2. Tosca

Sono sinestetica e ho l'orecchio assoluto. Cosa vuol dire?

La sinestesia è molto rara ed è trasmissibile geneticamente, ti permette di ascoltare la musica attraverso i colori, i gusti, i profumi. Un Si per me, per esempio è rosso, un La giallo e ha il profumo del gelsomino.

Anche le lettere dell'alfabeto e i numeri hanno una tonalità di colore... Strano, vero?

Ma reale.

L'orecchio assoluto è la capacità di riconoscere in maniera esatta e precisa singoli suoni o note musicali e, quindi, riprodurli anche con la voce.

Amo la musica. La mia essenza è fatta di melodie, il mio cuore è composto da note musicali, in realtà ogni essere umano che nasce sulla Terra, la prima cosa che fa, la sua primissima azione è comporre musica. Il cuore che fa "bum bum bum" è una batteria, il sangue che pulsa nelle tempie è un basso, il pianto per aprire le vie respiratorie sono un cantante, che con maestrìa intona le parole della canzone dedicata alla vita.

Musica è vita.

E non è perché ho questi "talenti" che ho tale immensa passione. La ho perché essa mi rende felice. La musica mi fa gioire, la bella musica mi fa sentire bene, umana, reale, viva.

Non ho un genere che prediligo, o meglio sì, ma tutta la musica ha qualcosa che mi sussurra all'orecchio, ha colori nascosti da mostrarmi.

Così era, finché non conobbi lui...

Ricevetti una chiamata un pomeriggio, il mio libro era giunto a destinazione. Ero emozionata quando vidi un numero sconosciuto illuminare la schermata del mio cellulare. 

Ci incontrammo in un appuntamento al buio, senza complicazioni, né pudori.

Il ragazzo misterioso mi aspettava a Piazza Trilussa sugli scalini, non arrivai in riarrdo, lui era in anticipo.

Passammo il pomeriggio e la serata insieme, mi offrì una birra  in un piccolo locale per le vie di Trastevere.

Non scattò nulla quella sera, non ci fu quella scintilla, per lo meno non da parte mia.

Anni dopo

Ero in treno in uno degli ultimi vagoni perché l'idea di arrivare a destinazione tra gli ultimi passeggeri mi faceva sentire tranquilla e non so spiegare bene il motivo, come se l'essere prima mi facesse sentire superiore agli altri e io mi percepivo già diversa, non avevo bisogno di essere migliore delle altre persone, mettendo per prima piede al punto d'arrivo, non era davvero necessario.

Ero seduta su uno dei sedili ricoperti di velluto blu con il simbolo di Trenitalia stampato sopra. Mi ero raggomitolata nella mia felba grigia sotto un cappottino scamosciato marrone, perché erano solo le sette del mattino e l'aria settembrina era fresca e mi metteva i brividi.

Avevo messo nel posto accanto a me il mio ukulele nell'apposita piccola custodia nera in tessuto nero e sotto le gambe lo zaino, ero diretta all'areoporto, in viaggio verso Stoccarda in visita da un'amica.

Un gruppo di ragazzi, forse di qualche anno più giovane di me, entrò nel vagone ridendo e schiamazzando.

Mi misi le cuffiette nelle orecchie e accesi l'ipod, poi aprii il libro alla pagina dove avrei continuato la lettura.

Mi immersi nelle parole, colorate anch'esse, ero nel mio mondo, di tanto in tanto osservavo i paesaggi della Tuscia fuori dal finestrino, niente di nuovo per me, ma comunque belli e interessanti per gli occhi.

Si avvicinò un ragazzo con gli occhiali, i capelli castani chiari e gli occhi come nocciole.

Me lo ricordavo proprio così, lo conoscevo di vista, era un amico del figlio del proprietario della libreria dove lavoravo d'estate.

Non era propriamente il mio tipo. Quando qualcuno vi dice di non soffermarvi sulle apparenze, dategli retta, all'amore non si comanda e nemmeno all'attrazione!

Posò la mano sul mio strumento e sorridendo asserì qualcosa, che non sentii, dovetti abbassare il volume della musica:

«Scusa?» domandai intenzionata a riascoltare la sua affermazione.

«Un ukulele! Dove lo porti?»

«Andiamo a fare un giro in Germania!» mi misi a ridere, poggiandoci a mia volta la mano, le punte delle nostre dita si sfiorarono e sentii una scossa elettrica attraversarmi il corpo. L'universo stava comunicando con me, no, non è vero.

Il giovane si sedette di fronte alle mie gambe e mi osservò con insistenza, mi sentii in imbarazzo. Portai una ciocca di capelli biondi dietro l'orecchio e arrossii. Ero una ragazza timida, insicura e riservata, credo lo fosse anche lui, perché divenne anche lui paonazzo.

«Ci conosciamo, no? Non ti chiami Tosca? Se non sbaglio anni fa uscimmo già insieme»

«Sì, esatto, sono io.» Sorrisi titubante

Era carino, accidenti! Molto più dell'epoca

«Che nome particolare!»

«I miei genitori si sono innamorati in Toscana...» affermai, facendo spallucce.

«Ah, sì, me lo raccontasti già» si passò il pollice e l'indice sul mento con fare pensieroso.

«Certo, non sei cambiato molto...» asserii con fare sfrontato

«La voce è diversa, però» aggrottò le sopracciglia

«Sei un adulto adesso?Non dovresti esserlo stato già quando ci frequentammo anni fa?» sghignazzai ironicamente.

«Non si vede? Avevo ventitre anni, Tosca» lo osservai per intero, dall'alto al basso con occhi maliziosi.

«Va bene, sì, hai ragione» gliela diedi vinta.

«Be', allora buon viaggio suonatrice di ukulele» si rialzò con slancio

«Buon viaggio, Ean, ovunque tu stia andando»

«Sto andando anche io all'aereoporto,, suono in una band  a Londra» rimasi ammutolita perché davvero non me l'aspettavo da uno come lui. Chissà cosa suona... avrei dovuto chiederglielo all'epoca pensai, senza fare domande dirette a lui.

Si allontanò e si riposizionò con i suoi amici.
Più tardi lo ricercai con gli occhi e notai che mi stava fissando, curiosando nelle mie iridi. Mi sentii di nuovo in imbarazzo, abbassai all'istante gli occhi, poi mi legai i capelli lunghi in una treccia laterale. Arrivati a Fiumicino, presi lo zaino e l'ukulele e mi diressi verso l'uscita, seguita da Ean e i suoi amici. Aiutai una signora anziana con i capelli bianchi e voluminosi, forse cotonati simili alle nuvole, a scendere dal mezzo, porgendole una mano per uscire daltreno attraverso degli alti scalini.

Poi feci atrettanto, guardai velocemente il tabellone nero sul quale appariva la lista di tutti gli aerei per le diverse destinazioni, con l'intento di intercettare quello diretto a Berlino; una volta trovato, cercai la direzione giusta, ma, compiuto appena un passo, venni trattenuta dalla spalla, mi voltai per capire chi mi avesse fermata. Ean di fronte a me con un sorriso smagliante, teneva qualcosa tra le mani, che mi porse.

«Quando eravamo in treno ti ho fatto un ritratto...» Ecco perché mi guardava! Osservai bene il foglio, ero io, mentre mi facevo la treccia, un leggero rossore sul naso e le guance era sottolineato attraverso il carboncino sfumato che aveva utilizzato.

«Perché?» domandai paonazza in viso

«Sei carina, meritavi che si fermasse il tempo per te»

«Allora grazie!» un sorriso di gratitudine si aprì sul mio viso

«Allora a presto!» alzò una mano aperta per salutarmi e se ne andò.

Non ci rivedemmo per i successivi tredici anni, ci perdemmo di vista e io mi trasferii all'estero. Di lui non seppi più nulla.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top