22.

«M'e purtat' accà pecchè è a spiaggia del posteggio?» domandò Malamente, inarcando un sopracciglio e allontanandone la mano.

Carmine scosse la testa, ferito.

«Marò, si propr' impossibile.» sbottò, frustrato.

«E allora, pecchè?» insistette.

«T'agg' purtat' accà pecchè è uno dei posti che preferisco e addò me sento chiù libero. Venivo sempre qua quando avevo bisogno di staccare.» rivelò.

«Tu 'o saje che questo posto porta seccia, sì? Non credo che sia stata un'ottima idea.» lo informò, poggiandosi al muro vicino e lui ridacchiò.

«Nun ce credo a sti ccose. E poi non ti facevo accussì superstiziosa.»

«Eppure è così: la casa alle nostre spalle porta sfortuna; tutti chilli che c'hann' abitato o so muorti o hann' tenut' disgrazie.» chiarì, facendolo sbuffare.

«È o vero.» continuò incurante delle proteste del ragazzo. «Publio Vedio Pollione, Guglielmo Bechi, Luigi De Negri, Paul Getty, sono alcuni dei nomi che hanno avuto la sfortuna di vivere qui e alcuni anche di morirci.» si guardò intorno e si sentì come una guida turistica wannabe.

«Solamente pecché hann' spostato il quadro della Medusa?» incalzò Di Salvo e lei sgranò gli occhi per la sorpresa.

«A cunosco pur'ij a storia, Malamè. E ovviamente non ci credo.» precisò.

«Vabbuò, ma comunque da allora nisciuno c'ha voluto abità cchiù. Perché porta sfortuna.»

«Ma mo stong' cca cu te e quindi pe me non può portare seccia, anzi è Gaiola portafortuna.» le confessò con un'altra occhiata infuocata.

«Tu staje fore.» convenne lei, alzando gli occhi al cielo e avvampando allo stesso momento.

«Nun me chiamm' Edoardo ij, o vuò capì?» aggiunse senza riuscire a trattenersi – avrebbe voluto mordersi la lingua in quel momento.

«Che c'entra Edoardo, mo?» fece stizzita.

«Pecché 'o difiendi sempre? Te piace Edoardo, Malamè?»

Ecco, l'aveva fatto. Aveva tirato fuori la domanda che aveva causato i suoi incubi nelle ultime settimane, ampliati dall'episodio cui aveva assistito qualche giorno prima.

Per Malamente fu come ricevere uno schiaffo in faccia. Avvampò e provò a spostarsi, ma lo sguardo di lui la inchiodò dove si trovava.

«E pure sì fosse? A te che te ne fotte?» decise di riattivare la sua controparte stronza.

Carmine scosse la testa deluso.

«Perché io e lui siamo come la notte e il giorno, il sole e la luna, se ci sta l'uno non può starci l'altro.» spiegò con voce rotta, riuscendo a eludere la risposta che forse lei avrebbe voluto sentire ma che lui aveva paura a dare. «Lo so che quello che stai pensando, cioè che portare qua le ragazze, è il genere di cose che fa lui. Ma ij nun so comm' a isso, miettetell' 'ncapo.» rimarcò.

«Ah no? Eppure, stai in galera pur' tu, e hai fatto un sacco di cazzate comm' a isso. Esattamente come a lui.» sottolineò con una punta di acidità.

«Sì, ma per motivi diversi. Ij chillo munn' o schifo. E nun so comm' a loro.» disse con disprezzo. Poi continuò. «E manco tu si accussì, Malamè.» accendendole una flebile speranza.

«E invece sì, sono esattamente come loro, come la famiglia mia, comm' a chillo strunz' e patemo. Nun tengo speranza, so mezza Ricci e mezza Aiello. Nun me pozz' salvà.» soffiò, scoraggiata.

«No, nun è 'o vero. Te lo dico io.» ripeté.

«E tu che ne sai, Di Sa?»

«Perché pure io me chiamm' Di Salvo ma so' quanto più lontano da un Di Salvo potessi essere. E po', sto imparando a conoscerti Malamè e t'o pozz' dicere ca tu nun sì comm' a loro. Nun si comm' a nisciun'ata, a dire la verità.» le confessò con gli occhi in fiamme.

Lei deglutì.

«Nun agg' mai conosciut' a nisciun' comm' a te.» rivelò – ormai era un fiume in piena e non aveva senso continuare a mettere degli argini.

«Nun 'o sacc ' ancora si me pozz' fidà e te.» ammise con ancora qualche remora che riusciva a farsi strada nonostante la sicurezza che le parole di Carmine riuscivano a infonderle.

«Ma come? Mo so come ti chiami, te sì fidata, no?» le ricordò.

La ragazza non rispose.

«E o cor' tuo che dice?» la incalzò, posandole una mano sul petto.

Ipnotizzata dai brividi nati da quel tocco non fu in grado di ribattere. Le gocce d'acqua salata si erano asciugate lasciando al loro posto la patina bianca di salsedine che ora era posata sfacciatamente sulla pelle di entrambi e il riccio muoveva il pollice avanti e indietro cancellandone i bordi e giocando con i nervi della moretta.

«Che ti dice?» insisté.

«Che me pozz' fidà.» rispose rassegnata. «Ma il cuore è traditore.»

«Non stavolta, Marlè. Non stavolta. Stallo a sentì.» le propose e lei sussultò nell'ascoltare il suono del suo nome sulle labbra del compagno.

«M'è chiammat' Marlena?» domandò e lui annuì.

«Fallo ancora.» gli ordinò.

«Marlena.» obbedì, sorridendo e annullando la distanza che già era minima. Non riusciva più a resistere, il desiderio di stringerla a sé, di averla tutta per sé stava ormai strabordando e lui si era stancato di fargli resistenza. Così, con l'altra mano le prese il viso e lo avvicinò al suo.

La moretta chiuse gli occhi all'istante, completamente avvolta dalle emozioni che stava provando. Lui si avvicinò al suo orecchio, chiamandola per nome e ripeté il gesto più volte, facendo vibrare perfino l'aria intorno a loro, fino a che arrivò alle sue labbra e, con l'ultimo "Marlena", le loro bocche finalmente si toccarono.

A Malamente, all'improvviso, non le sembrò più di starsene mezza infreddolita in costume sopra un isolotto abbandonato, ma di correre a perdifiato per un campo assolato e immenso; non c'era più la brezza marina a colpirla o i dubbi ad attanagliarla, ma le sembrava che tutto ciò che stesse provando fosse corretto. Si era sentita sbagliata per tutta la vita, in quel momento, invece, si rese conto di essere finalmente giusta – anzi di più: nel posto giusto con la persona giusta.

Fu come se le menti stremate di entrambi avessero trovato tregua, i loro corpi sembravano un incastro perfetto quando le braccia di lui la avvolsero, scortandola all'indietro verso il muro dell'unica costruzione dell'isola, mandandole mille e mille scosse in circolo per tutto il suo corpo; le sue toccavano lembi di pelle dell'altro su cui fino a poco prima aveva a malapena osato posare lo sguardo e sentiva al di sotto i muscoli e le venature tendersi.

Quel bacio per Carmine fu la realizzazione di un sogno che lo affannava da settimane; e gli sembrava di stare ancora dormendo, temeva che da un momento all'altro si sarebbe svegliato sul letto a castello dell'IPM, sudato e con il cuore che gli correva all'impazzata, quasi a volergli uscire dal petto, spaventato che aprendo gli occhi avrebbe trovato Malamente tra le braccia di Edoardo.

Questa volta però, le braccia erano le sue, era lui che la stava stringendo a sé, e che stava assaporando il sapore della ragazza dei suoi sogni.

Avrebbe voluto che quel momento non finisse mai, mentre le loro lingue si rincorrevano in una corsa folle e armoniosa e i loro sapori si mischiavano come l'acqua del mare alla foce del fiume: un'unione necessaria e naturale.

Le mani di Marlena si erano intrecciate dietro il collo di lui, risalendo fino alla nuca e incastrandosi poi nei suoi ricci perfetti. Quelle di Carmine, invece, stavano mappando la schiena di lei, superando senza difficoltà l'ostacolo posto dalla stoffa del costume, ponendosi anche come barriera tra lei e la roccia.

Quanto tempo era trascorso con loro ancora in quella posizione? Non potevano saperlo. Forse era passato un solo istante, forse qualche ora. E quando trovarono la forza di staccarsi erano ancora entrambi sopraffatti dai brividi.

Carmine continuava a lasciarle piccoli baci a fior di labbra e lei avrebbe voluto che non avesse mai smesso.


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ciao a tutt*,
eccoci al capitolo che tutt* stavate aspettando **
Allora che ve ne pare? vi è piaciuto? <3 ma quanto ci hanno fatto penare questi due? :DDD
fatemi avere tutti i vostri commenti e se la storia vi sta piacendo vi chiedo di sostenerla con una stellina ** grazie **
effy

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