Quella volta in cui l'Inferno si ghiacciò per davvero (pt. 3)
«Beh, dal momento che sembra che passeremo un po' di tempo insieme, forse dovremmo imparare a conoscerci meglio» gracchiò la voce modificata del suo rapitore, ed Elsa non poté fare a meno di ritrarsi ancora di più verso il muro.
Odiava quella situazione di impotenza, odiava essere alla mercé di qualcun'altro, di una persona del genere.
Ci sarebbe stato un modo per lei di liberarsi, di porre fine a quell'incubo, ma la domanda era: una volta allentate le redini, sarebbe poi stata capace di riprendere il controllo in tempo?
Sarebbe stata capace di fermarsi?
Avrebbe voluto farlo?
«Non ho capito bene cosa tu voglia da me, ma ti assicuro che non ho alcun interesse nel conoscerci meglio» sputò Elsa, la quale era finalmente riuscita a liberare anche la propria bocca dal panno con il quale era stata imbavagliata.
L'uomo in nero - così la poliziotta l'aveva mentalmente ribattezzato - rimase in silenzio per diversi attimi, poi fece roteare nell'aria il lungo coltello che aveva in mano.
Com'era possibile che Elsa non se ne fosse accorta prima?
«Andiamo, tesoro, sii gentile» disse, mentre le si avvicinava di nuovo, pericolosamente.
«Sono stata gentile» replicò la bionda, tra i denti.
Sentiva la rabbia che montava all'interno del suo corpo, e le punte delle sue dita iniziavano a diventare fredde.
«Sai chi mi ricordi? Alice, quella puttana della mia fidanzata...O forse dovrei dire ex fidanzata, dal momento che mi ha lasciato. Quattro mesi fa. Ci credi?! Anche lei era incredibilmente disubbidiente, proprio come te. Non faceva mai quello che le si diceva di fare...si è praticamente scavata la fossa da sola, col suo comportamento. Non so se mi spiego» e si rigirò il coltello tra le mani.
La bionda aveva davvero avuto paura, paura vera, fino a pochi secondi prima.
Quell'uomo l'aveva rapita, rinchiusa in una stanza e ora la minacciava in maniera passivo-aggressiva con un coltellaccio da macellaio: era normale che fosse stata terrorizzata.
Ora, però, ora che sapeva chi era il suo rapitore, ora che riconosceva in lui il principale sospettato del loro ultimo caso, non era più paura ciò che sentiva.
Quello stesso giorno aveva aiutato Ella ad analizzare il dna trovato sul cadavere di quella povera ragazza, che non aveva fatto letterlamente nulla di male, se non provare a scappare da una relazione tossica e sperare in una vita migliore.
Quel dna apparteneva al suo ex fidanzato, l'uomo che le stava di fronte.
Elsa ora era arrabbiata, non spaventata.
Sentiva il ghiaccio inondarle le vene, lento ma inarrestabile, e, per la prima volta in molti anni, non fu spaventata al pensiero di perdere il controllo.
Desiderava perdere il controllo.
«Sei stato tu, non è vero?» sputava le parole come veleno.
«Certo che sono stato io, ma che domande!» esclamò il suo rapitore «Altrimenti non saremmo qui, no?»
Elsa deglutì a fondo:«Alice voleva solo- voleva solo ricominciare da capo, voleva rifarsi una vita lontano da te, lontano dal suo passato...E tu, tu gliel'hai impedito!»
«Sta zitta, cazzo!» le intimò l'uomo, agitando in aria il coltello che teneva in mano, con tutta l'aria di non star affatto scherzando.
Egli però non poteva neanche lontanamente immaginare che non stava più solamente minacciando una poliziotta dai capelli biondi.
Quello stuzzicadenti che brandiva non la spaventava.
Niente avrebbe potuto spaventarla, non ora che avvertiva il potere, potere vero, lo stesso potere che aveva contenuto e negato per lunghi anni di sofferenza, che la inondava.
Il volto della ragazza fu illuminato da un mezzo sorriso:«Credi di farmi paura?» gli domandò, raddrizzando la schiena e la testa.
Non era del tutto lei, a parlare, ma, nello stesso tempo, non era mai stata più sé stessa di quanto lo era in quel momento.
«Ho detto di stare zitta!» esclamò l'uomo «Stai zitta, se non vuoi fare la stessa fine della mia ex fidanzata»
Nelle sue parole non c'era traccia di pentimento o di rimorso, e nemmeno del più piccolo dispiacere, per ciò che aveva fatto.
«Tu sei un mostro, un vero mostro» Elsa lo guardò dritto negli occhi, e per un lungo istante rimase in silenzio, poi:«Ma come hai osato?» sibilò.
Lo schiaffo che si abbatté sul suo volto la fece sbilanciare verso destra, movimento che le causò una stilettata di dolore alle mani, ancora intrappolate nelle manette.
Poteva sentire il sapore ferroso e salato del sangue sulla lingua, e la furia che le inondava il petto.
La maledizione che era dentro di lei si nutriva di quella furia, ne traeva forza e sostentamento, e non faceva che attizzare le fiamme.
Elsa poteva sentirlo: la sentiva crescere dentro il suo corpo, la sentiva supplicare di essere liberata.
Sarebbe stato facile, sarebbe stato naturale e giusto. Per una volta, la ragazza avrebbe potuto smettere di essere ciò che doveva essere e si sarebbe concessa di diventare ciò che era nata per essere. Ciò che era sempre stata, nel profondo.
Per troppo tempo aveva negato la sua vera natura, ma ora non più.
Ora basta.
Il secondo colpo che l'uomo le diede non fu uno schiaffo, ma un pugno dritto sul naso.
E poi un altro.
Il sapore di sangue aumentava, la bestia dentro di lei gioiva selvaggia ed Elsa tremava di rabbia.
Avvertiva il sangue iniziare a sgocciolarle sul mento, macchiando il panno che era stato usato per imbavagliarla, inzuppandolo goccia a goccia.
Fu proprio in quell'istante che ella si rese conto di un altro particolare: non indossava più uno dei suoi guanti.
Probabilmente le era scivolato via quando era stata rapita.
Le pareti della piccola cantina iniziarono a ghiacciarsi, dal basso verso l'alto, e i mattoni a vista con cui erano costruite si punteggiarono di piccoli cristalli azzurri.
Ci vollero pochi secondi perché il ghiaccio ne ricoprisse ogni angolo, fino al soffitto.
Elsa vide chiaramente la maniglia della porta di fronte a lei che si gelava, e udì il legno di cui era composta che scricchiolava sotto l'assalto del freddo.
Fu solo allora che il suo rapitore parve accorgersi che qualcosa non andava: guardò intorno a sé, facendo una mezza piroetta, e si rese conto che anche il pavimento sterrato sotto i suoi piedi era ora ricoperto da un sottile strato di neve.
Le scarpe sportive che indossava vi affondavano quasi completamente.
«Ma che cazzo-»iniziò a dire, rischiando seriamente che il coltello gli sfuggisse di mano per la sorpresa.
Il ghiaccio che aveva lambito i muri si era esteso anche alle manette che costringevano le mani della ragazza.
Elsa, una volta che furono abbastanza ghiacciate, le spezzò senza alcuna fatica, guadagnando la libertà che quel mostro le aveva portato via.
«Ma come- come diavolo hai fatto?!» nella voce del suo rapitore udì chiaramente il panico, nonostante la sua voce fosse ancora modificata, e il mostro dentro di lei ne gioì.
Se lo meritava.
Elsa si alzò con lentezza in piedi, strappandosi via dalla mano il guanto rimastole, e gettandolo di lato, sul pavimento. Quello atterrò senza il minimo rumore sul sottile strato di neve che ora lo ricopriva.
«Vuoi vedere come ho fatto?» la voce della bionda non sembrava più nemmeno la sua, segno definitivo del cambiamento avvenuto in lei.
La ragazza tese le braccia e piegò i panni delle mani verso l'alto, e di colpo grandi fiocchi di neve iniziarono a cadere dal soffitto di pietra, volteggiando nell'aria viziata e puzzolente della cantina.
L'uomo che l'aveva rapita fece un passo indietro, o quantomeno ci provò, perché una delle sue scarpe scivolò sulla neve sotto di essa e lo fece sbilanciare. Cadde di schiena, emettendo un profondo grugnito e gemendo di dolore.
Si alzò in fretta, ansimando così forte che Elsa poteva sentirlo a diversi metri di distanza.
«C-come...C-che cosa sei?!» esclamò.
La bionda fece diversi passi in avanti, e la neve dove aveva appoggiato i piedi si ghiacciava al suo passaggio.
«Sai, fino a poche ore fa credevo di essere un mostro» disse, in tutta calma «Credevo di essere sbagliata; che fosse il mio potere, ciò che mi rende diversa, a fare di me un errore...Ma ora so che sei tu, l'unico vero mostro. Tu e tutti quelli come te!»
«No, no, aspetta! I-io mi dispiace...Mi dispiace! Non volevo- non volevo ucciderla! È-è stato un incidente, non sapevo quello che stavo facendo! Ti prego!»
Elsa strinse entrambi i pugni lungo i fianchi:«I mostri come te vanno puniti» mormorò, abbastanza forte perché lui la sentisse «Ed io ho in mente la punizione ideale»
«Stai indietro, non avvicinarti!» strillò l'uomo, e nello stesso tempo lanciò il coltello che teneva in mano in direzione della ragazza.
La traiettoria era precisa, letale: avrebbe trafitto la bionda allo sterno, se ella non avesse fatto nulla.
Senza che potesse in alcun modo spiegarselo, una delle sue braccia si alzò, e il mostro che aveva dentro fece si che apparisse una spessa lastra di ghiaccio proprio di fronte a lei.
Il coltello vi penetrò fino all'elsa, arrivando a sfiorarle il tessuto della maglietta con la punta, ma si fermò lì.
«Cazzo!» udì esclamare quel maledetto assassino, e poi lo vide mentre tentava inutilmente di spalancare la porta per uscire dalla cantina, per sfuggire da lei.
L'uscita era però bloccata dal ghiaccio, impraticabile.
Il mostro che aveva dentro emise l'ennesimo ruggito di vittoria, e godette nello scoprire il terrore nelle azioni di quell'individuo spregevole, pregustando già ciò che stava per fargli.
Elsa stessa vide - o forse, più probabilmente, immaginò - di vedere il corpo di quell'uomo infilzato al muro di mattoni da una stalagmite di ghiaccio purissimo. In quella visione, il suo sangue imporporava la parete dietro di lui e sgorgava dalla ferita sul suo petto.
Ma l'assassino non era ancora morto, oh no: ansimava in maniera lenta e affannosa, in preda al dolore, e la sofferenza lo consumava goccia a goccia, portandolo sempre più vicino a una ineluttabile fine.
«Fammi uscire, cazzo! Fammi uscire subito da qui, oppure-»
Elsa fece un lieve movimento con la mano destra, e un getto di neve si alzò dal pavimento, colpendo quel bastardo in pieno petto, e mandandolo a sbattere contro la parete.
«Oppure che cosa?» sibilò Elsa, o quello che restava della volontà della ragazza «Dimmi, mostro, che cosa mi farai, se non ti lascerò uscire?»
Un'altro potente getto di ghiaccio fuoriuscì dalla sua figura, e andò a formare diverse appuntite stalagmiti di ghiaccio proprio di fronte a quell'uomo, impedendogli di muoversi.
«Mi farai quello che hai fatto alla povera Alice?!» gridò Elsa, e lo spesso strato di ghiaccio che aveva lambito le pareti di pietra della stanza si striò di lunghe crepe «O qualcosa di persino peggiore?!»
Le stalagmiti puntavano quell'assassino e rapitore direttamente alla gola, minacciando di trafiggerlo.
Bastò uno sguardo, da parte della loro creatrice, e quelle iniziarono ad allungarsi in direzione dell'uomo.
Si allungavano appena appena, di pochi millimetri alla volta, ma si allungavano.
«N-No...Ti-ti prego! Ti scongiuro! Falli smettere, per amor di Dio, falli smettere subito!»
Elsa non era in grado di dire se egli tremasse più per il freddo o per la consapevolezza di essere prossimo alla morte, o per entrambe le cose, ma, quale che fosse la ragione, le piaceva quella vista.
«Dammi un solo buon motivo per lasciarti vivere» disse la bionda, immobile, in piedi al centro esatto della cantina, mentre i fiocchi di ghiaccio non smettevano di cadere dal soffitto. Essi sembravano particolarmente attratti da lei, in quanto quelli più vicini alla sua figura formavano lente spirali che la avvolgevano con gelida grazia.
«S-sono un brav'uomo!» strillò, tremando pateticamente forte «Ho fatto tante cose buone, nella mia vita...»
«Non raccontarmi cazzate!» esplose Elsa.
Le crepe nel ghiaccio sulle pareti e sul soffitto si allungarono in tutte le direzioni, come i filamenti della tela di un ragno, e produssero un forte, sinistro scricchiolio che rimbombò in tutta la stanza vuota.
«Okay, okay, m-mi dispiace» il suo rapitore alzò le mani, premendosi ancora un po' di più contro il muro ghiacciato dietro di lui «I-Io amavo Alice, la amavo davvero tanto, p-più di qualunque altra cosa al mondo...»
«Oh, ecco perché l'hai uccisa! Ora capisco: volevi dimostrarle quanto la amavi!»
Elsa - o ciò che rimaneva intatto della sua volontà - tentava davvero di trovare una motivazione sufficiente a fermarsi, a risparmiare la vita di quell'uomo, ma così facendo lui non la stava di certo aiutando.
Al contrario, la stava invece convincendo, secondo dopo secondo, che meritava di morire di una morte orribile e dolorosa, nonché il più lenta possibile.
Una delle stalagmiti guadagnò almeno una decina di centimetri in pochi istanti, ad un cenno del capo della sua creatrice, e scalfì leggermente la pelle del collo del suo rapitore, appena sopra il Pomo d'Adamo.
«T-tu non capisci!» gemette il bastardo, sfilandosi di dosso la maschera nera che aveva portato fino a quel momento «Io la amavo, la amavo davvero- lei, è lei che mi ha lasciato...Ero così arrabbiato, ma non avevo intenzione di farle alcun male, soltanto di parlare con lei!»
I fiocchi di neve che fluttuavano nell'aria si erano ora mutati in una vera e propria tormenta, in risposta allo stato d'animo di Elsa, il che la impossibilitava nel vedere chiaramente il volto dell'uomo.
Dean, le pareva di ricordare che si chiamasse Dean Qualche Cosa.
«E allora perché l'hai uccisa?» a quelle parole, di colpo, la tempesta di ghiaccio cessò, e l'aria nella stanza tornò sgombra, come se nulla fosse accaduto.
«È che lei sembrava così felice, cazzo!» Dean aprì tanto la bocca da procurarsi un altro taglio sulla punta di ghiaccio, che ora si trovava a pochi centimetri dal trafiggerlo «Come potevo- come potevo sopportare che fosse tanto felice senza di me?! Non era giusto!»
Elsa scoppiò in un'improvvisa, profonda risata, per poi far scomparire le stalagmiti che minacciavano l'uomo, veloce come le aveva fatte comparire.
«Io non ti ucciderò» dichiarò lei, gelida «No, tu meriti di soffrire, tu meriti di soffrire tanto quanto hai fatto soffrire lei. Ed io sono qui per questo»
Dean si passò entrambe le mani sulla gola, incredulo di essere libero, mentre i suoi denti battevano forte. Aveva i folti capelli neri appiccicati alla fronte in ciocche scomposte, e grondava di sudore freddo. Era troppo spaventato per muovere un solo muscolo.
Ella tremava di rabbia, e il mostro ghiacciato che si agitava nel suo petto la pregava in silenzio di completare l'opera, di finirlo.
Voleva sangue.
Ed Elsa, Elsa voleva che quell'uomo pagasse per ciò che aveva fatto a lei, per ciò che aveva fatto ad Alice e per il dolore che probabilmente aveva inflitto anche ad altre donne, in passato.
Una parte di lei - la parte del poliziotto, quella che desiderava osservare pedissequamente la legge - le urlava che ammazzarlo non l'avrebbe resa migliore di quanto non fosse lui, ma farlo le pareva allo stesso tempo tanto giusto.
La vendetta è un piatto che si gusta freddo, questo era risaputo. Quella che Elsa si accingeva a fare non era però una vendetta, ma semplice giustizia.
La bionda alzò un braccio e Dean schizzò verso l'alto, la schiena che slittava contro il ghiaccio sul muro, finché non si ritrovò ad almeno mezzo metro dal pavimento.
Allora la copertura gelida della parete alle sue spalle si estese, intrappolandogli i polsi e le caviglie.
Fu quella la prima volta in cui l'uomo inizio a urlare, e urlò a pieni polmoni, mentre il gelo determinato dal terrore che provava e dalla superficie fredda contro la quale veniva immobilizzato lo faceva tremare da capo a piedi.
Il mostro dentro Elsa esultò ancora, più selvaggiamente delle altre volte, per l'ormai evidente punizione di un altro mostro.
E quella, quella era la linea di demarcazione.
La bionda si rendeva dolorosamente conto - nonostante l'annebbiamento parziale causatole dall'ebrezza di cui la colmava la constatazione di quanto fosse potente -, ella si rendeva conto che, una volta che si sarebbe presa una vita, non ci sarebbe stato più modo di tornare indietro.
Non sarebbe più potuta essere quella di prima...Sarebbe divenuta il mostro che aveva sempre temuto di essere. E, almeno in quel preciso istante, a lei stava benissimo così.
Un colpo contro l'unica porta d'entrata della cantina, probabilmente un calcio.
Elsa si bloccò, interdetta, e Dean voltò la testa quel tanto che poté per guardare cosa stesse succedendo.
Un altro colpo contro il legno induritosi per effetto del ghiaccio, e poi un altro.
Sarebbe dovuto essere impossibile entrare, ma pochi secondi dopo la porticina cedette e si spalancò, sbattendo forte e lasciando un solco nella neve per terra.
Lucifer Morningstar fece il suo ingresso, sfolgorante di rabbia; nonostante fosse avvolto nel suo completo di giacca e pantaloni di Prada, il fuoco dell'Inferno brillava accecante, nelle pupille dei suoi occhi.
Trovare quel luogo, con tutti gli uomini e le donne che gli dovevano dei favori, non si era rivelato affatto difficile.
La parte peggiore, per quanto riguardava il diavolo, era stata la consapevolezza che sarebbe potuta accadere qualunque cosa ad Elsa, nel frattempo.
Per quel che ne sapeva, il bastardo poteva anche averla già uccisa, nonostante avesse affermato nella registrazione che non l'avrebbe fatto fino al giorno successivo.
Era perciò pronto a qualsiasi cosa avrebbe trovato, una volta scardinata la porta di quella cantina di una villetta appena fuori città...eccetto a quello che avrebbe effettivamente trovato.
Fu allora che comprese, praticamente al primo sguardo, il motivo di tutte le reticenze della sua collega.
Il motivo per il quale stava così sulle sue, il motivo per il quale non si scomponeva mai più di tanto o non metteva in mostra i propri sentimenti.
Non voleva perdere il controllo, quello gli risultò chiaro al primo sguardo sulla cantina completamente coperta da uno strato di ghiaccio e neve, al cui interno la temperatura crollava drasticamente.
Loro due si assomigliavano, per quanto riguardava quell'aspetto della personalità.
Il mostro che continuava a tenere Dean ancorato al muro con la forza della propria magia notò a malapena l'arrivo di Lucifer, ma Elsa, al contrario, se ne accorse eccome.
Una parte di lei aveva sempre saputo - e temuto, anche - che lui sarebbe venuto a cercarla, e che non si sarebbe dato pace, né fermato, fintantoché non l'avesse trovata.
Oh, no. No. Ti prego, Lucifer, va' via.
Con la coda dell'occhio la bionda scorse i suoi occhi fiammeggianti, dalle pupille completamente rosse, e comprese che era davvero il diavolo come aveva sempre affermato.
Non che in quel momento avesse importanza, ma ella si ritrovò a pensare che almeno lui aveva avuto il coraggio di essere sincero, riguardo la sua vera natura.
«Perché sei qui?!» esclamò Elsa, con la voce fredda e tremante per l'ira. Non avrebbe dovuto essere lì. Affatto.
Che fosse il diavolo importava poco: nessuno avrebbe dovuto vederla così. Nessuno. Nemmeno il Portatore di Luce in persona.
Lucifer deglutì a fondo.
Ciò che la ragazza era sul punto di fare gli era terribilmente familiare.
«Per te, ovviamente» riuscì a dire, quando ritrovò l'uso delle corde vocali.
No.
La mano con la quale Elsa faceva sì che Dean rimanesse intrappolato a mezz'aria iniziò a tremare, e altre crepe si formarono nel ghiaccio sul soffitto.
Sì sarebbe fatto del male, lei avrebbe rischiato di fargliene, se non se ne fosse andato immediatamente.
Il mostro che aveva dentro - lo stesso che al momento deteneva quasi completo possesso di lei - aveva sete di sangue, ed era pericoloso più che mai.
Elsa dubitava di essere in grado di opporglisi.
«Vattene, Lucifer» disse, facendo un respiro profondo e tentando di riacquistare un minimo di controllo «Ti farai molto male, se resti»
Non sarebbe stata la prima volta che la bionda feriva inavvertitamente qualcuno, a causa di ciò che era.
Non poteva permettersi che il mostro dentro di lei facesse soffrire qualcuno a cui teneva, qualcuno che non lo meritava.
Dean, invece, quel dolore lo meritava tutto.
Elsa fece un gesto circolare con la mano sinistra, e il ghiaccio intorno ai polsi e alle caviglie di quel bastardo si strinse, bruciandogli la pelle e bloccandogli un po' di più la circolazione.
Lui urlò di dolore, ancora, mentre qualche luccicone gli scivolava giù per le guance arrossate dal freddo.
Lucifer non poté fare a meno di notare come Elsa avesse le labbra sporche di sangue secco, così come entrambe le narici.
«Aspetta, aspetta un secondo» attirò l'attenzione di lei, mentre le sue scarpe di pelle italiana avanzavano nella neve.
Elsa strinse le labbra pallide tra di loro, mentre i suoi grandi occhi azzurri - azzurri e gelidi come il ghiaccio - si focalizzavano sul suo elegante collega, nonché diavolo.
Le sottili sopracciglia chiare della ragazza erano aggrottate, e la pelle della sua fronte profondamente segnata da una ruga che passava proprio in mezzo.
«Lucifer, ti prego, devi...devi andartene da qui» rimanere ancora l'avrebbe esposto maggiormente al rischio di ferirsi, o peggio.
Inoltre, la verità era che Elsa - la parte del suo subconscio non ancora soggiogata dal potere che le scorreva nelle vene - rabbrividiva all'idea che lui la vedesse in quello stato.
Il diavolo fece ancora qualche passo, ma si fermò a più di mezzo metro da lei:«No, che non me ne vado: so cosa accadrà, non appena l'avrò fatto» scosse la testa.
Non che quel bastardo che ella aveva immobilizzato con la magia non meritasse la morte; Lucifer stesso l'avrebbe volentieri punito, anche solo per ciò che aveva fatto a Elsa, ma si rendeva conto che non sarebbe stato giusto agire in quella maniera.
Se c'era qualcosa che quegli anni di collaborazione con la Detective gli avevano insegnato, era che esisteva sempre la possibilità di fare le cose in maniera corretta, se ci si sforzava un minimo.
«Non puoi fermarmi!» urlò il mostro dentro Elsa, e le si agitò dolorosamente nel petto. Ella, invece, dall'angolino della mente nel quale era stata confinata, pregava soltanto che egli non ci provasse.
«Ascoltami, per favore» Lucifer allungò una mano verso di lei, sforzandosi per far tornare normali i propri occhi «Io lo so, che cosa provi. E non posso, in tutta coscienza, darti torto: quest'uomo merita quello che vorresti fargli, e anche di peggio»
Un sorriso si disegnò sulle labbra della bionda:«Certo che lo sai, dopotutto chi meglio del diavolo potrebbe mai comprendere l'assoluto bisogno di una punizione» e il mostro dentro di lei applaudì, entusiasta nell'udire quelle parole così decise.
«Chi meglio del diavolo...» mormorò Lucifer «Il punto è che, qualunque cosa tu gli faccia, non cambierà il dolore che ha arrecato agli altri...Però, se tu ora lo uccidi, questo cambierà te»
Ella distolse lo sguardo da lui, sbuffando forte, quasi emettendo un grugnito.
«L-la strada che intendi imboccare non ha ritorno, Elsa!» l'ex Signore dell'Inferno ne era fin troppo consapevole, ed era forse quello il motivo per il quale la disperazione nella sua voce era sempre più evidente «Te lo dico per esperienza personale: se deciderai di farlo, non potrai tornare indietro! Non è una cosa che riuscirai a scrollarti di dosso così!»
Egli non era certo dell'entità del potere del ghiaccio posseduto da Elsa, e non era perciò certo se sarebbe stato in grado o meno di fermarla con la forza.
Tuttavia, si rendeva conto che doveva essere la ragazza a decidere; voleva che fosse lei, a scegliere di non uccidere quell'uomo.
Il corpo della bionda fu scosso da un intenso brivido:«Tu non hai idea di quello che ha fatto: è lui l'assassino! Ha ucciso la donna che dichiarava di amare solo perché lei l'avevo lasciato!» gridò, e diversi pezzi di ghiaccio si staccarono dalle pareti e dal soffitto, andando a infrangersi al suolo «Se lo merita, Lucifer, merita di soffrire, e tu non puoi negarlo»
«No, ascolta: tu- tu non devi- non devi farlo, perché, se ora gli fai del male, sarai tu a soffrire! E non solo per qualche minuto, o per qualche ora, ma per il resto della tua vita» fece un altro passo verso di lei «Credimi quando ti dico che il senso di colpa ti distruggerà, al punto che non riuscirai nemmeno più a guardarti allo specchio, e proverai disgusto per te stessa, e non avrai più pace, qualunque cosa tu faccia!»
Ci furono diverse decine di secondi di silenzio completo, disturbato soltanto dai gemiti di Dean, nei quali la ragazza non parlò. Poi, a sorpresa, i suoi grandi occhi chiari si velarono di lacrime.
«Ma non lo vedi, quello che sono in grado di fare?!» esclamò lei «Io sono già un mostro, Lucifer, e non ho paura di andare all'Inferno»
Il diavolo si lasciò scappare una breve, amara risata, gravida di tensione:«<Tu non sei un mostro, io lo so» le sussurrò, appoggiandole piano una mano su una spalla «E so anche che non vuoi davvero uccidere quest'uomo»
«Non mi conosci affatto» sibilò l'essere di ghiaccio annidato nel petto della bionda «Come puoi esserne così sicuro?»
Lucifer le rivolse un gran sorriso di incoraggiamento, senza spostare la mano dalla sua spalla:«Ho visto che cose straordinarie sei in grado di fare» si limitò a dire «Se avessi davvero voluto ucciderlo, dubito fortemente che sarebbe ancora vivo»
"Straordinarie", il diavolo aveva detto proprio così, riferendosi ai suoi poteri.
Non aveva detto "sbagliate" o "mostruose", e nemmeno "innaturali"...Il mostro dentro di lei, forse per la prima volta da quando gli aveva ceduto il controllo, faticò a mantenere salda la presa sulla sua volontà.
«Forse non voglio che tu stia qui ad assistere e aspetto che tu te ne vada, prima di farlo fuori» replicò Elsa.
Dean si lasciò sfuggire un mugugno più intenso degli altri.
«E perché non vuoi che io stia ad assistere, se credi che quello che stai per fare sia giusto?» le domandò allora il diavolo, ricordando una domanda molto simile che la Detective aveva rivolto a lui, anni prima.
Le guance candide della bionda erano rigate da lacrime silenziose, l'espressione concentrata, tanto che il diavolo ebbe la netta impressione che dentro di lei infuriasse un duello all'ultimo sangue.
Elsa lo alzò lo sguardo e lo fissò negli occhi del diavolo, sperando di vederci qualcosa, qualunque cosa che le desse la forza di riacquistare il pieno controllo delle proprie azioni.
«Io non lo so, perché!» fu quasi un gemito di dolore quello che uscì dalle sue labbra sottoforma di parole, che ella accompagnò inconsapevolmente con un gesto della mano libera.
La bionda non si rese conto di ciò che aveva fatto, non finché Lucifer le lasciò andare la spalla, barcollando leggermente all'indietro e portandosi le mani al petto, sul tessuto della sua camicia bianca.
Il suo bellissimo volto era attraversato da una smorfia di dolore.
No, no, non poteva essere. Non poteva essere vero.
Elsa si guardò intorno per qualche attimo, pregando con tutte le proprie forze che non fosse appena accaduto ciò che credeva, pregando che non fosse appena accaduto ciò di cui aveva sempre avuto paura.
Ne ebbe però la conferma quando il diavolo si accasciò sulla neve, per terra, senza mai smettere di premersi una mano sul petto. All'altezza del cuore.
«Ah, santo mio Padre, questo sì che fa male!» esclamò l'ex Principe delle Tenebre, tentando di respirare a fondo.
Aveva la sensazione che qualcuno lo avesse pugnalato in pieno petto con un oggetto congelato, che ora, dentro di lui, iniziava a fare abbassare pericolosamente la sua temperatura corporea.
Elsa rimase immobile per qualche secondo, troppo terrorizzata anche solo per respirare, ma poi si riscosse, e comprese fino in fondo di averlo colpito.
Si gettò in ginocchio nella neve, accanto a lui, mentre il cuore le batteva all'impazzata.
«Oh no, no, no...Mi dispiace, Lucifer, mi dispiace così tanto- ma perché non te ne sei andato? Te lo avevo detto che ti saresti fatto male, se rimanevi!»
Nonostante le mani che le tremavano riuscì a sbottonare la giacca nera che indossava, per poi passare ai primi bottoni della camicia, il cui tessuto si stava progressivamente riempiendo di una rete di sottili cristalli di ghiaccio.
«Lucifer, santo cielo, dì qualcosa!»
esclamò Elsa, scrollandolo.
La pelle non sembrava essere ferita, sotto gli indumenti, ma dopotutto ella non poteva essere certa degli effetti che la propria magia provocasse quando colpiva qualcuno dritto al cuore.
L'unica cosa di cui fosse sicura era che sarebbero stati gravi, magari persino mortali, perciò si stava già preparando al peggio.
Il diavolo si schiarì la gola un paio di volte, prima di rispondere:«Questo è davvero uno spreco imperdonabile» commentò quello «Io sto bene, cara, ma temo non si possa dire lo stesso per la mia giacca di Prada»
Quell'affermazione lasciò la bionda a bocca aperta, poi ella avvertì il forte desiderio di prenderlo a schiaffi:«Sei un'idiota!» lo accusò lei, con le lacrime agli, ma poi, all'ultimo secondo, invece di schiaffeggiarlo decise di gettargli le braccia al collo e stringerlo forte.
Anche Lucifer poté a quel punto tirare un sospiro di sollievo, e ricambiò più che volentieri quell'abbraccio.
«Sei sicuro di stare bene?» gli domandò Elsa, passandogli ancora una volta le mani sul petto.
«Oh sì, mai stato meglio» le sorrise lui, accarezzandole piano i capelli biondi «Uno dei pochi vantaggi dell'essere il diavolo, sai, no? Tutta la faccenda dell'immortalità mi è stata piuttosto utile, quest'oggi»
Sorrise anche lei, riappoggiando la testa sulla sua spalla.
«E tu stai bene?» le domandò il diavolo, il quale, nonostante non lo desse a vedere era più che sollevato di stringerla tra le braccia. L'unica cosa che lo perplimeva era il volto della ragazza sporco di sangue ormai secco.
Elsa annuì contro il suo petto, anche lei molto sollevata di saperlo incolume, sano e salvo, nonché ovviamente di non averlo trasformato in una bella statuina di ghiaccio.
E fu allora che se ne rese conto: il mostro, che l'aveva perseguitata e tentata da quando riusciva a ricordare, colui che fino a pochi minuti prima l'aveva quasi convinta a uccidere un uomo, adesso non c'era più.
Non solo esso aveva perduto il controllo sulle azioni di Elsa, ma sembrava essersi proprio volatilizzato.
Poof.
Scomparso senza lasciare traccia.
La poliziotta si alzò in piedi, rivolgendo l'ennesima occhiata astiosa a Dean, e aiutò Lucifer ad alzarsi.
«Ti conviene sciogliere tutto, prima che arrivi la Detective con i rinforzi» le disse lui, rivolgendole un ampio e luminoso sorriso.
Il processo a Dean Stoltzenberger - era questo il suo cognome, il che spiegava almeno in parte il motivo per cui Elsa non se lo era ricordato - era andato avanti per tutto il giorno.
Era accusato di omicidio e rapimento, il che gli avrebbe assicurato la condanna severa che si meritava.
L'esito del processo non era ancora certo, ovviamente, ma la testimonianza della poliziotta e la prova del suo dna trovata sul cadavere della ex fidanzata facevano ben sperare.
Lucifer, in piedi dietro il bancone del suo bar personale, si stava versando pigramente un bicchiere di Bourbon, senza alcuna fretta.
L'afa di quella giornata di inizio settembre si era per fortuna mitigata con l'arrivo della sera, ed egli necessitava di un bel drink e di passare una serata in santa pace.
«Mi faresti questo favore?» domandò, richiamando l'attenzione di Elsa, che, seduta sul divano in pelle, era intenta a divorare con gli occhi un'edizione di fine quattrocento del De Rerum Natura di Lucrezio.
Andò a sedersi accanto a lei e le porse il recipiente di cristallo, colmo fino all'orlo dell'alcolico ambrato.
Elsa gli sorrise, mettendo da parte il libro e afferrandolo, per poi stringerlo con entrambe le mani.
Le veniva sempre un discreto tuffo al cuore, quando Lucifer proponeva di utilizzare...le sue capacità extra per svolgere compiti quotidiani e semplici.
Era quasi commovente, per la ragazza, la facilità con la quale aveva accettato quel lato di lei, come se fosse completamente normale che qualcuno fosse in grado di fare ciò che era in grado di fare Elsa.
La bionda si concentrò a fondo, facendo un grosso respiro, e all'interno del bicchiere apparvero due piccoli cubetti di ghiaccio di forma perfettamente sferica.
Fatto ciò, fiera di sé, ella lo riconsegnò al suo legittimo proprietario, il diavolo, che la ricompensò con un bacio.
«Grazie, Lucifer» mormorò Elsa, osservandolo mentre sorseggiava il suo drink «Grazie per essermi venuto a salvare»
Erano passati tre mesi, dal giorno del suo rapimento, ma, anche se fossero passati tre secoli, il ricordo di quei momenti non sarebbe sbiadito dalla mente della ragazza.
Lui alzò appena un sopracciglio:«Sai, cara, la parte della damigella in difficoltà non ti si addice granché» commentò «Da quel che mi ricordo te la stavi cavando benissimo, prima del mio arrivo»
Elsa sorrise appena, dandogli uno scherzoso schiaffetto sul petto: adorava che egli facesse dell'ironia spicciola anche sugli argomenti peggiori, era un modo di fare che le era al quanto congeniale.
Inutile dire che, per lei, così abituata a prendersi sempre troppo sul serio, esso aveva la stessa funzione di una pomata a base di Arnica applicata ad un arto dolorante.
«Da quel che mi ricordo io, prima che tu arrivassi stavo per uccidere una persona» replicò, riguadagnando un po' della serietà che aveva messo da parte appena prima «Grazie, per avermi fermata in tempo»
Ma lui scrollò le spalle, passandole un braccio intorno ai fianchi:«È un vero piacere esserti d'aiuto, ma sono certo che avresti finito per fermarti anche da sola»
La bionda alzò lo sguardo nel suo, mentre Lucifer terminava di bere l'ultima goccia che aveva nel bicchiere:«Tu credi?» gli domandò in un sussurro.
«Altroché, cara, se lo credo. La verità è che ho sempre creduto in te, fin da quando ci siamo conosciuti» le assicurò il Portatore di Luce «E non lo dico soltanto perché so che, se volessi, saresti capace di ghiacciarmi le-»
«Ma falla finita!» esclamò Elsa.
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