Rinnegati

Susannah si calò il cappuccio della sua enorme felpa nera più giù sulla testa, abbassando la fronte, nella speranza di non essere notata da nessuna delle persone che ballavano tutto intorno a lei.
Non era mai stata al Lux, a dire il vero, ma in quel momento non era affatto interessata a guardarsi intorno.
Strascicò i piedi fino al bancone del locale, buttandosi a sedere su uno degli sgabelli liberi e sollevando finalmente le sue spalle dal peso del pesante zaino che aveva portato per tutto il giorno.
La ragazza sospirò a fondo, sul punto di scoppiare a piangere di nuovo. Aveva un disperato bisogno di bere qualcosa. All'istante.
Richiamò con un gesto la barista, cercando di rendere meno evidente la sua guancia sinistra, sulla quale spiccavano diversi segni rossi, e la pelle della parte inferiore del suo occhio, leggermente più scura del normale.
<<Che cosa ti porto?>> le domandò una donna dalla carnagione olivastra, con un paio di occhi scintillanti come diamanti ed un sorriso così perfetto che sarebbe stato difficile credere fosse reale.
<<Un Cosmopolitan, grazie>> rispose Susannah, schiarendosi la voce <<Anzi, due>> rettificò.
Guardò la bellissima barista allontanarsi per prepararle i cocktails che aveva richiesto, sentendosi pulsare il lato sinistro del volto a causa degli schiaffi ricevuti quella mattina, e desiderò ardentemente avere del ghiaccio per placare il dolore.
Tra l'altro, non avendo nemmeno diciannove anni, non avrebbe nemmeno potuto entrare in quel locale, né tantomeno ordinare da bere. La carta d'identità falsa che portava nella tasca anteriore dei jeans, dichiarava però che ne avesse da poco compiuti ventidue.
E poi Susannah dimostrava qualche anno in più, perciò era piuttosto certa che non sarebbe stata beccata.
D'altronde, in quel preciso momento, la sua testa era stipata di pensieri di tutt'altra natura, molto più cupi. Si chiedeva, per esempio, che cosa avrebbe fatto adesso. Come sarebbe andata avanti da sola, senza più l'aiuto di suo padre e di sua madre, dove avrebbe anche solo trovato i soldi necessari per vivere. Dove sarebbe potuta andare a stare.
La rossa non aveva alcuna risposta, ma solo domande su domande, e presto alcune lacrime che non riuscì più a trattenere iniziarono a scivolarle giù per le guance.
<<Ecco qui>> Mazikeen appoggiò davanti a lei i due Cosmos che la ragazza aveva ordinato <<Li offre la casa>> aggiunse anche, notando l'espressione disperata della sua interlocutrice.
<<Grazie>> tossicchiò quella, imbarazzata di essersi fatta vedere in quello stato: provvide subito ad asciugarsi le guance con le mani, e a ravvivarsi i capelli.
Poi afferrò uno dei due cocktail e ne ingurgitò una buona metà, quasi con rabbia. Il sapore forte le bruciò la gola per lunghi istanti, ma subito dopo si scolò un altro sorso di quel licquido rossiccio.
Era davvero al limite, in tutti i sensi.
Finito un Cosmopolitan passò al secondo, mentre la musica a tutto volume che risuonava tutto intorno a lei la infastidiva oltremodo.
Così come tutti gli uomini e le donne che ballavano, ridevano e scherzavano, sulla pista da ballo o seduti ai tavolini intorno ad essa, le davano sui nervi: com'era possibile che ognuno di loro fosse così dannatamente felice? Era forse l'unica nell'intera, stramaledettissima LA, ad essere completamente distrutta?
Susannah terminò anche il secondo dei suoi cocktails, e subito il suo corpo domandò, anzi, pretese di ricevere altro alcol.
<<Ma salve, cara, come andiamo, in questa bella serata?>> sentì una voce piuttosto profonda, dal marcato accento britannico, e ci mise un pò a rendersi conto che il suo proprietario stesse parlando con lei.
La ragazza alzò gli occhi dal suo bicchiere ormai vuoto, e vide, appoggiato al bancone accanto a lei, un uomo alto, dai capelli corvini, che indossava un elegante completo blu di Prada e sfoggiava un certo stile.
<<Tutto a posto>> si limitò a farfugliare, sperando che lo sconosciuto, chiunque fosse, non si accorgesse della sua guancia tumefatta, e si sbrigasse a lasciarla in pace.
Lucifer Morningstar, a dire il vero, era stato sul punto di andare a fare una cosa a tre con le Brittany, ma poi aveva visto quella ragazzina seduta al bancone, con la testa incassata nelle spalle, e non aveva resistito alla tentazione di avvicinarsi.
<<Davvero è tutto a posto? Non per essere scortese, ma non sembri avere l'aria di una che si sta divertendo>> provò a dirle, rivolgendole uno dei suoi sorrisi più affascinanti, sperando che le avrebbe così scucito qualche risposta.
La ragazza dai capelli rossi lo guardò appena, questa volta, ma poi tornò ad ignorarlo, con l'aria di qualcuno che tenta in tutti i modi di mimetizzarsi con l'ambiente circostante, o di sparire all'interno della sua felpa di una taglia decisamente troppo grande.
<<Io sono Lucifer, Lucifer Morningstar>> ritentò lui, porgendole una mano inanellata <<Il proprietario di questo locale, nonché il diavolo>>
Di solito gli umani reagivano sempre a questa sua affermazione, e Lucifer sperava che sarebbe stato così anche per quella.
<<Susannah>> replicò lei, senza nemmeno disturbarsi a stringere la mano a quell'uomo, per chiarire che voleva che se ne andasse da qualche altra parte.
Il diavolo si incuriosì ancora di più riguardo alla ragazza che gli stava accanto, senza bene potersi spiegare il perché.
Allora si allungò nella sua direzione, per prendere una bottiglia di Bourbon dalla parte interna del bancone del suo locale, e versarne un pò per sé e per la sua nuova "amica".
Susannah non aveva prestato granché attenzione all'uomo che le si era seduto di fianco, ma quando lo vide con la coda dell'occhio allungare una mano verso di lei, non potè fare a meno di sobbalzare visibilmente, e ritrarsi.
Lucifer afferrò la bottiglia di alcol e la appoggiò piano in mezzo a loro, attento a non fare altri movimenti bruschi:<<Chiedo scusa>> ne aprì il tappo e lo appoggiò sulla superficie liscia del bancone <<Non volevo spaventarti così>>
Solo allora il diavolo si accorse del rossore sulla guancia di Susannah, e sospirò, notando anche il livido scuro che si era formato sotto uno dei suoi occhi verdi.
<<No, m-mi scusi lei>> si affrettò a replicare la ragazza, imbarazzata di aver commesso una così evidente gaffe davanti ad un completo sconosciuto che si chiamava come il diavolo, e che pensava di esserlo. Adesso avrebbe voluto sapere il perché della sua reazione, ma come avrebbe potuto spiegargli che i suoi, da qualche anno a quella parte, le avevano tirato più schiaffi delle volte in cui le avevano preparato da mangiare? Come avrebbe potuto spiegargli che era così abituata alla violenza che le veniva fatta in famiglia, spesso senza nemmeno bisogno di una scusa, che le era venuto automatico pensare che anche lui le volesse fare del male?
Luci scosse piano la testa, recuperando due bicchieri di vetro da dove aveva preso il Bourbon e riempiendoli con un paio di dita di quell'alcolico, per poi appoggiare la bottiglia e porgerne uno a Susannah.
Lei esitò qualche secondo, prima di accettarlo, ma poi lo buttò giù tutto, in un colpo solo, come si fa con una medicina per la gola dal sapore orribile, ma che si è obbligati a prendere.
<<Grazie mille>> piegò piano la testa in direzione di Lucifer, ormai disperando che lui se ne sarebbe andato via. Non dopo ciò che doveva aver dedotto su di lei.
<<Figurati>> il diavolo le sorrise, bevendo il proprio drink <<Tu, piuttosto, ti senti bene?>>
Non poteva sapere cosa fosse accaduto alla sua giovane interlocutrice, ma il livido e i segni rossi che aveva sul volto non promettevano nulla di buono. L'angelo caduto se ne rendeva conto con straziante lucidità.
Susannah, invece, si rendeva conto che avrebbe potuto tranquillamente mentire a quell'uomo che - chissà perché, poi - era tanto interessato a lei. Avrebbe potuto, ma scelse di non farlo.
<<No, non sto bene>> confessò, e nemmeno lei sapeva perché ne stesse parlando <<I miei mi hanno cacciata di casa, questa mattina>>
Lucifer deglutì così rumorosamente che anche Susannah parve accorgersene, perché gli scoccò un veloce sguardo.
Ora gli sembrava di comprendere da dove venisse l'attrazione che aveva sentito per quella ragazza, quale fosse il motivo per il quale si era avvicinato a lei, in principio: loro due avevano almeno una cosa in comune.
<<Mi dispiace davvero>> le disse.
Gli occhi chiari di Susannah iniziarono a velarsi di lacrime, e così lei si versò ancora da bere, e lo ingurgitò in tutta fretta:<<A quanto pare andrò all'inferno>> considerò, amareggiata <<Almeno secondo i miei, il fatto c-che a me non... interessino i ragazzi, significa che dev'esserci qualcosa di mostruosamente sbagliato in me>>
I suoi genitori erano persone orribili e ignoranti, ne era ormai consapevole, ma questo non la faceva stare meglio.
Ancora peggio della violenza fisica che le avevano inflitto, c'era quella psicologica: tutti gli insulti, le battutine sarcastiche e le recriminazioni di cui era stata oggetto in quegli anni, l'avrebbero tormentata per il resto della sua vita.
Lucifer assistette tristemente all'espressione affranta della ragazza, ed alle lacrime che iniziarono a rotolarle giù per le guance, sentendosi stringere il cuore come raramente prima dall'ora.
<<Susannah?>> la chiamò piano.
Lei alzò gli occhi dal proprio bicchiere vuoto, e se li strofinò per spazzare via la patina che le sfocava la vista.
<<Spero che tu sia consapevole del fatto che non c'è nulla che non vada in te>> il diavolo le sorrise dolcemente, porgendole uno dei fazzoletti di seta che portava sempre in tasca per le emergenze <<Non devi pensare che sia colpa tua, se i tuoi genitori ti hanno trattata in questo modo, capito?>>
Lei si asciugò gli occhi e le guance con quel morbido tessuto, veramente commossa da quelle parole così gentili e comprensive da parte di un uomo che sapeva a malapena il suo nome.
<<E, tanto per specificare, ti dirò in totale sicurezza che puoi andare a letto con chi ti pare>> aggiunse Lucifer <<Non sarà certo per questo che finirai all'inferno>>
Il diavolo aveva come l'impressione che, dei genitori che trattassero in quel modo il loro figlio, fossero gli unici meritevoli della dannazione eterna.
Susannah singhiozzò, sul punto di ringraziare ancora Lucifer, ma cambiò idea all'ultimo, stringendogli le braccia intorno al busto ed appoggiandogli la testa sul petto, tra la clavicola destra e la piega del collo.
Dio solo sapeva quanto avesse bisogno di un àncora alla quale aggrapparsi, in quell'istante. Aveva vagato per tutto quel giorno per la Città degli Angeli, sola, angustiata e senza mèta, con gli occhi perennemente umidi ed il cuore infranto.
Aveva bisogno di sentire la presenza di qualcuno al suo fianco, e, al momento, l'opzione migliore era Lucifer.
<<Andrà tutto bene, tesoro>> le sussurrò il diavolo, accarezzandole la schiena <<Vedrai che si sistemerà tutto>>
Susannah tirò su col naso:<<Lo pensa davvero?>> gli domandò <<O lo sta dicendo tanto per tenermi tranquilla?>>
L'angelo caduto scoppiò a ridere, colpito dall'arguzia di quella ragazzina:<<Non è che lo penso: io lo so per esperienza>> la rassicurò, sciogliendo il loro abbraccio.
Lei annuì, riconoscente.
Ora comprendeva quanto avesse avuto bisogno di sentirsi dire quelle parole.
E il diavolo, da parte sua, si sentiva molto meglio, dopo averle pronunciate.
Lui stesso non se ne rese conto - non subito - ma in seguito avrebbe realizzato che si era limitato a dirle ciò che anche lui, all'epoca, avrebbe voluto sentirsi dire.
In un certo qual senso contorto, era un pò come se stesse consolando anche il sé stesso più giovane, che era appena stato bandito dalla Città d'Argento.
<<Allora, cara, che ne dici di lasciarmi dare un'occhiata a quel livido?>> le propose Lucifer <<O almeno permettimi di far venire qualcuno che possa>>
La ragazza strinse le labbra, indecisa se accettare o meno, ed indecisa se potesse davvero fidarsi di quell'uomo.
Ma c'era qualcosa nei suoi profondi e luminosi occhi scuri color del cioccolato fondente, che le ispirava una certa sensazione di fiducia.

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