4.
«Ecco, a posto. Conte, tu vieni vicino a me.» gli disse allora l'educatrice e il ragazzo sembrò riluttante a spostarsi.
«Forza.» lo esortò, poi proseguì, rivolgendosi agli altri. «Come potete notare ogni duo ha di fronte un vaso vuoto, del terriccio e dei semi. Dopo aver indossato guanti e grembiule, cominciate a riempire il recipiente con la terra fino a metà, poi sistemate circa la metà della bustina con le sementi e ricoprite con altro terriccio. Infine, andate a prendere dell'acqua e annaffiate la vostra neo-pianta.» Sofia spiegò così i vari passaggi.
Tutti erano in fermento, stuzzicati dalla novità, perfino Conte.
Carmine passò a Malamente i guanti, che lo guardò di sottecchi e afferrò controvoglia quanto le porgeva.
Si accorse subito delle braccia muscolose e abbronzate del suo compagno di attività; anche le mani erano forti e sicure.
Si ridestò e si chiuse il grembiule bianco, facendo un fiocco sul retro.
Si sentiva ridicola, eppure, non vedeva l'ora di avere la mente impegnata su nuove cose, che non riguardassero la sua famiglia e il suo arresto.
Non era per niente a suo agio, vicino al figlio della rivale di suo padre e suo zio, ma almeno non doveva sopportare le battutine stupide di Edoardo, che le ricordava fin troppo suo cugino, Ciro.
«Se mi tieni il vaso, travaso la terra.» le disse il compagno sottovoce, riportandola alla realtà.
Non lo aveva mai sentito parlare prima di allora e la sua voce era vibrante e calda, come il vento primaverile nei giorni di maggio.
Azzardò a guardarlo per un attimo e notò che lui continuava a fissarla in maniera strana. Annuì alla sua richiesta e tenne saldo il recipiente. L'altro cominciò a riempirlo in buona parte.
«Penso che vada bene così.» riuscì a suggerire.
«Ah, ma allora parli?» replicò, rivolgendole un sorriso timido, contento di averle rubato qualche sillaba.
Poi notò che il tono di lei mostrava la sua apparente noncuranza a ciò che la circondava.
«Parlo solo se ho qualcosa da dire.» aggiunse in seguito, «Passami la bustina.» e il riccio eseguì prontamente la sua richiesta.
«Ragazzi, come avrete notato, ogni coppia ha una pianta in particolare di cui occuparsi.» la voce perentoria dell'educatrice si insinuò tra di loro. «Ci sono gladioli, rosmarino, basilico, orchidee e tanto altro.»
Malamente abbassò lo sguardo sulla bustina che stringeva nel pugno e solo allora notò che sulla loro c'era scritto "Girasoli".
«Sai che sono simbolo di libertà e di luce? Ci voleva accà ddint', no?» azzardò il riccio, scoprendo a sua volta il nome, mentre metteva altra terra al di sopra.
«C'rè? A galera t'ha fatt' addiventà saggio?» lo prese in giro, facendolo sorridere.
«E pecchè no?»
«Perché stiamo in un posto che trasuda disperazione e violenza, che a tutto fa pensare fuorché alla libertà e all'allegria.» fece risoluta, ripiegando l'involucro dei semi senza troppa grazia.
«Se stiamo qui è perché ci sta ancora speranza per tutti noi.» affermò deciso Carmine.
Lei sbuffò.
«Nun sì d'accordo?»
Le forti mani di lui erano piene di terriccio che continuava a sistemare diligentemente per dare vita alla futura piantina.
«'A speranza è morta 'a quann' simm trasut'.» sentenziò la sua compagna.
«E invece io ci credo ancora che ci meritiamo qualcosa di meglio. Pur' tu, Malamè t'o mmieriti.» le confidò determinato, incatenando le sue iridi scure in quelle castane di lei.
Malamente sembrò tremare un momento, poi sbuffò, afferrando il vaso che avevano davanti.
«Ci vado a mettere un po' d'acqua qua dentro, accussì nun sent' cchiù 'e strunzate che staj ricenn'.» lo liquidò, incamminandosi verso la fontanella.
Il ragazzo non la perse di vista nemmeno un attimo.
Le parole che la moretta gli aveva appena rivolto erano dure e pesanti, di chi era convinta di essere destinata solo al peggio e di non poter meritare qualcosa di meglio.
Eppure, lui non si arrendeva; credeva davvero che tutti loro avessero una possibilità, perfino lo stesso Edoardo Conte, e questa convinzione gliel'aveva inculcata il Comandante, Massimo Valenti, colui che era come e più di un padre per lui.
Malamente si era dovuta allontanare dal riccio. Si sentiva turbata in sua presenza e, soprattutto, l'aveva colpita il discorso che stavano affrontando.
Per lei non c'era nessuna possibilità di redenzione; era nata con il sangue cattivo nelle vene – per un po' ci aveva provato a distaccarsi dalla sua famiglia e dall'atmosfera tossica che respirava a casa sua. Ci aveva creduto che le persone non fossero destinate a ripetere gli stessi errori dei propri genitori e aveva sempre cercato di rimanere indifferente alle dinamiche del cosiddetto 'sistema', eppure, ci era caduta con tutte le scarpe. Per autodifesa? Poteva essere. Almeno era quello che sperava avrebbe detto il suo avvocato difensore al processo, semmai sua madre gliene avesse procurato uno. Ma lo aveva fatto. Aveva ucciso o' Riavl' e non c'era speranza per il parricidio.
Dopotutto, lei era una Aiello mezza Ricci, la violenza ce l'aveva nell'anima, era solo questione di tempo e prima o poi sarebbe venuta fuori.
«Wè, a staje affucann' a 'sta povera pianticella.»
Le si era appena avvicinato un altro detenuto, un ragazzo biondo con gli occhi azzurrissimi come il mare dei Caraibi.
«Uh, marò.» si accorse di star praticamente annegando la piccola piantina e la spostò subito.
«A che staje a pensà?»
«Nun so fatt de tuoje.» tagliò corto, ritornando malvolentieri verso il suo compagno.
«Ci riesci a salvarla?» gli domandò a fatica, mostrandogli quello che aveva combinato.
«Wà e che è fatt'? L'è ccis'.» ridacchiò alla vista del vaso annacquato, mentre lei fu punta sul vivo da quella battuta.
La vista le si annebbiò e sembrò mancarle l'aria. Si trovava all'aperto, ma era come nuotare sott'acqua senza più ossigeno nei polmoni. Si piegò sulle ginocchia, come per riposarsi dopo una corsa di 100 metri.
«Oh, ma c'rè? Tutt'appost'?» le si avvicinò preoccupato Carmine, sporcandola con le sue mani di terra.
Si era piegato per mettersi alla sua altezza e le aveva afferrato le braccia.
Lei trasalì a quel contatto e sembrò riaversi.
«Ma che ne sacc', ma che cazz' vuò tu da me? Ma vaffancul' tu e sta cazz' e pianta.» sbottò mettendosi in piedi e allontanandosi.
Carmine rimase interdetto a fissarle le spalle. Avrebbe voluto andarle in contro per sincerarsi che stava bene e magari convincerla a tornare a parlare con lui, ma aveva capito che probabilmente non era il momento. Perciò si trattenne dal fare qualsiasi cosa, incassando il vaffanculo e lo scazzo della ragazza.
«Aiello, torna subito qua.» le impose Sofia, urlandole contro, appena si accorse che se ne stava andando.
«Non mi sento bene. Me ne posso andare in infermeria?» le soffiò a mezza voce.
L'educatrice aggrottò la fronte, ma decise di assecondarla.
«Va bene, vai pure, e dopo fatti riaccompagnare dritta in cella.»
Aiello sollevò le spalle e si diresse verso l'interno, respirava ancora a fatica, ma già sembrava stare un pochino meglio.
I suoi passi echeggiarono per i lunghi corridoi del penitenziario, mentre veniva scortata da Maddalena, l'altra guardia carceraria dell'area femminile.
«Che è succiess'?»
«Ma che ne sacc'. Me sta a mancà o respiro.»
«Statt' tranquilla, che mo' il dottore ti aiuta.»
Arrivarono nell'infermeria e furono accolte dal sorriso amichevole del dottor Gaetano.
«Dottò, ci sta Aiello qua, che non si sente bene. Dice che le sta mancando l'aria.» gli spiegò i sintomi.
«Stenditi sul lettino. E riposati per qualche minuto. Ti prendo un po' di acqua e zucchero.»
«Vado io, dottò.» si offrì la guardia.
Malamente chiuse gli occhi e fece come le era stato detto. Provò a rilassarsi, ma le parole di Carmine le giravano ancora nella testa.
Che è fatto? L'è ccis'.
Che è fatto? L'è ccis'.
Che è fatto? L'è ccis'.
La stessa frase che le aveva detto sua madre tra le urla strazianti e le grida disperate del fratellino.
Aprì gli occhi per sfuggire al ricordo doloroso di quella maledetta serata e fissò il mare fuori dalla finestra. Si lasciò cullare dal suo rumore rilassante e ripetitivo. La marea si alzava e si abbassava, seguendo il ritmo della natura, incurante dei problemi degli esseri umani.
Cadenzò il suo respiro seguendo il battito delle onde e cominciò a tranquillizzarsi.
Quando tornò Maddalena con l'acqua la bevve per far contento il dottore, che ne frattempo la stava visitando con uno stetoscopio, auscultando il suo cuore e i suoi polmoni, poi le misurò anche la pressione.
«Aiello, tu stai una bellezza. Hai solo avuto un piccolo attacco di panico. È normale per la tua situazione. Cerca solo di stare più serena, e se ti ricapita vieni subito qua che ti do un calmante molto blando.»
«E' 'na parola a sta calma, dottò. Ci provo.» gli rispose, facendo spallucce.
«Brava.»
Maddalena rientrò in infermeria per riportarla in cella.
Nel tragitto, Malamente, notò che i ragazzi stavano riponendo gli attrezzi utilizzati in giardino ed ebbe, stranamente, un piccolo tuffo allo stomaco nel notare una chioma riccia in lontananza.
⚠️ATTENZIONE⚠️: quest'opera è protetta da copyright © - sono vietati plagi, anche in modo parziale.
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ciao a tutt*,
nuovo capitolo di questa storia ** <3 mi sono divertita tanto a scriverlo e a far interagire questi due ** che ne pensate voi? vi piacciono questi due insieme? ** ovviamente, siamo solo all'inizio quindi dovremo aspettare e faticare un pochino prima :DDD
anyway, fatemi avere i vostri commenti e se la storia vi sta piacendo, vi chiedo di mettere una stellina per supportarla **
Grazie!
Effy <3
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