliore.

Se voglio bene ad una persona, so quando cercarla e quando no, ma soprattutto so quando insistere se mi dice di stargli lontano.

Non dico di essere perspicace, o sicura al 100% delle mie mosse, ma se non faccio ciò che credo sia giusto, proverò un rimorso peggiore del pentimento. Se nel caso quel che faccio dovesse rivelarsi un fallimento, potrò almeno dire di averci provato.

Nonostante la mia forte determinazione mentale, il mio corpo è leggermente in deficit, tanto da aver timore di uscire dalla mia stanza.

Che mi prende? Cosa mi costa andare nella stanza di fronte alla mia per dare almeno un'occhiata? Beh, mi costa tanto, a partire dalla collera che sicuramente mi subirò.

Prima di seguire le mie intenzioni, mi guardo allo specchio attaccato alla parete, cercando di soffermarmi sui miei occhi cristallini.

Aylin, tu sei la luce e niente può spegnerti. Puoi solo illuminare chi ti sta intorno, mi incoraggio da sola con le parole che mi ha rivolto spesso l'unica persona che è stato in grado di restarmi accanto.

Dopo un lungo sospiro pieno di audacia, esco dalla stanza e resto sorpresa dal trovare la porta di fronte alla mia socchiusa.

Ovvio, potrebbe essere andato in cucina per uno snack, oppure in bagno. Anche lui è un umano, e non può restare chiuso in una stanza.

A passi delicati, nonostante il pensiero che lui non ci sia, avanzo verso la camera. C'è la luce accesa. Forse, allora, è dentro e si è addormentato, oppure l'ha dimenticata. In questo caso, gliela spegnerò. Do una mano per il risparmio delle bollette.

Appoggio la mano sulla tavola di legno bianco, e la sposto lentamente in avanti, sperando di non fare rumore. Non voglio dare fastidio.

Resto affascinata dall'ordine impeccabile di questa camera notturna, nonostante la tanta roba presente: non ci sono poster di cantanti appesi alle pareti, ma una marea di dischi esposti come quadri, e persino una pianola all'angolo della stanza più vicino alla finestra, con tutte le prese collegate e i tasti intatti.

Sembra nuova di zecca. È un cantante? Oppure un musicista? Come ho fatto a non notare questo paradiso, quando ho messo piede qui dentro il primo giorno.

Mi avvicino al suo letto, avvertendo il suo profumo di cioccolato e pistacchio ovunque, e do un'occhiata alle fotografie appese sopra alla pianola, attaccate formando l'iniziale del suo nome, una K.

Ci sono foto con la famiglia su ogni linea della lettera, ma una cattura maggiormente la mia attenzione: ci sono tre bambini, alti uguali, con la stessa bellezza e le loro particolari caratteristiche.

Riesco ad individuare subito chi dei tre è Koray, e persino chi è Günes, ma il terzo bambino non è affatto Serkan. Nella foto c'è un'altra bambina, letteralmente la fotocopia di Günes, mentre suona il pianoforte. I suoi capelli sono rossi. Forse... forse è la stessa ragazza della fotografia sulla sua scrivania. Probabilmente, è la stessa che successivamente è diventata la sua ragazza.

Resto imbambolata e confusa, ma non riesco a staccare lo sguardo dalla fotografia, tanto che avverto il bisogno di accarezzarla. Tocco la figura di Koray, provando dispiacere per un bambino così sorridente, che ora vorrebbe solo mettere a soqquadro il mondo.

Come può una persona così felice diventare così cupo? Insomma, io conosco perfettamente la sensazione, ma ho sempre la necessità di scoprire le ragioni degli altri.

Io cerco di dimostrare la mia forza, sopprimendo il resto.

Insisti per te stessa e sii migliore di come sei.

Questa è una delle frasi che mi ripeto quando vorrei solo cacciare fuori tutta la rabbia e non incassare più nessun sentimento. Le parole di quell'uomo mi si sono impresse dentro, dandomi la speranza che mancava.

Abbasso un tasto della pianola mentre ci passo una mano sopra, e questa emette un suono, che mi fa sorridere.

«Chi ti ha dato il permesso di frugare in camera mia?» Sento urlare subito dopo, al che sobbalzo come se avessi visto uno scarafaggio.

Inizio prevedibile, dovevo sospettare che avrebbe reagito così.

«Cercavo te.» Ammetto, però allo stesso tempo mi sento una stupida. Pensavo davvero di poter far sparire la sua rabbia?

«Certo, e giustamente sei entrata a toccare la mia roba anche se non c'ero. Cercavi me.» Ride spazientito e completamente ironico. «Esci subito fuori da qui.» Mi indica poi la porta.

Guardo la foto, la pianola, e poi di nuovo lui. «Come stai?» La mia voce è cauta ma preoccupata. Forse anche troppo, osservando il disgusto nell'espressione di Mister Rabbia.

«Non ho tempo da perdere con le tue prese per il culo. Vai a fare la ninna.» Mi prende dalla spalla per portarmi alla porta, ma io mi dimeno per liberarmi. Mi sta trattando come una bambina.

«Koray, come stai?» Insisto, e una scintilla attraversa i suoi occhi. Con la schiena ormai rivolta verso la parete – quella dove c'è anche la porta della stanza - si avvicina quasi minacciosamente a me, facendomi aderire al muro con la spina dorsale senza neppure toccarmi.

Sento il suo sguardo che penetra nel mio con la luce e l'oscurità.

Sento il suo fiato sul mio collo.

Sento la sua mano nei miei capelli.

Il mio respiro aumenta la sua quantità, e il battito del cuore aumenta la velocità, creando in me una lunga serie di emozioni forti e spaventose.

Non ho paura di lui, ma di quello che sento stando vicino a lui.

Avverto anche il suo respiro che aumenta insieme al battito, quasi come se i nostri corpi fossero diventati gli stessi. I suoi occhi si chiudono per un istante, come se anche lui stesse avvertendo la stessa frenesia, o almeno l'anima in gola.

Sia io che lui deglutiamo, e lo osservo mentre, con gli occhi di nuovo aperti, fissa le mie labbra e si avvicina, mentre la sue si allargano lievemente all'insù. Sono costretta a chiudere gli occhi per poter imprimere il bacio nella mia pelle, ma esso non arriva.

Qualche secondo dopo, però, il suo fiato lo avverto nell'orecchio, quindi apro gli occhi senza muovere un nervo. «Ti ho detto di lasciarmi in pace.»

Torna al suo posto, a qualche metro di distanza da me, e ci fissiamo, mentre entrambi cerchiamo di nascondere il ritmo dei respiri. Vorrei poter dire altro, ma ho paura che possa sentire tutto il suo effetto su di me.

Delusa soprattutto da me stessa, faccio per uscire ma, inaspettatamente, mi afferra per il polso, costringendomi a guardarlo.

«Dove vai adesso?» Domanda, con una voce più calma. Ma cosa gli prende?

«Hai appena detto che devo andare via.» La mia voce è incrinata, e trasmette chiaramente la tristezza.

«Sto bene, o almeno sto meglio rispetto a poco fa.» Risponde alla mia domanda precedente, fermando di nuovo la mia uscita. Non lo capisco.

«Sei sicuro? Hai detto che non-»

«Si, lo so, e vale ancora quello che ho detto, ma dovevo rispondere alla tua domanda.»

Avevo ragione, quindi. Anche lui – anche se lo nasconde - ha un buon cuore.

Faccio per avvicinarmi a lui, ma fa un passo indietro. Ha già superato il suo limite, posso comprenderlo. Do un'occhiata fugace ai dischi appesi, quindi gli chiedo cosa sono esattamente. È chiaro che non sono dei semplici album di cantanti famosi.

«Sono cose mie.» Risponde, molto vago. Nascondendo la delusione, lo guardo ed esco dalla sua stanza, lasciando la porta aperta.

Sto per entrare nella mia quando sento urlare: «Non azzardarti mai più a ficcanasare nella mia stanza, chiaro? Altrimenti già sai cosa succederà.»

Mi caccerà di casa, lo so.

Appena chiudo la porta della mia camera, mi accascio a terra, stringendomi le ginocchia contro al petto.

Non voglio essere debole, e soprattutto non voglio piangere, ma la mia forza interiore al momento è nulla. Sono ferita, e mi chiedo perché la gente debba ridurre altre persone in questo stato. Cerco solo di fare delle buone azioni, ma non vengono apprezzate.

Loro preferiscono l'odio alla gentilezza, ma io non riesco ad essere così.

Mordo la mia lingua, in modo da sopprimere i versi del pianto, e cerco di pensare a quale potrebbe essere la prossima mossa che farò per conquistare la sua fiducia. Perché sì, io continuerò a combattere questa battaglia non pronunciata. Non mi fermerò finché anche lui non vedrà il buono che ha.

Nonostante la fermezza del mio pensiero, attualmente non ho la più pallida idea di come procedere. Lui è stato chiaro: non mi vuole attorno, ed è convinto che stia qui solo perché è stato suo fratello a chiedermelo.

Non potrei mai avere un potere in grado di cambiare il suo pensiero. A volte è lui a sembrare un'altra persona, perché ci sono momenti in cui si mostra calmo e accondiscendente, ma chi mi dice che non è una sua tattica per terrorizzarmi?

Insomma, al momento, se la mia teoria è corretta, non ci sta riuscendo, ma la domanda nella mia testa non smette di frullare: Cosa gli prende? Cos'ha?

Non può stare solo, mi disse il fratello maggiore - quando ho scoperto che i due si conoscevano - e da lì ho provato a pensare ad una marea di cause che portano all'isolamento, anche se questo è altamente sconsigliato.

Se penso al fatto che potrebbe avere qualche disturbo mentale collegato alla dissociazione, all'isolamento sociale, e all'ansia sociale, la mia voglia di stargli accanto aumenta. Quando mi trovo in queste situazioni delicate, sento maggiormente il bisogno di aiutare il sottoscritto.

Chiamarla pena mi fa ribrezzo. Altruista? Si, altruista potrebbe essere la parola giusta per descrivere il mio comportamento con queste persone.

Ha bisogno di aiuto. Non mi sarei mai azzardato a fare una cosa simile, se non fosse stato per una seria ragione. Deve capire che non è colpa sua.

Le parole di Serkan, preoccupate come mai ho visto qualcuno, mi danno la spinta in più per stargli accanto, anche solo con la presenza.

Non so cosa gli succede, ma a volte la sola presenza vale più di mille parole, un abbraccio vale più di una scusa, e un sorriso vale più di un motivo.

È nel silenzio che si comprendono le persone.

Più forte di prima, asciugo le lacrime dalle mie guance, cercando di stabilire il mio respiro, e vado alla scrivania, osservando i disegni fatti. Non faccio altro che soffermarmi sulla volpe addormentata, e automaticamente il mio pensiero salta a Koray. Lui vuole far credere di essere cattivo come un lupo, che ulula solo alla luna, ma credo che la sua persona si avvicina più ad una volpe, che scappa quando vede un essere umano, ma quando è tranquilla può essere la creatura più dolce del mondo. Nella favola dei Grimm, lui può interpretare bene la piccola creatura rossa.

Accanto al disegno, decido di scrivere proprio questo: animale solitario, che scappa dagli esseri umani, ma può essere la creatura più dolce del mondo.

Chiudo il quaderno con un sorriso, e lo ripongo nel mio cassetto. Provo a riflettere su come poter passare il tempo, anche se sono soltanto le 10 di sera.

Dormire al momento non rientra nei miei piani, considerando il pensiero insistente di Mister Rabbia. Opto quindi per una bella boccata d'aria fresca, o forse dovrei dire gelida. Magari congela la mia mente.

Ironia silenziosa a parte, credo che una passeggiata possa calmare tutto, quindi è proprio quello che faccio. Allaccio le scarpe da ginnastica, non avendo ancora preso degli stivaletti per la neve, e indosso il cappotto. Non ho sciarpa, cappello o guanti, quindi dovrò fare in fretta, se voglio evitare di finire assiderata su un lettino mortuario. Non sarà una bella scena, sicuramente.

Raggiungo il corridoio, e con sorpresa trovo la luce accesa, con Kurt che guarda la porta d'ingresso con impazienza.

«Piccolo, devi fare i bisognini?» Gli chiedo, sperando che il ragazzo dai capelli castano cenere - dalla sua stanza - non riesca a sentirmi. «Stai cercando di farti capire, vero?» Mi lecca la guancia destra, facendomi ridere. Subito dopo apro la porta di casa, e il cane esce di corsa.

Faccio anche io per uscire, ma la sua voce mi blocca: «Vai a fare una passeggiata?»

Non è infastidito, vero? «Sì, ho visto Kurt davanti la porta, e credo debba fare pipì.»

«A dir la verità, stava aspettando me. Dovevo coprirmi.» Spiega, quindi indietreggio.

Sto per dire che può andare, allora, e che resterò dentro senza problemi senza dargli fastidio, ma lui mi precede: «Dovresti coprirti di più, perché la notte si gela.»

Resto con la bocca mezza aperta, senza sapere cosa dire. La mia testa mi riporta immediatamente alla prima sera che sono stata qui, quando lui mi ha costretta a stare fuori: quella notte non ho avuto freddo. Come è possibile che ora, anche se al momento sono soltanto a metà tra la casa e l'esterno, sto già congelando?

Non posso lasciarti morire.

Evidentemente, lo strano sogno che ho fatto mi ha dato un calore interno.

«Tieni, ho trovato questo cappello di lana e una sciarpa. Potrebbero esserti utili.» Guardo le sue mani tese senza sapere cosa pensare. Non mi ero accorta di essermi persa nei miei pensieri.

Gli sorrido come forma di ringraziamento, ed indosso gli indumenti. «Oddio, aspetta un secondo... dovrei avere i guanti, da qualche parte, abbinati alla sciarpa.» Corre in corridoio, ed io mi chiedo cosa gli prende adesso. Sembra felice.

«Ecco a te, ora sei completa.» Sorride, entusiasta del risultato. «È un immenso piacere conoscerti, Linny Klaus.» Fa persino un inchino, guadagnandosi una mia occhiata interrogativa.

Subito dopo, però, osservando il suo sguardo lucente - è felice come un bambino - capisco: cappello rosso, sciarpa bianca, e guanti dello stesso colore. È palese che somiglio a Santa Klaus.

Faccio un inchino anche io. «Il piacere è tutto mio, piccolo bambino. Vuoi una vendetta per regalo?» Scoppia a ridere, contagiando anche me che stavo cercando di restare seria.

«Mi dispiace, ma no. Questa è proprio la mia vendetta. Ora siamo quasi pari.»

Si riferisce al fatto che vivo nella sua casa, senza dubbio.

«È il momento di andare, Linny Klaus. Abbiamo altri regali da consegnare.» Esce di casa, seguito da una me con il sorriso stampato in faccia.

È bellissimo, soprattutto quando è sereno. I nomi che inventa, poi, sono talmente particolari da renderli speciali.

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