54. We could meddle about
🔴🔴
JAMES
Giorno 0
Ho un nuovo colore preferito, il bianco.
Il nero invece, l'ho sempre odiato.
E lo odio anche adesso, che sono grande e grosso e non dovrei avere paura del buio.
Non più.
Ma il cervello mi gioca brutti scherzi e ora che i miei occhi stanchi vedono nero da ore interminabili, ne ho la riprova: lo detesto quel fottuto colore.
Vorrei poter spalancare le palpebre, ma sono pesanti, due macigni di piombo impossibili da spostare. Mi piacerebbe svegliarmi da questo sonno indotto, difatti ci sto provando, sto lottando con tutte le forze che possiedo, eppure non mi muovo. Le mie ciglia rimangono sigillate, impigliate in quella trappola da cui è impossibile fuggire. Mi ha preso alla sprovvista, è bastato un fazzoletto a coprirmi il volto... E io sono cascato in un limbo oscuro.
Eppure, venir imprigionato in uno stato di attesa e perdere la cognizione del tempo, risulta una sofferenza sopportabile per me. Forse perché ci sono abituato.
Forse perché questo mi riporta con la mente agli attimi in cui stavo immobile, imprigionato in una bolla, ad aspettare che lei tornasse a casa. Col respiro frammezzato e il cuore fermo nel petto. La luce spenta, perché se lei non tornava da sola, io non volevo scoprire con chi fosse. Non volevo vedere. Non volevo sentire.
"Perché certe mamme uccidono i propri cuccioli?"
Andavo alle elementari ed ero a cena da Brian, seduto alla sua tavola da pranzo, quando feci quella domanda, indirizzata a sua madre.
Ricordo il suo sguardo, di pena, di affetto, di commozione. Lo stesso sguardo che si rivolge alle creature troppo deboli, quelle che non hanno alcuna possibilità nella vita, se non di soccombere.
«L'abbiamo studiato a scuola. Ecco perché te lo sta chiedendo.»
Brian venne in mio soccorso, poi mi lanciò un'occhiataccia serrata.
La verità era che non l'avevo studiato a scuola, l'avevo cercato nell'enciclopedia online dedicata alla sezione dei comportamenti appartenenti al mondo animale. E il perché non era difficile da intuire. Volevo capire. Volevo sapere perché le persone che ci avevano messo al mondo, si atteggiavano in quei modi così bizzarri.
Perché la mamma di Brian presenziava ogni giorno in tribunale per difendere i più deboli e poi lasciava soli i suoi figli, per giorni, con un padre che li disprezzava?
A tavola c'era anche lui con noi, ma a lui sembrava interessare solo il "Che voto hai preso oggi?" e mai il "Come stai oggi?".
E Amelia era sempre all'altezza delle sue aspettative, Brian un po' meno. E io? Io ero solo il figlio della tossica che si scopava quando gli andava, lo odiavo per questo.
Lo odiavo quanto il nero che mi risucchiava quando tornavo a casa e rimanevo solo al buio.
Provo a curvare il collo per cacciare via quelle sensazioni passate, quei ricordi che mi si incuneano dentro la pelle, a creare nuove ferite, ogni volta che torno lì con la mente.
E sto ancora affogando in quello stato di confusione, ma ecco che all'improvviso avverto delle voci familiari.
Il mio respiro, ridotto a un rantolo, accelera d'improvviso quando, al risveglio da quel momento d'incoscienza durato un giorno intero, June è sopra di me. Prima ancora che io possa aprire gli occhi, una piacevole sensazione di calore carezza il mio basso ventre.
Lei è sopra di me.
Non lo sto sognando.
Non è finzione.
Finalmente riesco schiudere le palpebre, concedendo all'azzurro delle sue iridi d'invadere il mio cervello annebbiato. Affogo nei suoi occhi ed è una piacevole tortura. Mi sembra di non vederla da un'eternità.
I nostri corpi vicini sono bollenti. E il mio cuore cessa di battere quando avvicina le labbra alle mie. Profuma come sempre. D'estate.
«Stai bene, James?»
Ora mi sento in paradiso, cazzo
Annuisco debolmente, mentre lei si spinge verso di me e con le mani mi esamina il viso, minuziosamente, come a volersi assicurare che io non abbia tagli o ferite.
Il suo profumo di pesca mi stordisce. Chiudo gli occhi e per un breve attimo mi ritrovo da qualche parte, in un campo estivo, ricco di fiori ed erba appena tagliata. Questo è un sogno, non è di certo un ricordo, perché mai nessuno mi ci ha portato in un posto del genere. Forse è ciò che sognavo quando me ne stavo rannicchiato sotto la scrivania, al buio, di notte, ad aspettare che lei facesse rientro a casa.
Vorrei quindi poter vivere nell'illusione di essermela meritata, June. Ma in fondo, so che non è così.
La sento sorridere sulla mie labbra, il suo respiro lieve seduce la mia bocca, invitandola a schiudersi per dare vita ad un lungo bacio. Il mio corpo agisce in modo istintivo, conoscendo già le mosse, anche se questo non è uno dei miei risvegli, non è uno di quei momenti in cui sono da solo, nel mio letto e la voglia prende il sopravvento, lasciandomi immaginare il suo corpo nudo sul mio.
No, l'immagine ora è del tutto reale.
June è qui. Le sue cosce sode cingono la mia gamba, bloccandola in una morsa calda e lussuriosa. Vorrei toccarla, ma sono immobilizzato. E la cosa mi eccita.
La mia lingua freme tra i denti, bramosa della sua, ma lei non mi concede nulla di più. Solletica le mie labbra con un bacio a stampo, accennato, poi si discosta per parlare.
Ancora rintontito per le sensazioni confuse che inondano il mio povero cervello, non mi accorgo di star tremando come una foglia. E solo dopo un po' realizzo la presenza di qualcun altro nella stanza.
William e Jackson.
Non siamo soli, cazzo
Sollevo il mento e nella penombra scorgo l'imponente sagoma di Jackson. Mi osserva dall'alto, preoccupato, William invece sta in piedi, alle mie spalle e in questo preciso istante sta cercando di slegarmi i polsi. Non sento nulla, nemmeno il dolore per lo sfregamento di quei cavi stretti e rigidi. Ogni sensazione è attutita.
Devono avermi drogato pesantemente, non ci sono altre spiegazioni.
Le voci si dissolvono nell'atmosfera cupa che aleggia intorno a me.
Dove diavolo sono?
Ad un tratto June si alza, ma prima di farlo avverto il calore delle sue mutande che sfregano sulla mia gamba coperta dai pantaloni. Noto che è vestita in modo strano, succinto e per nulla da lei.
In quel momento però, non me ne curo. Sta in piedi davanti a me, perciò mi sporgo in avanti e poso le labbra rigonfie e doloranti sulla sua coscia morbida. La sua pelle è rovente e il contatto con essa mi provoca un brivido profondo. Le lascio un piccolo bacio, lei a quel punto mi guarda dall'alto, poi si morde il labbro.
«Will così non riesci a slegargliele, devi trovare qualcosa che recida i cavi»
Vorrei abbassarle quel dannato vestitino che le si è appena sollevato sulle cosce, ma ho i polsi immobilizzati.
Jackson gira per la stanza in cerca di qualcosa, finché non apre un cassetto dal quale vi estrae una lama, forse appartenente ad un vecchio coltello. A quel punto la passa a Will. Quest'ultimo riesce a liberarmi i polsi, che mi cascano a peso morto sulle gambe.
«Siamo così contenti di averti trovato.»
Senza fare troppa attenzione, June mi lancia le braccia al collo, affogandomi con le sue curve. Nascondo il viso nella sua scollatura, ma non riesco a smuovere le membra, sono ancora addormentate.
«Aspetta, sei gelido. Dobbiamo trovare una coperta.» aggiunge poi con tono preoccupato, fiondandosi su un vecchio mobile impolverato, alla ricerca di qualcosa con la quale coprirmi.
«Anch'io sono contento» riesco a mormorare in ritardo, con un filo di voce inudibile. La mia bocca è arida e le mie pupille enormi.
«Lo vediamo quanto sei...contento»
Mi prende in giro Jackson, che si china su di me per darmi una mano a sollevarmi in piedi. Sono stremato e senza forze, ma con uno scatto mi allungo verso il biondo e lo afferro dal colletto della giacca.
«Perché June è vestita così, Jax?» gli ringhio addosso.
«Calmati...» bisbiglia Will, venendo in soccorso del nostro amico.
«Perché cazzo è vestita così?»
«È una storia lunga.»
«Dove siete stati?»
«Ora ti spieghiamo tutto» annuncia William, causandomi un cipiglio non indifferente.
Perché è così calmo?
Jax e Will mi aiutano ad issarmi in piedi, mentre June mi arriva davanti con una coperta di lana.
«Ci devi dire tutto James. Tutto»
Sì ma vorrei fumare prima
Mi ritrovo a fare quel pensiero, mentre i miei occhi ammirano i lunghi capelli biondi che le scivolano gonfi e increspati sulle spalle, donandole un'aria più selvaggia.
«James, ti ci ha portato lui? Hood? Si nascondeva qui?»
E magari starei a baciarti per un'ora
«Dovremmo tornare da Austin perché ora che abbiamo trovato James...»
A quel punto libero entrambi gli avambracci dalla stretta dei miei amici, che fino ad un secondo fa mi sorreggevano e afferro June per il fianco. La spingo contro il primo muro che mi si staglia davanti, posandole una mano sulla schiena per evitare che sbatta contro la parete di cemento.
«Dove cazzo sei stata? Sei andata da Austin, vero?»
Lei scrolla il capo. Mi fissa con quegli occhi profondi, facendomi sentire inerme, così accompagno la mia fronte sulla sua, prima di premerla con forza.
«James... Non è stata un'idea di June.»
Alle mie spalle sento Jackson provare a prendere le sue difese, ma io non gli do retta. Lei non deve mettersi nei casini. Tantomeno per colpa mia.
«Si può sapere dove cazzo l'hai portata, Will?»
«Ehm... Non è come sembra.» farfuglia quest'ultimo.
«In che guai vi siete cacciati?»
«Tranquillo, ho solo fatto il necessario per trovarti» prova a rassicurarmi lei, ad un soffio del mio viso.
«Non devi assecondare Will e fare quello che ti chiede, lo sai.»
«Non ho fatto niente di male. E poi, fare le cose per Will è la tua specialità, non la mia.»
Ignoro quella provocazione fatta con un sorriso furbetto e la penetro con un'occhiata densa.
«E tu vai in giro così?»
«Vado in giro come voglio e non devo di certo chiedere il permesso a te.» mi sfida lei sventolando le ciglia dal basso.
Mi si annebbia la vista, quindi curvo il capo e mi lecco le labbra aride. Sono debole. Soprattutto per discutere con lei, vestita in modo così provocante.
Il labbro inferiore di June viene percorso da piccoli fremiti, quando insinuo le dita fredde tra le sue cosce strette tra loro. Le abbasso l'orlo dell'abitino, prima di investirla con un'occhiataccia.
«Copriti, cretina.» sussurro nel suo orecchio, causandole un minuscolo sorriso ai lati della bocca.
Con la coda dell'occhio noto che Jackson sta perlustrando la cantina, ma non me ne curo, torno subito da June, ferma con le spalle alla parete.
Serro il labbro inferiore sotto ai denti, le nostre bocche si avvicinano, si rincorrono, si stuzzicano senza mai sfiorarsi.
«Non voglio fare il Marvin della situazione, ma sono calmo abbastanza da rendermi conto che stai per scopartela contro quel muro. Possiamo tornare a casa prima? Poi fate quello che vi pare. Grazie»
Le guance di June prendono a colorarsi, io invece sogghigno divertito dalla battuta di Will. Mi accorgo anche di quanto sia particolarmente riflessivo nell'esporre quella teoria, peraltro molto realistica.
William infatti sembra avere lo stesso tono di voce di qualche mese fa, lo stesso temperamento riflessivo di quando ha conosciuto June, ad inizio scuola. Qualcosa mi dice che sua madre sia appena tornata dai suoi innumerevoli viaggi. Finalmente.
Con l'interezza del palmo mi appoggio al muro, ma questa volta non per sovrastare June, lo faccio per evitare di svenire da un momento all'altro. Jackson e Will se ne accorgono e mi afferrano prima che io possa crollare al suolo e mi aiutano a camminare verso l'uscita.
Dopo una rampa di scale scricchiolanti, finalmente siamo fuori da quel maledetto scantinato e ci ritroviamo nello spiazzo d'erba che circonda la casa.
È umido e fa un freddo del cazzo.
«E tornata tua madre, Will?»
Provo a sfoderare un po' di delicatezza, evitando di chiedergli se sta prendendo i suoi farmaci.
«Sì perché?» replica lui continuando a sorreggermi.
«Niente, mi fa piacere...» mormoro mentre June e Jackson si scambiano un'occhiata sollevata.
«Direi che possiamo andare» esordisce il biondo, con la portiera della sua auto già spalancata.
Mi assaporo il labbro frastagliato.
«Vuoi sederti davanti come sempre?» mi domanda poi.
Guardo June che mi fissa ad occhi stretti e continua a sollevare la coperta che mi casca dalle spalle.
«Sei mezza nuda, cazzo.»
«Ha parlato. Gli uomini del pleistocene indossavano più pelli di mammut di quanto tu utilizzi i vestiti. Muoviti.»
"Se esistesse una gara di velocità per la battuta pronta, lei vincerebbe sicuro" penso soddisfatto, tra me e me.
Non a caso è la mia ragazza.
«No, penso che...»
Mi rivolgo a Jackson, June intanto non mi dà nemmeno il tempo di decidere, che mi sta già spingendo dentro l'abitacolo.
«Sbrigati che prendi freddo.» dice poi, invitandomi a chiudere la portiera, quando siamo ormai in auto.
Si prende del tempo per rabboccarmi quella coperta, sistemandomela tutto intorno, ma siccome noto che lei sta tremando più di me, allargo un braccio nella sua direzione e le cingo le spalle.
Accolgo il suo corpo tremolante sotto alla coperta, la stringo a me, in modo da rimanere stretti in quell'abbraccio caldo.
«Hai le mani gelide, James...»
Un mormorio eccitante si spande nel mio orecchio, lei si avvicina per dirmi quelle parole sottovoce, provocandomi dei brividi piacevoli lungo le braccia.
Decido di restituirle il medesimo colpo. Mi avvicino al suo collo spingendole le labbra sul lobo freddo. June sussulta quando poso la mia mano gelida sulla sua gamba soda.
«Accavalla le cosce.»
Il mio sussurro è rauco.
Lei lo fa, posa una coscia sull'altra e la mia mano resta piacevolmente soffocata tra le sue carni calde e generose.
«Meglio?» si morde il labbro a quel punto, fissandomi con due occhi languidi.
«Cazzo...»
«Puoi dirci quello che è successo? Ci siamo presi uno spavento del cazzo»
Jackson seguita a guidare nella notte, mentre m'invita a parlare, sia lui che Will sembrano realmente scossi dall'accaduto.
«Pensavamo di non rivederti più...»
I miei amici parlano, ma io non riesco percepire altro che non sia il suo profumo. Non riesco a sentire altro che non sia il battito del cuore che mi scoppia nel petto, unito a quello di June.
Sembrano ticchettare all'unisono, mentre restiamo a guardarci nel buio.
Lei ha la faccia di una che mi divorerebbe di baci in questo momento.
E io non sono da meno.
«James, dicci cos'è successo.»
Qualcosa però, mi suggerisce che anche questi tre abbiano un misfatto da confessare, sicuramente un danno l'hanno combinato durante la mia assenza.
Glielo leggo in faccia.
Così racconto loro dell'accaduto, di come Hood mi abbia trascinato in quel furgone e mi abbia trasportato fino allo scantinato, a casa di Blaze.
«Quel coglione... Quando ha sentito i miei passi si è nascosto dietro alla colonna, mi ha afferrato dalle spalle per soffocarmi con un fazzoletto che conteneva quantità elevate di qualche sostanza tossica che mi ha provocato lo svenimento. Mi sono svegliato sdraiato sul sedile posteriore di quel furgone e lì mi ha dato un'altra dose. Sono svenuto e mi sono risvegliato nel seminterrato di Blaze. Non l'ho riconosciuto subito. Ma qui mi ha di nuovo drogato.»
«Perché non hai riconosciuto subito il seminterrato? Non ci sei mai stato?» domanda June, riferendosi alla cantina di Blaze.
«Ci sono già stato, June.»
Vedo Will spazientirsi dinnanzi a quelle chiacchiere, all'apparenza superflue.
«Quella sera vero?» s'irrigidisce lei, forse pensando che io ci abbia scopato qualcuno lì, il giorno precedente al nostro primo bacio.
«No, gli anni prima. Quella sera mi sono addormentato sul divano e tu...»
Con le labbra le carezzo quel che resta del piccolo livido violaceo che le segna la gola.
«Non hai voluto restare con me.» le sussurro nell'orecchio, causandole dei piccoli brividi che le scuotono le spalle.
«Te lo ricordi ancora?» sorride lei.
«Ricordo tutto, così posso sempre rinfacciartelo per il futuro, White»
Nel buio i nostri nasi si sfiorano dolcemente.
«Possiamo andare avanti? Non voglio risultare insensibile ma... Abbiamo un potenziale assassino che ti sta alle calcagna James» mi redarguisce Jackson.
«Non ti ha ferito vero?» m'interroga Will.
«No.»
«Pensi lui vivesse li sotto?»
«Là sotto non c'era niente che appartenesse a lui. L'avete visto anche voi. Teneva con sé solo uno zaino con dentro delle corde e altri strumenti utili. Ho capito subito ce l'avesse con Austin. Inizialmente pensavo mi volesse far del male, ma lui non fa questo tipo di cose. Non è come Austin. Mi ha sempre visto come merce di scambio. E anche questa volta l'ha fatto. Sono sicuro stia cercando qualcosa...»
«Le prove, quelle di cui parlava Austin...»
William si lascia scappare quell'affermazione voltandosi immediatamente verso June. E io sento la mascella disintegrarsi per la forza con cui la serro.
«Quindi è vero. Siete stati a parlare con Austin ed è per questo che sei vestita così?»
M'indispongo nel vedere la loro complicità. Ma non è quella a darmi sui nervi, ma il fatto che si siano messi nei guai con tanta facilità.
«Sta calmo...»
«Stai calmo un cazzo, Will. Jax?»
Il biondo solleva un sopracciglio, lo vedo dallo specchietto retrovisore.
«Ehm... siamo solo... Senti James, June fa di testa sua, okay?»
«Austin ce l'ha detto.» s'intromette lei.
«Cosa vi ha detto?»
«Che la mamma di Brian aveva raccolto delle prove e che voleva incastrarlo, ma lui è sparito quella notte. E con lui le prove. Secondo Austin quelle prove sono a scuola.»
«Ma Hood non lo sa. Questo è l'importante.» sospira Will con un po' di apprensione.
«Siamo veramente sicuri non lo sappia? Se fosse già andato a scuola, proprio oggi che nessuno di noi era presente?» suppone June, come la migliore delle detective.
«No, June. Hood mi ha chiamato poco fa, ti ricordi? Voleva sicuramente chiedere a me di recuperare queste prove.»
Lei si sporge in avanti, verso i sedili anteriori e lì annuisce a seguito delle parole di Will. Io invece mi sto innervosendo.
«Sì ma potrebbe essere un modo per depistarci e...»
«Tu... Tu non ti metti in mezzo a questo fottuto casino hai, capito?»
June è troppo eccitata nel partecipare alla discussione e io sento un vuoto nello stomaco non indifferente. Così l'affronto a bocca tesa e mandibola irrigidita, ma lei mi fa sciogliere con uno sguardo innocente.
«Ormai ci sono già dentro, James.»
Torna con la guancia sulla mia spalla e io mi tranquillizzo immediatamente.
«Perché Hood dovrebbe chiedere a Will di farlo? Potrebbe andarci lui stesso a scuola. Insomma... è un prof, magari avrà pure accesso a...»
Ecco, ora pure Jackson si è messo a giocare al detective.
«Magari per non sporcarsi le mani, per non farsi vedere dalle telecamere.»
Allungo una braccio lungo lo schienale e senza nemmeno rendermene conto, sto anch'io partecipando a quel gioco.
«Quindi il preside le ha messe?» chiede il biondo.
«Blaze ha fatto come gli ho detto di fare.»
Vedo le iridi cerulee di Jackson sfrecciare nello specchietto per incenerirmi con uno sguardo intenso.
«Mi ha rapito come merce di scambio, Jax. Scommetto che vi ha detto qualcosa come "Vi restituisco James se fate questo per me."»
«Esattamente ciò che ha detto.» sibila June.
«Come ha fatto a contattarvi però?»
A differenza di qualche minuto fa, ora la mia domanda non lascia la nuvoletta di vapore nell'abitacolo, segno che la temperatura si è innalzata. Ormai non ho più freddo, il riscaldamento acceso è sufficiente a scaldarmi, quindi resto lì sotto la coperta, solo per starmene stretto a lei.
«Ci ha chiamati col suo numero. Non sono sicuro fosse il suo telefono ma... Visto che ti trovavi a casa di Blaze, è molto probabile l'abbia trovato nei boschi.» ipotizza Will.
«Come cazzo ha fatto? Come ha trovato il telefono? Come fa a sapere che le prove...»
«Pensaci, James. Lui si presenta dal nulla, sa già cosa fare, sa già dove trovare il telefono, sa che sua figlia è stata investita...»
June punta la mira in una direzione ben precisa. Ma sta a me sparare il colpo.
«Amelia.»
Ed è a quel punto che cala il silenzio.
«È sempre stata l'unica a credere a suo padre.» sottolineo prima di tornare all'argomento che mi preme il petto.
«Perché siete andati da Austin, lui non sapeva dove fossi... Cosa stavate cercando?»
«Te, James. Stavamo cercando te.»
«Non dovevi...»
«Ci ha detto delle cose... ma non sarei poi così sicura che Austin ci abbia detto la verità» ricalca June.
«Infatti le prove potrebbero benissimo non trovarsi a scuola, Austin sa come depistare la gente.»
E poi Austin che parla con June? C'è qualcosa che non mi convince...
«Come l'hai fatto parlare? Cosa ti ha fatto?»
«Abbiamo solo parlato»
«Cazzo.» m'irrigidisco e senza farlo apposta, allontano la mano dalle sue cosce, causandole un piccolo broncio sulle labbra.
«Non ho fatto niente, mi sono vestita così solo per trattare, siamo fuggiti prima. E poi abbiamo scoperto una cosa importante riguardo la ragazza morta»
«Cosa?»
Jackson si volta verso Will, così è quest'ultimo a parlare.
«Era incinta.»
Mi stropiccio la fronte, confuso.
E quindi?
«È stato Hood, sicuro. Non hanno fatto il test di paternità, ma quasi sicuramente era figlio suo. Si frequentavano, la signora Hood aveva tutti i filmati per incastrarlo.» seguita a spiegare Will.
«Ecco perché lei aveva ingaggiato dei investigatori... Per incastrarlo, lo voleva in galera quanto me.» realizzo a quel punto.
«Ma qualcosa è andato storto, lei non è più in possesso di quel materiale. Qualcuno l'ha preso»
June parla, ma io penso ad Amelia.
«Le domande più importanti sulle quali focalizzarci sono alle seguenti.
Qualcun altro è riuscito a mettersi in contatto con Hood. Ma come?
E il fatto che lui abbia rivoluto il suo telefono... Non è casuale, vero?»
June a quel punto si arresta e si gira a cercare il mio sguardo.
«È per questo che non l'hai distrutto ma l'hai nascosto nei boschi? Perché conteneva anch'esso del materiale che lo incriminava?»
Annuisco brevemente, poi però mi faccio cogliere da un dubbio.
«Lui ora non si fida di Brian, non si fida di sua moglie... L'unica sulla quale potrebbe fare affidamento è Amelia, ma... Tu, June, come fai a sapere tutto questo? Austin non era a conoscenza di tutti questi dettagli...» m'insospettisco inevitabilmente.
«Alcune cose ce le ha confessate Brian» spiega Jackson.
«Brian?» mi acciglio in direzione di June che mi rimanda uno sguardo colpevole.
«Sì abbiamo parlato con lui. June l'ha chiamato.» prosegue Will.
Serro entrambi i pugni lungo le ginocchia.
«Io sparisco nel nulla e tu chiami quello stronzo?»
In tutta risposta, lei si fa piccola nelle spalle.
«E comunque Austin lo sapeva, dice che quella notte qualcuno le ha trovate quelle prove.»
June cambia immediatamente argomento, causandomi un irrigidimento doloroso della mandibola.
«Come fa a sapere tutto ciò, Austin?»
«Gliel'ha detto Hood.»
«Cazzate, come sempre. E io pensavo che Austin l'avesse ucciso, invece l'ha lasciato libero» mi lamento contrariato, sbuffando verso il finestrino.
«No James. Austin l'ha fatto parlare. L'ha torturato fino a farlo parlare. Se Hood dice di non avere quel materiale, è vero. L'ho visto Austin all'azione. Hood avrebbe detto qualsiasi cosa per salvarsi la pelle. Lo stava affogando, cazzo»
Will trema nel raccontare la sua verità.
«E tu che ne sai di come l'ha torturato?»
«L'ho aiutato.»
Mi si ghiaccia la spina dorsale.
«Quante volte ti devo dire che...»
Il respiro mi viene a mancare, sono spossato, non mangio e non bevo da troppo tempo.
«Will non devi fare di testa tua...»
«James, calmati.»
June mi afferra dal braccio, me lo massaggia nel tentavo di tranquillizzarmi un po'.
«Cosa cazzo ha detto? Dimmi le testuali parole.» m'impunto io.
I miei modi bruschi però, non la spaventano affatto.
«Austin ci ha fatto capire che lui non ha quei documenti. La prossima mossa è andare dalla signora Hood. Con lui in giro non siamo al sicuro. Tantomeno tu.»
La guardo. Nel buio mi perdo nel vivido delle sue iridi, che sono dello stesso colore di un cielo estivo.
«Tu non fai proprio un cazzo, June White»
«James non hai capito, voglio andare a fondo a questa storia. Non possono farla franca. Austin conosce mia madre!»
Oh cazzo
«Ci andiamo noi, tu torni a casa.» taglio sbrigativo.
«No»
«Sì invece, non si discute, punto.»
Io e June sembriamo due bambini dispettosi, finché non arriva la voce di Jackson, che mette a tacere ogni discussione.
«Anche tu torni a casa. Ora devi risposare, James. Guarda in che stato sei» si affretta a dire il biondo.
«Devi mangiare, farti una doccia e una dormita. E io mi assicurerò che tu faccia tutto questo» bisbiglia June avvicinandosi così tanto al mio viso che penso voglia baciarmi.
«Testarda. Impicciona. Rompipalle.» sussurro con la fronte sulla sua.
E io ti amo
«No. Tu te ne torni a casa.» insisto risoluto quando mi accorgo che Jackson è del mio stesso avviso, perché siamo ormai sulla strada che porta da June.
«C'è una cosa che mi sfugge, però. Perché Hood è tornato? Okay, merce di scambio e tutto quanto. Capisco che voglia riprendersi le prove prima che finiscano in mani sbagliate ma... Perché proprio ora?»
Will è confuso. E io non sono da meno, forse sono ancora annebbiato.
«È quello che dobbiamo scoprire.»
«Dove sarà Hood ora?»
Tra una discussione e l'altra giungiamo presto davanti a casa di June.
«Se si presentasse a casa dei figli, Brian ci avviserebbe.» ipotizza June, lanciando occhiate apprensive fuori dal finestrino.
«Oh ma davvero? Brian ti chiama nel cuore della notte adesso?»
«Finiscila.» sputa infastidita dalle mie provocazioni.
«Hood aveva le chiavi della casa al lago. Magari tornerà per restituirle. Oh no, di sicuro passerà da Blaze.»
Jackson è decisamente agitato nel compiere quell'ipotesi. Parcheggia davanti a casa di June poi estrae il cellulare per scrivere a qualcuno.
«Avrà fatto sicuramente una copia, ma il mazzo originale glielo restituirà secondo me, di certo non vorrà casini col preside.» aggiunge Will.
«Del fotografo non ha parlato?» domando aprendo la portiera.
Gli occhi di June vengono pervasi da una scintilla di curiosità mista a eccitazione.
«Quale fotografo?»
«Quello che lavorava con lui. Per ricattare la gente con foto e video, qualcuno doveva produrlo questo materiale.» spiega Will, ignaro di aggiungere altri pezzi a quel puzzle.
«Intendi quello che c'era alla cena di Ari?» chiede Jackson senza sollevare gli occhi dal telefono.
«Di cosa state parlando?» June non capisce.
«Lui, sì.» digrigno i denti.
«Conoscendoli, gli Austin l'avranno già fatto fuori» ipotizza Jax leggermente distratto,
«Può essere. Se solo riuscissimo a rintracciarlo.... Sempre che sia vivo. Lui di sicuro è stato contattato da Hood. E ora che sappiamo che è tornato, l'effetto sorpresa è svanito, lo stronzo deve inventarsi qualcosa se vuole vendetta.» mugugno morendomi l'interno guancia.
Ho bisogno di fumare.
«Qual è il piano?» chiede June con tono lievemente esaltato, mentre io la trascino fuori dall'auto.
«Il piano è che tu fili in casa e ti chiudi dentro. Domani ti faccio sistemare l'allarme. Di a tua madre di stare attenta e ...»
«Okay, domani a scuola ci troviamo davanti all'ufficio del preside.» annuncia June avvicinandosi alla portiera per salutare Jax e Will.
«Perfetto» ribattono loro due.
Questi tre ormai vivono di luce propria, non mi calcolano nemmeno più, fanno di testa loro.
«Chiedo a Blaze a che ora verrà a scuola suo padre domani, così ci darà le chiavi e noi ci intrufoliamo nel suo ufficio per cercare questo materiale» seguita Jackson.
«Quindi? Il preside è invischiato?» si acciglia June, dal canto suo.
«No, lui non c'entra nulla.» si affretta a tagliare corto il biondo, mentre Will resta un po' diffidente.
«Dobbiamo comunque fare un tentativo con ciò che ci ha suggerito Austin, ovvero guardare dove puntano le telecamere»
L'uscita di Will mi fa storcere il naso, ma non ha poi tutti i torti.
«Voglio fidarmi di Blaze...» aggiunge Jackson dal sedile del guidatore, abbassando il capo per cercare il mio sguardo «Per una volta»
«Ti direi che sono tutte cazzate, ma va bene.... Fidiamoci di lui se ci tieni, Jax.»
A quel punto faccio cenno ai miei amici di aspettarmi in auto, poi seguo June verso il portone d'ingresso.
«Sicuro di voler tornare a casa da solo?»
No, vorrei stessi con me
«Sì.»
Lei è davanti a me quando si solleva in punta di piedi, ma io mi ritraggo.
«Che stai facendo James...?»
«Non lo capisci da sola?»
«Non ci voglio credere...» erompe, sbigottita dal mio rifiuto.
«June, guardati. Guarda come sei vestita. Guarda come sono ridotto io. È questo che vuoi?»
«Non... Non è successo nulla. Ti sono venuta a prendere.»
L'afferro dai fianchi, lei torna a sollevare il mento, ma invece che baciarla, le infilo la mano sotto la gonna e le sgancio il cellulare incastrato nel bordo delle mutande.
«Nulla? Sei sicura?»
Controllo il display e lei arrossisce.
«Venticinque chiamate da parte di tua madre. Venticinque»
Lei non sembra sorpresa, sbuffa e una ciocca dorata saetta nell'aria buia.
Rimuovo la coperta che mi copre le spalle e gliel'avvolgo addosso, restando a petto nudo.
«Sei andata a scuola oggi?»
A seguito dell'ennesima domanda brusca che le rivolgo, lei comincia a intristirsi.
«No, ma...»
I suoi occhi si fanno lucidi e solo allora mi accorgo delle sue palpebre leggermente gonfie.
«Hai pianto?»
«Cosa? No» ribatte ostentando un atteggiamento orgoglioso.
Poi però la vedo distogliere lo sguardo, lo fa immediatamente.
La cosa mi destabilizza. Ha pianto. Per me.
«Vuoi diventare come me?»
«James, quanto forti erano quelle droghe che ti ha dato Hood? Perché stai ufficialmente delirando»
«Non sto delirando, ti sto mettendo davanti alla realtà dei fatti»
«Sarebbe?» mi sfida con aria provocatoria e il mento all'insù.
«Che da quando mi stai vicino sei cambiata, ti sei messa in guai seri, ti sei...»
Le sposto una ciocca di capelli, accompagnandola dietro all'orecchio. Le mie dita fredde la fanno sussultare. La vedo curvare il collo, così ne approfitto per avvicinarmi alla sua guancia tiepida.
«Tu ti sei messa nei guai per me» sussurro dandole i brividi.
«Tu l'hai fatto per me, James.»
«Non è la stesa cosa, lo capisci? Se a me dovesse succedere qualcosa è un conto, ma non posso permettermi che accada a te. June, se dovesse capitarti qualcosa...»
Con la mano spingo le nocche sulla mia stessa bocca, per evitare di buttare fuori quella brutta possibilità.
«Invece è la stessa cosa»
Lei prova a sfiorarmi la mandibola con le dita, ma io reclino il viso e mi ritraggo.
«Non è la stessa cosa, cazzo. Io dovrei proteggerti, non farti andare da un mafioso che avrebbe potuto farti qualsiasi cosa. Non ha pietà di nessuno. Tu non lo conosci...»
Lei si intestardisce quando si accorge che sto indietreggiando per evitare il contatto fisico.
«Non puoi allontanarmi, non puoi James»
E non voglio allontanarmi
«Posso fare il cazzo che voglio.»
Chino il capo, per evitare di guardare i suoi occhi farsi ancora di più cupi a causa della mia insensibilità.
«Ti spezzerò il cuore, te l'hanno detto in tanti»
«Non saresti così cliché»
«E invece sì. Senti questa: sono come la frutta marcia, rovino tutto ciò che tocco»
«Certo che ne dici di cazzate, James. Guarda tuo fratello.»
La vedo allargare le braccia, come se stesse per dire la cosa piu ovvia al mondo.
«Starti vicino lo illumina, lo rende pieno di gioia e forse non lo dimostra a parole, ma io so che è così. E lo sai anche tu, perciò recita pure la tua parte, ma non convinci nessuno... Tantomeno me.»
Sputa quelle parole con risentimento. È stata una giornata dura per tutti e metterci a litigare finirà solo per peggiorare le cose.
«June...»
Provo sfiorarle il braccio, ma lei si avvicina alla porta di casa sua, poi fa un cenno di saluto verso i ragazzi che mi aspettano in auto.
«Ci vediamo a scuola, James Hunter. E vedi di presentartici.»
Quando torno a casa, quella sensazione di vertigini non accenna ad andarsene, mi perseguita fino a quando non bevo un bicchiere d'acqua. Mi viene da svenire.
In casa regna il silenzio assoluto, segno che Jasper e Jordan stanno dormendo.
Saranno le due di notte e io non ho nemmeno un cellulare in questo momento, quindi entro in camera di Jasper e prendo il suo in prestito.
Vederlo dormire tranquillo mi rasserena immediatamente, quindi mi dirigo in camera mia.
Quando apro la porta mi accorgo subito che il mio letto è stato rifatto, alcune cose sono rimaste sparse per la stanza, ma è tutto in ordine. Lei è passata di qui. Avverto ancora il suo profumo. Con le nocche ruvide carezzo le lenzuola, come se stessi accarezzando la sua pelle liscia.
"Dovrei cambiarle" penso mentre mi ci siedo sopra.
E non vedo l'ora di rivederla.
Vado quindi su whatsapp e le invio un messaggio.
E così detective Mad mi hai salvato il culo
hai mangiato? ti sei fatto una doccia?
Lancio gli occhi al soffitto con fare svogliato, poi abbandono il cellulare sul letto e m'infilo sotto la doccia.
Sono troppo esausto per pensare, la mia testa è così pesante da risultare vuota e il mio corpo è ancora intorpidito.
Quando esco dal box mi avvolgo con un asciugamano allacciandomelo in vita, poi butto un'occhiata riluttante allo specchio. Non prendo farmaci da settimane, eppure sto bene. Forse ho un po' meno energie, ho più bisogno di dormire, ma a parte questo... sono sopravvissuto.
Lei non aveva ragione. Vorrei lo sapesse.
Vorrei lo vedesse che non sono il bambino malato che pensava che fossi.
Ti sei calmata? Le scrivo tornando in camera.
io sono calma ma sappi che se la tua strategia è quella d'ignorarmi anche a scuola, non starò al tuo gioco
La sua caparbietà mi porta a sorridere come un ebete, mentre afferro un paio di boxer puliti dall'armadio e li indosso.
Sì ma dammi un paio di giorni per capire la gravità della situazione cazzo
né domani, né mai James
Che vuoi dire?
che io sto con te, ma alle mie condizioni.
Sarebbero? Digito continuando a sorridere.
non cambi idea otto volte al giorno, impari ad essere coerente e mantieni quello che dici. se pensi che tenere un profilo basso sia una buona idea, se pensi che a scuola dovremmo andarci cauti in modo da non attirare attenzioni indiscrete....se ne parla insieme, non fai di testa tua
Osservo il mio letto, è desolato senza di lei. E io non ci voglio stare senza di lei.
Posso venire a dormire da te? Le scrivo d'impulso.
domani, nell'ufficio del preside.
Leggo la sua risposta con la fronte corrucciata.
Devo pensare male Biancaneve?
vediamo se riuscirai a resistere.
Come al solito, anche il giorno seguente arrivo in classe in ritardo. Stavolta mi prendo del tempo ad accompagnare Jasper a scuola e indugio un po' piu dovuto nel suo cortile. Mi assicuro non vi siano movimenti strani, auto strane e, soprattutto, facce strane. Dopo aver appurato che tutto proceda nella norma, mi dirigo a scuola.
La lezione è già iniziata, così ne approfitto per perlustrare i corridoi sgombri e occuparmi delle telecamere che puntano verso la porta della presidenza.
Chiedo a Carmen una scala, poi la posiziono in prossimità delle camere di sicurezza che altrimenti sarebbero impossibili da raggiungere.
Le ricopro con dello scotch nero, oscurandone i monitor, poi, senza pensarci due volte, provo a bussare all'ufficio del preside. Non risponde nessuno, così dopo qualche istante afferro la maniglia e provo a entrare. La porta è chiusa a chiave.
Decido quindi sia arrivata l'ora di andarmi a sorbire due noiosissime ore di matematica, nella speranza che Jackson sia riuscito ad ottenere le chiavi da Blaze.
Il prof mi rimprovera per il ritardo, ma io non lo ascolto nemmeno, sfilo davanti a June ticchettando con le dita sul suo banco. Lei getta immediatamente lo sguardo sulla la mia mano, poi curva il collo senza degnarsi di sollevare il viso.
Mi ha visto? Ovvio.
Vuole ignorarmi di proposito? Ma certo.
Lascerò che mi ignori? Col cazzo.
Mi accomodo quindi al banco libero che trovo esattamente davanti a quello di June.
Agguanto la sedia e la sposto il più indietro possibile, in modo da spingere lo schienale contro il bordo del suo banco, per avercela vicina di qualche centimetro.
Mi svacco sulla sedia e mentre il prof spiega come elevare alla noia una funzione di noia infinta, lascio scivolare il braccio destro verso il pavimento, andando a cercare le sue caviglie che, incrociate, stanno proprio dietro di me. Con la punta del dito indice rivolto al pavimento, sfioro le sua caviglia scoperta, questa sembra irrigidirsi al tocco e June per poco non sobbalza.
Indugio un po' sulla sua pelle liscia, giocherellandoci senza fretta.
A quel punto la sento avvicinarsi a me, il suo respiro tiepido mi solletica il collo, proprio mentre si sporge in avanti, verso la mia schiena.
«Toccami ancora e ti spingo questa matita dentro l'occhio.»
Soddisfatto, sogghigno e roteo il viso per incontrare il suo viso vicino e il suo seno, stretto nella camicetta schiacciata sul banco. Mi lecco le labbra.
«È mattina presto, White. Non me le servire in questo modo. Ti prego.» mugolo con voce ancora rauca e assonnata.
«Hai le chiavi?» Chiede lei, facendosi seria.
«Sì. Credo che Jackson le abbia. Il corridoio è sgombro, ho coperto ogni telecamera.»
Ora è lei a sorridere compiaciuta.
«Puoi dirmelo che sono stato bravo...»
«Te lo dirò quando te lo meriterai per davvero...»
Sussurra nel mio orecchio, mentre io mi spingo all'indietro sempre di più, per incontrare la morbidezza delle sue labbra, ad un soffio dalla mia guancia.
«Ah sì? E dimmi Biancaneve... Dove e quando potrei meritarmi un complimento del genere?»
Lei seguita a sorridere alle mie spalle.
«È un modo carino per chiedermi di vederci da qualche parte?» domanda a quel punto.
«Esatto. Vuoi uscire ora?» le propongo senza pensarci due volte.
«No.»
Un mugugno di disapprovazione mi sfugge senza nemmeno volerlo.
«E quando?»
«Potresti usarla la fantasia ogni tanto.» mi provoca mordendosi il labbro.
«Nell'intervallo...»
«Dobbiamo andare dal preside e non saremo soli.»
Ah, già cazzo
«Hunter, White. Basta chiacchiere. Avete parlato abbastanza.»
Sono così assorto che ci metto un po' a realizzare che il professore ci sta richiamando all'ordine. Sollevo l'angolo della bocca nel vedere la sua espressione di disappunto.
«Ah quindi secondo lei stavamo solo parlando? Strano concetto che ha lei di parlare, prof...» replico maliziosamente.
June mi tira un calcio alla gamba della sedia, invitandomi a tacere.
Così mi schiarisco la voce e torno con il busto in avanti, aspettando solo il fottuto suono della campanella.
E proprio quando stavo per addormentarmi, il trillo che segna l'inizio dell'intervallo mi desta improvvisamente. Purtroppo però, quello stronzo di matematica mi richiama alla cattedra per farmi l'elenco di tutti i compiti in classe che ho saltato negli ultimi mesi.
"Vedi di presentarti alle verifiche che precedono le vacanze natalizie, bla bla"
Annuisco a palpebre socchiuse, non lo sto nemmeno ascoltando.
Quando finalmente la lagna è giunta al termine, raggiungo June nel corridoio pieno di studenti. Lei però mi accoglie fredda.
«White.»
«Hunter.»
L'espressione seriosa che ha nell'aprire l'armadietto, unito all'impegno che ci mette per ignorarmi, mi fa sorridere.
«Siamo già passati ai cognomi?»
«Tu fai passi indietro e questo è il risultato.» spiega lei seguitando a rovistare tra i suoi libri, senza degnarmi di uno sguardo.
Percepisco l'adrenalina pulsare rapida sotto alla mia pelle. È questo il mio gioco preferito. La caccia.
«Quindi siamo in procinto di divorzio?»
Le sue labbra si tendono lateralmente, formando un piccolo sorriso.
«Cretino...» Poi però si ricompone in fretta.
«Ma il fatto che tu mi faccia ridere, non significa nulla.»
La guardo issarsi in punta di piedi e prima che lei si adoperi nel suo tentativo, afferro il libro che stava per raggiungere, ma non le do la soddisfazione di consegnarglielo.
«Dammi il mio libro» sibila ad occhi sottili, volgendosi verso di me.
«Tu dammi il mio bacio»
Le sventolo il libro sulla testa, lei però ha già perso interesse per quello.
Arriccia le labbra e mette su un'espressione sospettosa e al contempo buffa.
«Ma come...? Ieri non eri tutto un "stammi lontano, con me vicino sei in pericolo"... Nemmeno fossi il parente più stretto di Spiderman?»
Con il labbro pizzicato sotto ai denti, reprimo un ghigno, poi lancio il libro nell'armadietto.
Lei mi sta fissando, in attesa di una mossa, quindi la spingo contro l'anta metallica, mentre i suoi occhi limpidi restano impigliati nella curva delle mie labbra promiscue.
«Sai che la coerenza non è la mia miglior virtù»
La nostra vicinanza la fa trasalire.
June si lecca il labbro inferiore, poi serra le cosce tra loro. Un brivido mi attraversa la nuca nel vedere l'effetto devastante che le provoco.
«Ma se pensi che farmi sudare le tue attenzioni, possa darmi fastidio... ti sbagli di grosso, Biancaneve»
Lo adoro.
Lei incrocia le braccia al petto e il mio sguardo scivola presto a modellare le sue curve sostenute dagli avambracci. Un calore briciante scuote ogni mio organo interno.
Mi ritrovo completamente inerme.
«Ero...»
«Cosa? Continua James...» m'invita lei con un'occhiata così pura da farmi sciogliere.
«Ero spaventato. Fottutamente spaventato. Non posso perderti di nuovo.»
«Nemmeno io.» sussurra puntando lo sguardo verso il pavimento.
A quel punto le sollevo il mento con le nocche, invitandola a tornare a guardarmi negli occhi.
«Te l'ho già detto, non voglio che quello stronzo di Austin scopra che...»
Sto con te
«Cosa?» mi stuzzica lei.
«Che io e te scopiamo.»
La mia è una provocazione, di quelle pesanti, che le fanno allargare le narici e assottigliare le palpebre. E io non ne posso fare a meno.
«Sei un coglione. Lasciami andare.» sibila provando a liberarsi da quella posizione che la vede stretta tra il mio torace duro e l'armadietto.
«Non fare la stronza, riesci a capire la situazione?»
«La capisco e l'unico stronzo qui sei tu.»
Poso le labbra languide al suo orecchio e con le mani risalgo lungo le sue braccia, per impedirle di andarsene.
«Non ti bacio dove ci possono vedere tutti.»
Lei sospira.
«Sia Hood che Austin ora sanno chi sei. Quest'ultimo ti ha vista fare il diavolo a quattro per me. Non voglio che ti associno a me, in alcun modo.»
«Troppo tardi» s'impunta incrociando nuovamente le braccia al petto.
«Non fare la testarda. Evitiamo solo... Voglio solo evitare di metterti nei casini.»
«E come faresti? Evitando di baciarmi in pubblico?»
«Ti sembra una cazzata?»
«Sì se poi non riesci a starmi lontano e ci provi come hai fatto due secondi fa.»
Delle risatine femminili richiamano la sua attenzione. June si sporge e nota Bonnie e Stacy passare dietro di me.
«Ma l'importante è che le tue amichette non lo vengano a sapere...»
Non le do la soddisfazione di rispondere.
È troppo bella arrabbiata.
Lei riesce a sottrarsi alla mia presa, allora torno ad incombere su di lei, l'afferro dalla spalla e la sbatto contro l'armadietto.
«Ti devo scopare davanti a loro? Questo vuoi?»
«Hei con calma voi due.»
«Taci Marvin»
Il corridoio è ancora zeppo di gente, quando Jackson si avvicina a me con un mazzo di chiavi e me lo sventola davanti al naso.
«Blaze mi ha dato queste, ma devo restituirgliele al più presto. Suo padre passa dall'ufficio più tardi e se si accorge di non averle nella giacca, potrebbe insospettirsi.»
June allunga una mano verso l'alto e acciuffa le chiavi, per poi dirigersi verso la porta del preside.
«Andiamo»
Irritato, sollevo gli occhi al soffitto nel notare tanta intraprendenza. Poi però mi accorgo che manca qualcuno.
«Dov'è Will?»
Mi preoccupo nel vedere il mio amico mancare all'appello.
«Aveva un compito da recuperare, ha saltato giorni di scuola e si sta rimettendo sotto» spiega Jax.
«I suoi sono tornati vero?» ribatte June infilando la chiave nella serratura.
Io e Jackson ci posizioniamo alle sue spalle, facendole scudo con le nostre stazze, in modo che nessuno possa vederci entrare nell'ufficio del preside.
«E tu cosa ne sai, White?» Il rimprovero è seguito da un'occhiataccia da parte di Jackson.
«Non lo so, l'ho visto più tranquillo.»
Vedo June stringersi nelle spalle, mentre siamo ormai dentro all'ufficio. Iniziamo dai luoghi più ovvi, ovvero dai cassetti dalla vecchia scrivania che si staglia nel bel mezzo della stanza, non trovando però nulla di interessante.
«Cosa stiamo cercando?» domanda Marvin incuriosito, giocherellando con una pinzatrice.
«Ti ho detto che puoi fare domande?»
«James calmati» mi redarguisce Jackson.
«Non lo sappiamo nemmeno noi, ma dovrebbe esser una grossa busta contenente dei documenti» ipotizza June.
«E detective Madeline come lo sa?» la prendo in giro.
«Brian ha detto...»
Digrigno mascella, lei intanto seguita a spiegare le ipotesi di Brian. Lo fa ovviamente sottovoce, per evitare che qualcuno possa udirci.
«Che c'è? Sembri teso James» mi canzona Marvin mentre la mia vena del collo sta per collassare.
La ricerca, da parte mia, è già sospesa, decido di lasciar fare a June e Jackson, mentre io mi appresto a rollarmi una sigaretta.
Io e Marvin ci appoggiamo spalle alla parete, mentre June si china verso il basso, per aprire un cassetto al fondo del mobile a muro, proprio lì davanti a noi.
«Non le guardare il culo.»
«Non la sto nemmeno guardando» si difende Marvin scrollando il capo.
«Okay, ho un'idea. E se impedissimo a Hood di vedere Amelia, così lui farà di tutto per uscire allo scoperto pur di comunicare con lei? Lei è l'unica di cui abbiamo certezza. Si parlano quei due.» esordisce lei tirandosi su.
Gli occhi cerulei le luccicano.
Jackson annuisce mentre fogli e fascicoli gli svolazzano davanti al naso.
«Vedi, non ha solo un bel culo.» incrocio le braccia al petto, fiero della mia ragazza.
«Ma non le stavo guardando...»
Marvin seguita a scuotere la testa, mentre si unisce a Jackson che accorre all'ingresso per mandare via due studenti che vengono a curiosare.
Io e June ci scambiamo un'occhiata fulminea, così io non ci devo pensare oltre. Muovo due passi nella sua direzione, la mia andatura è lenta, in modo che lei possa scappare, qualora lo voglia.
Ma non lo vuole.
Mi avvicino al suo corpo formoso e con entrambi i palmi premuti sulla superficie della scrivania, la intrappolo obbligandola a sbattere il sedere contro il bordo in legno. La sento tremare al contatto tra i nostri corpi che, premuti, iniziano a sprigionare calore. Ha un profumo eccitante e io non riesco più a resistere, punto alla sua bocca come assetato del suo sapore, ma invece che darle un bacio, decido di rimandare ancora un po' quel momento.
Con la coda dell'occhio noto che i nostri amici sono appena usciti dall'ufficio per scacciare i curiosi e rimandarli in corridoio.
Ne approfitto quindi per affondare il naso tra i suoi lunghi capelli biondi, mentre con la mano m'insinuo tra le sue gambe, il dorso scivola avido lungo il suo ginocchio, fino a salire sotto la gonna.
Le strappo un gemito quando affondo la bocca schiusa in quel che resta del piccolo livido che le circonda il collo. Con le labbra gonfie e serrate, succhio quella porzione di pelle, facendole stringere le cosce.
«Non c'è nessuno, rilassati.» sussurro nel suo orecchio.
La sento deglutire. Il suo petto si alza e si abbassa rapido, finché non dice qualcosa di inaspettato.
«Allora aspettiamo di andare di là.»
Lo bisbiglia raccogliendomi la mano, prima che questa giunga alle sue mutande. La rimuove, fermando le mie intenzioni sporche, lasciandomi disorientato.
«Perché?»
«Perché il calcio nelle palle che ti tirerò, voglio lo vedano tutti»
Lancio la testa all'indietro, scoppiando in una risata liberatoria. Se pensa che questo suo modo di fare sia una maniera per allontanarmi, si sbaglia di grosso. Per me è solo eccitazione pura, quella di doverla riconquistare ogni giorno.
«Ragazzi ho trovato qualcosa.» annuncia Jackson tornando nell'ufficio, rapendo tutte le attenzioni di June.
«Che rottura di cazzo...» sputo a denti stretti, infilandomi sigaretta in bocca.
«Sei qui per aiutarci o cosa?» s'indispettisce lei, facendo cenno a Marvin di restare sulla soglia della porta per mandare via i ficcanaso.
«Cos'è?» domanda Jax nel notare una cassetta metallica nascosta sotto ad alcune pile di vecchi libri.
«Sembra una di quelle valigette che contengono le fishes di poker.» abbozzo io.
«Ma scommetto che il preside non gioca a poker...» sogghigna sorniona, Detective Madeline.
«Stai salendo di livello? Vuoi diventare capo sceriffo?» la prendo in giro, scansandola.
Mi posiziono davanti a lei, andando ad ispezionare quell'oggetto.
«È metallica ed è chiusa con una combinazione segreta. Non è di certo una valigetta di poker.» realizzo a quel punto nell'osservarla meglio.
«Lo facciamo saltare in aria, qual è il problema?»
Will fa capolino dalla porta.
«Will!» esclamiamo tutti all'unisono.
«Sto scherzando» bofonchia lui prima di andarsene. «Sono qui fuori se mi volete.»
Le nostre attenzioni ritornano sulla valigetta.
«Come l'apriamo? C'è una combinazione di quattro cifre.»
«Quando è nato Blaze?» domando fissando Jackson.
«Ventotto Agosto.» risponde senza esitazione il biondo.
Le dita di Jackson compongono la combinazione incastrando le rotelle proprio su quei numeri.
Zero otto due otto.
«Cazzo, si è aperta»
La cassetta si spalanca rivelando un hardisk al suo interno.
«Cos'è? Porno a tema?» domanda Marvin sporgendosi verso di noi.
«Spero proprio di no.» mormoro io, massaggiandomi la fronte, leggermente preoccupato.
«Nessuno ci ha detto in che formato erano le informazioni. Abbiamo dato per scontato fossero fogli, documenti, rilegature di carta, ma...»
June inizia ad ipotizzare ma io sto già accendendo il computer poggiato sulla scrivania, collegandoci l'hard disk.
Restiamo col cuore a mille, spaventati e impauriti, finché non apro i file al suo interno.
«Cosa sono?»
Con la fronte corrucciata, lascio che i miei occhi scandaglino quelle trafile di parole che compongono delle domande.
«Sono test? E quelle sono le risposte ai quesiti?» Marvin sgrana gli occhi.
«Sono i test attitudinali di fine anno.» realizza Jackson.
«Cazzo ci sospendono se scoprono che li abbiamo visti e che abbiamo letto le risposte.»
«Possiamo segnarci due cose? Potrebbero tornarci utili» ci prova Marvin.
Io e Jackson ci squadriamo confusi, mentre June insiste nel voler scollegare l'hardisk il prima possibile.
«No, non è corretto, ragazzi. Non possiamo farlo»
«Resta il fatto che queste non sono delle cazzo di prove, non sono le analisi che incastrano Hood.» Sbuffo innervosito.
«Il preside è innocente.»
Jackson pare sollevato. Io però ho uno strano presentimento.
«Non così in fretta, Jax. Non così in fretta.»
June risistema l'hard disk nella valigetta, la chiude e la ripone all'interno dell'armadio da cui proveniva.
«Abbiamo messo tutto in soqquadro ma non c'è nulla qui...»
Compio un cenno a Marvin e Jackson, indicando loro la porta.
«Uscite un attimo»
«Dobbiamo chiedere a Brian cosa sa di queste prove. Dopo aver parlato con Austin non l'abbiamo piu visto.»
«Che peccato eh» commento io, avvicinandomi a lei.
«James, per favore.»
«E sentiamo... Cosa avresti da chiedergli?»
Incrocio le braccia al petto e pianto i miei occhi su di lei, questa volta assottigliandoli.
«Sua madre. Dobbiamo parlare con lei. Perché chiunque abbia rubato le prove, le ha prese a lei.»
Okay, hai ragione... Ma al momento non me ne frega un cazzo di tutta questo storia, ho passato un giorno senza vederti, non resisto più
«Vieni piu vicina» le ordino mentre June sosta nel bel mezzo della stanza.
Con mia sorpresa muove qualche passo nella mia direzione, senza mai levarsi quel cipiglio diffidente.
«Che pensi di fare? Hai già cambiato idea James?»
«Di certo non sono qui per baciarti. Tantomeno ora che siamo a scuola.»
La mia affermazione la destabilizza, solleva un sopracciglio, poi schiude le labbra.
«Certo, vediamo quanto durerai...»
Mi provoca, ma nel farlo si sta avvicinando alla mia figura.
Le circondo la schiena con un braccio e porto il suo corpo contro il mio, ad aderirvi perfettamente. Il suo seno modellato contro il mio torace e il mio ginocchio pressato tra le sue cosce. Mi fissa le labbra. Lo fa un paio di volte. E io capisco quello sia il momento per spingerle la lingua in bocca.
Finalmente.
«Vuoi vedere quanto durerò senza baciarti?» la istigo nel costatare quanto sia diventata morbida tra le mie braccia.
Lei però non cede.
«Esatto, James. Sempre se non impazzisci prima» sibila ad un soffio dalle mia labbra, scansando il mio bacio con un movimento del capo.
Indietreggia sfuggendo al mio abbraccio, fino a voltarsi e lasciarmi da solo, come un coglione, nell'ufficio del preside.
Cazzo, c'ero quasi
Mi passo una mano fra i capelli, lascio che le mie dita scorrano tra le mie ciocche scompigliate, poi espiro lentamente, come a volermi calmare.
Alla fine esco dall'ufficio e raggiungo gli altri. Mi ritrovo presto in corridoio insieme a Will e Brian, che stanno parlando.
«Che cazzo succede?»
«Sto dicendo a Will che c'è solo un posto dove mio padre andrebbe.» spiega Brian.
«Mmmm... Fammi indovinare.» ribatto sarcastico, prima di infilarmi tra le labbra la sigaretta rollata, ma ancora spenta.
«Esatto, a casa nostra.»
«Quando? Quando possiamo venire da te?» dirompe June, incurante delle mie occhiatacce.
«Mia madre parte oggi pomeriggio, va a Philadelphia per un caso molto importante.»
Io non voglio parlare con quel coglione di Brian, perciò mi rivolgo a Will.
«Sicuro Amelia si è già messa d'accordo con lo stronzo per vedersi a casa degli Hood»
Marvin, come al suo solito distratto non si sa da cosa, torna da noi e capisce solo le ultime parole.
«Organizziamo una festa degli Hood? Quando?»
«Marvin perchè non chiudi mai quella cazzo...»
Mi volto verso di lui con cipiglio adirato, ma quando lo guardo negli occhi, mi rendo conto che quella non è affatto una cazzata.
«Ma sei un fottuto genio, Marvin. Questa è un'ottima idea» esclamo quasi stupito nel pronunciare quelle parole.
Brian però non ribatte, anzi, fissa il mio amico in cagnesco.
«Che ho detto?»
«Ne basta uno di voi che ronza intorno ad Ari, non voglio che anche tu...»
«Hei qui nessuno ronza intorno a nessuno, io e Ari stavamo insieme»sottolinea Will, chiaramente stizzito.
«Sì certo, stavate insieme» Brian gli fa il verso, mentre Marvin solleva le mani in segno di resa.
«E io che cazzo c'entro? Le sono finito addosso con la torta e avete fatto scoppiare un finimondo»
Io ridacchio per la situazione comica, June invece si sta spazientendo.
«Calmiamo il testosterone per favore?» s'intromette lei a quel punto. I ragazzi si zittiscono all'istante.
«Questa sera da Brian. È deciso.»
Brian però non sembra d'accordo. Resta duro nella sua posizione, così June gli va piu vicino.
«È l'unico modo che hai per proteggere tua sorella, lo sai» si addolcisce guardandolo e io mi sento ribollire l'anima.
Che cazzo si sono detti quando non c'ero?
La mia mano attornia la vita di June, l'accompagno a me con fare possessivo.
La sua schiena aderisce al mio addome e il suo culo tondo preme contro il mio corpo, questo impatto piacevole mi causa un sussulto lungo la spina dorsale.
«James...» mormora lei impacciata.
Brian non si smuove. Sembra fermo nella sua decisione, non ci vuole a casa sua. Non ci vuole tra i piedi. Coglione.
In quell'istante Taylor sfila nel corridoio sfoggiando una nuova borsa e non ci mette molto a realizzare che stiamo tramando qualcosa.
«Perché? Spiegami solo perché dovremmo fare una festa a casa mia. Attireremmo troppo l'attenzione» si lagna Brian con il suo solito tono apatico.
Ad un tratto però si distrae nel guardare due nostre compagne passarci di fianco, insieme a Poppy.
Lei sorride dapprima a Marvin, poi a Brian.
«Oh oh...» E a Taylor ovviamente non sfugge niente.
«Sapete cosa vi dico? Una festa da Brian è proprio quello che ci vuole. I popcorn li porto io, come sempre.»
«Quindi è deciso?» chiede June mentre ci disgreghiamo a macchia d'olio per i corridoi.
«Sì. E tu non ci vieni.»
La sigaretta trova nuovamente spazio nella mia bocca e il suo fianco nella mia mano.
«La tua ilarità non conosce limiti Jamie, bella questa.»
«Non sto scherzando. Quello non è un posto sicuro»
Il sussurro che abbandona le mie labbra scivola nel suo orecchio facendola rabbrividire.
«Se hai mai pensato, anche solo per un attimo di potermi dare ordini, evidentemente devi aver qualche problema serio.»
Non la sto nemmeno a sentire. Usa sempre così tante parole per insultarmi, che a volte penso ci goda.
«Oggi vengo da te.» taglio corto causandole un'increspatura sulla fronte.
«Scordatelo.»
«Abbiamo dei compiti da fare» aggiungo con una scrollata di spalle.
«Non insieme, James.»
June arriccia il labbro superiore, prima di regalarmi un'occhiata altezzosa.
Forse dovrei essere meno brusco, ma non ci penso due volte: affondo una mano tra i suoi capelli sciolti raccogliendone un mucchietto, poi le sferro un lieve strattone, obbligandola ad inarcare il collo.
La sua bocca si schiude quando mi avvicino al suo viso.
«Abbiamo tante cose da fare insieme, Biancaneve...»
Lei è ancora immobile quando, in modo disinibito, marchio il suo labbro inferiore con una passata di lingua lenta e avida.
Restiamo cristallizzati in quell'istante, come se stessimo per cedere e lasciarci andare ad un bacio appassionato proprio lì, nel corridoio della scuola.
Ed è quello che vorrei, cazzo. Sennò non starei con la bocca piantata nella sua.
Ma ovviamente il mio gesto poco romantico non l'è andato a genio.
La libero immediatamente e lei si fa seria.
«Senti James, ho capito che sei preoccupato, ma prima non vuoi che io mi avvicini a te, poi vuoi baciarmi. Prima non vuoi che io m'immischi, poi vuoi controllarmi come se qualcuno potesse davvero...»
«Voglio essere sicuro che nessuno venga a casa tua. Sbaglio o Austin ha nominato tua madre? Sa anche che è un'insegnante...»
«Jackson! Ti avevo detto che certe cose dovevamo tenercele per noi!»
La sento esclamare arrabbiata verso il biondo che si allontana nel corridoio.
«Uh, io e Marvin dobbiamo andare un attimo a...»
A farvi fottere
«Austin non nomina le persone a cazzo, era un avvertimento.» torno su di lei, più ostinato di prima.
«Pensi non lo sappia?»
«Non voglio farti preoccupare più del dovuto, June, ma... Per quanto elettrizzante appaia tutto ciò, questo non è un gioco. Io, Will, Brian... Abbiamo tutti fatto cose orribili.»
Lei lancia gli occhi al soffitto.
«Le cose stanno così. Tu puoi venire da me oggi pomeriggio, ma...»
Eccola che si gode la mia espressione confusa, dopo aver pronunciato quel "ma" con tono saccente.
«Ma cosa, White?»
Lei seguita ad estrarre libri dal suo armadietto, affibbiandomeli in mano.
«Io vengo alla festa.»
«Io vengo da te e ti lego al letto, vediamo se riesci a venire alla festa.»
«Ti ci lego io al letto Hunter, vediamo se riesci a contenerti poi.»
Cazzo.
Il corridoio si è praticamente svuotato quando l'ultima persona che avrei voluto vedere in questo momento, ci si materializza accanto.
«Che succede?»
Psycho April.
«Niente» esclama June, allargando gli occhi impauriti.
Niente, ovvio. Che domande.
Magicamente i libri di June mi scivolano dinnanzi alla patta dei pantaloni e diventano uno scudo per le mie palle, che potrebbero venire bersagliate dalle ire funeste di quella donna.
April fa scorrere il suo sguardo indagatore su di noi, setacciandoci da capo a piedi.
«Questo è inappropriato, April. O prof? Forse dovrei chiamarti prof?»
«Inappropriato sarà il richiamo che mi faranno dalla presidenza quando scopriranno che ho preso a calci in culo uno degli studenti» esordisce lei con tono austero.
«Oh davvero... Povero studente, chissà che ha fatto per meritarsi la tua furia.»
June si porta una mano alla bocca, scandalizzata dal mio affronto.
«Ha fatto la testa di cazzo con la figlia sbagliata.» enuncia la donna, serrando le palpebre a due lampi infuocati.
«Mammaaaaa» June è sbigottita.
April a quel punto degna di uno sguardo sua figlia, mentre io giocherello con la sigaretta sotto ai denti.
«Perché non siete in classe? Di cosa parlate?»
June non sa cosa rispondere, così intervengo io, con il solo obiettivo di farla incazzare di più.
«Cose noiose... Di stare a letto, perlopiù.»
June mi maledice con un'occhiataccia scontrosa, mentre sua madre le fa cenno di andarsene.
«June? Va in classe»
«Ma...»
«Vai.»
Così ci scambiamo un'ultima occhiata complice, poi la guardo dileguarsi nel corridoio.
E io non ne posso fare a meno, il mio sguardo scivola lento sul corpo formoso.
April scuote un colpo di tosse, richiamandomi all'ordine.
«Me l'avevi promesso, James. E ieri sera lei è tornata a casa scossa. Che le hai fatto?»
«Senti... Ci sono cose più grandi, che io non posso controllare.»
«Questo l'avevo capito. Sei stato in riformatorio, sei sempre nei guai...»
Non sto più ridendo e April se ne accorge, tant'è che mi rivolge un'espressione impensierita.
«Che sta succedendo?»
«Se te lo dicessi...Mi daresti una mano a fare una cosa?»
Una smorfia di disprezzo le segna il volto.
«Non mi metto in affari con dei ragazzini e...»
Poi però si guarda intorno e nello scoprire che siamo soli, bisbiglia «Di cosa si tratta?»
«Il preside... Potrebbe essere coinvolto in un giro losco e se così fosse, io devo saperlo.»
April scoppia a ridere nervosamente, dinnanzi a quell'affermazione.
«Giro losco? Ma dove siamo, in Narcos?»
«Da quando Will ha ripreso con le medicine, direi che è diventata una noia mortale, più simile ad un episodio di Grace Anatomy.» mi ritrovo a pensare a voce alta.
«Che stai farneticando, James? Mia figlia cosa c'entra in tutto questo?»
«Nulla, in realtà. L'unica cosa che m'interessa è che lei rimanga fuori da tutto. Voglio solo proteggerla, ma lei è testarda. Non so da chi abbia preso...»
«Arriva al dunque, James»
«Ho bisogno del tuo aiuto, non mi fido di nessuno qui. In questi giorni, vorrei stessi vicina al preside. Nelle pause pranzo, nei buchi d'ora. Tienilo d'occhio. Qualsiasi cosa tu veda, di strano... può tornarci utile.»
Lei annuisce, come se in qualche modo già si aspettasse tutto questo.
«C'entra il tuo patrigno vero?»
«Il preside potrebbe essere in possesso di materiale che incriminerebbe persone che sono in libertà e che non mi fanno stare tranquillo. Le stesse persone che ora conoscono tua figlia e che potrebbero mettere in pericolo te e lei.»
Quella confessione sembra paralizzarla.
«O mio dio....»
April si prende un attimo per pensare, massaggia le tempie con la punta delle dita, poi torna a squadrarmi diffidente.
«Devo realmente fidarmi di te?»
«Devi, sì.»
Le faccio cenno di seguirmi, così la conduco nell'angolo di corridoio dedicato alle foto studentesche degli anni precedenti.
«Guarda, lo conosci questo?»
Indico una testa rossa in mezzo ad un gruppetto di studenti diplomatisi quattro anni fa.
«Sì. Dove l'ho già visto?»
«Il famoso tecnico di computer che è venuto in casa tua. Non è un tecnico, è mio fratellastro. Nonché figlio di un mafioso contro il quale non ti ci vuoi mettere. Questo ha aggredito tua figlia e questo è il tipo di persona che tu non sai riconoscere.»
Ferita, April resta a fissarmi in attesa che io le dia qualcosa di concreto.
«Perciò hai bisogno di questo.» Mi porto le mani al petto, rivolgendo le attenzioni verso di me.
«Un body guard per mia figlia?» si acciglia lei.
«Cos'è, non ti sembro in grado?»
«Non ho detto questo.»
«Le insegnerò a difendersi e ti aiuterò ad installare un programma di sicurezza per la casa, ma questo non è abbastanza. Voglio che lei non sia nel mirino, perché sennò, a quel punto, non c'è nulla che io possa fare per fermarli.»
«Aspetta... Aspetta... Non hanno motivo di andare dietro a mia figlia, giusto?»
«No. In teoria no. È una mia precauzione. Se lei fosse reale bersaglio di quella gente, l'avrei già portata via. Non ci avrei pensato due volte.»
Lei mi fissa incredula, nei suoi occhi vedo solo la delusione. Il "lo sapevo che non dovevo lasciarla avvicinarsi a te".
«Vogliamo la stessa cosa. Che June non si metta nei casini» provo a rassicurarla.
«Devi dirmi di più se vuoi che tenga d'occhio il preside .»
«Ti ho detto abbastanza, April.»
Compio due passi all'indietro creando una piccola distanza tra noi.
«Ah, dimenticavo. Oggi vengo a studiare a casa tua.»
Affretto immediatamente la camminata, in vista di cosa sto per dirle.
«E quindi?» Lei è chiaramente spazientita per il mio tono sfrontato.
«Niente, procurati dei tappi per le orecchie.»
Infine scappo, prima che mi lanci addosso qualche maledizione.
JUNE
Sono un po' agitata. Ho provato a sistemarmi i capelli ma questi non ne vogliono sapere di stare dritti. S'increspano dopo soli cinque minuti di piastra. Ho poi tentato di stendere un po' di mascara, ma per poco non mi sono cavata un occhio. Ho messo l'unico rossetto che avevo, ma alla fine l'ho rimosso con la salvietta struccante, sembravo un clown. Così indosso una felpa, un paio di shorts e scendo in salotto.
Di mia madre non c'è la minima traccia, quindi vado a bussare al suo studio.
«Mamma... senti, ehm... Potrebbe venire James oggi.»
Lei ha gli occhi piantati verso una tela bianca.
«Cosa?»
«Volevo dire Janet»
«Le bugie non mi piacciono, June» borbotta curvando il collo, come a voler ispezionare la tela che ha di fronte.
«Ma è una mia compagna»
«Senti, ti evito questa situazione imbarazzante. So che verrà James.» sbuffa voltandosi nella mia direzione.
«Come lo sai?
«Io e lui abbiamo fatto un discorso molto chiaro e...»
A quel punto si alza in piedi, la vedo avvicinarsi e solo allora mi accorgo che i suoi occhi appaiono lievemente lucidi.
«Sembri preoccupata, mamma.»
«Ti ricordi quel ragazzo che mi aveva aiutato con il computer?»
Resto di sasso.
«Sì. Oddio... James ti ha detto tutto?»
La mia bocca spalancata parla chiaro.
«Potrà venire qui e potrai stare con lui, ma sempre sotto la mia sorveglianza o, quando siete da lui, quella di Jordan.»
Annuisco, incredula per aver appena ottenuto il suo permesso.
«Sappi che non me ne importa un accidente delle vostre risse da diciottenni squinternati, io chiamo la polizia non appena ti capita qualcosa.»
«Mamma non hai capito di cosa si parla»
«Ho capito. Jordan mi ha detto che i ragazzi sono cresciuti con un tizio abominevole, un pessimo esempio.»
«Almeno lui c'era...» mastico infastidita.
Non avrei dovuto, lo so, ma quando difende a spada tratta Jordan solo perché è una brava persona non la sopporto. Una brava persona non è automaticamente un buon padre.
«June.»
Il suo tono si fa mesto e io mi metto sull'attenti.
«Cosa vuole quest'uomo? Perché quel ragazzo, suo figlio, è venuto qui?»
«James è in debito con loro... E appena non fa come dicono, loro se la prendono con lui. E se non possono, se la prendono le persone a lui più care.»
Mia madre sembra farsi delicata come una statua di cristallo, si siede sul suo sgabellino da pittura e lo fa così lentamente, che immagino un movimento di troppo possa romperla in mille pezzi.
Con una mano prende a reggersi la testa pesante. Ha entrambi gli occhi sbarrati.
«Mamma? Stai bene?»
Smette di parlare e io mi preoccupo all'instante. Le porgo un bicchiere d'acqua perché vedo il suo viso perdere colorito.
«Dovrei chiedere il trasferimento.» la sento borbottare tra sé e sé.
«Cosa? Sei impazzita?»
In quel momento suonano il citofono e io dimentico ogni cosa.
«Non c'è bisogno, mamma. Risolveremo tutto» esclamo prima di scappare al piano di sotto.
Corro ad aprire la porta d'ingresso e quando la spalanco, il fiato mi scivola in gola, la pancia comincia a farmi quasi male.
James mi accoglie con un sorriso ricurvo e in cespuglio di capelli scompigliati. Preda di un gesto istintivo, mi lecco le labbra, provando una strana sensazione di felicità, mista ad eccitazione.
Probabilmente sono fatta male. Non ho pianto al funerale di mio fratello, abbiamo riso e scherzato insieme quando invece lui era all'ospedale, e ora che dovrei essere preoccupata perché un mafioso conosce dell'esistenza di mia madre, me ne sto lì, felice, a rimirare...il mio ragazzo.
James indossa una felpa nera e un paio di pantaloncini sportivi, niente di particolare, eppure sembra perfetto.
Affila le palpebre e mi squadra con un'occhiata così intensa che le mie stesse guance s'intiepidiscono.
«Non saltare di gioia, White.»
Mi prende in giro nel notare come io abbia appena serrato le labbra in un'espressione seriosa. A quel punto James entra in casa, dandomi una spallata appena accennata con la sua corporatura prominente ed è proprio allora che nell'ambiente comincia a effondersi il suo profumo fresco e maschile.
«Che c'è?» domanda nel vedermi fare segno di stare in silenzio, mentre passiamo davanti allo studio di mia madre.
«Niente. Andiamo in camera mia.» sussurro con voce sommessa.
Proseguiamo lungo le scale e una volta entrati nella mia stanza, lascio la porta aperta, come richiesto da mia madre.
«Avete discusso?» chiede lui.
«James come hai convinto mia madre a permetterti di stare qui?»
Un ghigno sfacciato gli modella la bocca che s'innalza a lato, conferendogli un'aria maliziosa.
«Come ho convinto te, June.»
«Sarebbe a dire...?»
A quel punto però, lui mi agguanta dai fianchi e mi spinge sul letto.
«Smettila James, dobbiamo studiare.»
«Possiamo studiare stando nel tuo letto.» mi prende in giro, mentre con giocherella con le punte dei miei capelli sparpagliati sul materasso.
Le mie guance prendono ad andare in escandescenza nel momento in cui lui è sopra di me e mi addossa lunghe occhiate ardenti, che slittano dalla mia bocca al bottone dei miei pantaloncini.
Le sue dita fredde sfilacciano distrattamente il bordo dei miei shorts, sfiorando di proposito la mia coscia che viene percorsa di brividi.
«No, James.»
I suoi occhi si rabbuiano, ma sanno perfettamente come essere la mia debolezza.
«Perché no? Io qui sono così...»
Senza troppi complimenti, James si spinge in modo brusco tra le mie gambe obbligandomi a divaricarle per permettere alla sua stazza di comprimersi in mezzo. E conclude la frase solo quando è sicuro io abbia percepito il suo bacino premere contro il mio punto piu sensibile.
«...Comodo»
Continua a mordersi il lato della bocca rosea, intanto con il pollice carezza il mio labbro inferiore, separandolo da quello superiore.
«James...»
Provo a rifiutarlo di nuovo e non perché io non voglia tutto questo, ma perché c'è mia madre nella stanza di fianco. James però non sembra farsi intimidire dai miei tentativi, anzi, diventa ancora più ostinato. Il suo sguardo ha qualcosa di indomito e sembra voglia saltarmi addosso da un momento all'altro.
«Perche devi sempre... fare così?» piagnucolo esasperata, quando insinua il palmo sotto la mia felpa per sfregare i polpastrelli sul mio basso ventre. Quel gesto è innocuo, eppure il modo in cui lui mi guarda, mi fa tremare.
«Perché tu devi sempre fare così, June? Stiamo insieme. Non serve più che tu ti faccia pregare per un bacio...» mormora avvicinandosi al mio viso.
È ancora sopra di me quando avverto in modo indistinto il suo petto muoversi sempre più rapido. Con il respiro leggermente ansante e le guance arrossate, prova a fingere che la mia presenza non lo destabilizzi, ma non posso fare a meno di sentire le sue mani tremare sul mio corpo. Provo a razionalizzare una risposta, ma so già sarà difficile, con le sue labbra invitanti a un palmo dalle mie.
«Perché tu ieri hai detto una cosa, stamattina ne hai detto un'altra e adesso ne dici un'altra ancora...»
«Sono sempre qui però.» ribatte senza nemmeno doverci pensare.
«Cosa vuoi dire, James?»
«Che dico cazzate, June. Che mi faccio prendere dalla paura che qualcuno... Che qualcuno ti faccia del male.»
James compie una pausa per posare la fronte sulla mia. Il suo respiro sa di menta e io chiudo gli occhi, ormai sconfitta.
«Ma poi sono qui. Sempre. E non me ne vado.»
Non riesco più a resistere e quando lui preme le labbra vellutate sulle mie, divento cedevole e pronta al suo bacio.
Apro la bocca e lui sembra non aspettasse altro, perché ricambia il mio gesto, succhiandomi con forza il labbro inferiore, tanto da provocarmi uno spasmo caldo nella pancia.
«James...»
Provo a parlare ma lui è troppo impegnato a leccare morbidamente la mia bocca, come se la stesse preparando ad un bacio mozzafiato.
«In questi ultimi mesi sono morta di paura tante di quelle volte... Pensavo di non rivederti più. Sei stato in situazioni di pericolo tante di quelle volte e io...»
«Allora capisci le mie ragioni, quando ti dico che non voglio che tu ti metta nei guai? Non posso permettermelo. È già successo una volta in gita e non accadrà più.» mormora lui.
A quel punto chiudo gli occhi e mi lascio rapire dalla sua bocca, che prende a trafiggermi con un lungo bacio. Un bacio così intenso da risucchiarmi via il respiro. La sua lingua coinvolge la mia, nel tormento di una danza estenuante, fatta di passate di lingua morbide e pazienti.
C'è qualcosa nel suo modo di baciarmi che mi fa letteralmente perdere la testa. Non so come faccia a sapere esattamente cosa fare per farmi impazzire, eppure lo fa.
«Perché ti piace baciare in modo così... lento?» sussurro scontrandomi con le sue labbra piene.
James lascia scorrere il pollice lungo il mio labbro inferiore, già gonfio per via di quel bacio languido e indolente.
«Così il nostro momento è più intimo. Non è dettato dalla frenesia e hai modo di assaporarlo, di immaginarlo e di sentirlo. Tutto.»
«Cosa?» chiedo smarrita in quell'attimo.
«Beh... Il bacio, no?» sogghigna malizioso, mentre la sua erezione costretta nei pantaloncini, punta dritta contro di me.
Le sue ciglia folte e chiare adornano quel blu intenso, abisso nel quale mi ci perdo, abbandonando completamente ogni cognizione della realtà.
«James...»
«Cosa starei facendo di male...»
Mugola scendendo a sedurre dapprima il taglio della mia mandibola, poi la mia gola, con la carezza delle sue labbra pulsanti.
James prende di mira la piccola porzione di pelle che s'insinua tra spalla e collo e lì comincia a torturami, a premervi le labbra, succhiando con avidità ogni centimetro di carne a cui ha accesso. Ma quando la sua mano massiccia arriva a schiacciarmi il seno, per stringerlo con una presa possessiva, inizio a boccheggiare.
Ci siamo dimenticati di un dettaglio, non poi così piccolo...
«C'è April. Hai presente mia madre?»
Con l'altra mano, James scende a ghermire la mia coscia, stringendola con foga.
«E quindi?» seguita a provocarmi lui.
A malincuore però, mi trovo costretta a mettere un freno a tutto ciò, sebbene l'adrenalina che ne scaturisce mi piaccia un po' più del dovuto.
Con un gesto avventato lo spingo via, facendo pressione sul suo petto. James allora si mette a sedere, ma non contento, mi trascina con sé.
«Quindi no ai rumori indecenti.» taglio corto con decisione, fingendo di non avere le guance in fiamme per via di quella posizione.
Sono a cavalcioni su di lui, quando lo percepisco mugolare contro la mia guancia. «Peccato sono miei preferiti.»
A quel punto sbuffa stiracchiandosi. Nell'issare entrambe le braccia, gli si solleva anche la felpa, lasciando esposto il suo addome scolpito. Non gli è sfuggita la mia occhiata furtiva e il sorrisetto soddisfatto che ne segue, ne è la prova.
«Sai cos'altro mi piace, Biancaneve?»
La sua voce rauca prende una strada più tortuosa, ancora più seducente e maliziosa.
Invece che rispondergli a tono, presso il palmo sulla sua bocca carnosa, per evitare che dica qualcosa di inappropriato. Ma James non conosce vergogna e sferra una leccata al mio polso, obbligandomi a distogliere immediatamente la mano.
«Cosa ti piace?» domando ormai curiosa, ubriaca e in preda ad un miscuglio ormonale che mi alleggerisce la mente.
«Il suono di me dentro di te. Ripetuto. All'infinito.»
Il mio corpo si paralizza.
«O mio dio..» esalo ad occhi chiusi.
Devo raccogliere tutta la mia buona volontà per allontanarlo.
«James, basta. Ora studiamo.» esclamo spintonandolo via.
E l'unico modo per rifuggire a quel diavolo dalle sembianze angeliche è alzarmi in piedi. Così faccio e lui mi lancia un'occhiataccia tutt'altro che felice.
«Certo, diamo il via alla tortura...» borbotta tirandosi il labbro pieno sotto ai denti.
«Come dici?»
«Niente. Studiamo» mi canzona poi, restando seduto sul letto.
Un'espressione di sofferenza lo induce a chiudere gli occhi, stremato, solleva il bacino quasi infastidito da quell'eccitazione ormai visibile.
Allontano immediatamente lo sguardo, poi mi siedo alla mia scrivania e provo a concentrarmi sul da farsi.
«Tra poco cominciano le vacanze di natale, abbiamo le ultime verifiche. Stiamo tutti prendendo la scuola sottogamba, soprattutto tu. Per non parlare dei compiti. Abbiamo storia, scienze e matematica da recuperare.»
«Sì ma che cazzo ci fai così lontana?»
«Non mi concentro se mi stai troppo vicino.»
James in tutta risposta sogghigna.
«Finisce che poi non facciamo i compiti.» bofonchio tra me e me.
«Finisce che poi non facciamo i compiti. Ma dai, davvero?» mi prende in giro lui, incrociando entrambe le mani dietro la nuca.
Il mio sguardo torna ad approfondire la visione del suo corpo perfetto, seduto sul mio letto. Non si preoccupa nemmeno di coprire l'erezione in bella vista con il bordo della felpa, anzi, sembra proprio che voglia provocarmi con quella visione lasciva.
«Stronzo.» sbotto tornando con gli occhi sul quaderno.
«Qual è il piano... stronza?»
«Facciamo prima i compiti, poi studiamo»
James ovviamente non è affatto contento della mia risposta, forse è per questo che seguita a sbuffare ad intermittenza.
È realmente difficile ragguagliare tutte le mie attenzioni e convogliarle ai compiti, soprattutto perché lui non sta un attimo fermo. Lo vedo mordicchiare la penna, tormentarsi il ciuffo, soffiare aria tra le labbra imbronciate.
Così il tempo passa e alla fine facciamo esattamente come dico io, terminiamo i compiti, finché esausta, non controllo l'ora.
«Vuoi qualcosa?» gli chiedo a quel punto, provando a evocare la sua attenzione.
James se ne sta con la guancia schiacciata sul palmo, a fissare il libro che tiene sulle gambe.
Alla mia domanda, non solleva il capo, muove solo i suoi occhi blu che, sottili, mi perforano intensamente, facendomi sentire una preda facile.
«Lo sai già cosa voglio.» sibila inumidendosi il labbro inferiore.
«Sono le cinque. È trascorsa un'ora e non abbiamo mangiato niente» mi lamento io per evitare l'argomento scottante.
«Magari del caffè, così mi riprendo da questa noia?»
Lui prova ad istigarmi, ma io decido d'ignorare le provocazioni, mi alzo in piedi, poi lo punto attentamente.
«Se tu fossi a casa tua, James... »
Il mio tono serio induce la sua espressione a farsi altrettanto accigliata.
«Eh.»
«Cosa mangeresti ora?» domando con un guizzo di coraggio.
James, come da previsione, resta a fissarmi, impassibile.
«Non ci devi pensare, dai rispondi.» lo incalzo io.
«Ehm... Pane, fesa di tacchino e insalata.»
«Posso fartelo.»
«Cosa?» chiede distratto.
«Così, come l'hai descritto.»
Lui sembra poco convinto della mia proposta, annuisce con leggerezza, ma poco prima che io varchi la soglia, lo sento bisbigliare.
«Che pane hai?»
«Buh» mi stringo nelle spalle.
«Lascia stare, non è il caso...»
Ignoro la sua lamentela e prima di avviarmi in cucina, passo dallo studio di mia madre. Non è ancora venuta a curiosare, né a fare la sua apparizione in camera mia. Sono quasi preoccupata della cosa. La porta del suo studio è socchiusa, così vi do una sbirciata all'interno.
È seduta, sta ancora fissando la tela bianca.
Scrollo il capo dinnanzi a quella stranezza, poi vado a preparare il panino. Ovviamente non c'è ombra d'insalata o fesa di tacchino nel mio frigo.
Dopo poco torno in stanza con un piattino tra le mani, James mi squadra diffidente. Lancia il libro sul letto, poi mi fa cenno di sedermi di fianco a lui.
«C'era solo la nutella.»
Strizzo occhi impaurita. Di certo non è ciò che James voleva sentirsi dire.
Ora m'insulta.
Lui invece solleva l'angolo della bocca, abbozzando l'accenno di un sorriso.
«Vieni qui, cretina.»
Mi accomodo sul mio letto, siamo entrambi con la schiena al muro e le gambe stese sul materasso.
«Condividiamolo però»
Incredula, ma felicemente colpita, mi ritrovo ad annuire. Non mi aspettavo la sua accondiscendenza. Così divido il panino a metà poi gliene porgo una fetta. Io ovviamente non me lo faccio ripetere due volte e azzanno la mia metà nemmeno fosse l'ultimo boccone sulla faccia della terra. Così facendo però, m'impiastriccio come al mio solito.
«Aspetta. Sei sporca.» Mi prende in giro lui indicandomi il lato della bocca.
«Dove?»
James continua a ridere con due piccole fossette che mi distraggono.
«Dai. Non prendermi in giro, toglimelo con il dito.»
«Col cazzo, vieni qui»
Resto senza respiro quando si accosta al mio viso e avvolge la mia guancia con il suo palmo, interamente.
Lecca l'angolo della mia bocca ed è inevitabile schiudere le labbra e iniziare a baciarci. James mi leva il piatto della mano, poi si spinge sopra di me.
Con l'affanno provo a respingere la sua mano che s'inerpica sul mio seno, coperto dalla felpa.
«James... Dobbiamo studiare ora.»
Il mio buon senso va in frantumi all'improvviso, quando sento James premere il ginocchio proprio contro il mio centro caldo, che si serra istintivamente intorno alla sua gamba.
«Io la vedo da un'altra prospettiva...»
Il suono della sua voce è ammaliante, dolce e avvolgente, come il sapore della sua bocca, che sa di nutella.
«Quale... prospettiva?»
La sua mano s'inabissa ad esplorare le mie cosce, gli sfugge un piccolo gemito soddisfatto quando riesce a sbottonarmi i pantaloncini. Le sue dita affusolate sorpassano il tessuto del jeans, poi arcuano andando a cercare le mie mutande.
«La prospettiva per la quale...»
Mi si spezza il fiato quando i polpastrelli tiepidi spingono con dolcezza contro il cotone che protegge la mia intimità. Lui vi strofina sopra con zelo, fino a inumidire la mia carne, ormai tenera per via del calore del suo tocco.
«Io e te dobbiamo scopare, June.»
«E dai James... Studiamo prima.»
A quel punto il suo dito medio prende a scorrere su e giù, per sfiorare di proposito i miei punti più sensibili, facendomi rabbrividire di piacere.
«Sei bagnata ora però.»
Apro la bocca ma non esce un suono. A quel punto, con le guance arrossate, mi sollevo sui gomiti, a guardare James che si è appena alzato in piedi ed è diretto all'ingresso.
«Ti lascio studiare.»
Lo vedo chiudere la porta, per poi trascinarsi una mano tra i capelli con un gesto attraente e allo stesso tempo distratto.
«Ma che fai...» boccheggio quando mi accorgo che ha appena chiuso a chiave.
Il tempo di studiare è già finito, così come il tempo di andarci piano, perché James si avventa su di me con le sue mani grandi e la sua bocca pretenziosa. Mi zittisce premendola sulla mia, intanto mi abbassa i pantaloncini già slacciati, mentre io sollevo di poco i fianchi per permettergli di lasciarmi in mutande.
«James, dovrei...»
«Tu continua a studiare...»
Suadente, come il migliore degli incantatori, si stende sul letto, davanti a me, e io capisco immediatamente le sue intenzioni tutt'altro che pure. Ma il messaggio si fa più chiaro quando s'intrufola con la testa in mezzo alle mie gambe e preme la bocca calda contro la mia carne, impedendomi di udire con chiarezza cosa stia mugolando.
«Ho voglia di stare un po' tra le tue cosce e ci starò finché non finisci di studiare.»
«Co... Come?»
«Ho detto "studia". Non ti do fastidio.»
Con il libro di scienze tra le mani, mi sdraio abbandonando la schiena sul materasso, ma non riesco a concentrarmi, affatto.
James trascina a sé le mie gambe e se le avvolge entrambe intorno al collo.
«Non riesco a concentrarmi così...»
Le mie lamentele finiscono nel nulla, perché lui usa le mani ben piantate nei miei fianchi per tenermi ferma e seguita a strofinare la testa tra le mie gambe aperte. Il suo respiro tiepido sbatte proprio lì, fa vibrare il cotone e m'induce a chiudere gli occhi per abbandonarmi a quel miscuglio di sensazioni coinvolgenti ed eccitanti. Sbarro gli occhi quando avverto il calore delle sue labbra, ma a farmi fremere, è la punta della lingua, che attorciglia il bordo delle mie mutande per spostarmele a lato. Quel gesto non ha nulla di distratto, la strisciata bollente di saliva che mi lascia lì in mezzo, mi fa tremare le cosce.
Lo zelo con il quale James prova a rimuovere le mie mutande però, non è sufficiente, perché queste tornano al centro e lui la prende come una sfida: riprova a farle slittare a lato con colpi di lingua sempre più turgidi e ben assestati. Ormai senza fiato, chiudo gli occhi, in balia delle sensazioni piacevoli. Quando però James le morde con caparbietà, come se levarmele fosse la sua unica missione nella vita, per poco non perdo un battito.
«Dio mio...» Mi ritrovo a sibilare, rendendomi conto di come lì sotto, la mia carne sensibile e la sua bocca avida, ormai siano un tutt'uno.
E il gemito rauco e soddisfatto che abbandona le sue labbra, mi lusinga quasi più di quanto faccia la sua lingua, ogni volta che mi penetra con una smania lussuriosa.
Le sue dita premono dure nella mia carne dei miei fianchi, con un senso di possesso che mi toglie letteralmente il fiato.
Ma ormai il libro è cascato sul materasso e la mia testa è rovesciata sul cuscino, il labbro sotto ai denti.
«June...»
Il suo richiamo m'induce a sollevare il capo per incontrare la sua bocca rossa e umida, m'invita ad immergermi nei suoi occhi, fulgidi come due zaffiri che scintillano tra le mie cosce.
«Fatti scopare.»
Ed è con quella bocca che James torna a risucchiare il mio collo, poi le mie labbra, ormai gonfie e sensibili al suo bacio. Ci perdiamo in quel gioco di lingue sempre più frenetico, mentre avverto il piacere crescermi dentro, veloce e intenso, soprattutto quando lui torna a deliziare il mio centro pulsante, con la sua lingua che, da dolce e soffice, si fa sempre più dura ed esigente.
«James...»
Ma lui è troppo concentrato per darmi ascolto, vortica la lingua con zelo, lo fa sul mio clitoride, il punto più sensibile, leccando via ogni mio umore con aria soddisfatta. Sento le gambe cedere, l'orgasmo diventare necessario, proprio mentre resto ad ammirare la sua eccitazione farsi così spessa da spingere sotto i pantaloni della tuta, creandomi un vortice caldo nello stomaco.
«Era questo il tuo piano sin dall'inizio.» ansimo senza respiro.
Il mio corpo comincia a muoversi con una volontà propria, spingo i fianchi in avanti, mentre dentro di me ogni muscolo brucia di lussuria. Vengo continuamente provocata dalla sua lingua che, instancabile, seguita a lusingare le mie carni pulsanti e prossime a esplodere.
«Può darsi...»
James sogghigna dal basso, crudele come un diavolo, poi sferra un'ultima stoccata di lingua calda, mentre io inizio a contrarmi, perdendo il controllo del mio corpo.
Nel mio cervello scoppia una combustione di sensazioni sconvolgenti, un incendio che culmina nel momento in cui incontro i suoi occhi bramosi.
La sua bocca avvolge tutta la mia zona palpitante, completamente, facendola esplodere in un orgasmo così intenso da portare ogni parte del mio corpo a tremare di piacere. Resto paralizzata per via di tutta quella chimica totalizzante, mentre James si solleva, le ginocchia piantate nel materasso e le labbra sanguigne e tumide.
«Stai bene?»
Si abbassa i pantaloni, rivelando i boxer aderenti. Ha l'aria di essere estremamente eccitato.
«James, c'è mia madre... Facciamo troppo casino.» borbotto sottovoce quando si posiziona sopra di me, facendo aderire i boxer tesi a causa dell'erezione, già pronta a spingere contro le mie mutande bagnate
«Io faccio casino, semmai. Di certo non tu.» ribatte lui leccandosi il labbro inferiore.
La sua affermazione però, mi causa un cipiglio.
«Che vuoi dire?» m'irrigidisco.
«Niente, non volevo dire...»
Mi copro subito i fianchi con i pantaloncini.
«Cosa vorresti dire?»
«Beh sei silenziosa... Che ho detto di male?»
«E quindi?»
«Non in senso negativo, era solo una constatazione. Mi vai bene in qualsiasi modo.»
«Sembra un giudizio... non lo è, vero?» chiedo impaurita, forse troppo inesperta per capire come funzionano queste cose.
«No, certo che non lo è, June.»
«Le ragazze a cui sei abituato urlano come galline scuoiate?»
«Non... No»
James scoppia a ridere, poi però è costretto a sdraiarsi sul fianco perché io mi sto rimettendo i pantaloncini.
«Perché ti rivesti? Non volevo dire...»
Ma in quel momento qualcuno bussa alla porta. Qualcuno ora sì che sta urlando.
E non in quel senso
«Cazzo»
James diventa Mr. velocità nel sollevarsi i pantaloni. Compie un gesto rapido, poi si siede sul letto, sotterrandosi con i libri.
Io provo a darmi una sistemata, riposiziono la felpa sui fianchi e do una passata di dita per districare i miei capelli scompigliati. A quel punto cerco lo sguardo di James.
«Ehm... Ho la faccia di una che stava studiando, vero?»
James solleva l'angolo della bocca, che si modella in un ghigno sfacciato e adorabile.
«Hai la faccia di una che è stata appena sbattuta per bene, Biancaneve.»
Mi porto l'indice alle labbra, intimandogli di starsene zitto, infine apro la porta.
«Perché era chiusa a chiave?»
«Scusa mamma.»
Ma lei non mi guarda nemmeno, ha occhi solo per James e lo sta puntando in cagnesco.
«Sono quasi le sei, fila a casa. Avete un secondo per salutarvi.»
«Io ho gli allenamenti. Ora vado.» bofonchia James innervosito, senza però alzarsi dalla posizione che vede il suo basso addome nascosto da pile di libri, strategicamente posizionati.
A quel punto mia madre abbandona la camera e io tiro un sospiro di sollievo.
«Un secondo!» strilla isterica, scendendo le scale.
«Ci vediamo alla festa, allora.»
Mi rivolgo a James che allarga le spalle, poi si alza in piedi e mi sovrasta con tutta la sua altezza.
«Sei testarda, cazzo.»
Abbassa il capo per raggiungere le mie labbra e le plasma con un dolce bacio che induce entrambi a chiudere gli occhi all'unisono.
«Verrò da Brian, che tu lo voglia o no, James»
Nell'udire le mie parole si massaggia la mandibola, impensierito, poi prende a giocherellare con la punta dell'indice, lo spinge sul sul bottone dei miei pantaloncini, facendolo ruotare.
«Va bene... Ma starai con me.» asserisce prima di voltarmi le spalle.
Lo vedo sparire oltre la porta, mentre io mi reggo in piedi poggiando la mano allo stipite, con le gambe flaccide e incapaci di sorreggermi.
«Stasera June esce.» sento dire dal piano inferiore.
Incuriosita esco in corridoio e mi accascio al corrimano per sbirciare di sotto. Vedo James sostare in soggiorno, sta parlando con mia madre.
«Dove andrebbe andare? Sentiamo.» ribatte lei.
«Ad una festa, vuoi venire?»
«Puoi smetterla di provarci con mia madre?» sbotto dall'alto, con tono chiaramente ironico.
«Non ci sto provando con April, sono solo gentile. Molto gentile.»
James si appresta alla porta d'ingresso, poi solleva il mento nella mia direzione.
«E tu ...»
Mi lancia un'occhiata che mi fa sciogliere le ginocchia, poi si lecca le labbra lucide con dovizia, puntandomi dritta negli occhi.
«Dovresti saperlo.»
BLAZE
Scorgo Jackson attraverso la rete del campo da football. È tardo pomeriggio, si sta allenando insieme ai suoi compagni e come ogni volta che lo vedo, penso sia un miraggio, è troppo perfetto persino per essere reale.
Il più alto. Il più bello. Il più biondo. Attira l'attenzione senza nemmeno volerlo.
Lo vedo sorridere alla battuta di un suo compagno e all'improvviso il mio stomaco si fa di gelatina.
Sono obbligato a distogliere lo sguardo perché il suo sorriso ha un effetto totalizzante su di me, mi sento esplodere il petto ogni volta che suoi occhi azzurri si restringono e le sue labbra si curvano rivelando quei denti perfetti.
Quanto ci metterà uno così a trovare qualcuno meglio di me?
Brian è il primo ad accorgersi della mia presenza sul campo, perciò interrompe il riscaldamento e si avvicina alla rete.
«Stasera vieni?» domanda il moro, accennando una corsetta nella mia direzione.
«Non lo so...»
A quel punto però, alle sue spalle si staglia la sagoma enorme di Jackson che gli fa subito un cenno, quello di farsi da parte.
«Blaze non è qui per te.» s'intromette il biondo.
Brian accenna una smorfia di supponenza, arriccia il labbro e prima ancora di ritornare dai suoi compagni, mi rivolge un'occhiata preoccupata.
Tutte le mie attenzioni però, vengono presto calamitate da Jackson.
«Ciao»
«Sei venuto.» asserisce lui agganciando due dita alla rete.
Tento di mantenere gli occhi nei suoi, nonostante io sappia quanto sia difficile sostenere il suo sguardo freddo.
«Sì. Volevo dirti che le chiavi della casa al lago sono di nuovo al loro posto. Non lo so... Non ho notato nessun movimento strano. Inizio a pensare che le avesse prese mio padre.»
Il suo sopracciglio chiaro ha un sussulto, si solleva appena, accompagnato dal piercing che lo trafora.
Aggancio indice e medio alla rete, i nostri polpastrelli si sfiorano distratti.
E io avverto uno strano turbinio bollente nello stomaco.
«Manca tanto alla fine degli allenamenti?» domando per allentare quella sensazione di vertigini che si crea dentro di me, ogni volta che siamo vicini.
«Più di mezzora...» ribatte lui facendo oscillare il piercing sotto alla pressione della lingua.
C'è una rete a separare i nostri corpi, ma i miei occhi consumano quelle labbra gonfie con tale avidità che se ne accorge anche lui.
Lo vedo farmi un cenno con il capo, volgendosi gli spogliatoi.
«Ma non manca mezz'ora?» mi acciglio.
«Appunto. Andiamo, il coach è distratto»
Seguo Jackson che afferra qualcosa dalla grata che compone le scalinate del campo.
«Cos'hai preso?» domando nel vederlo nascondere la mano nella tasca dei pantaloncini sportivi.
«Vuoi mica andare nello spogliatoio comune?» biascica lui mentre ci allontaniamo a passo svelto dal campo.
«Che intenzioni hai, Jax?»
«Non buone. Tu?»
Superiamo gli spalti, ma basta girare l'angolo per ritrovarci lontano da tutti ed è allora che le nostre labbra s'incollano bramose.
«Verrai stasera?» chiede lui cingendomi il fianco.
«Sì...» sussurro prima di rispondere al suo bacio passionale.
Avviluppo il metallo con la punta della lingua, Jackson si lascia andare ad un ansito di piacere quando tiro il piercing tra i miei denti, risucchiandolo.
«Vieni»
Il biondo apre la porta di un casottino e mi fa strada nello spogliatoio del coach.
Seguitiamo a baciarci incuranti del luogo in cui siamo e della posizione in cui ci troviamo. Jackson si accomoda su una panchina e io a cavalcioni sopra di lui.
«Se ci beccano finisce male...» sussurra facendomi cenno di sedermi sul suo ginocchio.
La fronte imperlata e i capelli scombinati, suggeriscono che Jackson sia leggermente sudato. La cosa però non mi disturba affatto, forse perché emana sempre il suo buon profumo di pulito, unito a un'intensa fragranza maschile, eccitante per tutti i miei cinque sensi. I nostri respiri affannati si mescolano mentre seguitiamo a baciarci con passione. Lui mi tiene stretto dai fianchi, io allaccio le braccia intorno al suo collo, senza però sapere bene come proseguire.
«Non... Non ho...»
Lo sento boccheggiare mentre la sua eccitazione premuta sulle mie cosce, è già marmorea.
«Cosa non hai Jax?»
Il lato del mio labbro resta impigliato nella sua bocca, fatichiamo a separarci.
«Il preservativo. Non è che vado ad allenarmi con...»
«Non importa» sibilo tornando a baciarlo, lui però mi blocca con una mano sul petto.
«Blaze. Importa invece» s'impunta con voce dura, quasi contrariata.
«Scusa, non volevo dire che non dobbiamo usarlo o... Voglio dire... Mi va bene anche se non facciamo niente e...»
Porca miseria, sto rovinando tutto.
Ho il terrore di fare un passo falso e tornare a come eravamo prima. Ed è questa paura a farmi dire cazzate.
«Possiamo comunque...»
Questa volta sono io a non lasciarlo parlare, lo bacio ancora, in preda ad una voglia incontrollabile.
Jackson si lascia andare ad un mugolio roco quando lo aiuto a sfilare la t-shirt che, un po' umida, slitta via a fatica. Quel gesto, oltre a concedermi di ammirare le sue spalle larghe e atletiche, rivela il suo torace scolpito, che sfioro con le punta delle dita.
È molto accaldato e la cosa mi eccita.
«Blaze, dovrei... Devo fare una doccia prima.» ansima a denti stretti.
Io mi avvicino sfiorandogli la gola con la punta del naso, lui invece sospira, lanciando la testa indietro. Esibisce il suo collo liscio ed invitante che prendo a baciare con lussuria.
La definizione di perfezione, proprio sotto di me. I suoi capezzoli s'induriscono e la sua pelle viene percorsa di brividi ad ogni mia passata di lingua, ma quando mi afferra la mano e se la porta tra le cosce, sono io a ritrovarmi senza fiato.
«Dormi da me dopo la festa?» domando mordicchiandogli la pelle sensibile.
Lui annuisce, poi allarga le gambe in un gesto del tutto dominante e mascolino. A quel punto capisco che i baci sul collo non gli bastano più. Pianto entrambe le mani sulle sue cosce muscolose, poi scivolo sul pavimento. Jackson si lascia calare i pantaloncini ai quali mi aggrappo con entrambe le mani, li spingo verso il basso, fino a farli cadere alle sue cavigilie.
«O cazzo, sì...»
Lo sento sospirare con lascivia mentre le pareti della mia bocca si riempiono della sua virilità prorompente. Con le mani modello il suo torace prestante, lasciando che le mie dita godano di ogni forma, di ogni dettaglio disegnato.
«Senti stavo pensando...Tu non vedi nessun altro vero?»
«Ti sembrerà momento?» gli chiedo dal basso.
«Voglio saperlo.»
«No... a meno che tu non veda qualcun altro.»
«No, io sto con te.» sussurra Jackson, rilasciando un piccolo gemito di piacere quando la sua erezione spessa e turgida, prende a scivolare dentro e fuori dalle mie labbra bagnate.
Quel gioco dura per una decina di minuti, mi godo la melodia del suo respiro che seguita ad accelerare sempre di più, ma non abbiamo molto tempo.
«Blaze...»
Lo sento immobilizzarsi, tutti i muscoli del suo corpo si protendono verso di me, inarca la schiena e affonda una mano tra i miei capelli, obbligandomi a sollevare il mento per accoglierlo a fondo.
«Apri la bocca. Fallo per me» lo sento ansimare a fatica, preso com'è dal mordersi il labbro turgido.
Fiotti caldi mi contornano le labbra, la lingua e il viso, mentre Jackson si abbandona completamente alla lussuria di quel momento. Serra le palpebre risucchiando il labbro inferiore sotto ai denti. Uno spettacolo perfetto per i miei occhi smaniosi.
Mi ripulisco il mento con il dorso della mano, poi mi alzo in piedi e sfilo dei fazzoletti da una confezione di Kleenex che trovo nel bagno, accanto al kit del pronto soccorso.
«Senti Blaze... Devo essere onesto con te» lo sento mugolare sollevandosi i boxer.
Una morsa di paura mi paralizza.
«Cosa succede?» domando con un pizzico d'ansia.
Tra noi, il dopo non è mai stato piacevole, più volte mi sono ritrovato a scappare via da queste situazioni con gli occhi lucidi e il solo pensiero che possa riaccadere, mi fa tremare.
«Mi dispiace dover dubitare di tuo padre, ma...»
Lo fisso con la fronte corrugata e un'espressione indefinita sul viso.
«Non lo conosci nemmeno, Jax»
«Non è lui il problema, ma le sue amicizie.»
«No, no. Aspetta un attimo. Dimmi di più» insisto mentre lui indossa la t-shirt e si risistema i pantaloncini.
«James mi uccide se sa che te lo dico.»
«Tu mi stai dicendo che mio padre aveva rapporti con lui? Con Hood?»
«Credevamo fossero solo rapporti di lavoro, ma forse... Forse non è solo questo..»
«O mio Dio. Questa è un'insinuazione grossa Jax.» sputo risentito.
«Non vuol dire niente. Magari tuo padre l'ha aiutato senza sapere quali fossero le sue reali intenzioni. Voleva solo comportarsi da buon amico, ma...»
«Le chiavi ti servivano per andare a curiosare nel suo ufficio vero?»
L'espressione colpevole sul volto del biondo parla chiaro.
«Mi dispiace Blaze, non potevo fare altrimenti.»
«No a me dispiace che tu non ti fidi di mio padre.»
Chiudo gli occhi e mi poso una mano sul petto, come a voler fermare il battito impazzito del mio cuore. Troppe emozioni, mi sento annientato.
«James pensa che mio padre c'entri con quella storia? Lo pensa davvero?» erompo a gran voce.
Jackson si abbandona con la schiena contro la panchina, ha gli occhi lievemente socchiusi e le membra morbide, segno che stia ancora in preda all'estasi di poco fa.
«Lo sospetta. Non abbiamo prove contro tuo padre, ma è a stretto contatto con l'associazione che finanzia le borse di studio.»
«Grazie al cazzo, è il preside Jax.»
«Sì ma vi fanno parte persone molto vicine a Hood... Persone di cui non c'è da fidarsi. C'è troppa gente di mezzo, troppe connessioni»
Smetto di starlo a sentire e mi dirigo alla porta, per la prima volta sono io ad essere infastidito e ad andarmene.
«Ma dove vai?» domanda Jackson a quel punto.
«Non lo so, tanto ci vediamo stasera, no?» taglio corto, ancora urtato dalle sue parole.
Sono così abituato a non ricevere nulla da parte sua, che pensavo avessimo già finito.
«Sì, ma... Resta ancora un po' qui.»
Lo mormora sottovoce, provocandomi dei lunghi brividi lungo le braccia.
«Non devi dire così solo per farmi contento.» Scrollo il capo con le iridi piantate al pavimento..
«Non lo dico per farti contento, Blaze. Solo... Resta ancora un po' con me.»
Mi si spezza il respiro nell'udire la voce di Jackson, solitamente grossa e trattenuta, lasciarsi andare a quella richiesta così vulnerabile. Così torno su di lui, mi sorreggo con entrambe le mani a quelle spalle marmoree, poi mi chino sul suo viso.
Jackson sembra confuso, sopraffatto. Ha i capelli scombinati e le guance calde, reduce com'è, da una forte emozione.
«Blaze, non mi sono mai sentito così...»
Le sue labbra ampie e carnose mi soggiogano con quella confessione a cuore aperto.
«Così come?»
«Così debole.»
Le nostre bocche collimano in quell'istante, ci stiamo per baciare quando sentiamo dei passi avvicinarsi.
«Cazzo, sarà il coach.» sputo spaventato.
Jackson impallidisce sbarrando gli occhi.
«No, Blaze. Non può trovarci, se ci trova qui, insieme...»
«Sta calmo. Lo mando via io.»
Gli carezzo la mascella per tranquillizzarlo e improvvisamente il mio stomaco va in subbuglio. Non mi sono mai sentito così nemmeno io. E non è debolezza... è che ti amo.
«Come fai? Ho lasciato le chiavi attaccate fuori.» lo sento allarmarsi, mentre io mi affretto alla porta, prima che qualcuno possa aprirla.
«Cosa cazzo ci fai qui Blaze Manor?» esclama l'allenatore nel vedermi uscire dal suo casottino.
«Stavo... Mi stavo nascondendo.»
Chiudo la porta alle mie spalle, intanto l'uomo aggrotta entrambe le sopracciglia, che si uniscono in un'unica linea severa.
«Nel mio spogliatoio?»
«Lo faccio spesso. I tuoi ragazzi mi stavano prendendo in giro.»
Indico con un cenno del capo i miei compagni di classe, che si allenano non molto distanti. Come non molto distante è questa piccola bugia dalla cruda realtà. Mi prendono in giro da sempre, solo che io andavo a nascondermi nel sottoscala, finché un giorno uno dei ragazzi più popolari della scuola non mi ha visto rannicchiato, immerso nelle mie stesse lacrime.
«Chi ti ha dato le chiavi per entrare?» abbozza lui.
«Le ho rubate.»
«Porca miseria, sei inquietante. Chiudi quella dannata porta e vieni con me. Non la passi liscia Blaze, parlerò con tuo padre.»
Fingo di dare un giro di chiave alla porcina in legno degli spogliatoi, poi lancio il mazzo al coach.
Lui mi scorta al tavolo allestito a bordo campo, lì ci tiene il registro e alcune bottigliette d'acqua. Ed è proprio lì che qualcosa salta alla mia attenzione. Celato dalla pila di asciugamani e bottiglie in plastica, noto un anello di metallo che unisce diversi paia di chiavi. Una di queste però, ha qualcosa di familiare. Raffigura un simbolino verde, sembra un piccolo diamante color smeraldo.
«E queste? Cosa sono?» domando al coach che mi squadra in cagnesco.
«Fatti gli affari tuoi, ti sei appena meritato due giri di campo.»
JAMES
Arrivo a casa Hood verso le dieci di sera. Prima gli allenamenti, poi una lunga doccia fredda e ora... eccomi qui. June è già in salotto, con le sue cosce accavallate sul bracciolo del divano e un sorrisetto furbo stampato in viso, mentre parla con Poppy e... Tendo il collo il più possibile per vedere chi sia l'altra persona.
Brian.
Afferro una bottiglia di birra dalle mani di Connell che ci sta provando con l'ennesima malcapitata di turno e la trangugio alla velocità della luce, quando una sagoma snella mi si accosta.
Vedo un braccio magro sollevarsi per aria. Con la mano indica il soffitto, come a voler disegnare una traiettoria immaginaria nella quale scolpire le sue stesse parole.
«"La gelosia immotivata è sinonimo d'insicurezza." Taylor Heart.»
«È una tua citazione?»
«Sì, ti piace Jamie? Troppo banale per rivendicarne la paternità?»
«Da quando parli per slogan?»
«Da quando la mia migliore amica è malata un giorno sì e l'altro pure. Da quando non ho uno straccio di ragazzo e mi rimane solamente il corso di scrittura da frequentare. Quindi ho pensato, perché non affibbiare una bella citazione ad ognuno di voi?»
«Che cosa patetica» mi lamento masticando il filtro della sigaretta, senza scollare gli occhi da June nemmeno per un secondo.
«Quindi perfetta per voi.» sibila lei, scrollando il caschetto biondo che solletica le spalle avvolte da un maglioncino bianco, sopra ad una gonna in pelle nera. È una stronza, ma di sicuro ha buon gusto in fatto di vestiti.
«Sta zitta, Taylor.»
«Stanno solo parlando, a Brian non frega niente di June. Credo.»
«E tu come lo sai?»
«Beh, considerando che avevo solo due obiettivi extracurricolari quest'anno e lei me li ha portati via entrambi... Mi sono informata a riguardo.»
«Quali obiettivi?»
«Parlo di cheerleading e recita di fine anno. Ora però, quei due stanno parlando della recita. Non hai nulla di cui preoccuparti. A parte di un innocente bacio a stampo dato davanti a tutti.»
«Quale bacio? Cosa cazzo dici?» mi altero stringendo i pugni lungo i fianchi.
«Hai presente quello sfigato di Romeo che eri? Ecco, ora Brian ricopre il tuo ruolo. Hai presente quella divinità di Giulietta che ero? Ecco, ora la tua fidanzatina con la lingua lingua interpreterà Giulietta. Ed è proprio con quella lingua lunga che bacerà... Indovina un po'? Sei intelligente, ci puoi arrivare da solo.»
Il pavimento inizia a vacillare sotto ai piedi.
O cazzo
Prendo un lungo respiro. La recita sarà dopo natale, ho tutto il tempo per pensarci. Ora dobbiamo risolvere un'altra situazione. Vedo June e Poppy andare insieme al bagno, quindi mi decido ad avvicinarmi allo stronzo.
«Dove cazzo è tua sorella?» sbuffo accendendomi una sigaretta davanti al naso di Brian, che mi lancia occhiate d'odio senza nemmeno nasconderle.
«Non fumare in casa mia»
«Quando ti leverai dal cazzo e la smetterai di starle addosso» sbotto fronteggiandolo senza paura.
«Levati quella sigaretta dalla bocca Hunter. È casa mia e queste sono le mie regole.»
«Mi scoperò la mia ragazza. Nel tuo letto. Anche questo va contro le tue regole?»
Sembro un decerebrato infantile, in realtà solo voglio lui capisca che deve stare lontano da ciò che non gli appartiene.
«Provaci, dai. Tu...» Brian però si ferma per riflettere sulle mie parole. «Aspetta, tu e June state insieme?»
«Cos'è? Eri l'unico coglione a non averlo capito?»
Lui però assottiglia i suoi occhi duri.
«Spero che tu ti dia una calmata prima della recita di fine anno.» esala subdolo come un serpente velenoso.
«Perché?»
«Te l'ha detto Taylor, Romeo e Giulietta si baciano.»
«Mi baci il cazzo prima di toccarla. Hai capito?»
«Non è mica volere mio.» M'istiga lui ad occhi stretti.
«Che sta succedendo qui? James, sei arrivato ora?»
June torna dal bagno in quell'esatto momento. Con un gesto intimo e delicato mi sfiora il fianco e io tento di non perdere la concentrazione.
«Niente. Brian ha detto che non vuole fare un altro giretto in ospedale, quindi si sta levando dal cazzo in questo preciso istante.»
«È casa mia, testa di cazzo.» biascica il moro, andandosene via con Poppy.
Con le braccia rigide lungo i fianchi e la mascella dura come l'acciaio, seguo i suo movimenti farsi più lontani, intanto June prova a farmi ragionare.
«Certo che sei proprio cretino. Che gli hai detto?»
Provo a non farmi distrarre dagli shorts che mettono in risalto le sue gambe sode e dalla maglietta bianca che comprime il suo seno prosperoso. Sono ancora su di giri per il pomeriggio passato tra le sue gambe, ho un fottuto bisogno di calmarmi, ma se ci si mette anche quello stronzo di Brian a farmi incazzare, qui la serata non finirà affatto bene.
«Mi scuso in anticipo per i miei occhi.»
«Guardami le tette e ti arriva un pugno.» sorride lei.
«Stiamo insieme, posso farlo.»
«Stiamo insieme. Te ne arrivano due di pugni, allora»
Scoppio a ridere e prima di lasciare che le nostre labbra si uniscano, decidiamo di uscire fuori, in modo da trovare un po' di privacy. Sotto la tettoia del portico finisco la mia sigaretta, poi tiro fuori dalle tasche l'occorrente per girarmene un'altra.
June si appoggia alla ringhiera e mi guarda.
«Allora?»
«Cosa?» Fingo indifferenza mentre lei si è già calata nei suoi panni preferiti.
«Come cosa? James stai battendo la fiacca? Devi dirmi a che punto stiamo!»
Ma guarda come le piace investigare...
«Non lo so..»
«Dov'è Jackson?»
«Non lo so. Si starà...»
June a quel punto solleva entrambe le mani, bloccandomi e facendomi cenno di non proferire volgarità.
«Si starà tenendo per mano con Blaze.»
«Chiamalo. Dobbiamo sapere delle chiavi della casa al lago. Hood le ha restituite o no?»
Questa volta la ragazzina ha ragione, finora ho pensando alle cazzate e non alle cose importanti.
Avvio la chiamata in viva voce, poi le lascio tra le mani il nuovo telefono che sono riuscito a recuperare nel pomeriggio, intanto sbriciolo il tabacco nella cartina, sfregando i polpastrelli tra loro in un gesto meccanico, mentre il mio sguardo agitato non ne vuole sapere di starsene fermo.
Con gli occhi divoro quei vestiti che le avvolgono il corpo. Glieli strapperei a morsi, ma lei non mi dà nemmeno nemmeno un bacio. Scrollo il capo, contrariato a quel pensiero, nel frattempo attendiamo che Jax risponda.
«James, dai, finiscila»
Lei si accorge delle mie occhiate tutt'altro che velate, ma non posso farci nulla. La voglio, maledizione.
Prendo quindi a fissarle le labbra con insistenza, finché June non si porta una ciocca dietro all'orecchio, con fare imbarazzato.
«E dimmi, Biancaneve...»
Lecco la cartina con una passata ruvida, spingendo il mio sguardo nel suo con violenza.
«Se non ci fosse tutto questo casino, io e te...»
Lei si morde il labbro. «Cosa?»
«Avremmo già...»
«Cristo, James. Cosa c'è?»
Jackson risponde di soprassalto, interrompendo la piega viziosa che stava prendendo la nostra conversazione.
Scoppio a ridere. «Senti com'è affannato. State proprio correndo mano nella mano, immagino»
«Ma che cazzo dici, mi hai fatto prendere un colpo! È successo qualcosa?»
«No ma bisogno di alcune risposte dal tuo fidanzatino.»
«Dimmi.»
Il fatto che Jackson non abbia obiettato dinnanzi all mia provocazione mi fa serrare le labbra.
«Le chiavi della casa al lago sono tornate?» s'intromette lei.
Perché non ha obiettato?
«Blaze ha detto di sì, erano a casa sua questa mattina.»
«E quando te l'ha detto? Oggi, quando siete sgattaiolati via durante gli allenamenti?»
«Dacci un taglio, James.» sentiamo dire a Blaze in lontananza.
«Non ti sfugge niente, eh» ridacchia Jackson.
«E se non fosse stato Hood, ma il preside rimetterla a posto?» ipotizzo io, mentre June annuisce, mia complice.
«Perché dici questo?»
Jackson s'irrigidisce davanti a quell'eventualità. Non vuole che io accusi il preside, non ho motivo di farlo, ma è pur sempre una possibilità.
«Perché quei due si parlano. Non c'era nulla nel deposito, solo dei test attitudinali.»
«Potrebbe averli tolto di proposito.» sussurra June con un filo di voce.
Esatto, cazzo
«Blaze abbiamo bisogno che tu parli con tuo padre. Devi domandargli se è stato alla casa al lago ultimamente. Sii discreto.»
Aspiro una lunga boccata dalla sigaretta appena fatta mentre infilo due dita tra i passanti dei pantaloncini di June e l'attiro a me.
«Uhm e ho bisogno che tu faccia un'altra cosa, Blaze. Ci sei?»
«Certo sono qui.» lo sento bisbigliare sottovoce.
«Devi capire chi ha accesso all'ufficio di tuo padre, oltre a lui.»
«Okay, posso chiedere...»
«Può darsi ne abbia data una copia al vicepreside o agli altri prof?»
June si perde a congetturare mentre io le consumo le labbra a furia di occhiate insistenti.
«Altri prof? Credo di sì» La risposta di Blaze mi riporta alla realtà.
«Quali altri prof?» insisto duro.
«Le chiavi dell'ufficio le ha anche il prof Beckett, perché quando mio padre è stato aggredito da... qualcuno...»
Sento Jackson schiarirsi la voce.
«Continua, Blaze. Che cazzo, ti devo cavare la parole di bocca?» mi spazientisco.
«James!» Sento la voce di Jackson farsi più grave. «Chiedigli scusa.»
June sta annuendo, dando ragione al biondo.
«Fottiti Jax.» sputo nervoso, logorando la sigaretta di boccate sempre più avide.
«Scusami Blaze. Ora apri quella fottuta bocca e parla.»
«Mio padre le ha date a lui. Le ha date a Beckett nel periodo in cui è stato in mutua, a seguito dell'aggressione e poi...»
«Cosa?»
«Una volta stavo aspettando per andare dallo psicol... Ops.»
«Blaze non è un problema. Non ce ne frega un cazzo. Ti fai sbattere dal mio migliore amico, se vai a farti strizzare il cervello da uno sconosciuto, non mi cambia la vita.»
June si posa una mano sulla fronte, poi sussurra «Più delicato, grazie»
«Comunque ero lì, in corridoio. Stavo aspettando mio padre e mi ricordo che dal suo ufficio è uscito Beckett e ha chiuso la porta chiave.»
«Quindi Beckett ha le chiavi dell'ufficio di tuo padre?»
Blaze conferma, causando in June uno sguardo sbigottito.
«Porca puttana.»
«Tutto torna lì.» sibila June con un filo di voce.
«Voi due venite alla festa?» chiedo prima di riattaccare.
«No.»
È secco Jackson nel pronunciare quel diniego.
«Oh...»
E la mia espressione di stupore esce un po' troppo stizzita. Devo ancora abituarmi a questa nuova realtà e il fatto che Jackson mi abbia tenuto nascosto una cosa così importante, per così a lungo, brucia ancora.
«Non essere geloso. Io non lo sono di June.» mi canzona il mio migliore amico.
«No, ho visto. Siete amichetti ora.» li prendo in giro causando un sorriso sul volto della bionda.
«Se hai bisogno chiama, James.» dice lui prima di chiudere.
«Anche tu, Jax.»
Termino la sigaretta giusto in tempo, perché June mi trascina in salotto dove troviamo anche tutti gli altri.
«Andiamo, dobbiamo mettere in atto un piano.»
Ho June a fianco e Brian, Will, Taylor e Poppy davanti.
«Innanzitutto, dove cazzo è Tiffany?»
«Non stava bene, muoviti» m'incalza la sua migliore amica, senza un minimo di tatto.
«E Marvin?»
Poppy solleva le spalle.
«Questa sera ho bisogno di uno di voi, in ogni stanza. Dobbiamo beccarlo prima che Amelia lo veda.»
«Chi si occupa di Amelia?» domanda Brian con un po' di affanno. «Perché è lì con le sue compagne di cheerleading e con me non ci vuole parlare.»
Tutti si voltano verso Will che sta ad accarezzare il gatto spaparanzato sul bracciolo del divano.
«State scherzando, vero? Io?»
«Per la più stronza, il più pazzo.» sogghigna Taylor.
«Fino a prova contraria, allora parli di te» la rimbecca lui, offeso.
«Io e te Cooper? Nemmeno nelle fantasie più malate.» ridacchia Taylor.
«Hai baciato Brian però» si difende William causando scompiglio generale.
Sono bastate due parole e cazzo, Will ha già scatenato il putiferio.
«Cosa è successo?»
Amelia, forse attratta dal chiacchiericcio, si precipita da noi.
«Niente, non è successo niente.» minimizza Brian, tranquillizzando la sorella.
«Will però deve chiederti una cosa» ne approfitta Taylor a quel punto.
«Cosa devi chiedermi, Will?»
Amelia è confusa. Ha il viso più scavato del solito e due occhiaie profonde. June la fissa con aria sottile. Non corre buon sangue tra loro.
Compio un cenno a Will e lui in quell'istante capisce che deve portarsi via la mora.
«Mi raccomando...»
Brian gli rivolge un'occhiataccia nel vederlo andare via con sua sorella.
WILLIAM
Dopo quello che è successo con Ari, vorrei non avere più a che fare col genere femminile. Almeno per un po'. Vorrei essere come James, vorrei voltare pagina, magari dedicandomi al mio stesso sesso.
Ma quando Amelia mi guarda con i suoi occhi sofferenti, so già cosa accadrà. Perché accade sempre. Ho conosciuto June e ho provato a trasformarmi nel ragazzo modello. Sono stato con Ari e tutto ciò che desideravo, era essere perfetto per lei, diventare quel ragazzo sconsiderato ed eccessivo che lei voleva al suo fianco.
Se Amelia quindi mi dà un'occhiata di troppo, diventerò il ragazzo paziente e protettivo che farebbe qualsiasi cosa per lei. Ma la colpa non è loro. È mia. Io sono tutte queste persone. E saperlo non mi fa dormire la notte.
Non so nemmeno più chi sono.
Entriamo in camera sua e io comincio con la mia recita.
«Devo parlarti di Ari.» borbotto controvoglia, troppo controvoglia e Amelia si accorge che sto mentendo.
«Che c'è realmente?» chiede sedendosi sul letto.
Do una scrollata di spalle.
«Sentite non sono stupida, ho capito che state tramando qualcosa»
«No, non è vero. Vogliamo solo proteggerti, Amelia»
Oh no. Ho già cominciato
Lei però mi colpisce in pieno con una verità inaspettata.
«Tutti mi odiano, Will.»
Le sue parole dure serpeggiano fino al mio orecchio, mordendomi il cervello.
Tutti mi odiano.
Resto a corto di fiato, immobile. In piedi. A fissarla.
«Ti capisco.»
È vero, tutti mi odiano.
«No, non è la stessa cosa. Tu sei William, il pazzo. La gente non odia te. Ma le cazzate che fai quando ti trovi in quei momenti. Alla fine ti giustificano. Tutto quello che faccio io non è giustificabile. Non ho una malattia a farmi da scudo.»
La ferocia con la quale Amelia mi sbatte in faccia le cose, fa male.
Deglutisco un boccone acido e indigesto. Lei si porta entrambe le mani tra i capelli sciolti.
«Scusa non volevo offenderti...»
«Mai nessuno mi parla in modo diretto. Nessuno.»
Lei a quel punto solleva le iridi color smeraldo, abbagliandomi con uno sguardo felino.
«Nemmeno Jax e James?»
«No. Hanno sempre paura di ferirmi. L'unica persona con cui potevo essere sincero era lo psichiatra.»
Sto realmente dicendo tutte queste cose mentre me ne sto fermo, in piedi, nel bel mezzo della camera di Amelia?
Decido quindi di sedermi accanto a lei.
«Posso?»
«Ormai ti ci sei seduto. Ma quindi non ci vai più?»
«No. Non ci voglio piu andare»
«Oh.»
«Mi fidavo di lui. Mi faceva stare bene parlare con lui. Finché un giorno... Ho sentito cosa diceva a mia madre, a fine seduta.»
«Cosa diceva?»
«Tutto quello che gli raccontavo in confidenza, gli serviva per analizzarmi come un topo da laboratorio. E lei stava lì, in trepidante attesa di un verdetto, di un nome al quale attaccarsi per assicurarsi io fossi vittima di una malattia e non il risultato del loro fallimento come genitori.»
Vedo Amelia portarsi la mano sulle labbra struccate, pulite come il suo viso. È raro vederla così al naturale. Sembra stanca.
«Mi dispiace.» sussurra sottovoce. «Qual è la diagnosi precisa?»
«Non esiste una verità assoluta. Quest'ultimo psichiatra ha delineato quello che risulta essere un disturbo grave. Bipolare con tratti della personalità borderline. Mia madre sì che era felice. Più ero pazzo io, più lei era una brava mamma.»
«Devo essere sincera, Will. Sono contenta che tu e Ari vi siate lasciati. Lei non è tipa da riuscire a gestire tutto questo.»
«Volevo ammazzarmi»
Amelia resta sbalordita, a bocca aperta.
«Fortuna che quel coglione di tuo padre ha rapito James. E io ho sentito di poter essere utile a qualcosa».
«Non dici sul serio, vero?»
A quel punto mi acciglio, non capisco come mai Amelia appaia così tanto preoccupata.
«Perché dovrei scherzare su una cosa del genere?»
«Lo hai detto a James?» sussurra lei abbassando gli occhi.
«No. Farei la figura del debole.»
«Sei stato con Ari per sole due settimane, Will. Come puoi...»
Eccola che prova a farmi ragionare, mentre serra i dorsi delle mani tra le ginocchia.
«Lo so che per lei non è stato nulla e abbiamo solo scopato. Ma per me questo non cambia.» insisto afflitto.
«Beh, vedila così: almeno l'hai fatta divertire. Mio fratello, in anni che sono stati insieme, non ha fatto nemmeno quello.»
Il suo dark humor mi fa sorridere. Amelia è così acida e pungente da farmi dimenticare anche i miei problemi.
«Sei proprio stronza.»
«Ci scherzo su Will, perché sennò non saprei come altro fare. È la mia migliore amica e ha tradito me e mio fratello, come se niente fosse.»
«Secondo te anche James mi ha tradito?» domando a quel punto con una punta di confusione ad annebbiarmi il cervello.
«No, Will. James è riuscito a tenerlo nei pantaloni mentre June stava con te, fidati. Lei gli moriva dietro dal primo giorno.»
Con sguardo avvilito, mi stringo nelle spalle, incapace di reagire.
«Scusa se sono troppo diretta» sibila lei. «Comunque ci attorniamo di traditori.»
«Già»
«Tutta la situazione di Ari che si faceva James, mi fatto trovare in mezzo a due fuochi. La mia migliore amica e mio fratello. Chi avrei dovuto scegliere?»
«Hai fatto prima a dare la colpa a James, vero?» la punzecchio debolmente.
«Non mi parlare di lui.»
«Non credo ti abbia mai giurato amore eterno, Amelia.»
Lei però non demorde.
«A parte che l'ha fatto.»
«Avevate cinque anni»
«Senti, tu non sai quanto sa essere subdolo, okay? Lui me l'ha fatto credere. Sono stata l'unica ad andare a trovarlo in riformatorio.»
«Lo so.»
«Sono stata l'unica a stargli vicino quando hanno ricoverato sua madre, sono sempre stata quella che gli teneva la fronte quando vomitava e lo metteva a letto dopo una sbronza.»
«Bhe, è stato anche un po' il lavoro di Jax...» bofonchio interrompendo Amelia, che però non ne vuole sapere di arrestarsi.
«Quindi che lui faccia finta di cadere dalle nuvole fingendo che non ci sia stato nulla tra noi... Io non lo accetto, Will.»
«È che siete sempre stati amici...»
«Lui ha tante amiche, ma io sono l'unica che non ha mai sfiorato con un dito.»
Stavolta tocca a me essere diretto.
«Perché non gli piacevi Amelia.»
Lei a quel punto si alza in piedi, rivolge tutte le sue attenzioni allo specchio.
«E non perché tu abbia qualcosa che non vada. L'ho visto farsi ragazzi e ragazze molto meno attraenti di te, è che... Siete cresciuti insieme e per lui sei come una sorella.»
«Quindi se non ci fosse June, io e lui non staremmo insieme? Questo mi stai dicendo, Will?»
«No, non credo stareste insieme. Devi andare avanti. Non puoi continuare ad odiarlo.»
Quegli specchi color smeraldo luccicano di lacrime inespresse.
«Lo so che avete condiviso i momenti più difficili e che lui ti teneva la mano quando avevi paura, ma lo stai idealizzando. James non ha fatto nulla di diverso da ciò che ha fatto tuo fratello con te.»
Amelia però sembra troppo ferita per darmi ragione.
«Già. Anche mio fratello mi detesta.»
«Ma che dici, Brian farebbe qualsiasi cosa per te.»
«No. Sono la figlia preferita di papà e lui questo non lo tollera.»
«Sono figlio unico e odio Brian, ma... se avessi un fratello come lui, non mi lamenterei.»
Mi lascio sfuggire quel commento, che la porta ad incenerirmi con un'occhiata affilata.
«Non mi sto lamentando, sto solo...Ah, cosa ne vuoi capire tu, Will!»
«Lo vedi? Tratti tutti come fossero inferiori a te.» sbraito offeso.
«Quello che ho passato io non l'ha passato nessuno. Questo mi rende egoista. Il fatto di sapere di esser diversa dagli altri.»
Già e lo stesso vale per me
«Siamo simili in questo» mi ritrovo a constatare.
«Tu almeno hai degli amici che ti vogliono bene, Will.»
«Poppy e Ari ti vogliono bene.»
«Ari è una bugiarda.» contrattacca lei, sempre più risentita.
«Lo so, ma non per questo è incapace di volerti bene, Amelia.»
Lei finalmente si volta nella mia direzione e mi degna di uno sguardo.
Noto che ha gli occhi leggermente lividi, non bado nemmeno del vestito corto e aderente che ha indosso.
«Vi siete lasciati definitivamente tu Ari?»
Lei si risiede sul letto, io sbuffo.
«Lo sai, con me "lasciarsi" è una parola grossa. Non siamo mai stati insieme. Lo stesso valeva per June. Nessuno starebbe per davvero con me.»
Lei a quel punto lancia la testa all'indietro e i capelli mossi e corvini le scivolano lenti sulle spalle. «Già.» sorride.
«Grazie tante, Amelia»
«No, stavo apensando a me. Solo un uomo di quarant'anni, sposato, se la farebbe con me»
Prendo a sbattere le palpebre nervosamente.
«Quindi è vera la storia col prof?»
«Sì.»
«Oh... »
La mia faccia contrariata la dice lunga.
«Mio padre non sarà un santo, ma è pur sempre mio padre. E io ho vissuto mesi con il pensiero che qualcuno l'avesse ucciso. La colpa è tutta di James. Perché nessuno si mette nei miei panni? È stato con sua mamma, sì, e con mille altre donne. Ma è già difficile superare il fatto abbia tradito mia madre, come posso credere che sia anche un assassino?»
«Lo è, Amelia.»
«Okay mettiamo lo fosse. James cosa pretendeva che io facessi? Che lo denunciassi alla polizia? Brian l'ha fatto?»
La vedo allargare le braccia, mentre mi spiega le sue motivazioni.
«No, ma almeno Brian l'ha accettato.»
«Brian sapeva tutto, vero?»
Lo domanda lanciandomi uno sguardo di sbieco e io non riesco a trovare il coraggio di risponderle.
«Lo vedi, come faccio a fidarmi delle persone? Mia madre... Lei era la prima che voleva mandarlo in carcere. Ti sembra una cosa normale? Questo capita nelle famiglie normali?»
Porca miseria
Amelia ha tutta l'aria di qualcuno che non è abituato a confidarsi con le persone, perché il suo flusso di parole ora è davvero difficile da fermare.
«Will, ascolta. Quello che ti dico non esce da qui.» asserisce afferrandomi dalla manica della felpa.
«Allora è meglio se ti fermi.» la stoppo immediatamente.
Non posso mentire a James.
Lei sembra restarci male per quell'affronto. Ora i suoi occhi sono una nube di lacrime e queste cominciano a rigarle il viso, macchiandolo di una tristezza soffocante.
«Mi dispiace» Senza nemmeno accorgermene, l'abbraccio.
«Io non volevo finisse in galera» la sento singhiozzare.
«Tu non ne hai colpe, Amelia.»
«Non volevo che tutti scoprissero che razza di famiglia finta fossimo...»
«Già. Ti capisco. Mia mamma è tornata dal viaggio. Da sola.»
Il mio sussurro si perde tra i suoi capelli. Inizialmente Amelia prova a respingermi, forse spaventata da quel contatto intimo, ma quando provo a stringerla più forte, lei sembra farsi a suo agio. Si accoccola tra le mie braccia, facendomi sentire per la prima volta...utile.
«Che vuoi dire, Will? E tuo padre?»
«Sarà rimasto in giro per il mondo con qualche sua amante ventenne. Lei fa finta di niente da anni ormai.»
«Hai bisogno di loro, Will. Hai bisogno dei tuoi genitori, non importa cosa dice James. Stai molto meglio da quando è tornata tua madre.»
La sento tirare su col naso, probabilmente mi sta anche macchiando la felpa con il suo pianto, ma al momento non m'importa più di tanto.
«Amelia, sai che questa è la prima cosa carina che mi dici, da quando mi conosci?»
«Ehm...»
Lei ignora la mia frase e con aria imbarazzata, la vedo curvarsi verso il comodino.
«Ma dove diavolo è finita Ari?» sbraita agguantando il suo cellulare
«In che senso?»
«Doveva essere qui un'ora fa, perché ci sta mettendo così tanto?»
«Sembri preoccupata...»
La leggerezza con cui pronuncio quella frase non trova risposta nello sguardo di Amelia, che si ottenebra di un senso d'inquietudine.
«Lo sono davvero Will.»
ARI
«Mi vieni a prendere, Marvin?»
Mi sto acconciando i capelli quando finalmente mi decido a chiamare Marvin.
Lui però non mi dà la risposta sperata.
«Perché dovrei? Sei rimasta piedi da qualche parte? Hai bisogno del carro attrezzi?»
«Ma che dici!» esclamo irritata.
Con una mano sorreggo il cellulare, mentre con l'altra pizzico le mie lunghe ciocche castane dentro alla piastra per capelli.
«Non ho capito Ari.»
«Voglio che mi vieni a prendere. Sono a casa mia.»
Cala un lungo attimo di silenzio, poi il suo tono confuso.
«Io?»
«Sì, Marvin. Proprio tu.»
Ma quando dall'altra parte non avverto alcuna risposta, m'indispettisco ancora di più.
«Va beh, lascia perdere.»
Sbuffo nel percepirlo esitare, difatti sono procinto di chiudere la chiamata.
«Senti io ti vengo anche a prendere, ma non ho capito il senso... » ribatte lui.
Possibile che tutti pensino sempre io abbia un doppio fine?
«Nel senso che senza un ragazzo non vado da nessuna parte!» sbotto di getto, senza riflettere.
Quando però mi accorgo della figuraccia appena commessa metto già la conversazione, vergognandomi persino di averlo chiamato.
Che palle, perché ho chiamato Marvin?
Potevo chiamare Amelia. O Poppy.
Finito di piastrare i capelli mi dirigo in cucina a bere un bicchiere d'acqua, passaggio obbligatorio prima di stendere il rossetto.
Un rumore inaspettato però, mi coglie di sorpresa e mi obbliga a compiere un balzo nella penombra.
I miei sono a cena fuori, possibile siano già tornati?
«Mamma?»
Resto immobile, a fissare la porta d'ingresso avvolta nel buio.
Non muovo un passo. Sono terrorizzata.
Quando mi rendo conto che lo spazio intorno a me è desolato e a riecheggiare è solo la mia voce, inizio a tremare. Tutto questo ha un non so che di sinistro.
Stringo il bicchiere tra le dita e percorro il salotto con l'intento di chiudermi in bagno per finire di prepararmi, ma il mio respiro si sgretola quando passo davanti al divano.
C'è un uomo seduto lì.
Il vetro mi casca dalle mani finendo in mille pezzi sul pavimento di piastrelle.
Un brivido ghiacciato mi perfora la spina dorsale. Al buio incontro quella figura oscura: una testa di sottili capelli rossastri e un ghigno inquietante.
Sono paralizzata, non posso muovermi. La paura mi sta mangiando viva.
«Ariana giusto?»
Mi chino verso il basso, raccolgo un grosso frammento appuntito e glielo indirizzo contro.
«Chi... Chi è lei?»
Fingo di non conoscerlo, ma in realtà so benissimo chi è. È il patrigno di James.
Spero abbia dimenticato che sono stata io ad entrare nel suo locale per distrarlo, quando i ragazzi volevano prendere la pistola.
Lui sembra trovare comicità in una situazione drammatica come questa, difatti sogghigna nel vedermi in piedi, a puntargli un coccio di vetro contro.
Posa entrambe le mani sulle ginocchia poi si alza in piedi.
«Forse non ci conosciamo... Forse. Ma sappi che sono la causa per la quale la tua amichetta è finita all'ospedale.»
«Se ne vada...» balbetto impaurita.
«Ti ho appena dato un buon motivo per essere ascoltato. Non credi?»
Io rimango ferma, davanti al caminetto spento, mentre lui si avvicina posando le sue scarpe sporche sul tappeto del salotto. Se lo vedesse mia madre...
«Ti ricordi quando ci siamo visti la prima volta?»
«No» replico secca.
«Alla cena con i vostri genitori, si è parlato di beneficienza, di fare del bene e tutte quelle cose che piacciono tanto a voi gentaglia ricca.» Lo sento grugnire con tono sprezzante.
«Okay e quindi?»
Lui si ferma a parlare da una distanza considerevole, così posso abbassare il pezzo di vetro che usavo come scudo.
«Te lo ricordi il fotografo?»
«No. Come faccio a ricordare...»
Corrugo le sopracciglia e quel punto un ricordo mi sovviene alla mente.
«Ah, quello che voleva farmi le foto per Instagram!» esclamo dandomi un colpetto sulla fronte.
«Quello che ti ha fatto le foto» mi corregge lui, dandomi i brividi.
«Era solo... Volevo solo degli scatti professionali. Non c'è nulla di male» prendo a farfugliare imbarazzata.
«Non sono qua per giudicare la sgualdrina che sei. Sono qua per chiederti dove sono finite quelle foto.»
«Sono foto mie, che le importa?»
«M'importa perché ho bisogno di risalire al fotografo che te le ha scattate.»
«Perché?»
«Potrebbe essere in possesso di cose che mi appartengono» spiega l'uomo compiendo un passo verso di me. La sua stazza mi incute timore, ma a farmi realmente rabbrividire, sono gli occhi piccoli e vitrei che mi fissano senza emozioni.
«Non so davvero come aiutarla...»
A quel punto suonano alla porta e io per poco non trasalisco.
«Aspettavi qualcuno?» domanda lui con fare brusco.
Compio un cenno di no con il capo.
«Ari quanto vuoi farmi aspettare? Abbiamo ordinato la pizza venti minuti fa e se arriviamo in ritardo non ci lasciano più un cazzo.»
Sento una voce conosciuta provenire da oltre la porta, questa si smuove per i ripetuti colpi sul legno.
«Chi diamine è?»
«E Marvin.» Spiego io.
«Chi cazzo è Marvin?»
«Un amico...» borbotto mentre l'uomo mi ghermisce il braccio con forza.
«Ahia»
«Senti, ora io e te ora facciamo un piccolo patto. Tu non racconti a nessuno che son venuto qui.»
«Okay.» annuisco ripetutamente, nella speranza che mi lasci in pace. Emana un fastidiosissimo odore di alcol che mi provoca un forte senso di nausea
«E mi fai avere quelle foto.»
«Non le darò le mie foto!» salto su, incurante delle sue minacce.
Con mia sorpresa però, l'uomo a quel punto mi lascia andare con un gesto avventato e io per poco non casco per terra.
«Non siete tutte sveglie allo stesso modo eh?» insinua poi.
«Cosa?»
«Non voglio le tue dannate foto. Ho bisogno di rintracciare questo fotografo.»
«Ma non lavorava per lei?»
A quel punto avverto un bruciore fastidioso, così prendo ad osservarmi il palmo della mano e noto che mi sono procurata un piccolo taglio con il vetro.
«Lavorava per una persona che sto cercando e siccome ho scoperto che mi sono stati forniti nome e cognome falsi, ora non riesco a rintracciarlo. Così va bene come spiegazione? Sulla tue foto in formato digitale dovrebbe esserci un cazzo di timbro, quello che tutti i fotografi sono soliti mettere.»
«Ma non c'era niente sulla foto, quando aprivo la foto c'era solo... la foto.»
Lui si strofina la fronte, sta perdendo la pazienza con me.
«Sei proprio stupida vero? Devi saper cercare per trovare una cosa del genere, ci sono programmi appositi e...»
Marvin è ancora fuori da casa mia e torna a bussare con vigore.
«Ari ti muovi? Ho il cellulare scarico. Andiamo? Ho fame cazzo.»
«Questo ha rotto i coglioni. Va ad aprire, muoviti» mi ordina quell'uomo.
Così mi dirigo alla porta d'ingresso e la spalanco.
«Ciao Marvin»
«Ciao Ari, ma quanto ci metti a...» Gli occhi di Marvin finiscono su Austin.
«E chi cazzo è questo?»
«Domani passo a prenderle.» sputa l'uomo prima di dare una spallata a Marvin per oltrepassarlo.
«Chi era... Aveva la faccia conosciuta... Era il patrigno di James, vero?»
«Sì.» borbotto io fissando l'uomo allontanarsi nel buio.
Raggiunge la sua auto parcheggiata dall'altra parte della strada, poi mette in moto.
«Te la fai con lui?»
Sono in procinto di scoppiare a piangere e mancava quell'insinuazione di Marvin a mettere il dito nella piaga.
«Marvin, ma che dici?»
Mi ferisce e il mio viso amareggiato parla chiaro, tant'è che anche lui se ne accorge.
«Scusa non volevo offenderti, Ari.»
Con gli occhi lucidi afferro le chiavi di casa poggiate sulla scarpiera all'ingresso e le lancio nella borsa.
«Andiamo» gli faccio cenno di proseguire verso l'auto.
Per una sera posso anche non metterlo il rossetto.
Durante il tragitto in macchina rimango in silenzio, ancora offesa per le parole di Marvin.
«E così con Will è finita...»
Lui si sente chiaramente in colpa, perciò prova a intavolare una discussione di circostanza.
«Sì e sebbene Will pensi il contrario, il problema non era lui.» contrattacco rapida.
«Non dire così.»
«Non andavo bene né per Will, né per Brian»
«Può darsi. Ma secondo me il problema è un altro.»
«Quale?» domando osservando il profilo di Marvin, che sta concentrato alla guida.
Il tatuaggio che gli avvolge la nuca si avviluppa intorno al collo, arrivandogli fin sotto all'orecchio. Mi chiedo se gli abbia causato del dolore farsi marchiare in quei punti sensibili.
«Non lo so. Potrebbe essere che magari hai bisogno di startene per i fatti tuoi. Da sola. Per un po'.»
La sua uscita mi causa un sopracciglio innalzato.
«Perché dici questo?»
«Perché potrebbe farti bene. Boh. L'hai mai fatto?»
Resto a pensarci sù, con un unghia conficcata nel labbro inferiore.
«No...»
«Cioè, poi non dico che devi darmi retta. Io non me ne intendo di queste cose, insomma... In tutta la mia vita mi è piaciuta sempre e solo una ragazza. Quindi non sono il massimo a dare consigli.»
Oddio, fa che non sia io.
«Chi è?» domando incuriosita, senza avere la minima idea di chi stia parlando.
Marvin si tasta la nuca rasata con fare quasi impacciato, esala un grosso respiro e finalmente si decide a rispondere.
«Parla troppo, è bionda e ti fa venire le farfalle nello stomaco ogni volta che la guardi.»
Ma come ho fatto a non accorgermene prima?
Come ho fatto a non capire che a Marvin piacesse realmente Poppy? Possibile io sia stata così tanto presa da me stessa?
«Perché non ti dai mai una mossa con lei?»
«C'è stato qualche bacio, di quelli che fortunatamente non hanno rovinato l'amicizia tra noi, ma ho paura che...»
«Che se le dicessi come ti senti, lei non ti vedrebbe più allo stesso modo?»
«No, ho come l'impressione abbia cotta per un altro.»
«Chi?»
Mi volto di scatto verso Marvin che stavolta strizza gli occhi chiari, sembra a disagio.
«Qualcuno che tu conosci bene...»
Inorridita, spalanco la bocca.
«Brian? Ma scherzi?»
«No, Ari. Non scherzo.» replica lui, infastidito dal dovermi dare quella risposta.
«Poppy non mi ha mai detto niente.» mi stringo nelle spalle tentando di trovare un senso a tutto ciò.
«Beh, ovvio. È il tuo ex.»
A furia di chiacchierare giungiamo dinnanzi alla casa degli Hood. La villa, solitamente silenziosa, oggi è rallegrata da schiamazzi e musica di sottofondo. Nulla di eccessivo, ma è comunque una festa.
Quando entriamo in casa la prima cosa che ci salta all'occhio è l'alta sagoma di Poppy. E sta parlando con Brian.
«O no...» biascico a quel punto.
Vedo Marvin chinare il capo, è dispiaciuto e io non sono da meno.
«Te l'avevo detto.»
«Non vuol dire nulla, Marvin»
Forse lui non lo sa, ma io Brian lo conosco bene. È da sempre alla ricerca disperata di qualcuno che sia perfetto per lui. Mi chiedo solo se lo incontrerà mai.
E non posso fare a meno di domandarmi se anch'io sarò in grado di trovarlo.
Eravamo perfetti l'uno per l'altro, se solo io non avessi buttato tutto all'aria per il mio egoismo...
«Senti Marvin, ho un favore da chiederti. Non dire nulla a James di quello che hai visto a casa mia, poco fa.»
«Eh?» Marvin è ormai distratto dai cartoni della pizza impilati sul tavolo da pranzo.
«Di quell'uomo...»
«Ari, non...»
«Ti prego. A James importa solo di June, se Austin minaccia di fare del male a me o ad Amelia, lui se ne sbatte. Voglio sbrigarmela da sola»
«Non posso mentire a James.»
JAMES
Sono uscito a fumare, ho lasciato June da sola cinque minuti con Poppy e questo è il risultato. Due stronzi di un'altra classe le stanno sbavando sulla maglietta bianca.
«Quindi hai un ragazzo?»
Vedo June in procinto di annuire e voltare loro le spalle, ma quando con la coda dell'occhio mi vede arrivare, sembra cambiare idea.
«Se ho già un ragazzo? Mmm, fammi pensare...» Indugia davanti a quei due coglioni, obbligandomi ad avvicinarmi.
Lei sussulta quando le arrivo alle spalle e mi accosto al suo orecchio.
«Rispondi.» respiro contro il suo lobo.
«Beh, fammi pensare... Ho forse un ragazzo?»
«Dai ti sfido. Prova a dire di no, Biancaneve.»
Sorride in modo innocente e quando vedo che il tipo mezzo ubriaco le guarda le labbra per una frazione di secondo, mi butto su di lui senza nemmeno pensarci due volte.
«Ce l'ha e anche bello grosso. Levati dal cazzo.» gli ringhio addosso afferrandolo dal colletto della camicia.
«Non vieni qui solo per marcare il territorio, James.»
«Perche dici così adesso? È tutto il giorno che sei strana, cazzo» sbuffo seguitando a guardare in cagnesco i due ragazzi che, finalmente, si allontanano.
Non dovresti essere felice?
«Mi stai chiedendo perché sono strana, James?»
Sì, cazzo. Dimmelo e poi baciami.
«Secondo te perché? Pensaci.»
Ho la testa annebbiata dal suo profumo e i pugni ancora serrati per la gelosia.
«Non puoi dirmelo? Che cazzo è, ti sembro "Saw l'enigmista?" Non ci arrivo da solo.»
Lei mi guarda dal basso e un piccolo solco le segna la fronte, sembra preoccupata.
«Perché io ho letto il post-it che mi hai lasciato, ma poi hai fatto di tutto per evitare l'argomento.»
Oh cazzo cazzo cazzo
«Ehm...»
E ancora cazzo
«Mi confondi, James. Perciò se tu cambi idea ancora una volta...»
Inizio a guardarmi intorno. C'è troppa gente e sono distratto da ciò che potrebbe accadere se Hood si presentasse. Non è il momento giusto questo.
«Senti, non parliamone qui. Andiamo a casa piuttosto.»
«Cosa? Ora? E se mentre ce ne andiamo, arrivasse lui?»
Una morsa mi stringe il petto, costringendomi a boccheggiare. Dovrei pensare a tenere al sicuro i miei amici, a restare qui per assicurarmi che non accada loro nulla di male, ma la verità è che ho una fottuta voglia di portarmela a casa e rimanere da solo con lei.
Con il pollice le carezzo lo zigomo, liberandolo da una ciocca ribelle.
«Ci ho pensato, James... Se il prof Beckett ha accesso all'ufficio...»
Il suo tono si fa dimesso, inizia a bisbigliare per paura che qualcuno si senta.
«C'è solo una pista qui. Amelia.» conclude June indicandomela con lo sguardo.
Amelia e Will sostano in cucina, dove la mora inizia a sbraitare perché qualcuno ha spento delle sigarette all'interno dei vasi di sua madre.
«Lo so. Le voglio parlare.»
June a quel punto increspa la fronte in segno di disappunto.
«C'è Will con lei.»
La vedo irrigidire la mandibola e allargare le narici.
«Ci devo parlare io» asserisco a mia volta, provando a mantenere la calma.
«Quindi sei venuto a chiedermi il permesso per parlare con una tua amica?»
«Quel bacio l'abbiamo superato, June.» dico mettendo un freno alle discussioni.
Io non provo nulla per Amelia, quindi è davvero inutile discuterne.
«E puoi accompagnarmi se vuoi» le dico voltandole le spalle.
Mi dirigo in cucina e senza troppi complimenti, afferro Amelia dal braccio e la trascino in disparte
«Ahia»
«Tu vieni con me.»
La scorto nel corridoio, fino alla porta sul retro che affaccia sul giardino.
«Ma che hai?» sbotta lei, infastidita dai miei modi rudi.
«Sai cos'ho notato? Di punto in bianco, in gita, hai cominciato ad essere gentile con me, nonostante ciò che ti ha fatto Austin. Come se, in fondo, tu sapessi che la causa fosse tua, non mia.»
Lei incrocia le braccia sottili al petto e arriccia le labbra infastidita.
«Non fare lo stronzo. Arriva al dunque, non ho voglia di parlare con te.»
«Il cellulare. Abbiamo sotterrato il telefono e tuo padre l'ha trovato.»
«Magari Brian ha parlato...»
Corruga la bocca in un'espressione smorfiosa, ma la sua risposta mi provoca uno scatto imprevisto. Mi spingo quindi contro di lei, obbligandola ad indietreggiare verso la porta.
«Sei così perfida da incolpare tuo fratello?»
Amelia a quel punto si sente in trappola, pertanto rivolge gli occhi a lato, evitando il mio sguardo pressante.
«Mi chiedo perché tutti pensino subito a me.»
«Perché il rapporto stretto che avete tu e tuo padre, Brian non ce l'ha.»
«E quindi? Io voglio bene a mio padre e questo automaticamente mi rende colpevole di aver rivelato del telefono?»
«Vuoi sapere cos'è successo? Lui è venuto qui da te, una sera. Tu gli hai detto che saremmo andati da Austin per recuperare la pistola. Ci hai sentiti confabulare a scuola quella mattina, mi fissavi me lo ricordo.»
Lei mi distrugge con un'occhiata di disprezzo, che parte dalla mia bocca e scende fulminea al cavallo dei miei pantaloni.
«Fino a ieri non ricordavi nemmeno dove lo infilavi e ora ti ricordi quando la gente ti fissa? Sul serio, James?»
«Non cambiare discorso, tuo padre ti ha detto che dovevi fare qualcosa per lui, vero? Magari vi siete anche visti dopo che Austin ti ha investito. Magari Austin non è mai venuto all'ospedale come mi hai fatto credere per farmi sentire in colpa. È stato tuo padre.»
Lei allarga le pupille e smette di sbattere le ciglia.
Ho fatto centro.
«Noi siamo partiti per la gita e tu eri qui da sola, nessuno ti ha vista parlare con lui. Qualche settimana fa, ad Halloween, avevi iniziato a fare domande sul telefono. Noi abbiamo aggredito il preside, tu hai fatto due più due e hai iniziato a pensare che il preside c'entrasse qualcosa.»
Prendo una pausa, vedo le sagome di June a Brian avvicinarsi.
«Ma qui... Ho un dubbio. Hai veramente usato il prof Beckett per una cosa così meschina?»
«Magari la relazione col prof è servita a qualcosa.»
Non sono io a pronunciare quelle parole, ma June.
Il suo sguardo di fuoco brucia addosso alla mora, che non sa come difendersi.
«Di cosa parli, June?»
L'espressione di Brian è la rappresentazione di pura confusione.
«Amelia si è intrufolata nel ufficio del preside.» spiega June, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
«Ma come?» domanda Brian, l'unico che non ha ancora collegato tutti i pezzi.
Amelia mi sta fissando con occhi impauriti, mi sta implorando di farla smettere. Di non rivelare quel segreto a suo fratello.
«Blaze ha detto che alcuni professori potevano accedere all'ufficio di suo padre. Bene, devi sapere che tua sorella ha un prof del cuore, Brian.» esclama June, sollevando il mento con fierezza.
«E chi sarebbe?»
Brian è più confuso di prima, June invece guarda Amelia con aria di sfida.
«Vuoi dirlo tu Amelia?»
Okay, così forse è un po' troppo.
«June» la rimprovero a denti stretti.
«Cosa sto sbagliando ora?»
«Questa non è una cosa personale tra te e lei» bisbiglio sottovoce, mentre Amelia e Brian si distraggono a parlare tra loro.
«La stai difendendo?» sibila June con il labiale, mentre sul suo volto si disegna un'aria ferita.
«È il professor Beckett.» annuncia Amelia a quel punto, causando un attimo di silenzio improvviso.
Brian sembra colto da un malessere, perché sbianca in volto.
«Tua sorella si scopa il vecchio, benvenuto nella realtà di noi poveri mortali Brian.» commento sarcasticamente.
Il moro però non ha nessuna intenzione di sorridere o di darmi ascolto, ha la delusione dipinta negli occhi. Amelia non si abbassa a chiedere scusa, ma ci incenerisce ad uno ad uno, con un'occhiataccia furibonda.
«E volete sapere una cosa? Quando ho saputo che organizzavate questa patetica festa, ho detto a mio padre di non venire» sibila lei con fare velenoso, prima di andarsene, lasciandoci completamente attoniti.
«Stai bene?» chiede June, provando a sorreggere Brian che per poco non sviene.
La serata sta andando di male in peggio.
JUNE
«Brian vieni, ti verso un po' d'acqua.»
«Non ci posso credere.» commenta il moro con occhi sbarrati, mentre si accascia sulla sedia.
James ha lo sguardo iniettato di sangue, resta sullo stipite a fissare me e Brian, non ci perde di vista nemmeno per un secondo, così io continuo a lanciargli occhiaie del tipo "Gli sto solo dando un po' d'acqua, non lo vedi che è scosso?"
E devo ammettere che questa sera è anche meno in tiro del solito, indossa solo una t-shirt scura e un paio di pantaloni della tuta, ma è pur sempre James Hunter. E James Hunter, lasciato da solo con le spalle alla porta, ergendosi in tutta la sua altezza e avvenenza fisica, dura davvero poco. Fingo di non vedere le occhiate interessate che gli vengono lanciate da ogni singola ragazza che gli passa affianco.
Finché la situazione non diventa insostenibile.
Stacy e Bonnie, infatti, vengono a reclamare quello che non è loro. Ma mio.
«Jamie è diventato una noia da quando sta con quella, te l'ho detto...»
bisbiglia Bonnie, senza curarsi troppo di tenere la voce bassa. Vuole che io la senta, non ci sono altre spiegazioni.
Ruba la bottiglia di birra dalle mani di James e comincia a berla davanti al suo naso.
Io, dal mio canto, sono costretta ad incamerare un grosso respiro, affinché i miei nervi mi si distendano e non venga colta dalla voglia improvvisa di commettere un omicidio.
«Ricordami di farle ingoiare la bottiglia, dopo» sbotto davanti al povero Brian che si siede sulla sedia, ancora cadaverico come un lenzuolo.
Con la coda dell'occhio però, noto che James non le guarda nemmeno, impegnato com'è a fissare Brian in cagnesco.
«I tempi in cui ci divertivamo sono lontani...»
James a quel punto prende il telefono, sta sicuramente provando a chiamare Jackson per vedere com'è la situazione da quelle parti. Sembra che però che quest'ultimo non risponda.
«Non capisco perché deve stare con Jamie e non può starsene con Brian. Sono monotoni allo stesso modo» sento dire la mora, mentre Stacy ha gli occhi persi per aria.
Anche James è assorto nei suoi pensieri, ma io le ho udite perfettamente.
«Hai sentito? Siamo noi quelli noiosi, June»
Brian scrolla il capo e dopo una serie di lunghi respiri, sembra calmarsi.
«Allora lo prendo come un complimento, tu?» gli chiedo con una smorfia.
«Anch'io» ribatte lui, facendomi sorridere.
«AH AH è anche diventato simpatico adesso. Ora hai finito di rompere il cazzo, Hood? Andiamo»
Stavolta James non ci già troppo intorno, mi afferra dal polso e mi obbliga a seguirlo.
«Dove dovremmo andare?»
«A casa.»
«Sì ma mollami il polso.»
James mi lascia immediatamente, poi prende a strofinarsi il viso.
«Senti June, ho un brutto presentimento. Okay?»
«Che vuoi dire?»
James sembra realmente preoccupato, ma In quel momento arriva Marvin.
«Ragazzi potreste venire un attimo?»
«Marvin non è il momento, cazzo.»
Lui però sussurra qualcosa nell'orecchio di James e quest'ultimo sembra sussultare.
Prima che io possa fare ulteriori domande, Marvin ci fa strada verso il corridoio, apre la porta che dà sul giardino ed è proprio da lì, che udiamo provenire delle voci che si mescolano tra loro. Ci voltiamo all'unisono.
«Quella ragazza era incinta.»
Il tono di Will è pacato ma deciso.
«Ma cosa stai dicendo? Stai continuando a dire cose senza senso Will, l'unica persona che qui merita la galera, è quel delinquente del patrigno di James»
«Oh no» biascica James dirigendosi a grosse falcate verso Will e Amelia, per fermare quello spettacolo, prima che attiri troppi curiosi.
«Credo che Amelia abbia ragione. Ma tuo padre ci è dentro fino al collo in tutta questa situazione, Amelia.»
Nel buio del cortile vedo la piccola sagoma di Ari affrontare la sua amica, causandomi un cipiglio non indifferente.
Persino Ari le sta voltando le spalle?
«Tu cosa cazzo ne sai?» l'aggredisce James.
«Quella sera il padre di Brian mi ha proposto di fare un servizio fotografico, all'inizio pensavo fosse una cosa innocente...»
«Quale sera?» si agita Brian, osservando Ari sbigottito.
Quest'ultima non riesce nemmeno a guardarlo negli occhi.
«Alla cena, a casa mia.»
«Stiamo parlando di due anni fa? Davvero?» esclama Amelia infastidita. «Voi state male.»
Io non so di cosa stiano parlando e Brian sembra l'unico incredulo.
«O mio dio... Mio padre ti ha chiesto questo? Perché non me l'hai mai detto?» si lamenta rivolgendosi ad Ari.
Mi si spezza il cuore nel vederlo così. Mi chiedo come possa, sua sorella, rivelarsi così di ghiaccio, nel non capire la sua sofferenza.
«Te l'ho detto, pensavo fosse una cosa innocente. E poi avevamo altri problemi quella sera.»
«Quali problemi? Chi di noi doveva scoparsi James?»
sputa Amelia tagliente e rancorosa.
Molto rancorosa.
«Ma se tu hai pianto tutta la sera perché James era stato a letto con Poppy.» la redarguisce Ari.
«James non c'entra niente in tutto ciò» mi affretto a commentare, andando in sua difesa.
«No, figurati. Lui è sempre il solito innocente. Povero James, viene sempre messo in mezzo. Sei proprio povera illusa, June»
A seguito di quell'affronto, James compie uno scatto verso Amelia, ma Brian s'intromette in tempo.
«Prova a toccare mia sorella» ringhia duro Brian, frapponendosi tra James e Amelia. Quest'ultima però seguita a litigare imperterrita con la sua amica.
«Hai tradito mio fratello. Ti sei fatta di nascosto l'unico ragazzo di cui mi fossi innamorata e ora, vengo a sapere che te la facevi con mio padre?»
«Oh mio dio!» scandisce Taylor, scandalizzata, uscendo di casa con un bicchiere di spumante in mano.
«Taylor non è il momento.» la scaccia via Brian, prima di tornare su Ari con espressione mesta.
«È vero? Ari dimmi la verità.»
«Cosa? No, no. Te lo giuro. Non gli ho detto di sì, ho solo...»
Brian sembra stufo delle bugie di quella ragazza, le rivolge un ultimo sguardo, disperato.
«Ari.»
È una supplica e lei si ritrova a vuotare il sacco.
«Era solo uno shooting, ma il fotografo che mi ha fatto quegli scatti lavorava per lui. Per tuo padre e per Austin»
«E tu come cazzo lo sai?» si acciglia James, che è sempre il meno paziente.
«Austin sta cercando questo fotografo, non so il perché»
Ari appare imprecisa nelle risposte, ma sono sufficienti a James per ricollegare tutti i pezzi.
«Austin non cerca il fotografo, cerca Hood. E per farlo ha bisogno di questo tizio. Forse è l'unico che potrebbe metterlo in contatto con lui. Oltre ad Amelia, ovvio»
«Resta il fatto che io non vi aiuterò, mi dispiace. Siete tutti dei bugiardi.»
«Amelia, abbiamo bisogno del tuo aiuto, ma non lo capisci, cazzo?»
James ci prova a trattenerla, quando la vede scappare via, ma è del tutto invano.
«Fatti aiutare dalla tua nuova ragazza» sbotta lei, rientrando in casa.
Restiamo tutti quanti in silenzio, finché Will non si decide a rompere l'incantesimo.
«Okay, io non voglio dire che abbia ragione... Ma è suo padre»
«Lo so, ma...» Ari si mangiucchia l'indice e prova ad addurre una scusa, però Will la stoppa.
«Non c'è nessun ma. L'avrà rivisto dopo tanto tempo e sarà stata contento d'incontrarlo. Come potete essere così insensibili?»
James a quel punto inarca entrambi i sopraccigli nel vedere Will seguire Amelia dentro casa, quel gesto lascia tutti sgomenti.
«Qual è il piano?» domando io fissando James che seguita a scambiarsi occhiate preoccupate con Brian.
«Hood non mi fa paura, non ha motivo di prendersela con nessuno di noi, se non con me, quindi non c'è pericolo. Sto pensando ad Austin. Amelia e Brian sono relativamente al sicuro, Austin non si presenterà qui, gli servono vivi.»
«Grazie per parlare del sottoscritto come se non fosse un adulto di un metro e ottantacinque, capace di difendersi.» brontola Brian.
«Taci.» lo zittisce James in malomodo.
«Da Ari è già stato. Poppy e Marvin, non penso sappia chi sono...»
«Con Will sono amichetti» aggiungo io, infastidita per la presa di posizione di quest'ultimo.
«Jax e Blaze per Hood sono intoccabili. Almeno credo, il preside è l'unico di cui Hood si fidava secondo me. Austin non sa nemmeno chi sono.»
«Dove sono?» domanda Brian.
«A casa di Blaze. Passo da loro più tardi.»
«E June?» seguita il moro.
L'espressione dura di James viene rimarcata dalla forma della sua mascella, che si fa contratta e rigida.
«Biancaneve sta con me, ficcatelo in quella testa di cazzo»
James viene travolto dall'impulsività, si spinge addosso a Brian che per poco non barcolla all'indietro, per evitare l'impatto con la stazza massiccia dell'altro.
«E non la lascio sola nemmeno per un secondo.» aggiunge James a denti stretti.
I suoi occhi blu si offuscano, divenendo quasi neri.
Non sopporto tutta questa stupida competizione maschile, ormai sono stufa di dividerli, quindi lascio i ragazzi alle loro discussioni e seguo Poppy.
«Noi torniamo a casa» dice la bionda, indicando Ari.
«Mi date un passaggio? Posso venire con voi?» chiedo io a quel punto.
«No, aspetta. Dove cazzo vai?»
James non sembra contento della mia reazione, mi segue con una aria sconcertata, incapace di credere alle sue orecchie.
«Prima di tutto la gentilezza, James. Seconda cosa, io torno a casa.»
«Cosa? No. Passo da Jax e Blaze, ho bisogno che resti qui»
«Quale parte del "fai pace col tuo cervello" non capisci? A me non interessa, devo tornare. Mia madre mi ha dato un orario.»
Poppy e Ari mi fanno un cenno di saluto con la mano e si dileguano non appena capiscono che la situazione tra noi si sta scaldando.
«Cosa cazzo ti costa restare qui cinque minuti in più? Non voglio che rimani a casa da sola» lo sento mugolare con voce irrequieta. Si passa una mano tra i capelli, lasciandosi andare ad un lungo sospiro preoccupato.
«E io non voglio che mi venga detto cosa fare, James.»
Rimango nella mia posizione, delusa dall'atteggiamento che ha mantenuto per tutta la sera, possessivo e insensato.
«Ci metto poco, June. Poi ti vengo a prendere e torniamo a casa. Insieme.»
A quel punto mi cinge la vita con il braccio, i nostri profili si sfiorano e le mie difese cominciano a vacillare. La sua guancia calda carezza la mia, il suo profumo di menta e birra m'inebria, mentre le labbra carnose scorrono lente sul mio lobo.
«James...» Il mio rimprovero è ormai un sussurro languido.
«Mmm?»
«Fa' attenzione per favore.»
Mi abbandono ad un piccolo ansito e James lo interpreta come un invito ad avviluppare il mio labbro inferiore nella sua bocca. Lo risucchia, per poi assestargli un piccolo bacio.
«Sì, torno presto.»
Disorientata, lo guardo allontanarsi tra lo sciame di persone presenti alla festa e una strana sensazione prende ad aggredirmi lo stomaco.
James cammina all'indietro e i nostri occhi non si scollano nemmeno per un attimo. Annego nel suo sguardo cupo, finché ad un tratto, lui si ferma. Accenna una camminata veloce verso di me e quando il suo petto finisce sotto ai miei palmi, percepisco il suo respiro accelerato sotto alla maglietta aderente.
«Fanculo, resto con te.»
A quel punto mi raccoglie il viso tra le mani, i nostri nasi tornano a solleticarsi.
«Posso dormire da te?» sussurra sottovoce.
«Si» annuisco, senza porre resistenza.
La voglia di baciarlo è tanta, ma lui sembra avere paura di farlo proprio qui. A casa di Brian.
«Avremo tutto il tempo per farlo.» mormora con voce così calda da farmi vibrare le ginocchia.
«Ora chiamo Jackson. Tu prendi le tue cose, due minuti e andiamo.»
Così recupero la giacca e la borsa che ho lasciato in un angolino remoto del corridoio, poi torno in salotto.
«Tutto okay, Jackson è ancora da Blaze. Resta a dormire lì. Domani dobbiamo assolutamente parlare con il preside. Deve dirci tutto quello che sa.» stride James con impazienza.
Lo vedo agitarsi un po' e capisco che quello è il momento di tornare a casa.
«Con le buone o con le cattive» mugugna tra i denti, mentre lo seguo verso la porta d'ingresso.
«Brian, noi andiamo. Ci vediamo domani a scuola.»
Uscendo saluto il padrone di casa, che prima di lasciarmi andare, mi ferma con una proposta.
«Ciao June. Ricordati che abbiamo le prove all'ultima ora. Se vuoi domani...»
«Se vuoi domani, puoi andare a farti fottere, Hood? Certo. Ti ci accompagno.»
«James stiamo parlando delle prove.» m'indispettisco.
«Quali cazzo di prove?»
«Quelle in cui tu non sei incluso perché sei inaffidabile. Non sei stato costante con le presenze, te le sei scopate e poi hai litigato con tutte le Giuliette possibili e immaginabili.»
Brian pronuncia quelle parole con tono apatico, causando una reazione tutt'altro che indifferente.
James sembra dimenticarsi anche di sbattere le palpebre. Vuole sbranarlo e io non posso fare altro che trattenerlo dal braccio.
«Vedi di farti i cazzi tuoi. Ai miei ci penso io» lo incenerisce, accerchiandomi le spalle.
«James, devi calmarti però. Io non voglio saltare addosso ad ogni ragazza con cui parlo.» prova a spiegare Brian, che però non viene minimamente ascoltato.
«Ah, già. Quella è la specialità di tuo padre.»
«James!» strillo ad occhi sgranati. «Chiedigli scusa»
«Perché cazzo sei dalla sua parte ora?»
«Lascia perdere. Andiamo a casa» sbuffo, delusa dal suo atteggiamento.
In macchina James è nervoso, una mano asserragliata al volante, l'altra stretta a pugno davanti alla bocca.
«Tra tutti, proprio lui.»
«Tu dovresti stare zitto»
«Cos'ho fatto adesso?»
«Niente, figurati. Per parlare con una persona tu devi starci appiccicato alla faccia, vero?»
«Stai parlando di Amelia?»
James appare stranito, ma non perde tempo, si tasta le tasche dei pantaloni, è già alla ricerca di una sigaretta.
Io invece non rispondo, perché il silenzio, a volte, è più eloquente di mille parole inutili.
«Sul serio, June? Hai passato metà della serata con lui e mi vieni a dire questo? Io e Amelia nemmeno parliamo»
«No, voi vi baciate soltanto.»
James abbassa il finestrino per sputare la prima nube di fumo proveniente dalla sigaretta appena accesa.
«Mentre tu con Brian ci stai a parlare, vero? Cosa cazzo ti ha detto?»
Mi zittisco immediatamente.
«June cosa ti ha detto su di me, ieri, quando vi siete visti?»
Mi mordo l'interno guancia, ma questo gesto non è sufficiente a trattenermi oltre.
«Che tu lo facevi spesso.»
James incrina la mascella, le sue sopracciglia si contraggono in una smorfia confusa.
«Cosa? Cosa facevo spesso?»
«Aiutare Austin a incastrare la gente.»
«Mmm... Quindi?» sbuffa via altro fumo, questa volta scrollando la testa, forse per minimizzare la mia affermazione.
«Mi ha fatto intendere che andavi a letto con gente ricca per ricattarla.»
A quel punto lo sguardo di James abbandona la strada, mi si incolla addosso, ruvido e penetrante.
«Ma sei impazzita?» sbraita turbato dalla mia insinuazione.
Fortuna che dopo un paio di minuti giungiamo davanti a casa mia. James frena bruscamente, poi mi osserva stringermi nelle spalle.
«L'ha detto Brian. E dato che tu frequentavi quell'uomo...»
«Come cazzo ti permetti? Perché credi a quel coglione?»
La sua mancanza di tatto mi urta, non riesco a non rispondergli a tono.
«Perché sì, perché se così fosse, tu non me lo diresti. Perché avresti paura del mio giudizio.»
«Non ci posso credere...»
James si passa diverse volte le mani tra i capelli, scompigliandoli sempre di più.
«Senti vattene a fanculo.» sbotta lanciandomi un'occhiata di fuoco.
L'impulsività prende a mordere ogni parte del mio raziocinio. Adirata come non mai, scendo dall'auto e il colpo che do alla portiera della macchina ne è la prova.
Mi avvicino a grandi falcate alla porta di casa mia, ma quando mi accorgo che James non sta mettendo in moto, mi volto ancora più infuriata.
«Vattene» urlo restituendogli uno sguardo inviperito.
Lui però resta in auto, a fari spenti, davanti a casa mia.
«Tornatene a casa, James.»
A quel punto non trattiene più la frustrazione, lo vedo sferrare un pugno al volante, prima di ringhiare «Stronza.»
Arrabbiata e con una buona dose di affanno, faccio il mio rientro in casa. Sbatto la porta di camera mia, incurante del fatto che mia madre possa dormire.
È faccio ancora più rumore, quando mi sfilo le scarpe e le lancio contro la libreria.
Mi tolgo i vestiti con furia e li getto a terra, poi mi tiro su i capelli in una crocchia per finire nel box doccia. Non capisco James. Non lo capirò mai. Si arrabbia se Brian mi parla, poi si fa trovare a pochi centimetri dal viso di Amelia. Lo so che non prova nulla per lei, lo so che lo fa fin di bene, ma sono umana. Non lo sopporto.
Finisco di lavarmi, tampono il mio corpo umido con un asciugamano poi m'infilo nel mio pigiama pulito, quando un'odore acre mi solletica le narici.
No, June è solo l'immaginazione...
Inizialmente credevo che quella fragranza di fumo aromatico arrivasse dal piano inferiore, ma quando mi avvicino alla finestra, mi accorgo che proviene proprio da lì.
Ho il pigiama con sopra stampati i bradipi, fa che non sia James
Sollevo l'anta della finestra e mi sporgo verso il tetto di tegole che fiancheggia il davanzale esterno. Fuori è buio, ma riconosco immediatamente una sagoma accovacciata sul bordo del tetto.
«James...»
Un bisbiglio impercettibile abbandona le mie labbra. Sono confusa, quindi strofino le palpebre con le nocche, per capire se quella che ho davanti non sia un'allucinazione.
Lui è ancora lì, seduto nell'oscurità. Una fiammella illumina il suoi zigomi alti, mentre, tra le dita affusolate, serra la sigaretta che accompagna alla bocca.
La sue labbra si schiudono naturalmente per accogliere il filtrino e imprigionarlo duramente, prima di inalare una generosa quantità di fumo. Allontana la sigaretta, quella frazione di secondo in cui si morde il labbro, prima di sputare verso l'alto una grossa nube di fumo.
Non si volta a guardarmi ma quando l'angolo della bocca si solleva a modellare un sorrisetto soddisfatto, capisco che mi ha sentita.
Scavalco il davanzale, poi allineo i miei piedi scalzi, uno dopo l'altro lungo la fila di mattoni che riveste il tetto, stando il più vicina possibile alla parete di cemento.
«Sta attenta» lo sento mugugnare con voce roca.
Raggiungo la sua figura in prossimità del cornicione e mi ci siedo accanto. James sembrava aspettarselo perché ha già qualcosa di pronto da darmi.
Inchioda la sigaretta tra le labbra rigonfie, poi con una mano libera prendere a rovistare nella tasca dei pantaloni.
«Chiudi gli occhi.» ordina secco.
«James...» sbuffo lanciando gli occhi verso l'alto.
Le stelle sono invisibili questa notte, una coltre di nuvole avvolge il cielo che, cupo, rivela solo uno spicchio di luna.
«Fallo.» insiste cercando il mio sguardo.
«James è meglio se vai, non ho intenzione di parlare con te»
Scrollo il capo, evitando d'incrociare i suoi occhi, che so già essere gli unici fari ad abbagliare la notte.
«Qui nessuno vuole parlare» sputa schiantando la sigaretta ormai terminata contro una tegola.
Mi volto e la mia attenzione, in questo momento debole e priva di forza di volontà, casca preda delle sue labbra disegnate.
James a quel punto afferra entrambe le mie gambe e se le porta distese sopra le sue, senza però prendermi in braccio, ma costringendo il mio baricentro ad avvicinarsi a lui.
«Chiudi gli occhi ti ho detto.»
Resto ad osservare il suo profilo e il suo naso, così bello da sembrare tracciato con un pennello, poi decido di assecondarlo.
Cosa potrà mai succedere? Siamo sul tetto di casa mia...
Serro le palpebre e quando avverto lo sfrigolio della carta che mi fende il palmo della mano, riapro gli occhi.
Tra le mie dita ha appena posato un post-it.
BACIAMI
Resto interdetta. Quando l'ha scritto? Ce l'aveva già pronto?
Fisso il quadratino giallo poi guardo James, che si morde il labbro e si avvicina al mio viso, già prossimo al suo.
Il suo respiro sa di menta fresca e sigaretta appena fumata, quella combinazione di profumi mi riporta alla mente tutti i nostri primi baci e mi rende debole, facendo crollare ogni mio tentativo di resistenza.
Le sue labbra sono subdole seduttrici, arrivano a spingersi tra le mie ciocche di capelli sciolti, incantando la pelle della mia gola esposta, riempiendola di brividi.
«Fatti baciare.»
Il suo tono si graffia appena, facendosi ancora più profondo e io sono costretta a chiudere gli occhi, per subire il supplizio piacevole che è in grado d'infliggermi con solo l'uso della sua voce.
«Ho detto di andartene...» sibilo a parole, ma il mio linguaggio corporeo sembra dire tutt'altro.
Reclino il collo a lato, lasciando libero accesso alla sua bocca, che lui sa come usare per sedurmi e lusingarmi. Il contatto piacevole con la punta delle sue labbra mi fa tremare, causandomi dei brividi lungo le cosce.
James scavalca il mio collo con la lingua, poi traccia la mia mandibola di fremiti, fino a raggiungere il lobo del mio orecchio. Lo circonda con una passata di lingua per poi nascondersi lì dietro e sussurrare
«Ti prego.»
Ogni muscolo del mio corpo si contrae.
Avverto dapprima il suo sussurro caldo che vibra nel mio orecchio e come una melodia ben calibrata, è pronta a distruggere ogni mia barriera.
Serro le gambe tra loro e a lui quel dettaglio non sembra sfuggire.
«Ti faccio quest'effetto, lo vedi?»
«Quale? Non è vero.»
«Stringi le gambe quando mi hai vicino.»
«Mai successo, hai bisogno di un paio di occhiali.»
Provo a difendermi, ma ormai sono senza strumenti.
«Non addentriamoci nel discorso di chi ha bisogno di cosa qui, White...»
«Pervertito.»
Pianto entrambi i palmi con forza nei mattoni e faccio per alzarmi, quando lui mi ferma. Gli basta sfiorarmi il braccio e io mi paralizzo.
«Se vuoi che io stia qui, devi parlare James.»
Lo metto alle strette con uno sguardo duro, ma in realtà... In realtà vorrei solo baciarlo.
«Avvicinati» sussurra lui a quel punto, nel vedermi restia.
Io però non cedo, resto accovacciata, in procinto d'issarmi in piedi.
James compie una pausa per leccare la cartina da destra a sinistra, mentre i miei occhi si concentrano sulla sua lingua svelta.
«Per favore» aggiunge con un soffio di voce.
Decido quindi di rimettermi seduta, questa volta più stretta a lui.
James si accende la sigaretta appena rollata poi mi accerchia le spalle con tutta la grandezza del suo braccio possente.
«Sono stato con tante persone, okay? Ma non l'ho mai fatto per soldi, June. L'ho fatto perché mi andava. È sbagliato? Può darsi. Ma è questa la verità.»
Mi faccio piccola contro la sua felpa, mentre, tra le sue dita, i miei capelli diventano fili morbidi.
«Pensi ancora che io ti abbia ingannata?»
«No, James però... dovevi dirmelo.»
«Cosa ti cambia? Perché vuoi conoscere il numero di persone con cui sono stato? Vuoi saperlo solo per farmi sentire una merda?»
La temperatura è mite lì fuori, si sta bene anche col pigiama, ma inizio a tremare nell'udire la sua voce farsi così vulnerabile.
«Vorrei solo sapere il motivo per il quale li aiutavi, io non ti ho mai giudicato.» erompo corrucciata.
«Li aiutavo perché sono in debito con Austin da quando ne ho memoria. Ma questo non ha nulla a che vedere con chi vado a letto.»
«Va bene. Sono comunque arrabbiata con te.» ribatto strofinando il naso nell'incavo del suo collo.
«Anch'io.» lo sento irrigidire il collo.
«È per Brian?»
«No.» mi secca con quella risposta decisa, provocandomi un cipiglio.
«E perché?»
Il suo sguardo si affila, sembra farsi più sofferto.
«Di base... Io c'è l'ho con te»
La sua risposta mi manda in uno stato di diffidenza, mi ritraggo dal suo abbraccio per intersecare le braccia al petto.
Quando però mi accorgo che non stiamo più battibeccando e che James si è fatto particolarmente serio, comincio a preoccuparmi.
«James...»
La fronte mi s'increspa e le fauci mi si inaridiscono, fortuna che lui comincia a parlare.
«Jasper non parlerà mai. Mia madre non tornerà mai. Tu non smetterai mai di soffrire per tuo fratello. Will prima o poi si ammazzerà. Sarò sempre debitore ad Austin. Questa è la mia realtà. Dimmi che non ho ragione»
Apro la bocca di getto, pronta a smontare le sue teorie, ma prima ancora di dire qualcosa di avventato, mi fermo a pensare.
«Potresti avere ragione, ma insieme...»
James non sta a sentirmi, mi guarda con due occhi profondi e persi.
«Perché lo fai, June?»
Quella domanda mi trafigge il petto.
«Cos'ho fatto?» chiedo con il fiato spezzato.
«Perche mi fai salire su questa giostra? Da qui mi fai credere che sia tutto stupendo, quando in realtà il mondo fa schifo e fa di tutto per farmici scendere.»
Senza nemmeno rendermene conto, raggiungo la sua mano e la stringo forte, scaldandola al contatto con la mia.
«Cosa avrei fatto di sbagliato, James?»
«Mi ci hai fatto credere. Per un attimo ci ho creduto realmente. E poi...»
Non riesco piu a resistere. È troppo tenero. Prendo il suo viso tra le mani, ma lui continua anche con le labbra rigonfie e le guance schiacciate tra i miei palmi.
«June, questa tra di noi forse questa è la cosa più insensata e stupida...»
Sopprimo le sue parole con la forma della mia bocca. Sigillo le sue labbra con un bacio.
«Smettila di dire cazzate, James.»
«È la verità.»
«No. Perché se la realtà prova a buttarti giù dalla giostra, io ti vengo a riprendere. Esattamente come ho fatto ieri.»
Lui solleva un sopracciglio, il movimento è impercettibile, ma io lo noto. È sorpreso dalle mie parole.
«Non l'avrei mai fatto se non tu fossi così tanto importante per me, James»
Con la fronte ancora corrugata mi lancia uno sguardo di traverso.
«Che vuoi dire?»
«Io non sono come te. Non sono quella che aiuta tutti senza avere nulla in cambio. Sono situazioni che mi fanno paura... Parlo dell'andare da Austin, la storia del padre di Brian. Ma sappi che se ho superato ogni timore, è solo perché io...»
Mi blocco proprio nel momento in cui realizzo di non avere più filtri nel parlare con lui. Anche questo è spaventoso. Mostrarsi realmente vulnerabili.
«Questa non è una cosa da poco. Non parliamo di una cosa piccola.»
Un sorrisetto malizioso s'incunea al lato della sua bocca rosea.
«Cosa piccola? Stiamo parlando...?»
«Cretino.» scoppio a ridere.
Freno quelle risatine nervose, poi esalo un lungo respiro.
«Parlo di quello che sento...Per te.»
James spegne la sigaretta, poi raccoglie la mia guancia calda nell'abbraccio avvolgente del suo palmo freddo e mi stampa un bacio dolce sulle labbra.
«Lo sento anch'io, June» sussurra mentre stiamo bocca contro bocca.
La sua mano afferra la mia e se la porta sotto alla felpa. Il suo torace è caldo e piacevole al tatto.
«Cazzo se lo sento.» mugola mentre accompagna le mie dita a percepire il palpitare del suo cuore.
Chiudo gli occhi, lasciandomi travolgere dalla perfezione di quell'attimo. C'è un silenzio assordante intorno a noi, rotto solo dallo schiocco di piccoli baci a stampo, cadenzati e intimi.
Le mie mani scivolano dentro la felpa ad avvolgere la larghezza della sua schiena, riconoscendone la bellezza della forma, apprezzandone ogni curva, ogni movimento ansante che compie la sua cassa toracica mentre il suo respiro accelera. Con le labbra che si provocano di baci innocenti, gli concedo di decidere quando sia il momento per premere l'acceleratore. Ma James non lo fa. Lascia che trascorrano minuti, attimi in cui il tempo sembra fermarsi.
Restiamo occhi negli occhi, finché non torno a parlare.
«Anch'io ero arrabbiata con te.» mormoro catturando il suo labbro inferiore tra i denti.
«Perché?» ansima lui.
«Pensi me lo ricordi?»
James a quel punto porta il busto all'indietro e mi scocca un'occhiata intensa, approfondendo la visione del mio corpo, coperto solo da quel pigiama ridicolo.
Discosto immediatamente lo sguardo dal suo.
«Non te ne accorgi, June?» lo sento dire quando realizza che non riesco a reggere la sua occhiata intensa e lussuriosa.
«Cosa?»
«Che sei bellissima.»
La mia reazione disorienta accresce quando James solleva le mie gambe posate sulle sue. Si alza in piedi e mi fa cenno di aspettarlo lì.
«Prendo una coperta» annuncia poi, avvicinandosi alla finestra che dà sulla mia camera.
Dopo nemmeno qualche secondo torna con il mio copriletto bianco tra le mani.
«Ma che fai?»
Sgrano gli occhi nel vederlo rimettersi a sedere con quella grossa matassa bianca.
Se la sporco mia madre se ne accorge
Ma quel pensiero vola via in fretta perché lui compie un gesto dolcissimo, avvolge entrambi con il copriletto, poi si blocca a guardare di fronte a sè.
«James?»
Lui però non risponde, sembra nervoso.
Mi ritrovo ad osservarlo un po' impensierita. Sono realmente preoccupata per James. Forse dovrei dirgli di quella ragazza. Confessargli che anche lei era d'accordo con Hood, che voleva incastrare James e che se è andata a letto con lui, era solo affinché il vicesindaco lo scoprisse.
Certo lei non sapeva quali erano le vere intenzioni di Hood. Non sapeva che ciò è avvenuto solo per registrare la chiamata in cui lo stesso uomo diceva che voleva farla fuori. Il tutto per poterlo ricattare, dopo che Hood si era sbarazzato di lei.
Che uomo spregevole.
«Stai tranquillo.»
«Che vuoi dire?»
«Quello che ti ho detto prima, alla festa... Sì, insomma... ho sbagliato. Non devo metterti pressione»
Le sue mani restano agganciate al copriletto, ma io le sento tremare appena.
«Non sei obbligato a dire niente. Solo quando te la senti.»
James mi scruta diffidente.
«Dici sul serio?»
«Tu l'hai fatto con me. Sei stato paziente e hai aspettato che io fossi pronta.»
E senza permettermi di aggiungere altro, lui si avvicina al mio viso per lambire la mia mandibola con le sue labbra morde.
«Come fai ad essere così....?»
La sua voce densa scorre lungo la mia pelle dandomi i brividi.
«....Perfetta per me.»
Sussurra nel mio orecchio facendo sciogliere ogni briciolo del mio buon senso.
JAMES
Non mi sono mai ritrovato in una situazione simile. Ogni volta che ho avuto voglia di prendere a pugni qualcuno l'ho fatto. Ma questa sera non ho potuto. Avrei ammazzato Brian in più di un'occasione.
«Non so cosa ti abbia detto Brian ma io... Non sono riuscito a farlo.» bofonchio sistemando il copriletto sulle sue cosce infreddolite.
«Lo so.» mi rassicura lei prendendomi una mano, nel tentativo di scaldarla con il calore delle sue.
«Ero arrabbiato, confuso, deluso da suo padre. Avevo creduto alle sue parole, che volesse una famiglia con mia madre, quindi mi sono anche sentito in colpa di averlo aggredito per averlo trovato con lei. E la sera in cui volevo ucciderlo... la mia vista era annebbiata. Non avrei dovuto farmi, stavo sudando. Succede ogni volta che vivo una brutta situazione. E il fatto di trovarmi con una pistola in mano, puntata alla tempia di un uomo, lo era. Era davvero una situazione di merda.»
«Cosa succede in quei casi?» domanda lei, lasciandomi il tempo di metabolizzare i ricordi.
«È come se il mio corpo rivivesse quella sensazione soffocante di calore.»
«"Non ci riesco" mi dissi. Stavo provando a concentrarmi sull'odio che provavo per lui... Sulla paura di andare in riformatorio per mesi, di lasciare Jasper...»
Non ci riesco.
«Non l'hai fatto perché non sei un assassino James. Non sei come loro.»
June strofina il naso nell'incavo del mio collo, si stringe a me con i pugni ben asserragliati alla mia felpa.
«Non scappo...» la prendo in giro nel notare la sua vicinanza, che non può che farmi piacere.
«Lo so, ma anche se proviamo a fare finta di niente... Tutta questa situazione è terribile. Austin e Hood sono in grado di fare qualsiasi cosa.»
Annuisco. «Non sai quanto.»
«Dimmi del riformatorio.»
Quella proposta mi buca la bocca dello stomaco. Non ci riesco.
«Che ne dici se... Ci andiamo con calma e te lo dico un'altra volta?»
«Okay... Se non vuoi, va bene» sbuffa lei.
Ma ovviamente non le va bene.
«June, lo sai. Non sono una persona romantica, ma cazzo... Ci sono le stelle, la luna, stiamo abbracciati al caldo sotto la coperta... Perché dobbiamo rovinare il momento con questi dannati racconti?»
«Le stelle? La luna? C'era qualche strana droga nella birra, James?»
Il suo tono canzonatorio mi fa incazzare, ma al contempo mi stuzzica e non poco.
«Ma che fai?» salta su quando aggancio l'orlo della mia felpa con le dita.
Me la sfilo davanti ai suoi occhi, che, attenti, scendono lungo il mio addome segnato.
«Fammi capire, io non posso guardarti le tette da sopra la maglietta e tu puoi guardarmi in questo modo?»
Lei sorride con una curva maliziosa sulle labbra.
«Come ti starei guardando, scusa?»
Come se volessi fottermi anche l'anima.
Non le do la soddisfazione di rispondere, mi mordo il labbro mentre sono intento a stendere la mia felpa su quelle tegole polverose, posizionandola proprio dietro la sua schiena.
«Che cavaliere...» mi prende in giro giocherellando con una ciocca dei suoi lunghi capelli.
Provo a sdraiarmi sulla felpa per valutare la confortevolezza di quella posizione, ma non ci vuole un genio a capire che delle tegole del cazzo conficcate nella schiena, non siano proprio la definizione di comodità.
«Mettiti su di me. È una tortura il tuo tetto.»
June non se lo fa ripetere due volte, poggia la guancia sul mio petto e io l'avvolgo fino in vita con la coperta.
Le lascio un bacio tra i capelli, lei indugia a carezzare i muscoli dei miei pettorali, segnandone divisione con la punta dell'indice.
«Ti piace quello che vedi?» La provoco.
«Sì mi piace. Molto.»
La sua risposta però, non è accompagnata da alcuna risatina, né da prese in giro.
June fa leva sul gomito, poi innalza il busto per far allineare i nostri sguardi.
«Di te mi piace anche ciò che non vedo.»
Mi trapassa il petto con i polpastrelli, poi con gli stessi sale al mio viso, dove il tocco del suo pollice mi dà i brividi, quando si ferma sullo zigomo freddo per carezzarlo.
«Hai sempre la risposta pronta eh, White»
A quel punto, finalmente, lei sorride.
Ma il suo sorriso dura poco, perché lo soffoco dolcemente, con un bacio, affogando nelle sue labbra morbide e accoglienti. Mai spigolose. Mai titubanti. Non mi respinge, non mi allontana, anzi, m'invita ad affondare con la lingua tra le sue guance morbide, per approfondire quel contatto.
Così mi tiro su a sedere, poi circondo la sua figura con il braccio, intrappolandola sotto di me. La sovrasto con il mio corpo, facendo ben attenzione a non schiacciarla, ma le sfugge comunque un piccolo gemito, quando la obbligo ad aprire le gambe per darmi lo spazio necessario.
E mi basta insinuare la lingua nella bocca di quella ragazzina, che ogni parte del mio corpo prende vita. Avverto piccole vibrazioni correre lente sotto la mia pelle, nelle braccia, lungo la schiena e ovviamente, dentro ai miei boxer. Sorreggo il bacino per evitare di starle troppo addosso, aspettando solo il momento giusto per farle sentire quanto lei riesca a farmi eccitare.
Sento le sue guance contenere a fatica la smania della mia lingua perché sì, mi piace baciarla lentamente, ma ora non è uno di quei momenti, ora sto letteralmente pulsando di desiderio per lei. June risponde al mio bacio come meglio può, provando a mantenere il mio ritmo, ma quando si accorge di non riuscirci, quando si accorge che le manca il respiro, prova respingermi premendo una mano sul mio petto.
«James...» boccheggia senza fiato.
Ne approfitto per scendere con la mano a modellare il suo seno avvolto dalla maglietta, che sotto al mio palmo si plasma con facilità. Con il pollice sfioro il suo capezzolo facendolo inturgidire e quando mi accorgo che non porta il reggiseno, l'adrenalina comincia a pompare violenta dentro di me. Ho bisogno di spogliarla.
Così afferro i lembi della maglia per sollevargliela in modo rude e impaziente. Lei inizialmente oppone un po' di resistenza, ma quando capisco che è solo imbarazzo, riposiziono il copriletto fin sopra alle nostre teste e le sussurro
«Non ci vede nessuno, sei al sicuro qui con me.»
Il suo viso è allineato al mio petto, quindi mi afferro la catenina metallica che le dondola sul viso e la stringo nel pugno della mano, per evitare che le possa recare fastidio. Lei però non sembra urtata, anzi, mi da un bacio sul petto, a stampo. Ma a me non basta.
«Di più June.»
È dannatamente buio sotto la coperta, il suo volto è oscurato dall'ombra proiettata dal mio corpo, forse per questo June si fa coraggio e prende a lasciarmi qualche bacio più lascivo, proprio sul torace, con tanto di lingua calda e scivolosa. Improvvisamente la temperatura lì dentro si fa rovente. E ogni muscolo del mio addome s'indurisce.
Quando finalmente innalza le braccia, non ci penso due volte a sollevarle quella fottuta maglietta.
Mi fiondo sul suo corpo con impazienza e comincio a blandirle i capezzoli con il calore del respiro, accenno a strofinarli con il labbro inferiore, solo un po', per godere della loro reazione ai brividi provocati. Lei inarca la schiena e muove i fianchi verso l'alto, dandomi un chiaro segnale di ciò che vorrebbe da me.
Poi però mi fermo un attimo, con il solo scopo di ammirarla.
La sua abbronzatura divina le dona alla perfezione, è uno spettacolo dorato sotto a quei capelli biondi e spettinati.
June se ne sta lì a guardarmi, con gli occhi languidi, le labbra socchiuse e le gote accaldate.
Il suo seno tondo e sodo si alza e si abbassa rapido, senza mai perdere la forma perfetta, resa tale anche dai suoi capezzoli umidi e gonfi.
Porto una mano sul mio inguine, come a voler fermare l'eccitazione che seguita a crescere dura e pulsante. Sono fottutamente pronto. Devo scoparla ora.
L'altra mano scivola dentro ai suoi pantaloncini del pigiama, mentre la lingua mi vibra tra i denti, impaziente di saggiare ogni centimetro della sua pelle.
Lei a quel punto mi circonda il collo con entrambe le braccia, incrocia i polsi all'altezza della mia nuca, poi applica un po' di pressione per invitarmi a scendere col viso a trovare la sua bocca, già socchiusa.
La mia lingua vortica, instancabile, leccando e stuzzicando le sue labbra di baci sempre più peccaminosi, intanto, con la punta delle dita le sfioro le mutande dapprima delicatamente, poi strofinando con più decisione, a cercare il suo clitoride che da sotto il tessuto comincia a gonfiarsi.
Un gemito soffocato trova spazio sulle sue labbra, quando sposto il cotone e lusingo le sue pieghe lisce con i polpastrelli freddi. Ma quel gioco dura poco, perché affondo lentamente il dito medio dentro di lei. Mi mordo il labbro e il respiro mi si spezza nel percepire quanto sia accogliente. Calda. Lei si contrae quando aggiungo un altro dito, che scivola con facilità della sua fessura stretta. Si fa così soffocante da serrarmi i polpastrelli, lasciando intendere quanto mi voglia.
«June...» ansimo il suo nome, mentre le mie dita scivolano via con dolcezza.
Ho solo una bocca e sono costretto a dividerla tra le sue labbra e il suo corpo caldo e bramoso. Alterno quindi i baci a piccole passate lingua che scivolano lente sui suoi capezzoli turgidi e reattivi. Arcuo i polpastrelli, stavolta umidi di lei e le sposto nuovamente le mutande a lato, senza mai smettere di baciarla, mentre con le dita lusingo la sua zona sensibile, facendola bagnare sempre di più.
Il suo respiro comincia ad accelerare e a giudicare da come trattiene i gemiti, le mie attenzioni la stanno facendo impazzire, ma è solo quando comincia a muore fianchi con impazienza, in circolo, verso di me, che capisco sia arrivato il momento.
«Voglio farlo qui...» Sussurro roco nel suo orecchio.
«Qui?» Lei allarga gli occhi, regalandomi uno sguardo innocente.
«Sì, qui, June. Voglio prenderti qui.»
La guardo dall'alto per qualche istante, finché lei non chiede «Ma ce l'hai...?»
O cazzo, no.
All'improvviso s'innesca una lotta con la mia stessa mente. Inizio a pensare rapidamente, ma il mio cervello non vuole ragionare, sono in confusione. Sembra che tutto il mio buonsenso si sia ormai trasformato in un concentrato di ormoni e che tutto l'ossigeno e il sangue del mio corpo, sia impegnato ad affluire al mio bassoventre, con lo scopo di mantenermi duro per lei.
Il portafoglio, che coglione.
Infilo mano nei pantaloni ed estraggo il portafoglio, da esso sfilo una bustina quadrata.
«Te li porti ovunque, anche a scuola?» mi prende in giro lei, pensando di fare una battuta. Ma una battuta non è.
Soprattutto a scuola
June si abbandona con la nuca sulla mia felpa stesa al suolo, rilassa il collo all'indietro mentre mi calo i pantaloni, i boxer e infilo il preservativo. Le mani mi tremano dalla voglia che ho di lei. Il mio cazzo mi è sempre sembrato perfetto, ma ora il mio sguardo scorre da lui al viso di June... non sembra poi tutto sto granché.
Ora che la guardo in viso, sembra che nulla sia alla sua altezza. Riavvolgo il copriletto sulle mie spalle, in modo da proteggere entrambi. Le sfilo lentamente le mutande già umide, poi con il labbro pizzicato sotto ai denti resto fermo a guardarla, aspettando che i suoi bellissimi occhi tornino dentro ai miei.
Ed è allora che la riempio con una spinta profonda.
June allarga le pupille, nel momento esatto in cui io le allargo le gambe.
«Ciao» bisbiglio sulle sue labbra morbide.
In quell'attimo sembriamo trovare una connessione profondamente intima, tutta nostra.
«Ciao.» mi risponde lei, prima di conficcare le dita tra i miei capelli scompigliati per tirarmeli con foga ed iniziare a baciarmi.
I suoi fianchi mi risucchiano facendo sparire tutta mia eccitazione e nell'aria avverto solo lo schiocco di baci passionali e quel rumore indecente che fa il mio inguine coriaceo nello sbattere contro i suoi fianchi morbidi, senza sosta.
Tutto il mio corpo sembra attraversato da una scarica di tensione. Le spalle, le braccia, l'addome, la schiena e persino le mie gambe, ogni parte di me si tende, trasformandosi in tendini e muscoli induriti.
Il corpo di June invece, non è inerme sotto di me, è vivo caldo, avvolgente. Oscilla appena, per le stilettate ripetute, le riceve con passione, senza mai provare a respingermi.
Il suo viso però sembra leggermente sofferente, pertanto mi soffermo ad osservarla.
«Devo fermarmi?» domando per assicurarmi che quel ritmo sostenuto le vada bene.
«No» sorride lei. «Fa' solo piano» ansima lei, obbligandomi a rallentare immediatamente le spinte.
La vedo chiudere gli occhi ad intermittenza, sembra in balia di un miscuglio di sensazioni piacevoli, quindi torno ad aumentare il ritmo e più spingo, più la sento bagnata tra le cosce. Si porta una mano alla bocca, sbigottita, quando comincio a colpire un punto che sembra farla impazzire. Ma per me non è abbastanza. Voglio farla andare fuori di testa. Mi porto il pollice tra le labbra e lo risucchio senza mai distogliere lo sguardo dal suo, poi lo lascio scivolare sul suo clitoride, su e giù, mentre continuo a scoparla incessantemente.
«O mio Dio, così è troppo...» si morde il labbro trattenendosi.
«Non voglio che ti trattieni. Adoro quando ti lasci andare.»
«Sì ma urlerei» esclama abbandonando gli occhi sulla mia erezione che fuoriesce lucida e rigonfia di vene pulsanti.
«E io sono qui per questo, Biancaneve.»
Mi chino tra le sue gambe, scendo dove fa più caldo, a lusingare la sua intimità gonfia ormai prossima al piacere.
«Dio, James...»
La prima passata di lingua la fa sussultare, la vedo portarsi le mani sul viso quasi incredula.
Godo della sua espressione.
Compiaciuta e confusa.
«Ancora.» sibila lei.
Lecco avido quello che è mio. Lei spalanca le cosce ancora di più, così, con entrambi i pollici, comincio ad aprire le sue grandi labbra, rigonfie e pulsanti.
Un'altra passata di lingua e stavolta sento le sue gambe cedere, attraversate da spasmi.
Seppellisco la lingua dentro di lei e la muovo dentro e fuori quanto basta, poi le risucchio il clitoride con dovizia.
La bagno e la prosciugo, con passione, divorando e succhiando ogni lembo di carne pulsante.
La vedo riversare gli occhi all'indietro, un'adrenalina incontrollabile sembra attraversarle il corpo, fino a farla ansimare ininterrottamente.
Sta venendo.
E il suo sapore è fottutamente dolce, quindi lo lecco tutto, senza lasciargliene nemmeno un po'.
Le mie spalle, ormai vittime delle sue unghie, che mi ghermiscono in una presa disperata, cominciano a bruciare,
«James...»
Sta ansimando il mio nome in modo così sensuale da causarmi scosse continue al bassoventre. Trascino il palmo della mano sul mio addome, ormai percorso da vene rigonfie e spesse.
Senza vergogna e senza alcun tipo d'inibizione mi lascio andare ad un ringhio soddisfatto, appagato, nell'affondare di nuovo dentro di lei. È più calda dopo l'orgasmo, più reattiva, si contrae un paio di volte, ormai al limite.
«Dillo di nuovo» le sussurro nell'orecchio.
Lei si morde il labbro, pur di non darmi quella soddisfazione.
«Cosa?»
«Il mio nome.»
Le lecco il lobo dell'orecchio, poi il collo, le lascio addosso il mio sapore e lei fa lo stesso con me, mentre i nostri respiri si fondono in una danza affannata e disperata.
«James...»
La sento fremere, poi spalanca la bocca e le gambe, permettendomi di andare in profondità, a godermi quel paradiso, mentre succhio avidamente la sua lingua, in modo lascivo, senza alcun pudore.
«Perche ti trattieni?» sussurro nel vederla leggermente restia. «Devi lasciarti andare con me June.»
«Se non lo faccio, non significa non mi piaccia» puntualizza saccente, causandomi un ghigno malizioso.
«Lo so che ti piace, Biancaneve.» la provoco seguitando a muovermi avanti e indietro nella sua fessura calda e stretta.
«Presuntuoso»
«Te te lo leggo in faccia e poi...»
Lei trema ogni volta che morbidezza della mia bocca tiepida si scontra con i suoi capezzoli piccoli e turgidi, che riempio di lusinghe, carezze, baci e lingua. Tanta lingua.
«Lo sento» sibilo tra i suoi capelli sciolti, dandole i brividi.
Con le dita torno a sfiorarle il clitoride ormai allo stremo
Sensibile e turgido.
June serra le palpebre, ormai in estasi.
Sto facendo di tutto per trattenermi, ma vederla in questo stato, sotto di me, è la cosa piu difficile del mondo.
Così aumento il ritmo, di nuovo, obbligandola ad accogliermi come più desidero.
«Troppo? Mi preferivi più dolce?»
Lei fa cenno di no e stavolta sembra gradire perché si contrae con forza come fosse di nuovo prossima all'orgasmo.
Questa non è più la sua prima volta, ora può prendermi tutto, fino in fondo.
«O sì, proprio così» le sussurro nell'orecchio quando mi viene incontro con fianchi.
«Brava.»
June ad un tratto mi sfiora lo zigomo e io capisco che è il suo modo silenzioso per chiedermi di rallentare un po'. Mi preoccupo. Forse ha freddo.
«Vuoi rientrare dentro?» le domando corrucciato. Ho la fronte sudata e le labbra pulsanti.
«Tu?»
«No cazzo, sto così bene qui con te. Dentro di te»
C'è un piccolo mondo sotto a quella coperta ed è nostro.
«Ci sei solo tuo, June»
Le mie intenzioni sono quasi romantiche, ma in realtà sto ansimando, ormai liquefatto dal piacere che il suo corpo è in grado di donarmi.
E poi un altro bacio, più passionale, che sembra mandarla in paradiso, perché i suoi gemiti, sempre meno trattenuti, ma più lascivi e caldi, mi fanno capire quanto le piaccia. Comincio a fremere, sento l'addome indurirsi a dismisura, segno che se continuo con questo ritmo, le sensazioni idilliache m'inonderanno e le verrò dentro.
«Non trattenerti, ti prego. Voglio sentire la tua voce.»
La mia è una supplica. Lo percepisco che è trattenuta, ma non voglio nemmeno forzarla.
«James...»
I miei fianchi seguitano ad allargarle le gambe, facendole sentire tutta la mia prestanza fisica.
Per poco non urla quando prendo a muovermi più in profondità, dilaniandola di spinte forti ed estenuanti.
A quel punto non sembra più preoccuparsi di quanto lussuriosi appaiano i suoi gemiti, prende confidenza con la sua voce e io non posso fare altro che accoglierlo come un invito a continuare.
Le sposto i capelli sudati dal viso accaldato, mentre le sfioro la guancia con le labbra.
«Ma che fai, perché ti fermi?» mi chiede lei.
Il suo orecchio è la mia preda, lo lecco, ne succhio il lobo con foga, poi vi sussurro dentro.
«Non riesco ancora ad abituarmi.»
Emetto un mugolio eccitato, solo il pensiero mi fa straripare di desiderio.
«Sei stretta. Tanto.»
«James nemmeno io riesco ad abituarmi al fatto...»
Sentire la sua voce spezzarsi per via del piacere che le infliggo è qualcosa di così libidinoso che non riesco più a contenermi.
«Che tu sia tutto per me»
«Beh facci l'abitudine, perché io sono tuo. Solo tuo.»
Spingo dentro di lei, ancora.
Stavolta con più forza, lei affonda le unghie nella mia schiena per attutire le spinte secche.
«Cazzo, non ce la faccio più...»
A controllarmi
«Non fermarti» supplica lei avvolgendomi con le sue pareti calde, mentre le cosce mi tengono stretto, avvolto in quella morsa confortevole. Potrei morire, ora, non me ne fregherebbe un cazzo in questo momento. Sto troppo bene.
I nostri respiri accentuati e affaticati si uniscono, sempre di più, creando una piccola sinfonia proibita che riecheggia sotto le coperte.
I suoi fianchi mi reclamano. Lo sento da come si contrae, mi toglie il fiato.
Chiudo gli occhi.
Provo a trattenermi, perché non voglio finisca, ma sono ubriaco di desiderio.
È questo l'amore. Non riesco a concentrarmi. A separare il desiderio fisico dalla sensazione che provo quando mi sta vicina. Mi sta prosciugando il cervello e a breve anche il cazzo, a giudicare da quanto si fa stretta intorno a me.
Così le afferro entrambe le gambe e me le allaccio intorno al bacino, poi ruoto sotto di lei, invertendo le posizioni.
June allarga le iridi, forse imbarazzata dallo stare nuda, sopra di me, così recupero il piumone e glielo sistemo sulle spalle, coprendole anche le braccia.
Le pieghe calde e umide pulsano a contatto con la mia lunghezza, che afferro e indirizzo tra le sue cosce. June si solleva appena per darmi modo di centrare la sua fessura e mentre ci si siede sopra, lentamente, vengo assorbito dal suo corpo caldo e accogliente. Sentirmi affondare tra le sue pareti mi fa perdere controllo, ma poi lei comincia a muoversi e io sono costretto a lanciarle un'occhiata sofferente, un chiaro segnale di resa, sto impazzendo per lei.
A June però non interessa, affossa le sue unghie nelle mie spalle, strappandomi un gemito e si aggrappa a me, prima di accelerare quella corsa.
«Non prenderla come un offesa» mormoro ormai senza fiato.
«Sta zitto James...»
«E che tu... Sono le tue prime volte, ma non sembra.»
Affila le palpebre, prendendo sempre più confidenza con il mio corpo. E con il suo.
«Piano June» la imploro senza fiato.
«Non male Hunter, devo dire che hai una bella resistenza»
«Stronza, tu parli così perché ti ho appena fatta venire con la mia lingua» ringhio dal basso, mentre le mie mani modellano le sue cosce sode aggrovigliate al mio bacino.
«E poi ero così felice di vederti»
Mi lascio scappare quel commento, lo faccio senza nemmeno pensarci su.
Lei si ferma, è confusa.
«Ieri, quando mi sono risvegliato in quello scantinato. Volevo solo te. Volevo prenderti le cosce e avvolgermele addosso. Sentirti nuda sopra di me. Volevo che sapessi che...»
«James...»
«Che sono tuo.»
Quell'uscita deve eccitarla particolarmente perché aumenta il ritmo e io non riesco più a resistere. Provo a farle scivolare di dosso la coperta, e lei questa volta non oppone resistenza. I miei occhi scintillano di lussuria nel vedere i suoi capezzoli tesi, pronti a venire risucchiati dalle mie labbra. Mi sporgo in avanti e i suoi seni trovano spazio nella mia bocca, come fossero fatti di velluto per la mia lingua ruvida e calda. I nostri occhi in quel momento s'incrociano e il mio cervello si spegne improvvisamente.
Casco con la testa all'indietro perché lei si aggrappa con le dita alla mia gola, facendomi quasi male. La vedo perdere il controllo il mio corpo si tende fino a zampillare dentro di lei.
Si prende tutto quello ho, non lasciandomi più niente. Nemmeno il respiro.
«James? Tutto okay?» domanda preoccupata quando entrambi ritorniamo alla realtà.
Resto senza parole.
Come quella notte a casa mia.
Ho scopato tante volte, ma questo è un altro livello. Sto fissare il cielo con gli occhi sbarrati. Lei si rimette la mutande, indossa la maglia del pigiama e io non riesco nemmeno a muovermi. Mi nascondo la parte bassa del corpo con il copriletto e rimango sdraiato.
«È il momento per dire cose carine, non trovi?» mi prende in giro con il suo modo buffo e impacciato, forse per stemperare l'imbarazzo.
«Sembri nata per cavalcarmi.»
«James!» urla scandalizzata.
Dapprima comincia a colpirmi con schiaffetti sulle braccia, poi si copre il viso imbarazzata.
E io ti amo, cazzo.
«È questo che dici alle ragazze?»
«No...»
Probabilmente ero troppo ubriaco o fatto persino per parlare con loro.
«Possiamo rifarlo? Dimmi di sì.» rantolo a fatica, ruotando sul fianco.
«Non lo so, James. Di sicuro puoi pregarmi per le tre ore successive» mi prende in giro lei.
«Non durerà sempre tre ore, Biancaneve. E poi sai che ne sarei in grado»
Preme le labbra sulle mie e ci scambiamo un dolce bacio ad occhi chiusi, quando lei mi stupisce con un'affermazione.
«Mi sei mancato così tanto...»
Il mio sopracciglio destro s'innalza involontariamente.
«Dici sul serio?»
Non sono abituato a queste confessioni, così sincere e affettuose da parte sua.
«Sì»
«Perché non mi dici di più...»
Giocherello con i suoi capelli, mentre i nostri respiri cominciano a rallentare la loro corsa.
«Sì insomma..»
Si fa piccola, io intanto le poso la mia felpa sulle spalle, così la smette di tremare.
«Lo desideravo così tanto.»
«Cosa June?»
«Farlo con te, James. Solo con te»
Resto inebetito a guardare le sue labbra morbide e piene pronunciare quelle parole dal suono divino. La magia però dura poco, perché delle goccioline fastidiose prendono a solleticarmi il naso.
«O no, ha cominciato a piovere. Andiamo dentro» mi strattona lei.
Io però sono in paradiso. Non voglio muovermi.
«Resta qui.»
Allungo un braccio nella sua direzione, ma lei, imperterrita, si alza in piedi, nonostante le gambe ancora tremolanti.
«James.»
Devo togliermi il preservativo, che palle.
Così mi tiro su i pantaloni, indosso la felpa che lei mi restituisce e l'aiuto a trasportare il grosso piumone dentro casa.
Corro in bagno a levarmi quella plastica infernale, ma il vero inferno avviene quando torno in camera di June.
«Uno: come ci sei entrato! Due: cosa stavate facendo!»
Non sono domande, sono strilli impazziti e provengono da Psycho April in persona.
«Niente, mamma! Niente!» esclama June, più impaurita che mai.
Sorrido, perché la sua reazione mi fa tenerezza. Io non ho idea di cosa significhi far incazzare un genitore che vuol fare di tutto per proteggerti.
«Farò murare la finestra» sento April farneticare.
«Dovrai murare ben altro... qui»
Evito di compiere un gesto volgare, ma tanto penso che Psycho abbia capito.
«Vattene a casa James, subito.»
Sorrido alzandomi il cappuccio sul viso. Sono felice, inebetito come un coglione e non è di certo tutto questa farsa a farmi passare il buon umore.
«Dove siamo, in un film di inizio duemila?» strilla lei, in preda ad una crisi isterica.
«E poi alla mia epoca erano le ragazze a salire dalla finestra, non viceversa.»
«Ma che dici mamma....»
«April e le sue mode del giurassico» commento ironicamente.
«Vattene o prendo il pennello più grosso che ho, James.»
È inevitabile, mi ritrovo a ridacchiare, mentre June si nasconde dietro alla scrivania portandosi una mano alla bocca.
«Voi proprio ce l'avete nel sangue vero, l'abilità nel fare ste battute del cazzo?»
«Ho detto che farò installare l'antifurto, non hai nessun motivo per dormire qui. Mi sono fidata di te.»
April mi punta il dito indice contro, come se avessi commesso un'onta irreparabile.
June mi fa cenno di avvicinarmi alla porta, ma io non mi muovo.
«Ci vediamo a scuola, Jamie. Vai.»
«Me la fai almeno salutare?»
Supplico April con lo sguardo, ma lei è irremovibile. Sta davanti alla porta indicandomi l'uscita nemmeno fosse un'assistente di volo.
«Quindi qual è il piano?»
Il mio sussurro complice è rivolto a June, ma non viene gradito da April che, colta da un forte senso di fastidio, esce in corridoio con le mani al petto, sembra costernata.
«Ci ignoriamo, stiamo insieme?» bisbiglia June, stavolta avvicinandosi a me.
«A stare lontani è solo peggio...» replico io, prima di abbandonare la fronte sulla sua.
Sono stremato, esausto, travolto dalla potenza di quelle sensazione forti, intense, sconvolgenti che provo con lei.
Solo con lei.
«June, io...»
«Tu fili a casa prima che, giuro su Dio, io chiamo la polizia.» s'intromette April.
«Scrivimi quando arrivi, James»
Le lascio un bacio sulle labbra poi annuisco.
L'eccessiva premura di June mi causa un piccolo sorriso. Vorrei negarlo, ma in realtà adoro il fatto che si preoccupi così tanto per me.
Fuggo da quella casa sotto lo sguardo adirato di April, raggiungo la mia auto parcheggiata, dove mi rifugio per chiamare Will.
«Tutto okay?» domando restando in attesa.
«Sì, sono rimasto da Amelia»
«Oh... Come sei devoto al tuo dovere» lo prendo in giro. «Sei lì a dormire?»
«Sì. Dormo per terra. Ovviamente. Vuoi mica che mi ritenga degno di un materasso?»
«E Brian e lì?»
«No, se n'è andato Non c'è nessuno. Amelia non voleva restare da sola. Credo che, anche se non voglia ammetterlo, anche lei abbia paura, James.»
«Mi raccomando, tieni gli occhi aperti.»
«Sì. Brian ha deciso di accompagnare Ari a casa. Nemmeno lei era tranquilla da quanto mi ha detto Marvin e Brian non se l'è sentita di lasciarla da sola.»
«Okay. Chiamo Jax e vado a dormire» ribatto sollevato, Will però mi trattiene con una domanda imprevista.
«Sei innamorato di lei vero?»
Guardo fuori dal finestrino, sono ancora parcheggiato fuori da casa sua.
«Sì.»
«Come l'hai capito?»
«Ci sono stato insieme finora e non vedo lora di rivederla.» confesso senza nemmeno doverci pensare.
«Ti sento felice e mi fa piacere.»
«Lo sono. E vorrei lo fossi anche tu, Will.»
«Ci sto provando James, ma non è facile lo sai.»
Così chiudo la chiamata con William e con un po' di agitazione chiamo Jackson.
«Hei...Dove sei?»
«Sono da Blaze, aspetta che esco fuori.»
La sua voce è più spensierata del solito, questa non è una cosa tipica di Jackson.
«Ti sento particolarmente allegro» lo punzecchio sottovoce.
«James... Sai quando mi hai detto che ti stavi innamorando di June?»
«Sì.»
«Beh... Io...»
Non c'è bisogno di altre parole, capisco già dove voglia arrivare.
«Voglio vedervi al ballo insieme.» esordisco prima di posizionare il telefono sul cruscotto e mettere in moto.
«Non lo so...»
«Fallo, Jax. Buttati per una volta. So che ti ho sempre detto che lui non è abbastanza per te, ma... è solo perché mai nessuno sarebbe alla tua altezza. Non ho nulla contro Blaze.»
Lo sento accennare un sorriso.
«Se ti rende felice, se lo ami... Hai tutto il mio supporto»
«Grazie James.»
«Ci vediamo domani.»
Ci salutiamo, poi giù la chiamata proprio nel momento esatto in cui ricordo di non avergli rivelato la mia teoria sul professor Beckett.
Così aspetto di arrivare a casa e lo richiamo.
«Jax, sai... C'è una cosa che non ti ho detto...»
Il silenzio dall'altra parte.
«Jackson?»
«Ciao James.»
Ma questa non è la voce di Jackson.
Va bene,
ricordatemi di lasciarvi il modulo da compilare per diffide ed eventuali denunce 📜
Mi auguro che il capitolo vi sia piaciuto, ho provato a fare del mio meglio con le scene 🔴 ma ehi, sono umana anch'io, quindi se non sono proprio perfette o scorrevoli, perdonatemi 🙇🏼♀️
Cosa ne dite del pov di william? Era in realtà uno di quelli che mi spaventava di più in assoluto, ma mi sono fatta prendere la mano e ne sto già scrivendo un altro, per il prossimo capitolo... 👀
Lasciatemi una stellina se vi è piaciuto, so che non lo chiedo mai, ma dovrei dato che mi è utile per capire se il capitolo sia di vostro gradimento o meno 🤍
E nulla, come sempre, ci si vede su Instagram (stefaniasbooks) per sclerare come delle pazze.
Vi amo. 🦋🤍
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