i; the only defense against fear is courage

"L'unica difesa contro la paura è il coraggio."

Delle parole mormorate all'orecchio di(T/n), prima che perdesse i sensi. Una delle poche cose che ricordava del suo primo incontro con quello che all'ora non era ancora chiamato con l'appellativo di 'Pilastro delle Serpi'. Quelle parole le aveva pronunciate con leggerezza, distrattamente. Non doveva nemmeno trattarsi di un incoraggiamento nei confronti di qualcuno che aveva perso tutto.

Quella notte pioveva. L'acqua, una volta toccato il suolo, si mischiava al sangue e alla terra. Le nuvole coprivano il cielo, nascondendo la luna e la sua luce.

(T/n) sedeva, appoggiata alle macerie dell'edificio che fino a quel giorno era stato la sua casa. Non era rimasto più nulla del luogo in cui era nata e cresciuta. Non sapeva quanto tempo fosse passato dal momento in cui la carneficina ebbe inizio. Che fossero stati minuti o ore, il demone, creatura di cui non avrebbe mai creduto l'esistenza, aveva completamente raso al suolo al suolo quel villaggio tranquillo ed ucciso tutti coloro che lo abitavano.

Solo (T/n) era riuscita a fuggire alla fama insaziabile del demone. Non sapeva se fosse effettivamente salva o se avesse soltanto ritardato la sua morte del tempo che avrebbe impiegato il demone prima di trovarla.

Sentiva il proprio sangue scorrere, fuoriuscendo dalle numerose ferite presenti sul suo corpo e venire diluito da quell'acqua che cadeva incessantemente dal cielo. Sperava di venire spazzata via, esattamente come ogni traccia di quel liquido cremisi.

Avrebbe voluto urlare. Urlare quanto odiava i demoni. Urlare quanto fosse ingiusto ciò che era accaduto. Ma dalla sua bocca non uscì alcun suono.

Aveva paura. Era completamente terrorizzata. Un senso di disagio e disgusto le appesantiva lo  stomaco. Si sentiva come se fosse in procinto di rigettare l'anima. Le ferite procuratesi durante la fuga, bruciavano a contatto con la terra, con la sporcizia, con le gocce di pioggia. Quanto tempo sarebbe passato prima che qualcuno l'avesse trovata?

Cercò di alzare lo sguardo verso il cielo. Se fosse morta, avrebbe voluto avere come ultima visione quella di un cielo stellato, lontano dagli orrori che accadevano sulla terra. Un cielo sgombro, senza nuvole, in cui le stelle disegnavano figure usate per orientarsi nel corso delle ore notturne, il bagliore bianco e freddo della luna. Quel cielo non aveva nulla di ciò che (T/n) voleva. Nessuna stella da seguire per trovare la via di casa. Nessuna raggio di luna ad illuminare la buia notte. Solo nuvole temporalesche, sempre più scure, che tingevano di nero il cielo. Solo gocce di pioggia che cadevano al suolo, coprendo le tracce di ciò che era avvenuto, cancellandone l'esistenza. Il silenzio era interrotto dal respiro affannato della ragazza e dal vento che colpiva i resti delle abitazioni. Freddo e tagliente. (T/n) sentiva le proprie ferite esposte a quel vento gelido. Le mancava il fiato. Avrebbe voluto respirare quell'aria, ma si rese conto di non riuscirci correttamente. Annaspava come un pesce gettato fuori dall'acqua.

Aveva bisogno di qualcuno che la aiutasse. Chiunque sarebbe andato bene. Voleva solo essere salvata. Non le interessava nient'altro.

Proprio quando una flebile richiesta d'aiuto lasciò le sue labbra faticosamente, un cacciatore di demoni comparve. Aveva solo pochi anni più di lei, ma era perfettamente a suo agio in quel campo di battaglia. In piedi, in mezzo alla distruzione, senza mostrare il minimo segno di incertezza. Reggeva una katana. (T/n) non riusciva a scorgere i suoi lineamenti. La sua vista si stava offuscando. Le lacrime scendevano dai suoi occhi. Considerava l'arrivo del ragazzo un vero e proprio miracolo. Pregava gli dei affinché fosse lì per trarla in salvo. Quel ragazzo sconosciuto era la sua unica speranza. Avrebbe voluto chiedergli di aiutarla, ma non aveva alcuna forza in corpo.

(T/n) non vide più nulla. Non aveva altri ricordi del suo primo incontro con colui che le diede la possibilità di poter continuare a vivere. Tutto ciò le rimase impresso furono le poche parole che pronunciò nel momento in cui le sue braccia la tennero saldamente stretta a sé.

Si sentiva a al sicuro, come non lo era mai stata prima. Poteva fidarsi di lui. Non aveva alcun dubbio riguardo ciò.

Chiuse gli occhi. Lasciò la sua testa appoggiarsi alla spalla del suo soccorritore. Era caldo. Vivo. I suoi capelli le sfiorarono il viso. Non voleva più avere a che fare con la morte. E con la paura che essa le causava.

Obanai Iguro non si considerava una brava persona. Non aveva mai pensato a sé stesso in quella maniera, nonostante gli sguardi colmi di gratitudine di coloro che salvava a volte gli facessero pensare il contrario. Era il modo che aveva adottato per espiare le sue colpe, come se in qualche modo potesse purificare il sangue che scorreva nelle sue vene. Non funzionava. Non secondo lui almeno.

Come aveva fatto dal giorno in cui si era unito al Corpo Ammazza-demoni, fece il possibile per salvare gli abitanti del villaggio la cui fame di un demone ne aveva intaccato la pace. Era arrivato tardi.

Era amareggiato. Il fallimento non fece altro che ricordargli quanto fosse inutile la sua esistenza. Uccise il demone, ma ormai non c'era più nessuno in quel villaggio da salvare.

Trovò una ragazza. Era ancora viva. Sentì il suo cuore alleggerirsi nel constatare che il suo respirava ancora. Era riuscito a fare qualcosa. Aveva salvato una vita. Ciò allietava un minimo il ribrezzo che provava nei propri confronti.

Per quanto fosse disgustato da sé stesso, avrebbe dovuto continuare a fare ciò che aveva fatto fino a quel giorno. Sfogare la sua rabbia sui demoni, cercando di togliersi dosso la spregevole sensazione di marcio che attribuiva alle sue origini.

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