Cefalù
Cefalù , un luogo incantato dove i mille colori e i mille sapori si fondono in un'armonia unica. Le strade acciottolate, un mosaico di calde tonalità gialle e arancioni, brillano sotto il sole siciliano, mentre le pareti delle case, dipinte con vivaci sfumature, raccontano storie di generazioni passate. La brezza marina, fresca e salata, si mescola al dolce profumo delle foglie d'ulivo e dei boschi che circondano il paese, portando con sé i ricordi di estati spensierate, di momenti rubati al tempo.
Il suono dei carretti carichi di frutta e verdura fresca risuona tra le vie, accompagnato dal clangore delle campane in lontananza. Le voci dei pescatori si intrecciano a risate e chiacchiere, mentre preparano le loro bancarelle di pesce fresco, le cui squame brillano come gioielli al sole. Il mercato è un'esplosione di vita: il profumo dei formaggi stagionati si fonde con quello del pane appena sfornato. Ogni angolo è un invito ad esplorare, una nuova scoperta pronta a svelarsi.
Tuttavia, come spesso accade nella vita, non tutto è rose e fiori. Vorremmo che tutto fosse perfetto, ma la realtà è diversa. Sono Alyssa , del segno del Cancro, e ho sempre avuto un bel carattere. Fin da piccola, chiunque incontrasse il mio sguardo non poteva fare a meno di complimentarsi per la mia bellezza, paragonandomi a mia madre, Helen. Una donna affascinante e delicata, i cui tratti dolci sembravano riflettere l'amore e la cura che infondeva in ogni gesto. La mia stessa famiglia, spesso e volentieri, si ritrovava a chiamarmi con il suo nome, un segno d'affetto che non mi ha mai dato fastidio. Anzi, era per me un onore essere così vicina a una donna che ho sempre ammirato e stimato.
Eppure, in mezzo a questi elogi, sentivamo crescere una pressione silenziosa, un senso di imperfezione. Ogni complimento era un promemoria di una grandezza che aspiravo a raggiungere, ma che mi sembrava sempre sfuggente. Era come se il riflesso del mio volto nel vetro non fosse mai all'altezza delle aspettative altrui, ma piuttosto un'ombra di ciò che avrei voluto essere.
Questo senso di inadeguatezza è andato crescendo sin dalla mia infanzia... anzi, dall'infanzia che mi è stata rubata prematuramente. L'inquietudine si è manifestata in me sin da quando ne ho memoria, e tutto è iniziato poco prima di perdere mia madre.
Avevo tre anni, vivevamo in un appartamento a Finale di Pollina , vicino alla caserma. Non ricordo molto di quei momenti, di quella casa, ma ho ben impressioni quei giorni così bui. Mamma e papà erano ancora sposati, ma la loro era una relazione insana e altalenante. Lui era sempre assente, intrappolato in una spirale di gioco d'azzardo. Non vedeva altro che macchinette, soldi e alcool. Quella puzza insopportabile impregnava i suoi vestiti, quel sorriso gelido e privo di emozioni sembrava un velo che oscurava la realtà, trascinandomi in un abbraccio soffocante, come un corpo totalmente estraneo.
Ogni giorno, la mia vita era accompagnata dallo sguardo di perenne disgusto e disapprovazione di un uomo che avrei voluto chiamare "padre". Ma era forse un uomo? No. Era un codardo, un'ombra di ciò che avrebbe dovuto essere, incapace di affrontare le proprie paure ei propri fallimenti. La sua sola capacità era quella di sputare veleno da quella bocca e bruciare tutto ciò che lo circondava, un devastante fuoco amaro che non risparmiava nessuno.
Ricordo il silenzio opprimente che regnava tra quelle quattro mura. Mia madre, con i suoi occhi dolci, cercava di mantenere viva una parvenza di normalità, ma era un'impresa impossibile. Le sue risate, un tempo pieno di gioia, si erano trasformate in un eco lontano, quasi un miraggio. L'unico rifugio che conoscevavo era la sua presenza, la sua voce calma che cercava di dissipare l'oscurità, ma anche lei stava svanendo, travolta dalla tempestosa onda della sofferenza.
In quei giorni, ho imparato che la vita non era un giardino di fiori, ma un campo di battaglia. Le ferite si accumulavano, e il mio cuore si riempiva di angoscia e di domande senza risposta. Perché il mio papà era così? Perché la mia vita era così difficile? Questi pensieri si radicavano in me come spine, lasciando cicatrici che avrebbero segnato la mia anima per sempre.
La mia infanzia, quella che avrei voluto essere spensierata e felice, era stata rubata. Invece di giocare e sognare, mi ritrovavo a fare da spettatrice a un dramma che si consumava davanti ai miei occhi. Ogni urlo, ogni bottiglia rotta, ogni parola tagliente pronunciata da quell'uomo mi spingevavano a cercare un rifugio, un angolo dove poter nascondere la mia riservatezza. Eppure, c'era un pensiero che mi assillava: esiste un posto dove io possa essere veramente felice?
In mezzo a questo caos, la figura di mia madre brillava come una stella in una notte buia. La sua presenza era l'unico conforto, l'unico segno di speranza. La sua forza, anche quando il mondo intorno a noi stava crollando, mi insegnava che l'amore poteva esistere, anche in mezzo alla tempesta. Ma sapevo che il suo sorriso non sarebbe durato per sempre. Un'ombra di preoccupazione si stava avvicinando lentamente, e avvertivo il peso di un destino che stava per compiersi.
Il pensiero di perderla era un mostro che cresceva in me, una paura che mi attanagliava il cuore. Era solo questione di tempo, e la vita, con la sua spietata indifferenza, si stava preparando a togliermi l'unica fonte di luce che avessi mai conosciuto. Ma anche in quel buio, mi promettevo di non arrendermi. Se il mondo fosse un campo di battaglia, allora io sarei un guerriero. E ogni battaglia, per quanto dolorosa, sarebbe servita a forgiare la mia anima.
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