9.
Qualche giorno dopo, sia maschi che femmine si trovavano in sala barca con Beppe, l'educatore brizzolato che riusciva a vedere il buono in tutti, anche e soprattutto in quelli che non riuscivano più a vederlo in loro stessi. Stavano provando a rimettere a nuovo il vecchio scafo donato all'IPM da un caro amico di Beppe che aveva deciso di farne dono ai detenuti del minorile.
L'educatore dal cuore buono aveva messo tutti al lavoro: chi si occupava del rammendo delle vele, chi della messa a nuovo dello scafo, altri, invece, più abili stavano risistemando il timone e le manopole di comando.
Carmine, che lavorava con Pino alla chiglia, non riusciva a darsi pace, continuava costantemente a pensare a Malamente, sapeva che quest'ultima stava attraversando un brutto periodo e temeva che potesse commettere i suoi stessi errori – anche lui, tempo prima ce l'aveva avuta con il mondo intero poiché non riusciva a superare la morte di Nina, e dunque si era accorto che gli atteggiamenti, il vuoto nello sguardo che assumeva la ragazza, la sua apparente indifferenza a ciò che la circondava, erano gli stessi avuti da lui.
Voleva aiutarla, ma non riusciva a capire come; quando provava a parlarle, lei o lo mandava a quel paese o gli rivolgeva a stento la parola. Non gli aveva mai mostrato un sorriso, forse non le era possibile a causa della guerra estenuante che imperversava nella sua testa.
«Guagliò, è meglio ca te fai e fatti tuoj!» lo ammonì Pino, poiché aveva notato che l'amico stava fissando in maniera incessante la nuova arrivata che intanto parlottava con Edoardo.
«Ma che vuò Pino?» ribatté lui, sentendosi colto in fallo.
«'A staje semp' a guardà a chell'. Lassala sta, ten' a guerra int' a capo!» continuò l'amico, avvisandolo.
Carmine le gettò un'altra occhiata profonda, poi a malincuore distolse lo sguardo dalla moretta.
Aveva ragione il suo amico, che definivano "o' pazzo", ma che a lui sembrava più sano di mente di tanti altri. Avrebbe dovuto lasciar perdere i pensieri che gli si affollavano per la testa da quando aveva visto la ragazza, ma era più forte di lui.
Sospirò.
«Tieni ragione, Pì. Ma pure io tenevo la guerra n'cap' e a teng' tuttora. Se tutti la ragionassimo così non andremmo mai avanti però. Il chiattillo mesi fa ha capito chell' ca ce stev' rint' e cervelle mie, eppure m'ha aiutato, e tu pure. Se vi foste voltati dall'altra parte forse a quest'ora starei già a Poggioreale.» affermò deciso, mentre sfregava più del solito il legno.
Il biondino gli mise una mano sulla spalla, come a confermare che aveva ragione.
«Chest' e pure vero. Però noi eravamo e cumpagne tuoj, essa nun 'a cunosc', e pare sia amica di Edoardo. Ij si fosse a te a lassasse perd'r.»
Carmine sospirò di nuovo, mentre la consapevolezza di ciò che l'amico gli aveva appena detto si faceva strada nei suoi pensieri come la pioggia che penetrava tra le fessure della roccia, rendendola più debole.
Ci aveva già pensato anche lui a questa cosa e la vicinanza di Edoardo a Malamente l'aveva anche rimarcata lui alla ragazza l'ultima volta che avevano parlato qualche giorno prima. Dopotutto, lei era anche mezza Ricci, e come tutta la sua famiglia, doveva avercela con lui per quello che era successo a suo cugino Ciro lì all'IPM. Senza dimenticare che Conte frequentava casa Ricci fin da ragazzino; quindi, i due forse si conoscevano già da tempo, e magari avevano avuto anche qualche contatto in precedenza.
Non riuscì a resistere dal poggiare di nuovo i suoi occhi su Malamente e, infatti, notò di nuovo che Edoardo era una delle poche persone che la Aiello lasciava avvicinare, anche se sempre mezza infastidita dai modi dell'altro. Anche in quel momento lui le stava dicendo qualcosa all'orecchio e lei sembrava leggermente arrossita.
Sbuffò di fastidio, e decise per quel giorno di voltarsi dall'altra parte, in quanto la vista dei due insieme, anche se non ne aveva nessun motivo, un po' lo infastidiva.
Dall'altra parte della sala, Aiello era stata, come sempre, avvicinata da Edoardo che, con una scusa o con un'altra, aveva trovato un modo per attaccare bottone.
«Ti ricordi quann' eravam criatur' e siamo andati in barca con Don Salvatore?» le aveva domandato Conte, dopo aver notato lo sguardo fisso di lei sulla prua.
Malamente fece un sorriso amaro e puntò gli occhi in quelli del compagno.
«E chi se lo può scordare? Quello è stato il periodo più felice della mia vita.» dichiarò con consapevolezza.
«Quanti anni avevamo? Tredici mi pare, e tu, principè, sembravi ancora più piccola con quelle treccine.» la prese in giro.
«M'è fatt' a radiografia?» chiese, sollevando un sopracciglio.
«No, teng' na buona memoria, soprattutto assì m'agg' arricurdà 'e cose che m'interessano!» ribatté, facendole un occhiolino.
«Ma la vuò fernì?» soffiò l'altra.
«E' vero. Poi tu stavi pure per annegà, giusto, principè?»
«E Ciro m'ha pigliat' a tiemp' a tiemp'!» aggiunse lei con una malinconia nello sguardo.
«Tuo cugino c'è sempre stato per coprirti le spalle. E mo ca nun ce sta cchiù ce stong' ij.» la rassicurò.
Lei sbuffò.
«Edoà, chella vota era propr' iss che mi aveva spinto giù.» rimarcò.
«Vabbuò ma che significa? Eravamo guagliuncelli.»
«Appunto, e mo che siamo cresciuti, m'e sacc' guardà a sola 'e spalle, statte tranquillo.»
«Sì semp' stata na capa tosta, principè.» scosse la testa.
«E ne vado fiera. Nun tengo bisogno della protezione e nisciun'. Guarda c'agg' fatto.» sottolineò amara, indicandosi intorno.
«Che significa? Ti dovevi difendere.» la rassicurò.
«Appunto, e so farlo da sola. Non devi starmi appresso perché ti senti in dovere di prendere il posto di Ciro con me.» puntualizzò.
«E sì invece te vulesse sta vicino pecchè voglio?» chiese malizioso, facendola arrossire.
«Allora, ti confermo ca nu staje buono ca capo. E' meglio ca me lassi stà.»
«Tu si na sfida pe me, principè, e io le sfide non le perdo mai. Sappilo.» le disse, mentre si accendeva una cicca e le buttava al solito del fumo in faccia, sfrontatamente.
«Ci sta sempre una prima volta per tutto. Pure per perdere. Sappi pure questo.» ribatté lei, facendolo sorridere.
Appena pronunciata quell'ultima frase, Malamente si allontanò per prendere dell'altra pittura. In realtà non gliene fregava niente della barca e stava lavorando davvero male, ma voleva allontanarsi da Edoardo – quel ragazzo riusciva sempre a metterla in soggezione, in particolar modo quando le parlava di cose del passato che riguardavano Ciro.
Non aveva ancora realizzato la sua scomparsa, un po' perché era già da qualche tempo rinchiuso all'IPM, ma soprattutto, perché da quando lui aveva deciso di uniformarsi al sistema lei aveva deciso di distaccarsi quanto più possibile da lui e da quel mondo malato in cui erano cresciuti e che lui stava facendo suo, mentre lei aveva aborrito.
"Ciro, io non so nuotare, mi insegni?" la piccola Malamente con i capelli raccolti in due treccine se ne stava sul bagnasciuga a invidiare suo cugino che giocava tra le onde, invidiosa che lui facesse qualcosa in cui lei non riusciva.
Da quando erano piccoli i due erano stati sempre in un'eterna sfida: l'uno doveva sempre essere migliore dell'altra e viceversa, non potevano fare a meno di vivere in quell'eterna competizione.
"Non sei capace di farlo! Zio non te l'ha saputo insegnà, invece papà è stato bravissimo." la sbeffeggiò, sottolineando quanto Peppe fosse inferiore in tutto rispetto a Salvatore.
Malamente lo sapeva benissimo, ma odiava che anche in questo suo cugino dovesse averla vinta; lui aveva il papà più figo, che passava il tempo con i figli, mentre il suo non c'era quasi mai a casa. Addirittura, la mamma da quando era nato Michele, la spediva per tutta l'estate dagli zii, riprendendola a settembre, e trattandola come se fosse un fardello.
"Allora, lo domando a zio. Accussì me 'mpara pur' a me." asserì la piccola.
"Vien' accà, te 'mpar' ij." si convinse.
Lei si fece coraggio ed entrò in acqua; aveva paura, era una delle cose che l'avevano sempre spaventata, ma suo cugino le tendeva la mano e lei si fidava di lui.
Era suo fratello, il suo migliore amico, l'unico della sua famiglia che le voleva bene.
Intrecciò le sue dita a quelle di Ciro e lui le rivolse uno dei suoi soliti sorrisi rassicuranti.
"Vieni, Malamè, come prima cosa proviamo a galleggià, quello è facile, basta ca nun te miett' appaura." la tranquillizzò.
La afferrò sotto le braccia e la fece distendere; lei ovviamente non riusciva a stare a galla.
"Ti 'a sta tranquilla, Malamè, sinnò t'affunn'."
"Ma non ci riesco." si disperò la ragazzina.
"Ma sì, ci riescono tutti, nun te preoccupà, ca ce stong ij. Nun te facc' affunnà." e strinse ancora di più la presa.
Lei si diede un'altra piccola spinta con il sedere e finalmente le ginocchia toccarono la superficie dell'acqua. Allungò anche le braccia e lasciò che l'acqua le entrasse anche nelle orecchie per raggiungere la posizione ideale per galleggiare. Sembrava di stare su una nuvola.
Sorrise soddisfatta, ma era consapevole delle mani del cugino che la sorreggevano.
"Nun me lassà, Ciro." lo implorò.
"Nun te lasso, Malamè, stong' semp' ca cu te." confermò il piccolo, rassicurante.
Gli occhi di Malamente si riempirono di lacrime a ripensare a uno degli episodi più felici della sua infanzia. Alla fine suo cugino non l'aveva mantenuta la promessa, l'aveva lasciata, ma non solo perché era morto, ma perché aveva preferito la via della violenza a quella del riscatto che stava invece percorrendo lei. O quantomeno ci stava provando.
Allontanò le lacrime che erano vicine a venir fuori e cercò di concentrarsi sul presente. Alla fine, era stata lei a seguire la strada di Ciro, aveva percorso i suoi stessi passi, anche se per motivi diversi, e si erano ritrovati alla stessa meta: l'IPM.
«Tutt' appost'?»
Era talmente assorta nei suoi ricordi che non si era resa conto che Carmine Di Salvo, uno degli assassini di suo cugino Ciro, le si era avvicinato.
Niente, il riccio non ce l'aveva fatta. Aveva provato per un po' a seguire il consiglio di Pino, ma poi quando aveva visto Malamente con gli occhi lucidi aveva mandato al diavolo la sua decisione e le si era accostato per sincerarsi che stesse bene.
«Ma tu semp' a romper' 'o cazz' staje?» gli fece, infastidita.
«E tu semp' gentile come al solito.» soffiò, deluso.
«A gentilezza nun sacc' manc' addò sta de casa.»
«Me ne so, accorto.» e si girò per allontanarsi.
«Che vuò da me, Di Salvo?» furono i sensi di colpa a farla parlare.
«Niente, Malamè, volevo solo vedere come stavi.» spiegò.
«E pecchè?»
«Mi sembravi triste, tutto qua.»
Lei fu colpita da quelle parole, anche perché non era più abituata a certe attenzioni, ma probabilmente proprio per quello non riuscì ad essere sincera e si chiuse ancora di più a riccio.
«Stong' na favola. Grazie dell'interessamento.»
«Vabbuò, comm' vuò tu.»
Il ragazzo si strinse nelle spalle e la lasciò in pace, maledicendosi per essersi fatto coinvolgere come al solito.
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Ciao a tutt*,
Innanzitutto volevo ringraziarvi per il seguito che sta avendo questa storia, non me lo aspettavo, perché non essendo il mio genere, mi mette molto alla prova la sua stesura, e perciò sono molto felice del riscontro positivo che sta avendo ❤️
Per quanto riguarda il capitolo, siamo un po' di più nella testa di Carmine e sappiamo un po' di più del rapporto di Malamente con Ciro, che ve ne pare? Fatemi sapere che sono curiosissima di leggere le vostre impressioni**
Inoltre, se potete, vi chiedo gentilmente di supportare la storia con una stellina, grazie 🌟
Effy
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