sette

"Ray, non c'è più tempo."

Il corvino non era l'unico ad avere l'abitudine di comparire all'improvviso alle spalle degli altri. 

 (T/n) aveva parlato a pochi centimetri dal suo orecchio e non si era accorto della sua presenza finché non proferì parola.

Erano da soli, come spesso era accaduto nell'ultimo mese, con grande fastidio di Ray. LO scocciava il dover cercare delle scuse con (T/n), che sembrava sempre più interessata a cosa celasse quell'orfanotrofio.

Sapeva che ormai era inutile nasconderle ulteriormente la volontà, in quanto aveva già scoperto la verità, eppure voleva evitare di esporla ulteriormente ai sospetti di Isabella.

La donna non si era mai preoccupata che qualcuno potesse evadere sotto la sua sorveglianza, però Ray preferiva non rischiare. Mettere inutilmente (T/n) in pericolo non gli interessava, anzi sperava scoprisse questa realtà il più tardi possibile, preferibilmente nel momento in cui lui fosse già morto, divorato da uno di quei mostri di cui aveva memoria fin dalla nascita.

D'altro canto, voleva ritardare il più possibile la morte della ragazza. Secondo i suoi piani, lei, Emma e Norman sarebbero fuggiti, da soli, e lui avrebbe fatto il possibile per agevolarli.

In questo modo i tre che più gli stavano a cuore avrebbero avuto almeno una chance di sopravvivenza. Lo stesso non sarebbe accaduto per gli altri. Riteneva impossibile salvarli tutti.

Ray non era una persona ottimista, anzi era completamente l'opposto ed era facile capirlo.

"Qual è il piano, (T/n)? Oppure non ne hai uno?" Chiese Ray conoscendo già la risposta.

Lei tacque.

"Immagino tu abbia passato questo mese a lamentarti di quanto siamo sfortunati e di come sia impossibile scappare, è così?"

(T/n) annuì. Era un libro aperto.

"Quindi non salveremo Connie, vero?" Domandò lei abbandonando il briciolo di speranza che aveva conservato fino alla sua discussione con Ray.

"Non possiamo fare nulla. Rassegnati."

"Mi sono già rassegnata. La mia... anzi la vita di tutti noi è stata segnata prima ancora della nostra nascita. Siamo nati per essere mangiati. È veramente triste, non trovi anche tu?"

Ray non rispose. Per lui non aveva alcuna importanza. Vivere o morire non gli interessava realmente.

"Fallo per me, ti prego!" Esclamò (T/n) d'un tratto alzando la voce.

"A cosa ti riferisci?" Chiese Ray fingendo di non prestarle attenzione, occupato a guardare dell'orologio che teneva in mano quanto tempo fosse passato dall'inizio della partita ad acchiapparella degli altri bambini.

Erano passati pochi minuti e nessuno aveva ancora fatto ritorno. Si trattava solo di una sua impressione, ma Norman ci stava impiegando più tempo del solito.

(T/n) lo strattonò per la spalla, obbligandolo a guardare verso di lei.

Raramente il suo volto assumeva espressioni serie o comunque che avessero l'obiettivo di incutere timore, eppure in quel momento, Ray faticò a riconoscerla.

In tutti quegli anni l'aveva sempre vista come una persona spensierata e ingenua e gli era arduo riconoscere la sua intelligenza, era al di sotto del podio ma solo di poco. Un solo passo indietro rispetto a lui, Emma e Norman.

"Voglio che tu viva per me."

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