20.
Carmine non se lo fece ripetere due volte, ingranò la marcia, diede gas e si avviarono.
«Vuò cadè? Stringiti bene.» precisò e lei gli si fece, allora, più vicina, poggiando la testa sulle sue spalle e respirando il suo profumo.
Sapeva di sapone di Marsiglia e profumi di agrumi e fiori freschi.
Ne respirò a fondo, non riuscendo a trattenere un sorriso. E per la prima volta dopo tanto tempo si sentì al davvero al sicuro.
A Carmine sembrava di stare guidando tra le nuvole, non gli pareva vero quello che stava vivendo; finalmente, Malamente gli aveva sorriso e gli aveva rivolto parole di gratitudine e non di stizza come era solita fare.
Aveva un sorriso che contagiava il prossimo e che raggiungeva i suoi occhi, facendoglieli brillare ancora di più, mettendo in risalto il nocciola delle iridi.
Il riccio era ancora in fibrillazione mentre si ripeteva nella mente quello che la ragazza gli aveva detto poco prima.
"Adesso che sei qui, meglio."
"Portam' addò vuò tu."
Due semplici frasi che però per lui erano importanti, forse troppo. Non riusciva, infatti, a ragionare in maniera lucida.
Giorni prima aveva sentito all'IPM o, meglio, se ne era reso partecipe suo malgrado, che lei e Conte si sarebbero dovuti incontrare fuori, trovandosi entrambi in permesso nello stesso periodo.
Forse lei avrebbe detto la stessa cosa all'altro se al posto suo ci fosse stato Edoardo? Aveva avuto la meglio solo perché si era trovato nel posto giusto al momento giusto? Lui non lo poteva sapere. E non riusciva a darsi pace.
Per la stizza diede ancora più gas e la ragazza gli si strinse ancora di più alla vita.
Malamente si sentiva davvero bene invece; sfrecciavano su quel motorino per i tornanti che da Chiaia si articolavano in alto per poi riscendere fino a Posillipo: davanti a loro il golfo di Napoli in tutta la sua magnificenza.
Il vento estivo le solleticava il volto e lei si sentiva così libera e audace da abbassare le palpebre e staccare le braccia dai fianchi di Carmine per aprirle come ali in volo.
Il riccio osservò la scena dallo specchietto e cominciò a ridere e quella risata fu così liberatoria e contagiosa che influenzò anche lei.
Visti dal di fuori sembravano semplicemente due ragazzi di diciassette anni colmi di gioia e libertà, due sentimenti che gli erano purtroppo sconosciuti, e non due detenuti del carcere di Nisida.
«Me staje a riportà all'IPM?» gli domandò scherzando, quando riaprì gli occhi e scorse le vie fin troppo familiari.
«Quasi quasi.» fece lui sibilino, ancora con il sorriso sulle labbra, che si era fatto strada nonostante lo tsunami di pensieri negativi.
A un certo punto, però, mise la freccia a sinistra e svoltò, imboccando una stradina che si addentrava sempre di più tra le campagne, con villette ai due lati e ciottoli che prendevano il posto dell'asfalto.
«Di Salvo, addò me staje a purtà?» chiese di nuovo mentre il motorino sussultava agli sbalzi del manto stradale.
«E mò vir'.»
«Mh, m'agg' preoccupà?» lo incalzò.
«Aè, Malamè, e fidate pe' na vota.»
E lei decise di ascoltarlo. Si accoccolò di nuovo sulla sua spalla e respirò quel profumo che cominciava a inebriarla.
Stavano ripercorrendo a ritroso parte del percorso già battuto quella mattina, ma stavolta erano lontani dal traffico cittadino e, invece di salire, stavano andando verso il basso, seguendo un sentiero incolto ai cui lati spiccavano i maestosi blocchi di tufo giallo, tipici della zona napoletana, rigogliosi di vegetazione, che di solito terminavano diretti in mare.
E infatti, era proprio in una delle calette più nascoste e particolari che Carmine aveva deciso di portare Malamente: la Gaiola.
Parcheggiò il motorino nel piccolo spazietto non asfaltato di fronte al cancelletto per poter accedere al parco sommerso.
Scese per primo, seguito da Malamente, che si guardò intorno curiosa.
Il riccio aprì la sella e ci posò al suo interno il casco indossato dalla moretta e ne tirò fuori uno zainetto, poi porse la mano alla ragazza che, sebbene con un po' di diffidenza, l'accettò e si incamminò con lui.
Raggiunsero un cancelletto verde arrugginito e notarono che era bloccato; quel giorno la zona era chiusa al pubblico.
«Tutt' sto burdell' e po' nun putimm' manco entrà?» chiese lei, sbuffando.
«Malamè, t'agg ditt' fidati.» e si avvicinò all'entrata, incrociando le mani.
Poi le fece cenno di salirci sopra.
Lei spalancò gli occhi, incredula.
«Vabbè che stiamo già in carcere, ma io eviterei di aggiungerci anche un'effrazione.» disse scettica, mentre lui rideva.
«E jamm' ja.» e ripeté il cenno per invogliarla a utilizzarlo a mo' di scala.
Lei alzò gli occhi al cielo, ma ormai aveva deciso di fidarsi del riccio; quindi, fece spallucce e saltò su di lui, arrivando facilmente sulla cima del cancello e aiutandosi con l'altra gamba ed entrambe le braccia per scavalcare e raggiungere il lato a loro precluso.
Il ragazzo si arrampicò sulle sbarre subito dopo e con pochi sforzi raggiunse la compagna.
Le tese di nuovo la mano che lei stavolta ricambiò all'istante, facendole strada per il ripido sentiero che conduceva fino al mare.
Stava diventando fin troppo naturale starsene così, mano nella mano con Di Salvo, mentre si lasciava scortare da quest'ultimo attraverso una zona poco conosciuta. Ormai sembrava averci fatto il callo anche alle scossette che continuava a sentire ogni volta che la sua pelle veniva in contatto con quella del ragazzo.
Il silenzio faceva da sfondo a questa coppia così insolita, eppure così genuina; la musica era quella che proveniva dalle menti affollate di entrambi, a cui però nessuno dei due voleva dare voce, tenendosi per sé tutte le paranoie e tutte le esultanze.
Dopo l'ultimo scalino i ragazzi si trovarono a fronteggiare il mare che si infrangeva sugli scogli artificiali della piccola spiaggetta di Gaiola.
«Se ci scoprono, so guai.» asserì Malamente mentre respirava a pieni polmoni l'aria salmastra, sentendosi da essa rigerenata.
«Vabbuò che ci possono fa? Tuttalpiù c'arrestano.» le rispose Carmine.
I due si voltarono contemporaneamente e scoppiarono a ridere, con le mani ancora intrecciate.
Le risate non riuscivano a fermarsi, Malamente sentiva i muscoli facciali indolenziti per il troppo contrarsi, eppure, fu come se solo in quel momento si fosse resa conto di quanto ne avesse bisogno.
Dopo un po' Carmine le lasciò la mano e aprì lo zainetto, tirandone fuori un asciugamano.
Lo sistemò a terra e fece il gesto a Malamente di accomodarsi.
Lei si sedette, stringendosi le ginocchia con le braccia, mentre non smetteva di fissare l'acqua con la città di Napoli a fare da sfondo a quel quadro vivente.
Se qualcuno le avesse detto che quella prima giornata di permesso, invece che con sua madre e Michelino, l'avrebbe trascorsa a Gaiola con Di Salvo gli avrebbe riso in faccia.
A malapena si rese conto dei movimenti del ragazzo che intanto le si era seduto di fianco, con un ipod tra le mani e un paio di cuffiette. Fu quando lui le mise davanti un pacchetto di sigarette per offrigliene una che realizzò di stare insieme all'ultima persona con cui avrebbe pensato di condividere quelle ore.
Fece no con la testa.
Lui ne sfilò una e l'accese con un accendino.
Anche il riccio era assorto nei suoi pensieri. Non riusciva a crederci che era vicino alla ragazza che da settimane gli riempiva la testa di riflessioni e sogni.
Gli sembrava così strano, eppure così naturale, starsene seduto accanto a lei. Sapeva che poteva tutto rivelarsi una chimera, bastava un piccolo passo falso e questo gli metteva parecchia tensione.
Ormai aveva capito che più evitava di starci a pensare e più si sentiva attirato da lei come una calamita con il ferro. Nonostante le sue ritrosie e la poca confidenza che gli aveva sempre mostrato, non riusciva a non starle attorno.
Diede un altro tiro e buttò fuori il fumo, come a voler scacciare in quel modo anche tutte le idee negative che gli si stavano affollando nel cervello.
«A che stai a pensà?» gli chiese lei, quando finì la sigaretta.
In risposta, sollevò le spalle e sospirò.
«Mi godo il momento.» continuò a fissare le onde e lei annuì, trovandosi d'accordo con lui.
«Tieni.» e le passò una airpod che aveva appena tirato fuori dalla cartella.
La moretta la afferrò e se la appoggiò all'orecchio. La musica di Liberato andava in sincrono con l'infrangersi delle onde sugli scogli e la risacca del bagnasciuga.
«Ti piace Liberato?» domandò la moretta con un sorriso.
«Perché, a te no?»
«Rispondi sempre con un'altra domanda?»
«E tu?» ribatté il riccio, decidendo di stare al suo gioco.
Lei sbuffò di frustrazione.
«Sì, mi piace. Non è proprio il mio genere, ma lo ascolto.»
«E lo so che il genere tuo è il rock inglese, Malamè, ma so anche che non sei una che si accontenta di ascoltare solo un tipo di musica.» le rivelò, cambiando canzone.
Lei sobbalzò, sorpresa.
«Ah sì? E come lo sai?»
«Ti osservo, e non perché sono uno stalker come mi hai detto prima, ma perché hai tante sfumature nei tuoi colori che quando penso di averne colta una, adoppo capisco che nun c'agg' capito niente.» confessò scuotendo la testa e le sue guance assunsero un colorito bordeaux.
La moretta deglutì senza sapere bene come rispondere. E per vizio, si raccolse i capelli nella solita coda.
Di Salvo la innervosiva, sembrava starsene per i fatti suoi, ma era quello che più riusciva a sorprenderla per le cose giuste che traeva dalle sue osservazioni.
«Balliamo?» le propose lui in un sorriso enigmatico, anche per mettere fine al supplizio che stava infliggendo ai suoi capelli.
Si alzò e le tese per l'ennesima volta la mano.
Lei gli lanciò un'occhiata tra lo sconvolto e il divertito per la sua sfacciataggine ma la accettò.
Piccerè, m'hê lassato 'int'ô shock
Voglio sta' cu'tté tutt"o blocco
Si 'a città se ne cade
Ce ne jammo ô mare, nennè
Le note di E te veng' a piglià le riempirono l'orecchio con la cuffietta e Carmine la attirò a sé, tenendole la mano vicino al suo petto, ma dandole tutto il tempo che le serviva per decidere cosa fare. Malamente sospirò all'odore familiare del ragazzo e poggiò la testa sul suo petto muscoloso, chiudendo gli occhi, mentre entrambi i loro corpi ondeggiavano a ricreare lo stesso movimento del mare accanto a loro.
Il riccio si aprì in un sorriso e respirò anche lui l'odore dei capelli della moretta; sapevano di vaniglia e fiori di loto.
La canzone faceva da sfondo a quel loro dialogo silenzioso. E se Malamente si fosse resa conto che lui non aveva scelto a caso, ma che quei versi erano rivolti a lei?
«'E te vengo a piglià
Senza fá nu rummore
Po te porto a ballà
Sulo nuje, core a core
Tu sî 'a voglia 'e turnà
'O silenzio â cuntrora
Comm'è brutto 'a cantà
Cu n'eclisse 'int'ô core» si azzardò a sussurrarle.
«Che?» domandò l'altra, uscendo dallo stato di trance in cui era entrata, ma allo stesso tempo con la pancia che le faceva male a causa dell'ansia benefica che la aveva avvolta.
«Niente. Provavo a cantà, ma so troppo stonato. Mica so comme a te.» si difese in extremis e lei fece un altro mezzo sorriso.
Carmine cominciò a fare su e giù con tocchi lievi e ponderati sulle braccia nude della Aiello e la percepì, per un istante, tremare sotto i suoi palmi.
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***
ciao a tutt*,
questo capitolo l'ho dovuto dividere per forza altrimenti sarebbe venuto fuori un libro :DDD
finalmente vi svelo cosa ha ispirato tutta la storia: questa canzone <3 che è la mia preferita di Liberato, infatti la storia è nata dall'ascolto di queste parole e i personaggi mi si sono materializzati di fronte magicamente <3
Che ne pensate?<3 vi assicuro che anche il prossimo è uno dei miei preferiti, praticamente la triade dei miei capitoli del cuore e da cui è nata tutta la storia **
Attendo i vostri commenti e se la storia vi sta piacendo vi chiedo di sostenerla con una stellina <3 grazie
Effy
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