Quella volta in cui l'Inferno si ghiacciò per davvero (pt. 2)
Nonostante avesse spalancato i profondi occhi chiari, intorno a lei non scorgeva altro che oscurità. Un'oscurità totale, che non sembrava avere confini spaziali: pareva protrarsi all'infinito intorno a lei, in tutte le direzioni.
Elsa non si concesse di andare nel panico, conscia che più la situazione era disperata più avrebbe avuto bisogno di rimanere lucida e di pensare in fretta.
Qualcuno le aveva legato un panno intorno alla bocca e al naso, cosa che le rendeva difficoltoso respirare.
Era anche piuttosto certa di essere seduta su una sedia, o più probabilmente su uno sgabello, dal momento che la sua schiena era appoggiata contro un muro di mattoni.
I suoi polsi, legati insieme da qualche cosa di metallo - un paio di manette, probabilmente - erano attaccati alla parete alle sue spalle.
La poliziotta tentò di concentrarsi, mentre aspettava che la sua vista si abituasse al buio, per cercare di stabilire se provasse dolore, se chiunque l'aveva rapita le avesse fatto del male.
Ma il suo corpo sembrava stare bene, a parte una lieve pulsazione alla fronte, all'altezza del sopracciglio sinistro.
Doveva aver battuto la testa, mentre la trasportavano fin lì.
Non permise che la sua mette si concentrasse troppo sul pensiero di essere stata drogata, rapita e portata in quel luogo sconosciuto da gente che chissà cosa voleva da lei.
Avrebbe dato di matto, se si fosse fermata a pensarci.
Così provò per una buona mezz'ora - quella che a Elsa parve una buona mezz'ora - a liberarsi le mani, o quantomeno ad allentare la presa metallica che gliele stringeva.
Fu tutto inutile, perché i rapitori avevano avuto la buona creanza di immobilizzargliele dietro la schiena, e non davanti.
E poi, anche se fosse riuscita a liberarsi, come avrebbe aperto la porta d'entrata della piccola stanzetta nella quale l'avevano rinchiusa? Ora che si era abituata al buio poteva scorgere lo stretto locale che si sviluppava di fronte a lei, dal soffitto basso - avrebbe quasi potuto toccarlo con una mano, se fosse stata in grado di alzarsi in piedi - alla porticina che di certo era chiusa a chiave.
Allora, stabilito che per le mani non potesse fare granché, Elsa decise di tentare almeno di far scivolare via il panno che le copriva metà del viso, per gridare, o quantomeno per riuscire a respirare meglio.
Dopo vari tentativi fu in grado di abbassarlo un pochino, quel tanto che bastava perché il suo naso fosse libero e potesse anche sentire meglio gli odori che la circondavano.
La stanzetta nella quale si trovava odorava intensamente di muffa e chiuso, come se fosse rimasta sigillata per anni ed anni.
In più era fresco, lì sotto, nonostante in teoria fosse estate.
La poliziotta arrivò presto alla conclusione di essere chiusa in una cantina, o comunque in un ambiente sottoterra - una teoria perorata dal fatto che ella notò qualche coccio di bottiglia in un angolo della stanza.
Doveva trattarsi di una bottiglia di vino, e quale posto migliore per conservare il vino, se non una cantina? Forse quel luogo era anticamente stato adibito alla conservazione e alla stagionatura di tale bevanda alcolica.
Quelle informazioni non le erano particolarmente utili, ma almeno erano qualcosa. Se non erano utili ad Elsa per formulare un piano di fuga, di certo la aiutavano a tenere la mente occupata e a mantenersi calma.
Purtroppo ella non udiva alcun rumore, a parte quelli del respiro e del battito del suo cuore, entrambi affannosi.
Inclinò la testa all'indietro e appoggiò la nuca alla parete che aveva alle spalle.
Per quanto Elsa si sforzasse di mantenersi lucida e reattiva, presto si perse inevitabilmente nei propri pensieri caotici, e incominciò a perdere la cognizione del tempo.
Quanto era passato dal momento del suo rapimento? Si trovava ancora ad LA, oppure l'avevano portata in un'altra città?
Ma soprattutto, Elsa si chiedeva se e quanto i suoi colleghi ci avrebbero messo a rendersi conto di ciò che le era capitato, e a mettersi a cercarla.
Le sfuggì un gemito profondo, alla realizzazione che, essendo sempre stata tutt'altro che espansiva, nei loro confronti, di certo non si sarebbero allarmati non avendo sue notizie per qualche ora.
E così si ritornava alla domanda iniziale, e cioè che ore fossero, quanto tempo era passato da quando aveva salutato Lucifer davanti alla centrale.
L'unico indicatore che avesse a disposizione erano gli stimoli che il suo corpo le inviava: ad un certo punto le spalle e i gomiti iniziarono a dolerle, a causa della posizione scomoda nella quale erano costrette le sue braccia.
Pochi secondi dopo, con gran tempismo, Elsa udì chiaramente una chiave che girava nella toppa della porta d'ingresso, producendo un fastidioso stridio di metallo arrugginito.
Stavano tornando.
«Guarda che non è troppo tardi per accettare il mio invito, Detective» la stuzzicò Lucifer, mentre quella si alzava dalla propria scrivania «La porta del Lux è sempre aperta, per te»
La bionda sbuffò:«Grazie mille, apprezzo il pensiero, ma devo tornare a casa da Trixie»
«Non può stare a casa da sola, per una volta?»
«Ha otto anni, Lucifer» gli ricordò Decker, alzando gli occhi al cielo, ben conscia che lui lo sapeva benissimo.
L'unico motivo che lo spingesse ad invitarla fuori era irritarla a morte.
Come sempre.
«Sei sempre la solita guastafeste, sai?» la rimbeccò il diavolo, mentre l'aria fresca della sera li investiva, usciti dalla centrale «Dalla figlia di Penelope Decker ci si aspetterebbe un po' più di verve, e invece devo purtroppo constatare che-» il Principe delle Tenebre smise di parlare di colpo, mentre il suo sguardo si posava sul parcheggio della centrale, che si estendeva proprio di fronte ai due.
Erano quasi le sette e mezza di sera di una serata di inizio estate, ed esso era vuoto, oramai, giacché praticamente tutti coloro che lavoravano alla centrale erano tornati a casa.
Soltanto una piccola macchina, un Maggiolino il cui colore rosso si distingueva nella semioscurità, era ancora ferma al suo posto, in mezzo a due linee bianche sul asfalto del parcheggio.
«Che succede?» gli chiese la Detective, dal momento che non era da Lucifer zittirsi di colpo senza un buon motivo.
«Quella è la macchina di Elsa» mormorò il diavolo, senza staccare gli occhi dalla vettura che non avrebbe dovuto più trovarsi lì «Mi aveva detto che se ne stava per andare ore fa»
Lo sguardo di Chloe Decker schizzò da Lucifer al Maggiolino, poi la donna estrasse in un movimento automatico la propria pistola d'ordinanza, stringendola con entrambe le mani.
Stava per intimare al suo partner di avanzare con cautela e di rimanere dietro di lei, ma quello l'aveva già preceduta ed era schizzato verso l'auto.
L'ansia del diavolo aumentò ancora, quando notò per terra, proprio accanto ad una delle ruote anteriori della vettura, uno dei guanti azzurri di Elsa.
E, a pochi centimetri da esso, un fazzoletto bianco.
Lucifer poteva sentire la puzza emanata dal cloroformio nel quale era stato imbevuto, senza nemmeno aver bisogno di prenderlo in mano.
«Detective...» mormorò, con lo sguardo spiritato, quando anche lei lo raggiunse «Si tratta di Elsa» e i suoi occhi scintillarono di rosso vermiglio.
Decker si piegò per pochi attimi, in modo da poter osservare il guanto e il fazzoletto più da vicino, e in pochi secondi arrivò alle conclusioni a cui era arrivato anche il suo partner.
«Dio...!» esclamò Chloe sottovoce, e Lucifer, per una volta, era troppo sconvolto per intimarle di non mettere in mezzo suo Padre.
Fu allora che lo sguardo esperto della Detective notò però qualcosa, qualcosa che Lucifer non aveva individuata.
«Che cos'è?» domandò il diavolo, aggrottando appena le sopracciglia nere mentre la Detective la prendeva in mano.
Era un oggetto metallico, piccolo e compatto, di forma cilindrica. Aveva una telecamera a una delle due estremità.
«Una bodycam, suppongo» constatò Chloe, osservandola con attenzione «O una telecamera portatile di tipo professionale» e i suoi grandi occhi verdi si velarono.
Senza perdere tempo, la donna consegnò la propria pistola a Lucifer e si affrettò a spingere il pulsante d'accensione.
Il diavolo aveva ben altre priorità al momento, ma non fino al punto da non notare come Chloe gli avesse appena permesso di toccare la sua arma, cosa che non aveva mai fatto prima.
«Che fai?» le domandò.
«Controllo i video nella galleria della fotocamera» rispose lei, mentre si mordeva il labbro inferiore «Potrebbero aver registrato una richiesta di riscatto, o un chiarimento riguardo il motivo per il quale hanno deciso di...di rapire Elsa»
Il diavolo ridusse le labbra a una linea sottile: si rendeva conto anche lui che la pista del rapimento era quella di gran lungo più probabile, ma sentirlo dire ad alta voce dalla sua partner era tutto un altro paio di maniche. Lo faceva sembrare reale, reale per davvero.
«Lucifer, i tuoi occhi» gli fece notare Chloe, alludendo a come le pupille del diavolo fossero divenute rosse «Calmati, okay? Dobbiamo restare calmi»
Lui annuì, tentando di ritrovare l'equilibrio interiore e di non pensare subito al peggio. C'era quasi riuscito, ma poi la Detective avviò l'ultimo dei video presenti nella galleria della fotocamera, la data del quale era il giorno precedente.
Nel minuscolo schermo apparve una persona vestita di nero che portava in volto una maschera dello stesso identico colore, la quale lasciava a malapena intuire i tratti del viso dell'uomo che la indossava.
Intorno a lui, a parte una debole luce azzurrognola che pareva provenire dall'alto e illuminava la figura del rapitore, si scorgeva soltanto oscurità.
«Salve, detective Chloe Decker» esordì il mostro dall'altra parte dello schermo, la cui voce era chiaramente modificata, facendo sobbalzare entrambi «Spero proprio che sia lei, ad ascoltare questo mio messaggio. In caso contrario, temo che il destino della sua giovane amica e collaboratrice sia irrimediabilmente segnato»
Lucifer non poté trattenere un brivido, e si scambiò un veloce sguardo con la Detective: Elsa era solo un'esca, dunque, un mero mezzo per arrivare ad un fine. E l'obiettivo erano loro due.
«Immagino che lei e il suo partner non siate abbastanza svegli da comprendere che in certe situazioni - situazioni come quella riguardante il vostro ultimo caso - non ci si deve immischiare. E, se ci si immischia nelle suddette situazioni, lo si fa a proprio rischio e pericolo»
La luce sul soffitto della stanza da cui l'uomo aveva registrato il video sfarfallò per diverse decine di secondi, ma poi si stabilizzò nuovamente, e lui ricominciò a parlare.
«Non abbia paura, Detective: sarò breve. So che lei è una donna molto impegnata...Perciò ecco l'accordo che le propongo: lei chiuda il suo ultimo caso, affermi che si tratta di una morte accidentale e non di un omicidio, e io le posso promettere che non torcerò nemmeno un capello alla sua giovane amica» una lunga pausa teatrale «Al contrario, se invece si rifiuterà di farmi questo piccolo favore, le assicurò che non la rivedrete più. Tragga pure lei le sue conclusioni, Detective, ma faccia in fretta, perché ha due giorni esatti dalla registrazione di questo video messaggio»
L'immagine sullo schermo della fotocamera barcollò e poi si spense, segno che la registrazione era finita.
«L'hanno girato ieri...Il che significa che abbiamo meno di un giorno, per ritrovare Elsa» sussurrò la Detective, afona.
Non poteva sopportare l'idea che qualcun'altro rischiasse la vita a causa della sua sete di giustizia.
L'ultimo caso a cui lei e Lucifer stavano lavorando trattava proprio il rapimento, lo stupro e l'assassinio di una ragazza di ventotto anni.
Avevano già dei forti sospetti sul suo ex fidanzato, il quale era stato loro dipinto come un ragazzo disturbato e violento, motivo per cui la vittima l'aveva lasciato qualche mese prima.
Il diavolo respirò a fondo, cercando di mantenere il controllo della sua natura diabolica:«Bastardo!» imprecò a fior di labbra, mentre la paura gli faceva tremare le mani.
Non riusciva a credere che Elsa fosse nelle mani di un individuo del genere, che avrebbe potuto arrivare persino a ucciderla...E tutto anche perché non era riuscito a convincerla a riaccompagnarlo
al Lux, perché non era rimasto con lei.
Chiaramente Elsa non voleva, ed era stato corretto da parte sua, evitare di insistere oltre, ma se l'avesse fatto, se solo fosse riuscito a convincerla, forse ora la ragazza sarebbe stata al sicuro.
«Chloe...» mormorò, quasi pregandola silenziosamente di fare qualcosa, di uscirsene con uno dei suoi brillanti piani che avrebbe - come sempre, del resto - risolto la situazione in maniera positiva, senza che nessuno si facesse del male.
«I-Io chiamerò Ella, la farò tornare il più in fretta possibile. Spero di trovare qualche indizio in più sul luogo in cui è stato girato il video» la bionda accennò alla fotocamera che teneva ancora in mano «E poi...poi ci metteremo sulle tracce dell'ex fidanzato della vittima, per verificare che sia davvero lui l'assassino e il- il rapitore di Elsa»
«Ma certo che è lui, Detective!» scattò il diavolo, passandosi brevemente le mani nei capelli «Quel piccolo bastardo ha capito che sospettavamo di lui, ha capito di non aver rimosso abbastanza bene il suo dna dal corpo di quella povera ragazza, e così si vorrebbe assicurare di farla franca!»
Ma non ci sarebbe riuscito.
Lucifer non avrebbe permesso che la passasse liscia, e se avesse fatto del male a Elsa in qualsivoglia maniera, lui si sarebbe assicurato di restituirgli il favore.
La Detective annuì in fretta, col respiro leggermente affannoso:«Hai ragione, hai ragione: non può che essere lui. Dirameremo immediatamente un ordine di ritrovamento e cattura, a tutta la polizia di stato» e, detto questo, la bionda si affrettò a grandi passi verso la centrale.
Non c'era un solo secondo da perdere.
«Andiamo!» gridò, quando si rese conto che Lucifer era rimasto fermo impalato, e non accennava a seguirla.
«No» affermò lui, statuario.
Si rendeva perfettamente conto che la sua partner era uno dei migliori detective nei quali egli avrebbe potuto sperare per trovare Elsa, ma non aveva assolutamente intenzione di limitarsi alle risorse della polizia:«Tu vai pure, Detective: sono certo che te la caverai anche senza di me, per una volta. E poi, come poliziotta, dubito che approveresti ciò che ho intenzione di fare»
Chloe lo guardò dirigersi a passo svelto verso la sua decappottabile nera, e, questa volta, non le passò nemmeno per la mente l'idea di fermarlo.
Si rendeva conto di quanto fosse disperata la situazione, e sapeva che avevano bisogno di tutto l'aiuto possibile.
Che fosse legale o meno.
Il diavolo accese il cellulare non appena ebbe messo in moto la sua auto, e la cacciatrice di taglie che aveva chiamato, nonché sua migliore amica, rispose al secondo squillo.
«Pronto, Mazikeen, ho bisogno d'aiuto per trovare una persona. Il più in fretta possibile. Si chiama Elsa e lavora come poliziotta al dipartimento di polizia e sappiamo che è stata-» gli era difficile pronunciare quelle parole «Che è stata rapita dall'ex fidanzato della vittima del nostro ultimo caso, che vuole ricattarci per non finire dentro. Proprio in questo momento ti sto inviando il video che il suo rapitore ha destinato a me e a Chloe»
«Ma certo» replicò Maze, dall'altra parte della linea «Troverò questo stronzo in men che non si dica, in modo che la ragazza ne esca incolume...Qualunque sia il motivo per cui sei così preoccupato per lei»
Lucifer preferiva non fermarsi a ragionare su quale fosse il vero motivo per cui era così preoccupato per Elsa:«Non dubito che riusciresti a trovarli, ma il tempo è essenziale: abbiamo soltanto fino a domani sera»
Un profondo sbuffo si udì chiaramente provenire dall'altra parte della linea:«Quindi che vuoi che faccia?» domandò il demone, sebbene avesse già immaginato la risposta.
«Voglio che tu vada a reclamare i favori che mi devono tutti i criminali in debito con me, il più in fretta possibile»
Nessuno avrebbe potuto meglio comprendere le intenzioni deviate di un criminale meglio di quanto avrebbero potuto altri criminali della sua stessa risma, se non addirittura peggiori di lui.
«Ti terrò aggiornato» tagliò corto Mazikeen, prima di terminare la telefonata e mettersi all'opera.
Il silenzio calò nuovamente, e Lucifer si ritrovò a guidare per le vie semideserte di Los Angeles, mentre l'ansia gli stringeva il cuore in una morsa di ghiaccio.
La persona che era entrata nella stanza era un uomo, a giudicare dall'altezza e dalla struttura fisica, e aveva appena finito di richiudere la porta dietro di sé.
Portava una grande maschera scura, cosa che rendeva irriconoscibile il suo volto.
Elsa si immobilizzò e i suoi muscoli si tesero, come se si stessero preparando a combattere, nonostante ella fosse legata e assolutamente impotente.
Era quella la sensazione peggiore e più spaventosa: la consapevolezza che, qualunque cosa quell'uomo avesse voluto da lei, non sarebbe stata in grado di opporsi.
«Dimmi chi sei!» decise comunque di mostrarsi coraggiosa, e il tono di voce che usò era imperioso, come se stesse dando un ordine, nonostante il panno che le copriva ancora la bocca «Dimmi che cosa vuoi da me»
Una risata proruppe dalla figura in nero in piedi a pochi metri da lei, niente più che un'ombra immersa nell'oscurità della notte; un'ombra pronta a darle la caccia.
L'uomo si avvicinò a passi lenti, misurati, come se stesse seguendo un copione teatrale che aveva letto e riletto per mesi, prima di mettere finalmente in scena lo spettacolo.
Poi, con la stessa, esasperante lentezza, si piegò, appoggiando le mani sulle proprie ginocchia, per avere il volto all'altezza di quello di Elsa.
«Tu sei il mio biglietto per la libertà, ecco che cosa voglio da te» la sua voce, proveniente da dietro la maschera, era distorta da un qualche dispositivo vocale «Niente di personale, tesoro»
La bionda si ritrasse, premendosi ancora di più contro il muro che aveva alle spalle: non le piaceva, il modo in cui quel tizio le stava vicino.
Il suo cuore batteva così forte da renderle impossibile pensare con lucidità, adesso.
Fu così che arrivò ad una risoluzione.
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