48. Save your tears for another day


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🦋JUNE 🦋

L'agitazione comincia a causarmi strani tremolii alle gambe.

Sono ancora immobile, sotto all'imponente corporatura di James, quando sollevo il capo per cercare una risposta nei suoi occhi.
Lui inclina il volto, lentamente, e io a quel punto capisco. Gli basta intensificare lo sguardo nel mio, per trasmettermi tutta la sua inquietudine.

Il mio cuore è già in tumulto, ma ad accrescere il mio turbamento ci pensa la sua bocca rosea. Se fino a qualche istante fa era intenta a deliziarmi di baci instancabili, ora si deforma in una linea stretta.

«Sì. Arrivo.» lo sento tagliare corto al telefono.

Io rimango nel letto a fissare James che, una volta conclusa la chiamata, si alza in piedi per infilarsi maglietta e pantaloni della tuta.

Succede sempre. Accade tutte le volte che stiamo insieme. Ad un certo punto, per un motivo o per un altro, lui comincia a sfuggirmi.

Indispettita dal suo continuo silenzio, erompo in un nervoso «Perché non mi parli?»

Senza nemmeno nemmeno innalzare la testa, James si lascia andare ad un mugolio frettoloso.

«Ti chiamo domani.»

Dovrei starmene zitta e farmi gli affari miei, vero?

«No, tu mi parli ora.»

Mi butto giù dal letto e gli arrivo sotto al mento.

Il mio tono rude però, si addolcisce in fretta, non appena i nostri respiri si fondono in un'armonia ormai conosciuta.

«Che succede?» mormoro ad un soffio dal suo viso.

«Amelia ha avuto un incidente.»

La sua affermazione mi disorienta, quindi lo fisso con aria interrogativa.

«Ma... Com'è possibile?»

«Non lo so, cazzo. È in ospedale adesso.»

James a quel punto si volta per mettersi le scarpe, ma solo dopo avermi lanciato un'occhiataccia.

La sensazione che mi pervade è decisamente strana: avverto il forte impulso di mandarlo via.

Ora. Sempre.

Se lui questa sera non fosse venuto qui, adesso non mi sentirei così, come se un pugnale mi avesse appena trafitto lo stomaco.
Vorrei dirgli di non venire mai più in camera mia, di non infilarsi mai più nel mio letto in piena notte facendomi catapultare in un'illusione momentanea.

Ben presto però, mi tornano in mente le parole di sua mamma.
Devi avere pazienza con lui.

Perciò metto da parte il mio orgoglio e, ancor prima che possa uscire dalla finestra, ci riprovo. «Ti accompagno?»

L'eventuale risposta m'incute un po' di timore, dopotutto parliamo di James, se avesse bisogno di me non lo ammetterebbe mai.

Lui finisce di rivestirsi e senza sollevare lo sguardo dal pavimento, sputa un «Fa come ti pare.»

È impossibile negarlo, il suo atteggiamento sta mettendo a dura prova la mia comprensione, ma alla fine decido di seguirlo senza discutere oltre. Indosso i pantaloni della tuta sopra ai pantaloncini del pigiama, poi la giacca ed infine le scarpe. James si avvicina alla finestra, ma l'attimo prima di uscire, allunga una mano verso la mia scrivania.

«Ma che fai? Quelli sono miei.» lo rimprovero quando mi accorgo che si è appena intascato una confezione dei miei post-it preferiti.

Sì, sono possessiva con le mie cose.

«Questi li prendo.» dice lui.

«Perché?»

«Potrebbero sempre servirmi...»

James flette il capo volgendo lo sguardo al pavimento, ma subito dopo si volta, per gettare i suoi occhi cupi e magnetici dentro ai miei.

«Nel caso dovessi fare una cazzata...»

Abbozza un'occhiata intensa che mi colpisce in pieno viso e la scoccata di un forte brivido mi scuote le membra.

«In che senso?»

Serro immediatamente le palpebre quando, con la punta delle sue nocche ruvide, James sfrega sulla mia guancia calda.

«Che ti porterà ad odiarmi così tanto,  da bloccarmi ovunque e da non volermi più parlare.»

Raggelo sotto al tocco delle dita fredde che prendono a solleticare la porzione pelle sensibile, nascosta dietro al mio orecchio.

«Mi spaventi, James...»

«Andiamo.» conclude indicandomi la finestra con un cenno del capo.


Il tragitto da va casa mia all'ospedale, lo faccio insieme ad un ragazzo completamente muto. In macchina James non fiata, se non per inspirare nervosamente il fumo, lo ruba alla sigaretta, poi lo getta fuori dal finestrino, a ritmi alterni.

«Hai freddo.»

Non è una domanda, non è nemmeno un pensiero gentile. È solo la sua voce tenebrosa che pronuncia quella frase, come se io non avessi importanza in questo momento.

June, sii comprensiva

Ed è facile mettere insieme i pezzi e comprendere perché si comporti in questo modo, un po' meno facile è sopportare il suo silenzio così eloquente.
Sono egoista, forse non dovrei, ma non riesco a scacciare dalla mente quel subdolo pensiero che si traduce con "È così preoccupato per lei, che io non esisto più?"

Decido di ignorare i miei dubbi e chiudermi in un silenzio tombale che dura per tutto il viaggio


Quando giungiamo all'ospedale, Ari e Will sono già lì ad aspettarci. Will non apre bocca, lei ha due occhi gonfi e sfatti.

«Non credono abbia una commozione, ma qualcosa alla colonna vertebrale.» la sento dire mentre ci mostra la strada attraverso i corridoi spogli della clinica lussuosa.

«Ma cos'è accaduto?» domando stranita. James intanto mi cammina a fianco senza spiaccicare parola.

«È uscita da quel locale e ha cominciato a dirigersi verso la fermata del bus, ma non ha fatto caso al semaforo. Era troppo ubriaca.»

Spalanco la bocca inorridita.

«Oddio, ma quella non è una stradina secondaria, è pieno di macchine che sfrecciano...»

«In quel momento passava un'auto che ha frenato di colpo, ma data la velocità, non ha fatto in tempo a schivarla. Le ha impattato sul fianco e nel cadere, ha battuto la schiena in modo violento.»

La voce di Ari trema nell'aria fredda di quel corridoio desolato.

«È cosciente?» mugugna James, quando siamo ormai giunti dinnanzi alla porta della stanza.

«No, non ancora.»

Cala immediatamente il silenzio, finché una donna corpulenta non ci raggiunge per redarguirci con occhiatacce poco rassicuranti.

«Niente visitatori a quest'ora» ci intima l'infermiera, senza però ricevere la benché minima considerazione.

La porta della stanza è socchiusa e attraverso lo spiraglio, riconosco immediatamente la sagoma di Brian. La sua figura è affiancata da una più alta, appartenente ad una donna che ho già visto.

«L'hanno portata via per fare degli accertamenti...» bisbiglia Ari indicando il letto vuoto, destinato ad Amelia.

La porta si spalanca del tutto e in quel momento, gli occhi di Brian, umidi e pesanti, incontrano quelli di James. Sembra quasi che il suo dolore s'intensifichi, per un istante Brian resta senza parole, ma poi, ovviamente, parte sulla difensiva.

«Vattene.»

William decide di restare in sala d'attesa, mentre io e James seguiamo i passi di Ari, dentro alla stanza in cui Amelia è stata ricoverata.

«Brian...»

Una voce femminile pronuncia il suo nome e quando finalmente osservo la donna lì insieme a lui, la riconosco subito: è sua mamma.

«Perché cazzo l'hai chiamato?» Brian si rivolge ad Ari con tono furibondo.

«È stato un incidente, Brian.» prova a rassicurarlo sua madre, con occhi ancora lucidi dalle lacrime.

«Guarda caso ogni volta che accade un "incidente", c'è Hunter di mezzo. Sempre.»

Gli animi si scaldano e la voce di Brian s'innalza in una curva, a sottolineare la parola "incidente", come se quel termine celasse dell'altro, per loro due.

James però non muove un muscolo, lo fissa impassibile, senza reagire.

«Non ti avvicinare mai più a mia sorella. Hai capito?»

«James non ha fatto niente.»

Le parole mi escono in modo naturale, di certo non posso ignorare l'occhiata quasi feroce che Brian mi rivolge nell'udirmi parlare.

«Mia madre è qui. Chiedilo a lei se James non ha fatto niente.»

La risposta repentina di Brian mi lascia stranita, la donna è ancora alle spalle del figlio, quando china il capo per eludere il mio sguardo.

James deve aver capito che non c'è verso di smuovere Brian, perciò si volta per raggiungere la porta. Probabilmente è a conoscenza del fatto che Brian, in questi casi, diventa particolarmente aggressivo e in cerca di scontro. Forse è questo il motivo che spinge James a resistere in tutti i modi e non cedere alle provocazioni.

Ma le parole rabbiose del moro lo colpiscono in pieno.

«Avevate litigato poco prima.»

«Sì.» ammette James prima di incastrare una sigaretta tra le labbra.

Brian si muove nella nostra direzione e con due larghe falcate, si avvicina rapidamente. Non so che intenzioni abbia, ma agisco d'impulso e m'intrometto fra i loro corpi, proprio l'attimo prima che lui che arrivi addosso a James, come una furia.

Il color smeraldo vivo che solitamente riempie le sue iridi si fa scuro come il fango. Brian mi punta dall'alto, mentre comincio ad avvertire una forte pressione sul torace. La sagoma di Brian infatti, si fa più pressante contro il mio petto, causandomi una lieve mancanza d'ossigeno.

James tende il braccio nella direzione di Brian, quanto basta per posargli una mano sul busto e allontanarlo con un colpo secco.
Lo fa balzare all'indietro, respingendolo così, lontano da me.

Il silenzio è tombale e la situazione è così tesa che potrebbe bastare un piccolo rumore per far scoppiare gli animi.
Fortuna che ci pensa la signora Hood a placare le acque, questa massaggia la spalla del figlio, come per calmarlo, poi ci fa cenno di andare via.

Io e James ci allontaniamo dalla stanza in rigoroso silenzio, intanto raggiungiamo Ari e Will, che attendono in corridoio.

«Sta arrivando anche Poppy.» dice la mora con voce ancora rotta.

«James. Grazie per essere passato»

La signora Hood esce dalla camera e si avvicina a noi con circospezione.

«Amelia starà bene?»

Lei annuisce con labbra serrate e James a quel punto risponde con un mugolio sbrigativo.

«Vado a fumare.»

Will e Ari decidono di seguirlo e proprio in quel momento, mi accorgo di avere gli occhi di quella donna addosso. È silenziosa, triste ed estremamente elegante nel suo dolore.

«Lei è un avvocato divorzista?»

Provo ad intavolare una discussione, sedendomi sulla seggiola scomoda.

La signora Hood mi fissa dall'alto ma non parla. Sembra sia intenta a studiarmi con minuzia. Sotto al taglio di capelli corti e corvini, sfavillano due smeraldi dal taglio felino, identici a quelli dei suoi figli.

Ed è ora, che regna il silenzio tutto intorno, ora che mi sono fermata un attimo, ora che ho dinnanzi a me questa donna addolorata, che comincio a realizzare gli avvenimenti della serata. Mi chiedo se Amelia se la stia vedendo brutta realmente o se sarà una cosa da niente. Una morsa lancinante mi attanaglia lo stomaco.

«Mi dispiace per Amelia.»

«Non sono un avvocato divorzista. I tuoi sono divorziati?» mi rimbalza la palla, incuriosita dalla mia domanda.

Annuisco frettolosamente.

«Hai un modo buffo per attaccare bottone...» sottolinea lei con voce tagliente.

«Ha funzionato?»

La donna si abbandona sulla sedia accanto alla mia.

«Sono un avvocato difensore.»

Un ampio respiro le riempie i polmoni.

«Ma sono divorziata. Perciò, alla fine, potrei ritenermi esperta anche di divorzi.»

«Non lo sapevo.» mi ritrovo a fissare le mie stesse mani, che stringo tra le ginocchia per fermare tremolii involontari.

È notte fonda, sono così stanca che tengo gli occhi aperti a fatica e un'angoscia latente mi sta divorando le viscere. Mi sento in colpa. E se fossi rimasta in auto,
come James mi aveva detto di fare? Magari James l'avrebbe rincorsa e tutto ciò non sarebbe accaduto...

«Non è una cosa di pubblico dominio. Io e il mio ex marito abbiamo continuato a vivere insieme per molti anni.»

Mi rendo conto di sentirmi un po' in soggezione sotto al suo sguardo freddo, forse perché la donna mi sta fissando attentamente.

Cosa vorrà?

La scruto di rimando, probabilmente con un'aria interrogativa, tant'è che lei intuisce immediatamente i miei dubbi.

«Sai, June... Hai una faccia conosciuta.»

La sua affermazione spiega in modo chiaro le occhiate furtive che ha continuato a lanciarmi da quando ho messo piede qua dentro.

«Chi le ricorderei?»

Due piccole rughette le solcano il contorno degli occhi.

«Sembri quella ragazza...»

Tutto il suo viso, affusolato e contornato dai capelli corvini, si contrae in una smorfia pensierosa. Ed è proprio la sua espressione ad incuriosirmi.

«Quale ragazza, signora Hood?»

«Nessuno. Torniamo a casa»

La voce cupa e profonda di James tuona per il corridoio vuoto, facendomi rabbrividire.

Mi afferra bruscamente dal braccio e prima che la donna possa parlare, mi trascina via contro la mia volontà.

No, ora voglio sapere.

Provo a divincolarmi dalla sua presa, ma è del tutto inutile, James imprime una morsa d'acciaio sul mio braccio e io non riesco a liberarmene.

«Andiamo.» insiste.

«Lasciami! Non ti capisco quando ti comporti in questo modo!» strillo io, ormai davanti all'uscita della clinica.

Credevo che James rispondesse con una delle sue provocazioni, invece la tensione accumulata durante tutta la serata, lo fa scoppiare.

«Perché vi è così difficile da capire? Perché non riuscite a comprendere che non ho intenzione di mettere le persone nei fottuti guai?!» sbotta a gran voce, facendomi tremare.

«"Le persone"» dico mimando le virgolette con le dita «Vogliono sapere»

Poi, offesa per il suo modo di generalizzare, esco nel parcheggio buio dell'ospedale.

James mi segue e prima che io possa dire altro, vedo la fiammella dell'accendino illuminargli i lineamenti del volto, induriti dal nervoso.

«June non vuoi sapere, fidati. Non è una storia divertente.» biascica con le labbra gonfie serrate intorno al filtro.

Mi accovaccio sul marciapiede e con un grosso broncio a contornarmi la bocca, gli lancio un'occhiataccia dal basso.

«Non è una storia divertente, hai altro da aggiungere?» sputo infastidita.

«Sì.» Con il suo fare provocatore mi soffia in faccia il fumo dall'alto.

«Cosa?»

A quel punto James si accuccia alla mia altezza, poi sfila la sigaretta dai denti per esalare un mugolio roco «Tu dovresti starmi alla larga.»

«Certo, ovvio. Adesso escitene con le tue solite cazzate, quelle che tiri fuori quando non sai più cosa dire»

Lo sguardo di James si assottiglia pericolosamente, mentre mi afferra dall'avambraccio per trascinarmi su in piedi, con violenza.

«Hai visto cosa cazzo è successo ad Amelia?» ringhia a denti stretti sul mio viso.

«Non è colpa tua, James.»

Lui però non sembra essere d'accordo, perché altrimenti non scrollerebbe la testa in questo modo.

«Avevamo litigato. Certo che è colpa mia.»

«Non è colpa tua.» ripeto io, questa volta però, dolcemente.

«E invece sì.»

James reclina lo sguardo verso il basso. E prima che i suoi occhi finiscano al suolo, riesco a rubargli quello che sta provando a nascondere. Si sente in colpa per ciò che è successo ad Amelia. E, probabilmente, si sente allo stesso modo per la sparizione del signor Hood.

«C'era un motivo se hai colpito il padre di Brian, quel giorno. Vero? Perché altrimenti avresti dovuto fare un gesto così estremo?»

Tra di noi s'instilla un piccolo momento di silenzio, tregua che non viene interrotta nemmeno dai suoni della città, che in lontananza comincia a svegliarsi, seguendo le prime luci dell'alba.

James a quel punto si siede a terra, esausto, sembra quasi che le gambe non riescano più a sorreggerlo. Ruba una generosa boccata di fumo alla sigaretta, poi lancia lo sguardo nel vuoto.

«Mia madre tradiva Austin. Spesso. Anzi, sempre.»

«Tu come lo sapevi?»

«Beh, non è che ci volesse un genio del cazzo a capire che, se sentivo certi rumori, anche quando lui non era in casa, lei era sicuramente con un altro.»

«Mi dispiace.» bisbiglio sottovoce, quasi pentita della domanda così sciocca.

«Ma con Hood era una cosa regolare. Erano amici di famiglia e si vedevano in continuazione... Lei però non era quasi mai sobria o lucida. E lui ne approfittava.»

«Nemmeno quella volta lo era, vero?»

«No, lei era ubriaca. Ma questo non cambia il fatto che io ho abbia causato un casino...»

È il tormento per ciò che è accaduto ad Amelia a divorargli lo stomaco. Lo vedo da come la sua fronte si accartoccia in linee, che segnano ad una ad una, tutte le sue preoccupazioni, anche quelle passate.

«James, se tua mamma era sempre sotto effetto di farmaci o alcol... quell'uomo approfittava di lei. Io penso che la violenza non sia mai una cosa giusta, però... hai sofferto abbastanza. Entrambi avevano molte più colpe di te.»

«Quel gesto ha avuto conseguenze. E io non posso che sentirmi di merda se le cose sono finite come sono finite.»

«Come sono finite?»

«Forse è meglio se ti siedi, June»

«No, io sto in piedi.» Ribatto orgogliosa, incrociando le braccia tra loro.
«Ma toglimi una curiosità... la ragazza che ha nominato la signora Hood, chi è?»

«È una storia lunga» sputa con aria contrariata.

«Che fine ha questa storia?»

«Non bella»

James compie una pausa che gli permette di respirare le ultime boccate di fumo, poi prosegue.

«Sai quanto ti ho detto Austin era in combutta con Hood?»

«Gli vendeva la droga?»

«A chi? A Hood? No, Austin organizzava feste per gente importante. Hood gli portava i clienti»

«Come faceva il signor Hood ad avere a che fare con gente importante?» domando confusa.

«L'hai vista quella?»

James indica l'ingresso dell'ospedale, ma io capisco stia facendo riferimento alla mamma di Brian e Amelia.

«Sì»

«È uno degli avvocati più pagati della città. Difende politici e gente di un certo calibro. Di sicuro non gente innocente. Hood passava i contatti di queste persone ad Austin e lui organizzava le feste, dandogli i rifornimenti.»

«Che feste? Che rifornimenti?» m'incuriosisco.

James però, sembra cambiare espressione all'improvviso.


♠️JAMES♠️

«Droga e ragazze.»

Ormai l'ha capito che c'è qualcosa sotto. Continuare a non parlare equivarrebbe solo a prenderla in giro. Ma parlare troppo, significherebbe metterla in pericolo.

«Oh...Okay»

La vedo increspare la fronte come una bambina sperduta.

«Ma tu... cosa c'entri in tutto questo, James?»

Vengo scosso da un brivido di freddo che mi raschia la schiena. June mi osserva e solo a quel punto, capisce che il racconto sarà lungo, perciò decide di darmi retta e sedersi di fianco a me.

Non so da dove cominciare.

Incamero una grande quantità d'aria nei polmoni, lasciandomi inebriare dall'odore della nicotina mischiato al suo balsamo alla pesca.

«Raccontami che è successo dopo quell'incidente.» incalza lei, mentre sto deglutendo a fatica.

«Tre anni fa io ero qui, in questo stesso fottuto ospedale.»



3 ANNI PRIMA

«Quindi tu avresti colpito Hood, in quel modo così violento, senza motivo?»

Serro mascella rovinosamente, per evitare di confessare ad Austin tutta la mia rabbia. Se gli dico che quello stronzo si scopa mia madre, uccide prima lei, poi lui.

E non mi pare il caso, abbiamo abbastanza problemi in questo periodo. Domani pomeriggio Jasper tornerà dal viaggio con mio padre e io non voglio fargli trovare una situazione famigliare più disastrata di quella che aveva lasciato alla sua partenza. Sempre che lei non ci metta del suo e che riesca a non saltare addosso a quel coglione di Jordan.

«Allora? Vuoi parlare?» insiste il mio patrigno, squadrandomi di sottecchi.

Parcheggia fuori dall'ospedale, io mi soffermo a fissare il cielo grigio che si staglia fuori dal finestrino.

«Non lo so, mi sta sul cazzo.» taglio corto.

«Quello che ha detto William Cooper è vero?» domanda lui con tono sospettoso.

«No che non è vero. Hood lo conosci, no?»

«Le persone non finiamo mai di conoscerle per davvero, Jamie.»

Sbuffo nel sentire le sue ovvietà. Parla sempre a slogan, fa tanto l'uomo saggio, poi non conosce pietà quando si tratta di soldi e affari.

A quel punto faccio per uscire dall'auto, ma lui mi blocca trattenendomi con una mano sulla spalla.

«Perché proteggerlo in questo modo? Io non ho ancora capito che razza di gusti hai, Jamie»

«Ma che cazzo c'entra? Amelia e Brian sono miei amici.»

L'uomo scoppia a ridere, facendomi cenno di scendere dalla macchina.

«Tu non hai amici»

Le sue cattiverie mi scivolano addosso. Ogni volta che il nonno di Jackson lo rimprovera con parole dure, lui ci resta così male che spesso non parla per ore.

Lo stesso succede ad Amelia, quando suo padre comincia a rinfacciarle che non è la figlia modello che aveva sempre sognato. A volte piange, a volte dice di odiarlo, che vivrebbe meglio se lui non esistesse più.

Ma a me, ormai non sfiora più nulla. Mi hanno detto ben di peggio. Dicono che i bambini sappiano essere molto cattivi quando vogliono. Ed è vero.

"Non importa se frequenti una scuola privata perché il tuo patrigno fa un sacco di soldi spacciando. Tua madre non ti vuole."

Lo sentivo dire spesso.
E avevano ragione.

"Nemmeno tuo padre non ti vuole."

E anche su questo non mentivano: Jordan era fuggito subito dopo la nascita di Jasper. Non che prima fosse presente, impegnato com'era con i viaggi le frequentazioni di ragazze più giovani.

Nemmeno Austin stravedeva per me, anzi. E non lo fa tutt'ora. Lui mi odia. Ogni volta che mi guarda negli occhi vede il peccato di mia madre. E che lei fosse bella e tutti la desiderassero, su questo non c'erano dubbi, sennò non avrebbe ammaliato così tanti uomini. Hood era solo uno dei tanti.

Ed e proprio lui, il signor Hood, a tirarsi su da quel letto d'ospedale. L'aggressione è avvenuta qualche settimana, fa, ma è ancora ricoverato qui.

«Guarda chi si vede...» ironizza con il suo solito modo di fare.

All'apparenza è bonario, amichevole, ma in verità, estremamente finto. Il suo fisico appare sempre atletico, frutto dei tanti anni di nuoto che si porta alle spalle.

«Delle vostre scuse non me ne faccio un bel niente.» anticipa ancor prima che Austin possa cominciare a parlare.

«Immaginavo. Senti, siamo qui per un consiglio fraterno: non è il caso di sporgere denuncia.»

Conosco bene Austin. Lui non sa cosa siano i consigli fraterni, questa è una minaccia velata che ha tutto l'aspetto di un suggerimento innocente, ma non lo è.

«Se sporgessi denuncia potrei ottenere un bel risarcimento...»

Il padre di Brian delinea quello scenario, causando un cipiglio sul volto di Austin che gli domanda brusco «Vuoi soldi?»

Ovvio, lo sanno tutti. Hood non sembra avere altro obiettivo nella vita.

«Mi sembra il minimo. A causa del ragazzino qui presente, sono quasi morto. Ricordi?»

A quel punto però, Austin sembra concordare con l'uomo perché mi lancia un'occhiata così perentoria che mi fa abbassare lo sguardo al pavimento.

Gli sarò in debito per sempre, questo lo so. Ha già detto che devo cominciare a trovarmi un lavoretto e, guarda caso, ha proprio bisogno di qualcuno che gli smerci la sua roba in giro. Quale miglior posto di una scuola per ricchi figli di papà?

«Cinquantamila dollari.»

Austin scoppia a ridere di gusto dinnanzi alla proposta di Hood.

«Sicuro di non riportare danni cerebrali? Secondo te puoi negoziare una cifra del genere? Non avrai un centesimo da me. Puoi andare alla polizia, possono mettere Jamie in riformatorio, non me ne frega un cazzo. Un problema in meno.»

Merda.

«E se ti dicessi che c'è un un modo per ottenere una somma così alta?» incalza Hood attirando tutta la curiosità di Austin. «E che tu potresti averne una parte?»

«Che vuoi dire?» Austin mi fa cenno di chiudere la porta, in modo da poter continuare a parlare in tutta tranquillità, senza occhi e orecchie indiscreti.

«Ma ti senti quando parli? Cinquantamila? Lo sai che se andassi a sporgere denuncia, te ne concederanno a malapena diecimila?»

Hood sembra però irremovibile.

«Fidati. Cinquantamila. Cifra esatta»

«Perché vuoi tutti questi soldi? Tua moglie è un avvocato di successo. Lo sanno tutti che porta lei i pantaloni in casa.»

Lo sa anche Austin, Hood ha sempre avuto una sorta di competizione con sua moglie: è geloso del suo successo e da sempre si sente un fallito, perché una donna sta facendo pià carriera di lui, sta badando alla sua famiglia mentre lui passa le giornate a bere e tradirla.

Me l'ha confidato Amelia: non stanno più insieme da tempo e sono separati in casa. Vive ancora con loro e fa il mantenuto della moglie perché alla fine, con lo stipendio da professore, non potrebbe mai condurre la vita lussuosa che gli permette lei.

«Voglio quei soldi perché voglio essere io a badare alla mia famiglia. Hai presente... i miei due figli? Due università non si pagano mica da sole»

A quel punto però, l'uomo forza lo sguardo nella mia direzione e prende a fissarmi.

«Sentiamo che ha da dire» suggerisco io, con il fiato corto.

«È una situazione in cui vinciamo tutti. Cosa fai per vivere?»

La domanda che Hood rivolge ad Austin fa storcere il naso a quest'ultimo.

«Hai finito di girarci intorno? Se hai un affare da proporre, parla.»

«Ti chiedo solo di fare ciò che hai sempre fatto. Tu organizzi una festa, la gente la trovo io.»

«Lo sai che devo far lavorare più di cento ragazze per quella cifra? Al massimo della tariffa»

Chino il capo repentinamente. Stanno davvero parlando di questo in mia presenza?

«Non se parliamo di gente molto ricca, gente che pagherebbe anche cinquantamila dollari per una notte»

Austin scoppia a ridere.

«Tu viaggi troppo di fantasia. Quelle non sono nemmeno modelle...»

«Già. Infatti io non sto parlando di loro.»

Una strana inquietudine mi fa rivoltare le viscere, quando lo sguardo di Hood ricade pesante su di me. Di nuovo.

Mi fissa, forse sta cercando una mia reazione. Reazione che non ho, perché non sto capendo di cosa stiano parlando.

«Tu pensa alla roba e alle ragazze, Austin»

«No, io non investo per gente che non conosco e che non ci darà mai i soldi che ha promesso»

«Stiamo parlando di politici. Pensi non sia gente abbastanza affidabile?»

«Io domani mi candido e divento magicamente un assessore. Lo possono fare tutti, non significa un cazzo.» Austin non vuole cedere, è diffidente.

Hood lo squadra dall'alto al basso con un'occhiata fredda.

È un animale sociale, l'ho visto abbindolare ogni tipo di persona. Non è rozzo come Austin, eppure, a volte, diventa così spietato da far paura.

«Sei a conoscenza dell'ultimo caso che ha seguito mia moglie?»

«Quello del vice sindaco indagato per frode e truffa?»

«Esatto. »

«Complimenti, gente affidabile.» mi lascio scappare quel commento attirando le loro occhiatacce.

«Queste persone hanno tanto potere, quanto tanto da perdere.»

«Cos'hanno da perdere?»

«La reputazione.» sentenzia Hood con voce arcigna e impassibile.

Austin l'osserva a bocca aperta.

«Stai dicendo sul serio? Stai davvero parlando del vice sindaco di Los Angeles?»

«Perché non mi credi? L'hai conosciuto, c'era anche lui alla festa con i genitori degli studenti.»

L'affermazione di Hood richiama la mia attenzione. Stanno parlando della cena a casa di Ari, quella di qualche mese fa.

«Lui ci hai parlato, vero Jamie?»

Gli rivolgo un'occhiata disinteressata, poi scrollo le spalle.

«Boh»

Quella cena è stata una noia mortale.
Dopo aver cenato siamo andati in camera di Ari, dove lei e Amelia hanno iniziato a litigare per un pretesto stupido. Secondo Jackson litigavano perché Ari continuava a sedermisi in braccio, ma a me non fregava un cazzo, m'importava solo di parlare con Brian, che però sembrava il primo ad avercela con me.

«Non mi ricordo.» bofonchio appoggiandomi con le spalle alla porta.

«Sicuro?»

Ora che ci penso... sono andato via da quella camera infastidito. Ho fumato con Poppy sul balcone, l'ho baciata e poi, quando lei è tornata in casa, un uomo ben vestito mi si è avvicinato si mi ha chiesto una sigaretta.

Sono immerso nei miei pensieri e per poco non mi accorgo che Austin riceve una chiamata. Invece che lasciare la stanza però, punta un dico contro Hood.

«Prima di rimettermi in affari con te voglio assicurarmi che tu non voglia fottermi»

Austin abbandona la stanza per parlare al telefono e proprio mentre sto per andarmene anch'io, Hood mi richiama.

«Perché non gliel'hai detto?»

«L'ho fatto per mia madre. Perciò se vuoi continuare a vivere, tieni la bocca chiusa.» lo minaccio con tono duro.

Ovviamente lui scoppia a ridere. Chi ha paura delle minacce di un quindicenne?

«Sai, Jamie... Le avrei accettate le tue scuse. Alla fine, ti ho accolto in casa, ti ho trattato come un figlio.»

«Questo non cambia cosa le hai fatto...»

«Non le ho fatto niente, lei si voleva divertire quanto me» sogghigna divertito.

Ma a me la cosa non fa affatto ridere, anzi, stringo i pugni lungo i fianchi non appena avverto il forte impulso di aggredirlo ancora. E ancora.

«Però ora che agisci così... sai che dico, ragazzo? Sono io ad avere il coltello dalla parte del manico, ti denuncerò. È questo che vuoi?» si massaggia la testa ancora fasciata dalla garza bianca.

«No»

«Allora digli di accettare, James»

«Ma io cosa c'entro in tutto questo?»

«Verrai anche tu.»




June mi osserva stranita, ma ben presto l'azzurro intenso dei suoi occhi s'illumina, come se avesse appena avuto una rivelazione.

«Okay, quindi...conoscendo il soggetto, ha mosso delle pretese nei vostri confronti. Voglio dire, il tuo patrigno organizzava cose illecite per politici ricchi e potenti, non sono nata ieri. E poi? Hood si è messo contro gente di questo tipo e l'hanno fatto sparire. Giusto?»

«No.»

«Brian? È da quel momento che non ti ha più rivolto la parola?»

Di certo non ha aiutato il fatto che io piacessi ad Ari e che Amelia fosse così affezionata a me.

«Dal giorno dell'incidente in piscina, Brian non ha più voluto parlarmi. Non glien'è fregato un cazzo che mia madre fosse ubriaca e suo padre ne stava approfittando. Mi ha colpevolizzato di tutto. Però ha sempre negato quanto tutto ciò l'abbia segnato.»

Lei sembra nuovamente confusa.

«In che senso?»

Nel senso che Ari voleva da me l'unica cosa che lui non riusciva a darle.

«Ari mi ha detto che Brian non riusciva nemmeno a sfiorarla, sebbene volesse farlo. Forse vedere suo padre che prova ad approfittare di un'altra donna deve averlo nauseato così tanto da obbligarlo a sentirsi una merda...Non lo so.» abbozzo quell'ipotesi, mentre la vedo reprimere un sospiro pesante.

Non era mia intenzione raccontarle tutte queste cose e angosciarla con i miei problemi, ma ora non posso fare altrimenti.

«C'entra Amelia in questa storia?»

«No, cioè in parte sì perché è sua figlia. Ma non è questo il punto, June. Qui si parla di me.»

Lei intrappola il lato del labbro inferiore sotto agli incisivi. Sembra quasi impaurita dalle mie parole, sebbene queste non abbiano ancora lasciato la mia bocca.

«Di me e te.» proseguo io.

June si volta di scatto e prende a lanciarmi occhiate che saettano dai miei occhi alle mie mani che, nervose, torturano il pacchetto di sigarette.

«Cosa vuoi dire, James?»

«Non ti ho detto tutto.»

«Tu non l'hai ucciso quell'uomo, di questo ne sono sicura.» ribatte impulsiva.

«No, certo che non l'ho fatto.»

Il suo piccolo sospiro è segno di quanto sia sollevata dalla mia confessione.

«Solo di questo m'importa, il resto puoi anche non...»

«Non credo June.»

Come glielo dico?

In quel momento il cellulare mi s'illumina nelle tasche della tuta. Lo afferro per rispondere e la voce che segue mi fa rabbrividire.

Merda, è Austin.

«Spero che l'avvertimento sia arrivato forte e chiaro.»

E subito una rivelazione improvvisa: quello di Amelia non è stato un incidente.

L'istinto mi porta a chiudere immediatamente la chiamata, prima che June senta la discussione tra me e lo stronzo.

«Tornatene a casa» le ordino brusco, cambiando improvvisamente faccia.

«James?»

«Vattene.»

Mi vibra la sigaretta tra le labbra. Nonostante l'ampia felpa che le nasconde le curve, riesco ad intravedere le sue spalle tremare per via del freddo.

«Non puoi riaccompagnarti tu?»

È incredula, quasi indispettita di dovermelo domandare ad alta voce.

Mi volto per non guardarla negli occhi. Altrimenti non riuscirei a trattarla così duramente.

«No. Io resto qui.»

E non voglio che lei rimanga qui un minuto di più.

«Io lo capisco che Amelia sia tua amica e tu sia preoccupato per lei, però non puoi fare così adesso.»

Il pensiero che Austin abbia causato l'incidente di Amelia mi fa capovolgere lo stomaco dalla rabbia.

«Non so cosa cazzo mi sia saltato in mente nel raccontarti tutto...»

«James, stai iniziando a fidart...»

«No.» sputo freddo, provando ad ignorare la sua espressione innocente.

Forse l'unica cosa sensata è allontanarla da me. Sono ancora in tempo.

«James, stai scherzando? Dopo quello che...»

«Dopo cosa? Non c'è stato un cazzo tra di noi. Non abbiamo nemmeno scopato.»

Il suo sguardo ferito diventa ben presto freddo, quasi apatico, e vorrei poter dire lo stesso di me, invece mi sento accartocciare dentro nel pronunciare quelle parole.

Ma a lei basta, non sembra nemmeno che la cosa la stupisca più di tanto. La seguo con lo sguardo mentre si dirige verso la macchina di Ari.

Così torno dentro, mi assicuro che Ari e William la riaccompagnino a casa, poi richiamo Austin.

«Che cazzo hai fatto?» gli chiedo senza mezzi termini.

«Quello che hai fatto tu. Ora entrambi abbiamo due persone care all'ospedale.»

«Tuo figlio ha battuto quella testa di cazzo che si ritrova e gli hanno messo due punti. Amelia è ancora incosciente, brutto figlio di...»

Lo sento sorridere.

«Jamie...Qualche goccia di sonnifero in più e io sarei morto. Dopo quello che mi hai fatto, ci sono andato piano. Ne sei consapevole anche tu.»

Sospiro.

Non dirlo, non dirlo.

«La prossima volta tocca alla biondina.»

Cazzo





Amelia è stata riportata in camera dopo gli ultimi accertamenti, ha ripreso conoscenza ma è ancora immobilizzata a letto, perciò decido di andarmene. Anche perché se sto ancora un po' nei paraggi, è probabile che Brian esca e mi prenda a pugni, proprio fuori dalla stanza di sua sorella.

Prima di tornare a casa però, faccio una piccola deviazione. É quasi l'alba, non ho dormito, sono distrutto, ma voglio solo assicurarmi con i miei occhi che lei sia tornata a casa sana e salva.

Sotto alla sua finestra c'è un piccolo bidone in cui April ammassa i rovi che le crescono in giardino ed è proprio salendoci sopra, che riesco a raggiungere il parapetto del secondo piano, per poi arrivare al suo davanzale.

Credevo di trovarla addormentata, invece la sorprendo sdraiata sul letto. La luce pallida proveniente dalla lampada sul comodino ingiallisce i fili dorati sparpagliati nel cuscino sul quale poggia la testa, mentre con le mani tiene un libro che sorregge sul petto.

Provo a forzare la finestra ma stavolta l'ha chiusa dall'interno.
Il mio tentativo risulta vano, così comincio a litigare con la serratura e il rumore cattura presto sua attenzione.
June alza gli occhi dalle pagine, li punta avanti a sé senza nemmeno rivolgerli alla finestra, ha già ha capito tutto.
Non sembra stupita del fatto che io sia qui, o forse, è abile a non darlo a vedere.
A quel punto torna con la testa sul libro.
Mi ha visto.
Ha solo deciso di ignorarmi.

Busso con violenza e le faccio cenno di aprirmi, ma lei compie una negazione scuotendo il capo, senza nemmeno sollevare gli occhi dalla lettura.
Che cazzo ci sarà di così importante da leggere?

Busso di nuovo.
Questa volta lei sbuffa e guarda con apprensione la porta di camera sua. Probabilmente ha paura che io possa svegliare Psycho April con tutto questo casino.

Le indico penna poggiata scrivania.
Lei finalmente si alza, l'afferra con aria diffidente, mentre io le mostro il blocco di post-it, sventolandolo davanti al vetro.
La guardo rollare gli occhi al soffitto e, dopo aver aperto un piccolo spiraglio, mi allunga la penna. Non faccio in tempo a parlare che ha già richiuso la finestra con un colpo secco. Così impugno la penna e scrivo.

HO ROVINATO TUTTO

Spiaccico il post it sul vetro, lei compie una smorfia.

Non hai rovinato niente perché non c'era niente da rovinare scrive lei sul foglietto di carta che mi mostra alla finestra.

Poi però continua a scrivere.

La visione che avevo di te, falsa

Solo ora che i suoi occhi s'immergono completamente nei miei, mi accorgo della patina che lucida le sue iridi color cielo.

«Okay però...Non piangere» sussurro sfiorando il vetro con la punta delle dita.

«Non sto piangendo» mugola lei con il labiale. Mi fissa la bocca, poi distoglie immediatamente lo sguardo.

«Sarà meglio. Non hai aspettato finora per piangere a causa di uno stronzo.»

Sembra attraversata da un brivido e quasi non ci credo quando, dolcemente, abbandona la fronte sulla finestra.
Come se tutto ciò che ci circonda, per un attimo non esistesse. Come se le parole non avessero più valore.
Chino il capo per raggiungerla, mentre le nostre fronti si cercano, separate dal vetro gelido.

«Mi odi?»

Lei annuisce, lo fa senza aggiungere altro.

Non le credo.

Quando però viene colta da un momento di razionalità, si allontana dal vetro e io capisco che è giunto il momento andarmene. Forse ho esagerato, sì, ma cos'avrei dovuto fare? Sto giocando con il fuoco da troppo tempo e sebbene gli errori siano i miei, alla fine finiscono sempre per rimetterci le persone a cui voglio più bene. E con lei non può accadere.

Così senza dire altro torno a casa, dove mi attendono due ore di sonno travagliato.



Il giorno seguente mi alzo con l'aspetto cadaverico di un fottuto vampiro insonne.

«Oggi niente scuola?» chiede Jordan quando, ancora sconvolto a causa la nottata trascorsa, mi unisco a lui per colazione.

Sorseggio il caffè senza nemmeno degnarlo di una risposta, intanto controllo l'ora sul telefono. Corro al piano di sopra, una doccia veloce, infilo qualcosa di pulito, poi esco di casa. Dovrei andare a scuola, dato che abbiamo le ultime verifiche prima della gita, ma ho una cosa più importante da fare oggi.

«E lui chi è?»

Una ragazza robusta dai capelli color arcobaleno rivolge quella domanda ad una sua amica, quando m'intrufolo nell'istituto.

«Sei nuovo nel corso di disegno?»

«Se ti piace pensarla così.» Sbuffo ignorando prima lei, poi l'altra.

Sghignazzano borbottando qualcosa tra loro, io intanto mi siedo all'ultimo banco di quella classe sconosciuta.

Psycho April arriva in classe trafelata, è notevolmente in ritardo.

«Scusate ho...»

S'interrompe per risistemarsi la pettinatura tutta scompigliata dal vento autunnale, lancia il cappotto sulla cattedra, poi comincia a sbraitare.

«Ma perché mi giustifico con voi? Non importa, cominciamo. Oggi disegniamo un nudo artistico....»

«Sei arrivato proprio il giorno giusto» La ragazza con i capelli colorati si volta e mi fa l'occhiolino.

«...Maschile.» prosegue Psyco April indicando un cavalletto vuoto.

Di fianco vi è seduto un ragazzo con un telo bianco avvolto in vita.

«Oh, ti è andata male...»

Il tizio si libera dall'indumento che gli copriva il corpo, infine si rimette seduto e posa completamente nudo.

Mi sporgo in avanti, curvando il lato del labbro in un sorrisetto malizioso.

«E chi te lo dice?»

La ragazza solleva gli occhi al soffitto.

«Oh, sembrava troppo bello per essere vero.» brontola insieme alle sue amiche, che scoppiano a ridere.

Io intanto rubo un foglio e una matita al ragazzo seduto accanto a me, lui nemmeno se ne accorge, preso com'è dal disegnare.

Psycho April non mi ha ancora notato, forse perché sono seduto al fondo della classe. Quando però comincia a sfilare tra i banchi per controllare i lavori, i miei occhi nascosti dal cappuccio della felpa incontrano il suo sguardo e lei per poco non sviene.

Sembra voler partire in quarta con gli insulti, ma poi si zittisce di colpo. Forse si è appena ricordata di essere in una classe, di cui è anche l'insegnante.

«Non fai parte di questo corso» bisbiglia inviperita.

Allargo le spalle, incrocio le braccia al petto e serro le palpebre in un'occhiata assottigliata.

«Mi stai cacciando?»

Alcuni ragazzi si voltano attirati dalla nostra conversazione,

«Che cosa diavolo vuo...»

I suoi occhi finiscono sul mio scarabocchio fatto a matita.

«Puoi farmi i complimenti se vuoi. Non trattenerti.»

Ridacchio facendo strisciare il mio disegno sul banco, in modo che lei lo veda meglio.

April però, non sembra più arrabbiata, anzi, appare affascinata dal mio tratto.
Finisce comunque per scrollare il capo, come a ricercare quel fastidio che prova ogni volta che si ritrova a parlare con me.

«Cosa diavolo ci fai qui, James?»

«Devo dirti una cosa.»

«Non in aula. Usciamo.»

Mi fa cenno di andare fuori, perciò la seguo finché non giungiamo nel piccolo cortile adiacente alla scuola.

Lei incrocia le braccia al petto e mi fulmina con un'occhiata ghiacciata.

«Sentiamo.»

Io invece mi accendo una sigaretta, causandole uno sbuffo nervoso nell'aria fredda di Novembre.

«June deve venire in gita»

«Deve? Ma certo! Cosa mi aspettavo da un mafioso da quattro soldi come te? Che cosa ti sei messo in testa con lei?»

«Non lo faccio per me. Non mi parla nemmeno più.»

«Cosa?»

«Dovresti avere più fiducia in lei. Sa perfettamente riconoscere il bene dal male.»

April mi guarda, sembra vagamente affascinata dalle mie parole, ma potrei sbagliare.

«E quindi...»

«Non è al sicuro qui.»

Stavolta mi si avvicina adirata, riesco a percepire il fuoco nelle sue iridi azzurrine.
Si sfila la matita che teneva incastrata dietro all'orecchio e me la punta contro.

«In quale diavolo di casino l'hai messa? Io giuro che questa matita te la infilo...»

Ecco da chi ha preso

Ma quando alcuni studenti ci passano a fianco, lei si morde lingua e si ricompone in fretta.

«Ho saputo che la vostra compagna Amelia è in ospedale»

Annuisco continuando a fumare avidamente.

«C'entri qualcosa?»

«Ha avuto un incidente.»

«Perché June non ti parla più?»

Il suo tono si fa così sospettoso che sono quasi tentato di dirle la verità.

«Credo non voglia più vedermi. Ma merita di fare questo viaggio e di stare con i suoi amici. Non di restare qui da sola»

«Perché sembri sincero, James?»

«Perché lo sono.»

Lei mi fissa. È ancora accigliata, nonché incredula.

«Un'altra cosa ...Non punire mio fratello per colpa mia. Se deve fare ripetizioni, lasciagliele fare»

La vedo serrare le labbra con rammarico.

«Allora?»

«Ci penserò» sentenzia seria.

«Comunque potevi chiamare me per il nudo artistico. Svestito, sono molto meglio di quel tipo.»

La sua espressione s'inasprisce ancora di più e io ridacchio per averla fatta imbarazzare.

«Non osare parlarmi in questo modo. Vattene ora.»

«Posso chiederti una cosa?» domando camminando a ritroso.

«Che vuoi James?» sbuffa spazientita con un piede verso l'ingresso.

«Hai disegnato anche Jordan in quel modo, vero?»

«Sparisci!»




Dopo aver saltato scuola torno a casa, non sono dell'umore per fare lezione.
Jasper oggi è già rientrato, ma è Jordan che, quando mi vede tornare prima, mi punta minaccioso.

«Dov'è Jasper?» Domando in cerca di qualcosa nel frigo.

«È appena tornato da scuola, luogo in cui dovresti essere anche tu»

Chiudo il frigo semi vuoto e allungo una mano verso il cestino della frutta.

«Sei stato in riformatorio. L'unica strada per l'università è questa.»

«Non so di cosa parli.» bofonchio addentando una mela.

«Alle commissioni di Yale e Harvard non importa quanto un genitore sia disposto a pagare, non ammetterebbero mai uno studente con un curriculum scolastico come il tuo. A meno che, tu non acceda ad una borsa studio.»

Salgo al piano di sopra per chiudermi in camera, ma lui mi segue con le sue chiacchiere insistenti.

«Perché non vai più agli allenamenti?»

«Mi hanno esonerato dall'ultima partita»

Jordan si avvicina all'ingresso della mia camera, posizionando entrambe le mani sui fianchi. «Perché non me l'hai detto?»

«Mmm... fammici pensare... Ah sì, perché non sono cazzi tuoi Jordan.»

In quel momento mio fratello esce dalla sua stanza, che, adiacente alla mia, non garantisce molta privacy.

«James... Non davanti a Jasper» mi rimprovera per la parolaccia.

Ipocrita.

Apro il cassetto della mia scrivania e porgo le cuffie a Jasper. Dapprima le scruta incuriosito, poi si allontana infilandosele sulla testa.

«Sei ridicolo... ora ti scandalizzi per le parolacce che deve ascoltare? Dove cazzo eri quando doveva sentire di peggio?»

«Non posso tornare indietro. Quello che è stato è stato. Ora stiamo parlando di te. Voglio solo che tu abbia un futuro decente, che tu consegua una laurea.»

«Scordatelo.» sputo prima sbattergli la porta in faccia e rispondere al telefono.

«Dimmi, Jackson»

«Il coach vuole che torni. Vieni ad allenamento oggi?»

Non ho di certo voglia di vedere quella faccia di cazzo, ma almeno posso cogliere quest'occasione per sfogarmi.
Ne ho un bisogno fottuto.


♦️JACKSON♦️

«In piedi»

L'allenatore fa il suo ingresso nello spogliatoio e in quel momento scattano tutti in piedi.
Tranne James.

L'uomo è di bassa statura, si fa strada tra le nostre sagome mezze svestite, abbiamo appena fatto la doccia e nell'aria persiste un forte profumo di bagnoschiuma maschile.

«Hunter.»

«Mhm?» James gli lancia un'occhiata di traverso, trattenendo un ghigno divertito.

«Mettiti un cazzo di asciugamano addosso»

«Penefobia, coach?»

Marvin ed altri ragazzi scoppiano a ridere. Ma so già che l'atmosfera diventerà tesa a breve. Brevissimo.

«O forse, sono le dimensioni che la spaventano? Sono decisamente sotto la media, coach.» continua a ridacchiare James.

Sì certo, come no

«Vestiti. Ora.»

«Che fretta c'è?» si acciglia lui, infilandosi i boxer.

«C'è che stiamo aspettando tutti te, Hunter»

«Per me può cominciare a parlare...»

«Basta con questi teatrini»

Il coach perde improvvisamente le staffe e gli affibbia uno spintone, scaraventandolo con le spalle contro le ante d'acciaio. A James sfugge un piccolo gemito di dolore.

Mi irrigidisco nel vedere quella scena, ma James mi rivolge uno sguardo eloquente e io capisco che devo stare fermo.

«Finiscila di fare lo stronzo o giuro che ti sbatto fuori a calci in culo.»

«Ah sì?» lo provoca James, guardandolo dall'alto verso il basso.

«Sì non me ne frega un cazzo di chi è tuo padre, il tuo patrigno o il donatore di sperma che ti ha messo al mondo. Ti faccio tornare ad essere una nullità quale sei»

L'uomo non riesce a contenere la rabbia. Non sopporta James. Non sopporta tutto ciò che è diverso da lui.
E io non sopporto quando lo tratta in questo modo.

Ho indosso i solo i pantaloni, quando mi avvicino in modo istintivo a loro.

«Indietro o tu sei il prossimo» mi minaccia il coach.

«E sentiamo... come farete a vincere il campionato, senza me e Jackson?»

James sembra non dar peso alle parole dell'uomo, che invece non parla, mette su un'espressione impassibile.

«Bene, vedo che abbiamo risolto. Possiamo andare?» ridacchia divincolandosi dalla presa del coach.

Quest'ultimo lo molla, ma in quell'istante si volta verso di me. Il suo sguardo finisce rapido sulle mia dita, che sfregano nervose sul mio torace scoperto.

«Che cos'è quello?»

Tutti stanno sguardando lo smalto rovinato che segna le mie unghie.

Merda

«Ehm...Niente» bofonchio stringendo la mano in un pugno.

«Niente?»

Il coach inarca dapprima un sopracciglio folto, poi mi afferra il polso con violenza.

«Da quando vi divertite a fare le checche?»

Lo guardo dall'alto senza sapere bene cosa rispondere.

«Cos'è... uno stupido gioco perché avete troppe ragazze ai vostri piedi?!»

Nello spogliatoio cala un silenzio tombale.

«Ma che cazzo sta dicendo, è solo smalto» minimizza Marvin.

«È solo smalto? Davvero?» insiste l'allenatore senza levarmi di dosso i suoi occhi scuri come la pece.

«Lo rubi alla nonnina quando questa esce di casa per andare in chiesa, la domenica?»

Will e James si scambino un occhiata così intensa, che per un secondo ho come l'impressione che uno dei due stia per saltare al collo del coach, per strappargli la giugulare a morsi.

«Omofobo» mormora James.

«Bastardo» conclude Will.

L'uomo però non li sente nemmeno, ha occhi solo per me.
Sono il doppio di lui ma non muovo un muscolo, solo il mio labbro inferiore vibra un po'.
A quel punto raggiunge il mio borsone poggiato sulla panca e vi fruga dentro. Ci tengo di tutto dentro, ma lui trova ciò che stava cercando.

«E questo? Lo tieni davvero nella stessa borsa che usi per venire agli allenamenti!?»

«Che cosa vuole fare?»

Tremo quando lo vedo aprire la boccetta di vetro contenente la vernice rossa.

«È solo smalto, no?» grugnisce lui, ricalcando le parole di Marvin con tono canzonatorio.

«Allor posso metterlo anch'io, perché non lo mettiamo tutti!» esclama sarcastico, guardando i miei compagni con aria scura.

Alcuni ridono. Soprattutto Connell e i suoi amici.
Ma tutti si cristallizzano quando il coach apre lo smalto e con il pennellino arriva ad un centimetro dalla mia bocca.

«Apri la bocca»

Vedo James compiere uno scatto nella nostra direzione, ma, con il palmo della mano ben disteso, gli faccio cenno di fermarsi.

«È un ordine» insiste il coach, nel vedermi resistere.

Io resto immobile.

«Mi sto spazientendo Jackson»

«Perché devo...»

«Perché ti sto dando un ordine.»

«Se volevamo stare circondati da pezzi di merda che amano dare ordini, ci saremmo arruolati nel esercito»

«Taci, Hunter. È una cosa tra me e Jackson»

James è appena tornato in squadra, vuole farsi esonerare di nuovo?

«Il football e l'esercito non sono due mondi poi così distanti. Il football non è solo uno sport, questa è una scuola di vita...» blatera il coach con aria solenne.

Io intanto guardo Brian che fissa tutto e tutti con aria apatica.
Di solito mi chiedo che cazzo gli passi in quel cervello da psicopatico, dovrei odiarlo per le minacce che mi ha rivolto l'altro giorno, ma ora mi fa solo pena.
Sta ancora a farsi venire il fegato amaro per James, dato che Ariana l'ha lasciato e sua sorella ha avuto quel brutto incidente.

«Apri la bocca o faccio correre i tuoi compagni per dieci chilometri finché non collassano ad uno ad uno.»

«Quando è successo a Jared, è finito all'ospedale, non può fare una cosa del genere, coach!» insiste William.

«Chiudo il becco Cooper, che tu non riesci neanche a fare due miglia senza andare in iper ventilazione.»

L'allenatore si avvicina al mio viso e con il pennellino rosso sporca le mie labbra gonfie, segnando la più grossa umiliazione della storia.

Resto di pietra, sono inerme. Incapace di reagire, ma con la coda dell'occhio, lo vedo.

William sta cercando di trattenere James dal braccio. E James, a sua volta, sta provando a contare, a respirare, ma non c'è verso.

«É questo quello che fanno i froci come te? O preferisci il rossetto?»

Quando l'allenatore pronuncia quella frase però, non c'è William che tenga.
Il sangue gli schizza al cervello e James si getta sul coach con una furia indescrivibile. Lo sbatte facendolo cadere rovinosamente al suolo. Solleva un braccio per tirargli un pugno, ma alla fine non lo fa. Il braccio resta a mezz'aria, immobile.

«Sei fuori e non solo per una partita. Hai finito, Hunter. La tua carriera si conclude qui» sbotta l'altro da sotto.


Esco dallo spogliatoio sfregandomi il labbro con rabbia, ho bisogno d'aria. Con il dorso della mano continuo a grattare via lo smalto, quando sento la voce di James alle mie spalle, poi lo scatto dell'accendino.

«Jackson»

Rimango di schiena, i miei occhi sono lucidi, sto provando a celarli, ma James compie un giro attorno alla mia sagoma e mi arriva davanti.

«Voglio stare da solo» mento inorgoglito.

A lui però non sfugge niente.

«Perché ti lasci condizionare in questo modo? È solo un coglione»

«L'ha fatto mille volte, è le sua tecnica di umiliazione quando non si fa quello che vuole lui» spiega William unendosi a noi.

«E poi che te ne frega?» Marvin ci raggiunge nel cortile della scuola.
«Continua a metterti lo smalto mica ti piace il cazzo per questo. Giusto?»

La sua domanda mi fa trasalire, tant'è che il mio sguardo disorientato finisce su James che sta continuando a fissarmi, con entrambe le mani sui fianchi.

«Giusto?» James assottiglia le palpebre a due fessure, stringendo la sigaretta tra le labbra carnose.

«Anche se fosse?» Lo instigo io.

Lui fa scintillare i suoi specchi color zaffiro bruciato nei miei.

«Quale cazzo sarebbe il problema, Jax? Nessuno. Ma non è così. Sennò sarei stato il primo a saperlo.»

Tossisco infastidito, quando lui mi soffia il fumo sul viso senza smettere di scrutarmi con attenzione.

«Che intenzioni hai, James?» chiedo io, sapendo che sta già pensando di fargliela pagare, a quel pezzo di merda.

«Lo vedrai...» ribatte lui a testa alta.

In quel momento, dallo spogliatoio fuoriescono altri ragazzi.

«Magari il coach ha ragione, Hunter»

E tra questi, c'è anche Connell.

«E sarebbero cazzi tuoi?» sputa James voltandosi di scatto verso l'enorme figura di Connell.

«Dai non parliamone se ti rende così nervoso...» sogghigna quest'ultimo, sapendo benissimo come provocare l'altro.

James infatti si erge in piedi e in un secondo gli finisce addosso.

«Oh, no parliamone pure. Immagino avrai qualche cazzata delle tue da dire. Se ne hai il coraggio, parla davanti a me.»

«Ti sei fatto Scott...» ridacchia Connell provocando le risatine degli amici alle sue spalle.

«Dopo essermi fatto tua sorella però. »

James calca la sagoma della lingua nell'interno guancia, causando lo sgomento di Connell. Questo s'innervosisce all'istante. Gli s'ingrossa la vena del collo, ma prova a non dar peso alle parole appena udite.

«Resta il fatto che ti sei fatto Scott» insiste.

«E tu ti sei fatto Taylor. Vogliamo andare avanti così?» James sembra annoiato dalla piega della discussione.

All'udire quel nome però, l'altro comincia a ridere sguaiato, richiamando immediatamente l'attenzione di tutti.

«Taylor... già. Mi ricordo ancora come alle medie ti facevi difendere da lei, da una femminuccia. Proprio come una femminuccia...»

Connell lo dice rivolgendo lo sguardo verso di me. Sul viso si stagliano ancora i segni dalla rissa di Halloween.

James in tutta risposta sorride, non sembra che la cosa gli dia fastidio, ma Connell non demorde con le provocazioni.

«Fortuna che ora ti vedo metterle a novanta, sennò comincerei ad avere dubbi»

«Dubbi su cosa?» sbuffa James spiaccicando la sigaretta ormai finita sul davanzale esterno di una classe.

«Che magari ti piace fartelo mettere.»

E come al solito, accade tutto in una frazione di secondo.

La mano di James raggiunge l'interezza del viso di Connell.
Affonda i polpastrelli duri nelle sue guance e con un colpo secco gli spinge il viso contro il muro. L'impatto che crea la schiena di Connell sulla parete di mattoni, è violento.

«Magari mi piace. Ma fossi in te non mi preoccuperei più di tanto. Non ho gusti così scadenti» ringhia James ad un soffio dal viso di Connell, ormai bianco come un lenzuolo.

In quel momento alcuni professori escono da scuola, così James lo molla immediatamente e Connell, approfittando della sua distrazione, decide di andarsene.

«Il coach non può passarla liscia.» annuncia Will con la sua solita aria da angioletto innocente.

«Ha ragione Will» sottolinea James estraendo un'altra sigaretta dalle tasche, ora più nervoso che mai.

«State scherzando vero?» mi allarmo cercando lo sguardo di Marvin che sta seduto sugli scalini, più interessato a sbadigliare guardando per aria, che ascoltare noi.

«No. Non può trattarti così.» sentenzia James, mentre Will sta già mettendo in moto i neuroni, nonché la sua parte più diabolica.

«È meglio lasciar perdere...»

Ma ovviamente nessuno mi sta ascoltando.

«Cosa sappiamo di lui?»

Will se ne esce con quella domanda.

«Un cazzo»

«Io so che il coach vive da solo. È vedovo. E ha un cane»

«Come fai a saperlo, Will?»

«Ho delle fonti.»

«Fonti? Sei un cazzo di stalker, William»  ridacchia Marvin.

James però lo fulmina con un'occhiataccia, sembra realmente interessato a sentire cos'ha da dire l'amico.

«Non ha figli, passa tutto il giorno qui a scuola e le serate le trascorre guardando vecchie partite di football alla tv, davanti a quintalate di birra. E maltratta quel povero cane»

«Che cane è?»

«Un cagnolino, non so che razza sia. Sembra l'abbia preso per avere della compagnia, ma lo lascia sempre chiuso in casa. È un po' pulcioso.»

«Poverino» mi ritrovo a dire sottovoce.

«Nel senso che ha davvero le pulci. Nessuno se ne cura. La mamma di Ari è veterinaria e ha detto che un giorno glielo ha portato in clinica ed era davvero in pessime condizioni»

«Va bene, ho sentito abbastanza.» taglia corto James, prima di finire l'ennesima sigaretta con sguardo infastidito.

«Andiamo.»


🦋JUNE🦋

«Quindi non ti va?»

La domanda di mia madre mi lascia esterrefatta.

«Mi stai chiedendo se oggi ho tempo di andare da Jasper? Davvero?»

Ti hanno fatto il lavaggio del cervello? Ti sei dimenticata della scenata che mi hai sparato l'altra sera?

«June, puoi andarci sì o no? Sennò Jordan trova qualcun altro.»

«Non mi va» bofonchio rubandole una fetta di pizza dal piatto.

Ultimamente è così impegnata con le lezioni di disegno, che non ha nemmeno più il tempo di cucinare. Sto mangiando schifezze sia a pranzo che a cena, sette giorni su sette.

Sarà terribile mettersi in costume? Senza dubbio.

A dirla tutta, ho voglia di passare del tempo con Jasper, è James il mio problema. Non mi va di andare in quella casa, ma per Jasper, voglio fare un'eccezione.

«Quindi?» domanda lei ormai spazientita.

Non capisco se la causa del suo disappunto sia la mancanza di una risposta o perché le ho mangiato tutta la pizza che avremmo dovuto dividere.

«Quindi posso andarci davvero?» chiedo incredula.

«Sì»

Cosa c'è sotto?

«Tu non vuoi che io vada dagli Hunter. Cosa nascondi?»

«Jordan mi ha riferito che James è tornato in squadra. Puoi andare quando lui non c'è. Oggi hanno gli allenamenti fino alle sei, perciò tu torni a casa prima delle sei. Semplice, no?»

Resta comunque molto strana tutta questa fiducia improvvisa.

Decido di non pormi ulteriori domande. Mi lavo i denti, indosso dei vestiti comodi, do una pettinata ai miei lunghi capelli, infine esco di casa e prendo la bici per andare da Jasper.

Dopo aver poggiato la bici al muro che costeggia la villa, con un po' di apprensione mi avvicino al portone d'ingresso. Jasper mi accoglie sulla soglia con un sorriso che dura una frazione di secondo, ma è sufficiente a riempirmi di felicità.

«Felice di vedermi, eh? Aspetta di fare matematica con me.» lo prendo in giro.

Jasper mi conduce in cucina, dove solitamente ci mettiamo a fare i compiti, ma nell'oltrepassare il salotto, il mio sguardo si posa sul divano. Il ricordo di me e James su quel divano mi prende alla sprovvista, facendomi avvampare le guance.

Quando io e Jasper ci sediamo al tavolo, mi accorgo che ha già disposto i libri in modo ordinato. È tutto pronto e sembra quasi non vedesse l'ora di cominciare.

«Per una volta sei arrivato preparato. Non ci posso credere...»

Jasper mette su un sorrisetto enigmatico. Apre il quaderno e la sua attenzione finisce sulla scritta che aveva fatto qualche mese fa.

Will ❤️ June

«C'è poco da ridere hai saltato una settimana di scuola, non ci siamo.» lo rimprovero con tono che vuole sembrare arrabbiato, fingendo di non notare la scritta imbarazzante.

«Sentila... la maestrina del cazzo è arrivata.»

La voce di James riempie la stanza, così come il suo profumo intenso e maschile.

Ruoto gli occhi al soffitto, intanto afferro con entrambe le mani lo schienale della sedia e mi posiziono al meglio, in modo da voltargli le spalle.

Non doveva essere agli allenamenti?

«Gli insetti fastidiosi noi non li consideriamo, concentrazione Jasper.»

Quest'ultimo ridacchia guardando il fratello dietro di me.
Tento d'ignorarlo, ma nella finestra antistante noto il suo riflesso imponente.
È poggiato con il fianco contro il bancone della cucina, indossa una felpa di un blu acceso. E mi sta fissando. Sento il suo sguardo farsi così persistente da indurmi a sciogliere i capelli, come a volermi coprire la nuca per proteggermi dalle sue occhiate sottili.

Jasper a quel punto interrompe l'equazione alla quale si stava dedicando da dieci minuti e comincia a cercare qualcosa sul quaderno. E quando recupera la scritta con il cuore, la cancella tracciando delle righe sul nome di Will.

Lo sostituisce con James, poi me lo sventola davanti al naso, tutto fiero del suo nuovo scarabocchio.

Quello che compie Jasper è un gesto così sciocco e infantile, che vorrei arrabbiarmi con lui, ma non ci riesco. Sembra quasi contento di avermelo mostrato e vedere la sua espressione soddisfatta mi scalda il cuore. Peccato ci pensi quell'insensibile di suo fratello a venirci vicino. Afferra il quaderno dal quale strappa bruscamente quel lembo di pagina, poi estrae un accendino dalla tasca e fa slittare il pollice sulla rotellina, per dare fuoco a quel pezzetto di carta.

«Le favole non sono la realtà, Jasper»

Sollevo lo sguardo e il viso di James è talmente vicino al mio, da causarmi un turbinio strano nello stomaco.

Da sotto alle ciocche castane, i suoi occhi cupi perlustrano le mie labbra per qualche secondo di troppo. James infatti, si distrae quanto basta, tanto da non accorgersi che anche le sue dita stanno per andare a fuoco.

«Fanculo» lo sento imprecare, agitando la mano nervosamente.

«Incredibile. Tuo fratello riesce ad essere esilarante anche quando prova a fare il melodrammatico.» mi rivolgo a Jasper.

James apre bocca per spararmi la sua risposta a tono, ma un rumore dal piano di sopra obbliga tutti e tre a voltarci all'unisono.

«Ho sentito qualcosa» prorompo allarmata.

James fa un cenno al fratello, quello di stare in silenzio.

«Shhh»

Serro le palpebre con aria sospettosa.

«Che cosa mi nascondete voi due?»

Jasper in tutta risposta sorride.

Quest'ultimo parla un linguaggio silenzioso che solo James è in grado di comprendere. Sembra chiedergli qualcosa con lo sguardo, una domanda alla quale suo fratello risponde con un segno del capo. James gli mima un "sì", causando un'esplosione di felicità sul viso di Jasper, che subito accorre al piano di sopra.
Ed è proprio in quel momento che lo avverto in modo indistinto. I rumori si fanno chiari. Qualcuno sta abbaiando.

«James, hai preso un cane?»

Lui si stringe nelle spalle.

«No, perché?»

«E perché c'è un cane nella tua cucina?» mi ritrovo a dire, mentre un cagnolino minuscolo fa la sua apparizione nascondendosi dietro alla gamba del tavolo.

«Hai visto che carino?»

Il cane scodinzola sotto al tavolo, sembra diffidente con tutti, tranne che con Jasper.

«Dove l'hai trovato?»

«Boh»

Ignoro i versi canzonatori di James, perché so già che mi sta prendendo in giro. Non posso però fare a meno di notare il collare con la placca metallica sulla quale probabilmente ci sarà scritto il nome dell'animale.

«Ha una targhetta intorno al collo e...»

Mi chino sotto il tavolo per esaminare quel batuffolo di pelo.

«Non è tuo...»  concludo leggendo l'indirizzo sul collare.

«Ma dai?» ribatte strafottente.

«Di chi è questo cane?»

«L'ho soprannominano Benjamin Franklin»

Jasper ride a seguito delle parole del fratello.

«James ti prego, dimmelo.»

«É il cane del coach di football.»

Sgrano immediatamente gli occhi.

«Cosa?! Te l'ha lasciato lui?»

James non risponde, le sue labbra si arrotondano in una curva divertita, affiancata da due fossette profonde che gli scavano le guance.

«Non gli hai rapito il cane, vero? Dimmi che non l'hai fatto.»

Sta sogghignando troppo per i miei gusti, è palese che l'abbia fatto.

«James! Cazzo»

«Linguaggio, Madeline.» mi prende in giro imitando la voce squillante di mia madre.

Afferro James dalla manica della felpa per portarlo in disparte.

«Scusa Jasper, arriviamo subito.»

Lo spingo contro la parete del corridoio, causandogli un sorrisetto sfacciato.

«Perché che diamine l'hai fatto?» sussurro sottovoce per non farmi sentire da Jasper.

James non sembra intimidito dal mio attacco, anzi.

«Vediamo se il detective Madeline ci arriva...»

E inverte i ruoli rapidamente, si spinge contro di me, obbligandomi ad aderire alla parete opposta del corridoio, facendomi mancare il fiato.

«Non sono affari miei?»

«Sei sveglia quando vuoi.» Sussurra tra i miei capelli sciolti.

Il respiro di menta e tabacco che fuoriesce dalle sue labbra morbide mi causa un piccolo momento di confusione mentale. Con il pollice sfiora delicatamente il lato della mia bocca, per levare una ciocca ribelle scappata sul mio viso.

Sento le spalle divenire di pietra, il mio corpo s'irrigidisce di colpo, così pianto lo sguardo saldo davanti a me. Ben presto però, vengo distratta dal suo pomo prominente, che slitta rapido sotto alla pelle liscia del collo. Emana un profumo maschile così buono da stordirmi. Stringo le mie gambe tra loro, istintivamente, poi abbasso lo sguardo perché non riesco a sostenere i suoi zaffiri cosi penetranti.

Nel chinare la testa, i miei occhi scolpiscono il suo corpo possente nascosto dalla felpa e dalla tuta.

«Sentiamo Biancaneve...»

Lancio un'occhiata verso l'alto ma me ne pento subito, perché James si lecca lascivamente il labbro inferiore, causandomi un tuffo al cuore.

«Qual è la parte del mio corpo che ti piace guardare di più?»

Arrossisco con violenza nell'udire la sua voce rauca a profonda, così prossima al mio viso.

«La faccia non vale...» mormora posando il suo respiro caldo nell'incavo del mio collo.

Dei brividi dapprima leggeri, poi sempre più insistenti, mi solleticano la nuca per poi crollare decisamente più in basso.
È una dura prova di resistenza vedere James che continua a far slittare la lingua rossa tra le labbra gonfie, per poi torturarle con i morsi degli incisivi bianchi.

Così raccolgo tutto il mio buon senso e decido di rispondergli a tono.

«Non esiste una parte di te abbastanza attraente da farmi dimenticare il tuo carattere di merda.»

«Uhhh... Bella questa.» Mi canzona divertito.

La sue labbra si distendono in un sorriso così seducente da farmi tremare le ginocchia.

«Però ti devo correggere, White. Non esiste una parte di me... che tu abbia visto, finora

James china la testa e lascia scivolare lo sguardo malizioso in mezzo alle sue stesse gambe, in modo eloquente e sfrontato.

«Finiscila.»

«Per quanto riguarda me, invece...»

A quel punto affonda la punta delle dita nel mio fianco, mi afferra rudemente e, con un gesto rapido, mi fa voltare con il viso contro la parete, come fossi leggera come una piuma.

«Direi che non serve dirlo ad alta voce.»

Il respiro mi si rompe a metà, quando avverto il cavallo dei pantaloni della tuta imprimere la sua sagoma dura, proprio contro il mio fondoschiena.

«Non so tu, Biancaneve... ma io l'ho appena dimenticato che hai un carattere di merda.»

Vengo privata di ogni respiro. Sto annaspando. James mi sta provocando in modo talmente sfacciato da farmi perdere la parola. E il mio corpo diventa così sensibile quando stiamo vicini, da chiedermi come sia possibile che entrambi portiamo ancora i vestiti addosso.

Ma il modo in cui mi ha trattata all'ospedale però, quello non posso dimenticarlo.

Sono ancora di spalle quando gli sferro gomitata che si perde nella durezza del suo addome nascosto dalla felpa. Probabilmente non l'ha nemmeno avvertita, ma alla fine si allontana da me.

«Come sta Amelia?»

Lo vedo roteare gli occhi a lato, come se il cambio repentino di argomento non gli andasse molto a genio.

«È sempre stabile. Non è in pericolo, ma stanno continuando a farle esami... sembra che per un po' farà fatica a camminare.»

«Mi dispiace.»

James fa scorrere le dita tra i capelli scarmigliati, sta sbuffando.

«Non voglio parlare di questo.»

«Non m'interessa di cosa vuoi...»

Interrompo il dialogo quando noto la porta spalancata che dà sulla camera di Jasper, c'è qualcosa di familiare sul letto.

«Le mie cuffie... Cosa ci fanno qui?»

«Prima ho litigato con Jordan. Le ho date a Jasper per non fargli sentire il litigio. Se gli avessi detto qualcosa come "vai in camera tua", non mi avrebbe mai dato ascolto e...»

«James...»

«Posso prestargliele?» sussurra avvicinandosi al mio viso, ormai in fiamme.

La sua domanda mi solletica il petto, riempiendolo di qualcosa di sconosciuto.
Di intimo, familiare, rassicurante.

«Tutte le volte che vuoi...» sollevo il mento per incontrare i suoi occhi che stavano già fermi ad aspettare i miei.

Mi si serra la gola quando le labbra di James si fanno prossime alle mie.

Dio mio, così come resisto?

«June, ascolta. Se ieri ho fatto lo stronzo...»

In quell'istante suonano alla porta.

James inizialmente sembra fregarsene, ma quando udiamo il secondo trillo, capiamo che si tratti di qualcuno particolarmente insistente.

I passi di Jasper si muovono per la cucina, ma James accorre prima che il fratello vada alla porta.

«Me ne occupo io.» gli intima facendogli cenno di allontanarsi.

«Guarda un po' chi c'è!» esclama James divertito nell'accorgersi che, sull'uscio di casa, si erge proprio l'allenatore della squadra di football.

«Hunter ti faccio espellere da scuola. Te lo giuro, fosse l'ultima cosa che faccio.»

James trattiene il labbro inferiore sotto ai denti, è così divertito che persino Jasper sorride.

«Il mio cane è sparito. E guarda caso, la mia vicina ha visto una macchina sportiva, proprio come la tua, davanti a casa mia.»

«E...?»

«E ti denuncio, delinquente.»

Il coach si avvicina a James con fare minaccioso e quel punto, il cagnolino che stava tutto tranquillo tra le braccia di Jasper, lancia un forte abbaio.

«Ho sentito abbaiare»

Jasper riporta il cane in camera sua, non prima però di essersi preso qualche leccata affettuosa in piena faccia.

«È il mio gatto, è un po' confuso. Come me, coach»

«Non hai un gatto.»

«Ah no?»

Jasper torna in salotto, giusto in tempo per annuire con il capo.

Il coach non ha l'aria di uno che ama farsi prendere in giro da due ragazzi, infatti sembra perdere subito la pazienza. Diventa paonazzo in volto e afferra James dal colletto della felpa.

«Brutto figlio di...»

«Che succede?»

La voce adulta e profonda di Jordan taglia l'aria tesa. Giunge davanti alla porta e squadra il coach dall'alto.

«Ho come il sospetto tuo figlio abbia rapito il mio cane»

«Chiama la polizia se ne sei così convinto...»

«La polizia?»

«Perché no? Hai paura che la polizia cominci ad indagare su come tratti i tuoi ragazzi?»

«Jordan, i ragazzi di oggi sono delle femminucce. E tu lo sai. Devono diventare uomini o no?»

Il coach cerca solidarietà tra maschi adulti, ma Jordan non sembra essere d'accordo con lui.

«Due cose. Tu prova a toccare mio figlio, con le mani o con le parole, e sarò io a chiamare la polizia.»

L'abbaio si fa più insistente.

Il coach è ancora fermo sull'uscio, quando lancia lo sguardo dentro casa e mi vede.

«Dovrebbe vederlo, è un gattino così carino.» reggo loro il gioco, facendolo uscire di testa.

Jordan sbatte la porta in faccia all'uomo, poi torna a sorridere a Jasper.

«Grazie Jordan» borbotta James cercando un pacchetto di sigarette nelle tasche.

«Devi chiamarmi...»

«Fattelo bastare, Jordan.»

Lui sparisce nuovamente, mentre Jasper accorre ad aprire la porta di camera sua, liberando il cagnolino.

«Cosa te ne fai del cane, James? Non puoi farla franca»

«White, la prima cosa che dovresti farti... È una manciata di cazzi tuoi.»

Lo incenerisco con un'occhiata arroventata.

James sogghigna, poi indica suo fratello che rincorre il cane per la cucina.

«C'è Jasper, per cui non posso dire qual è la seconda cosa che dovresti farti.»

Da vero maleducato quale è, si siede a gambe larghe sul tavolo della cucina, poi solleva i fianchi per spingere il bacino in avanti, come a voler captare la mia attenzione, che casca rovinosamente nella sua trappola, ovvero sul cavallo dei pantaloni grigi.

«Ma sei sveglia. Penso tu abbia già capito, Biancaneve.»

«Sì ma non puoi tenerlo qui, è un furto.» insisto io, ignorando le sue provocazioni maliziose.

«Pensi lo trattasse bene? Era ridotto davvero male. Siamo dovuti passare dal veterinario prima di portarlo a casa.»

James si china di fianco a Jasper per accarezzare il cagnolino.

«Benjamin Franklin resta con Jasper.»

Sentenzia poi, indurendo la mascella, prima di piantare i suoi occhi scuri in quelli del fratello.

«Se osa venire a riprenderselo mentre sono in gita, io salgo sul primo aereo, torno e te lo riporto qui, hai capito?»

Il sorriso che fa capolino sulle mie labbra è quasi più grande di quello di Jasper.

No, June

«È meglio se vado. Sono quasi le sei. Jas, ci vediamo settimana prossima.»

Io non sono una persona capace di dispensare abbracci e Jasper è uguale a me in questo.

Gli faccio un cenno con la testa e lui risponde nello stesso modo.
Ignoro James e mi dirigo all'uscita, ma prima che io possa raggiungerla, vengo sopraffatta da una voce.

«Dove cazzo vai?»

La mano di James, attraversata da vene gonfie e sporgenti, spinge con fermezza sulla porta, obbligandomi a richiuderla.

«Innanzitutto ti calmi. E poi, a casa. Vado a casa.» sbotto voltandomi di scatto.

«Non stai dimenticando qualcosa?»

James preme il suo petto contro il mio, intrappolandomi con le spalle alla porta. Di nuovo. Ingenuamente, i miei occhi finiscono sulle sue labbra. Di nuovo.

«No.» ribatto incurante del fatto che mi abbia appena beccata in pieno a fissargli la bocca.

Lui fa saettare i suoi occhi spenti sul mio corpo, avvolto da una felpa larga.

«Non indossi il reggiseno sportivo, ma posso fare un'eccezione.»

«Non ho più intenzione di fare lezioni con te.»

La mia uscita gli causa un sorrisetto sfrontato.

«Perché?»

«Lo sai perché. Perché sei stronzo.»

James si morde il labbro inferiore mentre seguita a sogghignare.

«Non c'entra un cazzo. Il fatto che tu debba saperti difendere, non ha a che fare con noi.»

«Non esiste nessun noi, James. "Non abbiamo nemmeno scopato".»

Sto provando a fronteggiarlo con le sue stesse armi, ma in realtà mi tremano le mani.

«Oh...» James sembra attratto dal linguaggio volgare che mi è appena sfuggito, dato il momento di nervosismo. Si lecca il labbro inferiore e la mia gola diviene secca all'improvviso.

«Attenta a come a come cazzo parli»

«Sennò che fai, mi privi delle tue stupidissime lezioni?» l'affronto a testa alta.

«No, tesoro.»

James piega il viso verso il lobo del mio orecchio e languidamente, vi strofina sopra le labbra, dandomi i brividi.

«Sennò faccio in modo di rimediare al fatto che non ti ho ancora scopata come si deve.»

Mi lascia a bocca aperta il modo profondo e seducente con il quale sussurra quella frase.

«Vieni.»

Ad un tratto mi agguanta dal polso, mandandomi in confusione.

«Stiamo... Stiamo veramente andando in camera tua?» domando incredula mentre percorriamo il corridoio di casa sua.

«Sì ma non per fare quello che vorresti tu.» lo sento ridacchiare.

«Ah certo, che vorrei io...»

James mi spinge dentro la sua stanza poi chiude la porta.

«Zitta.»

«James, non darmi ordini o ti giuro che...»

«Girati.» Un sibilo lussurioso abbandona le sue labbra carnose.

«Perché dovrei...?»

Lui però non ha l'aria di uno che sta scherzando, anzi, si fa immediatamente serio.

«Ti ricordi cosa ti ho insegnato la volta scorsa? Ti ricordi cos'abbiamo fatto?»

Mi mordo il labbro, solo ripensarci mi scompiglia lo stomaco.

Concentrazione, June

Decido così di girarmi e porgergli le spalle, forse per nascondere la mia espressione imbarazzata, colpevole di pensieri poco casti.

«Sai cosa accade se ti distrai?»

Sbuffo.

«Potrebbero prenderti alla sprovvista, White. In questo modo.»

Una forte pressione mi obbliga ad arcuare il collo all'indietro. Emetto un lamento prolungato, James mi sta letteralmente tirando i capelli. Le mie ciocche restano incastrate in un mucchietto di fili, dentro alla sua mano grande.

«Perché mai un aggressore dovrebbe fare una cosa del genere?» brontolo indispettita del fatto che lui non molli la presa.

Fa leva sulla morsa e senza troppi complimenti mi forza con il viso contro la parete. Provo a muovermi, ma la mia guancia aderisce ormai con violenza contro il muro freddo.

«Perché cazzo stai parlando? Così ti distrai. Non devi mai abbassare la guardia, te l'ho già detto.»

«Sicuro che queste siano vere lezioni di difesa e non qualche tua strana ehm...»

«Fantasia?» domanda lui, intuendo a pieno le mie intenzioni.

A quel punto però chiudo gli occhi, perché la morbidezza della punta del suo labbro inferiore scalda la mia gola di uno sfregamento caldo e piacevole.

«James...»

Lo sento deglutire per poi ricomporsi all'istante.

«Certo, perché secondo te io voglio prenderti così?»

Mi strattona i capelli, mentre l'altra mano prende a tenermi ferma dal fianco.

«Dammi l'elastico...» mugugna ad un certo punto, indicandomi il laccetto intorno al mio polso.

Sono ancora di spalle quando gli porgo l'elastico con aria confusa, lui però appare serio quando mi lega i capelli in una coda alta. Le sue dita fredde indugiano un po' più del dovuto nei punti più sensibili, tracciando traiettorie immaginarie sulla mia nuca e lungo il mio collo.

Sono costretta ad incurvare anche la schiena quando, all'improvviso, James mi tira la coda con un gesto rude.

«Ahia!» esclamo sbigottita.

«Non è ancora arrivato il momento di urlare, Biancaneve.»

La malizia celata nelle sue parole bisbigliate non è nemmeno poi così nascosta.

«Devi provare a difenderti.»

In quell'istante il suo braccio muscoloso scivola davanti al mio basso ventre, circondandomi completamente il busto.

«James non puoi fare così...»

«Così come...»

Il suo respiro si accorcia, mentre mi tiene stretta contro il suo bacino.
Le sue labbra seguitano a sfregare lascive sul mio orecchio, mentre il suo corpo solido si modella contro la zona bassa della mia schiena.

Soffoco un gemito a fatica.

«Tu e io abbiamo discusso. Non puoi fare così.»

«Infatti ti sto solo aggredendo. Non hai motivo di ansimare in questo modo» mi prende in giro ridacchiando.

Adesso lo picchio. Anzi, è proprio questo il senso, no?

«Non sembra. Pensi che qualcuno possa mai aggredirmi in questo modo?» mi dimeno provando a liberarmi dalla sua morsa che però si fa ancora più ferrea, nell'udire la mia domanda.

«Cazzo, no. Se qualcuno ti tocca in questo modo, io lo ammazzo» sospira roco.

Mi maledico mentalmente, ma con il collo compio una piccola rotazione, per cercare la sua bocca.

June no

Ho una voglia di baciarlo che mi fa male allo stomaco.

«Non distrarti, però...» sussurra con voce calda, inducendomi a chiudere gli occhi.

Le nostre labbra si accarezzano dolcemente, James però afferra la mia mano ciondolante e la porta in alto, sul suo polso, contro la mano che lui stesso tiene stretta intorno ai miei capelli.

«Se qualcuno dovesse mai prenderti alle spalle in questa maniera, devi afferrargli il polso che usa per tenerti ferma, fai leva su quello e ti giri di scatto.»

«Così?» gli chiedo posando una mano sulla sua, per poi voltarmi. Mi stupisco persino di me stessa in questo preciso istante, non credevo di essere in grado di combinare qualcosa di sensato.

«Esatto.»

«Poi...?»

Ora però non attendo la sua risposta, agisco d'istinto.

«Porca troia.»

Vedo la sagoma di James accartocciarsi su se stessa. Gli ho appena tirato una ginocchiata in mezzo alle gambe.

«Vuoi rendermi sterile? Ma che cazzo!»

La smorfia dolorante che si disegna sul suo volto m'induce a preoccuparmi seriamente.

«Non pensavo fosse forte. Scusa...»

«Questo è un attentato alle mie palle. Volevi farlo apposta, ammettilo»

Lo guardo portarsi una mano sul cavallo dei pantaloni.

«Può essere...» sogghigno.

James scrolla il capo, poi mi lancia un'occhiata sottile, di sbieco.

«Non fai altro che prenderle di mira...» ringhia a corto di fiato.

«Guarda che te le ho colpite solo stavolta»

«Sì, perché tutte le volte che stiamo ore a baciarci, pensi che non mi facciano male?»

«Beh, vedila così... non accadrà mai più.»

La sua espressione di disappunto si trasforma ben presto in un ghigno sarcastico. Si erge in piedi a fatica, stuzzicando il lato della bocca con la punta della lingua.

«Certo, certo...»

E a me tutta la sua convinzione dà sui nervi.

«Beh, ora che entrambi abbiamo imparato la lezione, me ne torno a casa.»

«Ma dove cazzo vai...»

James sembra incredulo nel vedermi fuggire dalla sua stanza, ma questa volta decido di non voltarmi indietro.

Sono già fuori dalla villa e sto impugnando il manubrio della bici, quando mi arriva una notifica da parte di Ari.

Amelia si è svegliata, è ancora rintontita dai farmaci e non parla molto, però abbiamo organizzato una serata in ospedale per farle compagnia... solo ragazze




♦️JACKSON♦️

Blaze sta accovacciato con la schiena ricurva, proprio davanti al portone di casa dei miei nonni.

«Ma che ci fai qui?» mi lamento con la mia solita aria diffidente.

«Brian mi ha raccontato cos'è successo negli spogliatoi»

«E da quando ti interessa?» lo scruto dall'alto.

«Non m'interessa, mi dispiace. È diverso.»

«Ah.»

«Cosa c'è da stupirsi?»

«Pensavo ce l'avessi con me, Blaze»

«Per cosa?»

Intrappolo tra i denti il metallo che mi fora il labbro, è come uno sfogo nervoso.

Lo sappiamo tutti

«Perché avevi detto che ti bastano dieci minuti con me?»

Reclino il capo verso il basso.

«Tu non capisci.»

«Invece capisco, Jax.»

Ci scrutiamo di sottecchi, come se entrambi stessimo valutando quanta fiducia dare all'altro.

«I tuoi compagni di football mi prendono per il culo da quando ho messo piede in questa scuola. Lo fanno perché il coach non mi ha accettato in squadra, perché sono il figlio del preside, perché non sono atletico, perché non posso andare in giro senza inalatore, perché appena mi dicono una parola di troppo, mi viene un attacco di panico...»

A quel punto interrompe il discorso per alzarsi in piedi avvicinarsi a me, che sto ancora fermo a fissarlo dall'alto.

«Mi sento come ti senti tu, Jax»

«Non è uguale. Da te nessuno si aspetta un cazzo. Puoi fare quello che vuoi...»

«Anche tu»

«No. Tu non hai idea. Quando non sto con te...»

Blaze sembra trasalire dinnanzi alla mia schiettezza.

«Cosa?»

«La mia vita... Negli spogliatoi, con mio nonno...» sbuffo.

È tutto così pesante

«Se vuoi parlare...» propone lui.

«Andiamo dentro, non voglio parlare qui» concludo secco.

«Sicuro?»

Blaze inarca un sopracciglio, i suoi occhi grigi mi scrutano da sotto alle ciocche scure.

«Non c'è nessuno.» spiego sottovoce.

Così entriamo in casa, io gli faccio strada attraverso il salotto mentre lui si guarda in giro curioso. È la prima volta che Blaze viene a casa mia.

I suoi occhi perlustrano il mio letto ben fatto, il televisore, la piccola finestrella che dà sull'orto di mio nonno.
Mi chiedo cosa stia pensando Blaze in questo momento. La mia camera è piccola e la casa dei miei nonni è la più modesta in cui io abbia mai messo piede. Non abbiano i soldi che hanno tutti gli altri miei compagni.

C'era una forte tormenta di neve, la notte in cui i miei genitori sono usciti fuori strada con l'auto e sono morti. Non avevano un'assicurazione sulla vita, né dei risparmi in banca che i miei nonni potessero utilizzare per farmi crescere in un ambiente agiato. Di sicuro però, non posso lamentarmi, i miei nonni stanno facendo i salti mortali per continuare a mandarmi in quella scuola privata. E nessuno dei miei amici sa che probabilmente, io sarò l'unico a non potermi permettere l'università. E che forse, quella borsa di studio per lo sport a me servirebbe più che a chiunque altro.

«Senti, mio padre e il coach sono in buoni rapporti. Se vuoi che metta una buona parola per te...»

Blaze si avvicina con cautela, sembra sempre aver paura di me. Io lo fisso dall'alto e lo fulmino con un'occhiataccia dura.

«No»

«Non voglio che ti butti fuori dalla squadra.»

Ma io sono irremovibile.

«No, non ho bisogno dei tuoi favori.»

I suoi occhi languidi finiscono sul mio piercing e ogni volta che questo accade, lo lecco involontariamente.
Sono vicino abbastanza da sentire il profumo di ammorbidente che emana la sua felpa.

«Ha fatto male farlo?»

Spingo la testa all'indietro, leggermente infastidito, quando lui prova a sfiorarmi il metallo con la punta dell'indice.

Se osa toccarmi i capelli gli spacco la faccia

«No.»

«Com'è sentirlo?» domanda fissandomi il piercing.

«Dimmelo tu» lo istigo prima di chinare il capo per lasciar convergere le nostre bocche.

Schiudo le labbra invitando Blaze ad approfondire quel contatto caldo e morbido. La sua lingua scivola fluida nella mia bocca, va a cercare a mia, ma non prima di aver assestato una slittata sul piercing che mi trafora il labbro inferiore. Un gemito, poi un altro, quando morde il mio labbro con foga.

Mi chiedo dove finisca tutta la timidezza di Blaze, quando sta da solo con me.

Lo farà con qualcun altro?

L'idea non mi piace. E ancor meno mi piace l'idea che la gelosia possa divorarmi il cervello.
Tra lui e James c'è stato qualcosa, ne sono sicuro.

«Che è successo con James?» domando slegando il nostro bacio.

Mi siedo sul bordo del letto, come se a scrutarlo da quell'angolazione, potessi carpire meglio le sue intenzioni.

«Non sono affari tuoi Jax.»

«Sì invece.»

Lui quindi solleva i sopraccigli in un'espressione sorpresa.

«Perché?»

Tu sei affar mio

«Riesci a parlare sì o no?» lo aggredisco brusco.

«Ci siamo baciati» ammette Blaze, a sguardo basso.

«Cazzo.»

«Non ora Jax, l'anno scorso.» si affretta a chiarire.

«Non ci posso credere...» esalo, irrigidendomi.

Mi sdraio sul letto, continuando a trascinare una mano tra i capelli per placare il nervoso.

«Guarda che l'hai baciato anche tu» si discolpa lui con occhi sinceri.

«È diverso, era un gioco nel nostro caso.»

«Sei sempre il solito egoista» borbotta contrariato.

In quel momento però, lo colgo di sorpresa: gli afferro il polso lo trascino a me.

«Vaffanculo Blaze»

«Vuoi picchiarmi?» domanda senza un filo di paura negli occhi.

Blaze inciampa sul mio corpo sdraiato sul letto, ma io inverto rapidamente le posizioni.

«Se tuo padre non fosse il preside, ti avrei già riempito di schiaffi» soffio contro il suo orecchio facendolo tremare.

«Non sei solo egoista, sei anche ipocrita»

«Sta zitto ti giuro che mi incazzo sul serio»

Senza aggiungere altro, Blaze mi allaccia le mani intorno al collo, io emetto un po' di resistenza, ma lui si prende la mia bocca, succhiando divinamente il piercing, instaurando nella mia mente nient'altro che pensieri sporchi.
Quando lo sento leccare insistentemente le mie labbra, comincio ad immaginare la sua lingua sulla mia punta, ormai tesa dentro ai pantaloni.

Fottuto Blaze.

Reprime un un lungo gemito, questo finisce per scivolarmi in bocca, mentre prendiamo a baciarci con passione. La mia mano giunge alla sua cerniera e io mi stupisco di sentirlo così duro, sebbene il suo respiro accelerato tradisca già la sua eccitazione.

Blaze sorride, poi il gesto che compie è l'esatto riflesso del mio, si appresta a slacciare i miei jeans, che stanno scoppiando.

Ci ingarbugliamo e senza curarci più di parlare, seguitiamo a baciarci.
Il caldo che comincio a sentire è indescrivibile.

«Non così» ansimo ad un certo punto, scollandomi del tutto dalle sue labbra.

Nello specchio appeso dall'altra parte della stanza, non posso fare a meno di notare la prestanza del mio corpo, in contrasto con la delicatezza del suo.

«Perché?» domanda lui sgranando gli occhi grigi e brillanti.

«Non lo so. Mi sembra così... sbagliato»

Siamo da me, a casa dei miei nonni. È il mio letto.

Blaze si rende immediatamente conto del mio momento di smarrimento, accoglie il mio mento tra le dita e lascia che i nostri sguardi tornino a collidere.

«Mi vuoi, Jackson?» chiede dolcemente.

Da morire, cazzo

Annuisco.

«E allora cosa c'è di sbagliato?»

Con il corpo inebriato d'eccitazione e la testa immersa in pensieri confusi, mi sfilo la maglietta, mentre lui mi aiuta ad abbassare i pantaloni.
Resto con solo i boxer addosso, davanti ai suoi occhi che mi ammirano, quasi incantati.

Non provo nessuna vergogna del mio corpo, ma quando mi accingo a fare lo stesso, a togliergli la felpa, Blaze sembra fare un po' di resistenza, alla fine però si lascia spogliare.

Da ubriaco ho baciato diverse ragazze, ma ormai ho imparato a riconoscere questo desiderio. Più vero, più intenso. Irresistibile, nel vero senso della parola.

Andrei contro me stesso se provassi a respingerlo, perciò, con le guance arrossate, torno sulle labbra di Blaze.
Le nostre mani si intrecciano sui rispettivi corpi, io su di lui, lui su di me, mentre le bocche calde e affamate, non smettono di tracciare traiettorie lascive lungo la pelle.
Sento le labbra andare a fuoco quando inizio a martoriare ogni piccolo lembo di pelle chiara che compone il suo collo. E lui fa lo stesso: la gola, il petto, il mio addome, persino la spalla. Con la bocca assapora la trama del mio corpo, intanto il suo sguardo scorre lento su di esso, lambendone ogni curva, ogni particolare,

«Come fai ad essere così perfetto?» biascica con le labbra tumefatte.

Disorientato, lascio che i miei occhi giochino nello stesso modo con il suo corpo, ormai semi nudo sotto di me.

I suo occhi grigi sono freddi, eppure così caldi quando mi guardano, sono in grado di trasmettere esattamente cosa provano.
Il mio sguardo invece, saetta nuovamente verso lo specchio, in cui riconosco la sua fisicità, più esile rispetto alla mia o a quella di tutti gli altri miei compagni.
E sì, mi sono sempre sentito sbagliato, è vero. Ho sempre creduto che, una volta arrivato a questo punto, in intimità con un altro ragazzo, mi sarei sentito ancora più a disagio. Ancora più sbagliato.  Ma non è così. Nemmeno il nostro riflesso allo specchio riesce a dissuadermi dai miei desideri. Non c'è niente di sbagliato.

Blaze sorride e io scivolo via dai miei pensieri.

«Ridi di me?» gli domando accigliato.

Lui a quel punto mi abbassa i boxer, senza smettere di fissarmi negli occhi.

«No. È che non riesco a crederci. Mi sembra impossibile essere davvero qui, insieme a te.»

È ancora sdraiato sotto di me, quando con la punta dell'indice traccia la traiettoria immaginaria che dalla mia gola scende giù tra i miei pettorali allenati, il mio addome tassellato, fino all'inguine in cui si staglia la mia erezione massiccia.

«Mi piace vedere quanto mi vuoi»

La pelle di Blaze è di porcellana, ma rovente sotto al mio tocco. Lo privo dei boxer, poi con la mano raggiungo il suo collo affusolato, che accerchio in una presa possessiva.

Non so che dire. Lui saprà lasciarsi andare a smancerie e cazzate varie, io no. Decido però di soffocare le sue labbra, baciandolo dolcemente, come a volergli regalare qualcosa di tenero, eppure, alla fine, sono io quello che viene percorso dai brividi.

La sua mano sta ormai scorrendo su e giù sulla mia lunghezza, ma per poco non mi si serra la gola quando mi indirizza lentamente verso il basso, contro le sue carni.
Non smetto di baciarlo e il soffice lamento di dolore che fuoriesce dalla sua bocca, è sensuale e m'invoglia a spingere contro di lui, dapprima con delicatezza poi, quando avverto resistenza, in modo più rude.  Sembra però del tutto impossibile.

«Scusa.» ansimo confuso e accaldato.

«Non fa niente, non mi hai fatto male»

«Non ancora» mormoro a quel punto, impaurito più di lui.

Così ci riprovo un po' di volte, provocandomi quasi dolore per via della pressione appena applicata, ma l'erezione mi resta comunque dritta a rigonfia, da quanta voglia ho.

«Faccio io?» lo sento chiedere, poco prima di scivolare verso il basso, con la testa tra le mie gambe.

Mi porto il palmo della mano contro la bocca, sto provando a zittire i gemiti che altrimenti si libererebbero nell'aria, Blaze intanto seguita a giocare con la lingua sulla mia grandezza, bagnandola di saliva.

Riapro gli occhi quando lo sento sdraiarsi nuovamente sotto di me. Le sue labbra si schiudono, perciò, senza nemmeno pensarci, v'immergo due dita dentro. Lo guardo succhiare le mie dita con avidità, mentre sul mio stomaco avverto le vibrazioni della sua erezione, colma d'eccitazione per me. Gli spalanco le gambe con forza, per immergere le dita bagnate dentro di lui.
A Blaze non sembra dare fastidio e il calore che mi accoglie, mi fa rabbrividire dal piacere.

«Riprova adesso» bisbiglia con voce timida.

Compio un tentativo, questa volta lo sento meno teso.

«Non voglio farti male, Blaze»

Lui però si aggrappa a me e con entrambe le braccia avviluppate intorno alla mia schiena, m'invita a tornare su di lui. Contro ogni previsione, all'improvviso il suo corpo mi avvolge, completamente, risucchiandomi dentro di lui.

Gli concedo qualche spinta, dolce, senza mai interrompere il gioco di sguardi che si unisce a quello delle nostre pelli che si sfregano, i nostri corpi che s'incastrano.

Dannato Blaze

Non riesco più a trattenere gli ansiti di piacere, ma quando ad un tratto lo vedo portarsi la mano tra le gambe, come a voler placare l'eccitazione che gli rimbalza sul ventre,  gli blocco entrambi i polsi sopra la testa.

«Stronzo» mugola mordendomi il lobo dell'orecchio.

Mi lascio trasportare, mi perdo dentro di lui stando però attento a non esagerare, rallentando non appena mi accorgo delle sue espressioni doloranti.
Lo sento contrarsi intorno a me e gemere sempre più forte, finché non si sporca l'addome del suo liquido. Siamo entrambi esterrefatti e sudati mentre mi riverso dentro di lui con affondi duri e ben assestati.

Che figura del cazzo, sarò durato trenta secondi.

«In astinenza da un po'...» mi prende in giro Blaze, mentre mi accascio sul suo corpo, ancora in estasi.

Da una vita.

«Sta zitto»

Sono ancora senza fiato, quando le immagini familiari della camera intorno a me mi riportano alla realtà. Nella realtà non esistiamo solo io e Blaze. E lì mi viene in mente una cosa importante.

Cazzo, gli sono appena venuto dentro e non ho messo il preservativo

«Blaze»

Lui è intento a ripulirsi lo stomaco con un fazzoletto e mi lancia un'occhiata interrogativa.

«Hai un... Stai con qualcuno?»

Sorride. «Possessivo, eh?»

«Non in quel...» I miei occhi si perdono lungo il suo collo, marchiato dalle impronte delle mie dita.

«...Voglio dire, ti fai qualcuno?» insisto con voce esigente.

Mi riparo il basso ventre con l'estremità del piumone, Blaze sembra divertito nel vedermi andare in panico e non lo biasimo.

«Beh...»

«Smettila di prendermi per il culo, rispondi.»

«No, certo che no. Sei il primo, Jax. Perchè?»

«Non so... Non... Non ho messo il preservativo. Non so perché non ci ho pensato»

«Hai ragione. Nemmeno io ci ho pensato, ma non credevo andassimo fino in fondo...»

«Nemmeno io»

«È tutto okay. La prossima volta.» mi rassicura lui.

Poi però scrolla il capo. «Quasi non ci credo» sibila sottovoce.

Sono ancora in ginocchio sul letto, quando lascio cadere la coperta che usavo per coprirmi e con gli occhi cerco il mio corpo svestito nello specchio. Lui fa lo stesso.

Cazzo, sembro proprio piacergli.

«Tu Jackson?» m'interroga increspando la fronte.

«No, io... non l'avevo mai fatto. Perché ti copri?»

Lo vedo portarsi la felpa sull'addome, perciò la domanda sorge spontanea.

«Non sono te, Jax. Tu ti piaci e anche tanto»

Mi stringo nelle spalle. «Nella norma»

«Sì, come no»

«Pensi io sia uno di quelli che si masturba guardandosi allo specchio?»

«No, quello lo credo di James» ridacchia lui.

«Possiamo non parlare di lui adesso?» M'indispettisco, nonostante i toni siano scherzosi.

«Suscettibile all'argomento?»

«Vieni in doccia con me.» taglio corto afferrandolo dal braccio

«Che vuoi farmi?»

«Niente che tu non voglia, Blaze»

Quando entriamo nel minuscolo box doccia, Blaze si accorge immediatamente del mio stato d'animo. Prova prima ad accarezzarmi le spalle, poi a spingermi contro il muro di piastrelle.

«Che cazzo fai, non ci provare»

Mi agito all'istante, poiché lo vedo abbozzare un goffo tentativo di abbraccio.

«Quando la smetterai? Di cos'hai paura?»

L'acqua comincia a scrosciare rumorosa tra i nostri corpi, ovattando ogni suono.

«Non ci vuole tanto a capirlo...» bofonchio controvoglia.

«Dimmelo comunque» incalza lui, modulando la voce in un suono più dolce.

Con la vista appannata dal vapore e i sensi attutiti dal rumore dell'acqua, provo a farmi un po' di coraggio.

«Non voglio più soffrire, Blaze» sussurro sottovoce.

«Lo so che hai sofferto tanto. Prima la morte dei tuoi, poi tutti i casini con James... Ma io non ti farò soffrire Jackson»

Blaze questa volta completa l'abbraccio intorno alle mie spalle tremolanti. Si issa in punta di piedi e con la mano raggiunge la mia nuca, per convogliarmi ad un bacio dolce e rallentato.

Dimentico ogni cosa, lascio ogni sofferenza, ogni senso di colpa. Per poco non perdo il contatto con la realtà, quando Blaze s'inginocchia ad accogliere la mia erezione in bocca.

Dio, ma quanto tempo ho sprecato con le ragazze? Questo è il paradiso

Serro gli occhi, pervaso da quel turbinio emotivo e allo stesso tempo, carnale.

Ben presto però, delle voci conosciute richiamano la mia attenzione.

«Oddio!» esclamo aguzzando l'udito. «Cazzo, è James»

«E allora? Resta qui. Mica entra in bagno» si acciglia Blaze dal basso.

«Tu non lo conosci»

«E quindi, anche se lo venisse a sapere?» domanda quando sono ormai fuori dalla doccia.

«Non può venirlo a sapere così. Voglio dirglielo io»

«Perché?»

«Perché sì. Le cose tra di noi non sono così semplici»

L'amarezza gli segna il volto di un espressione mesta e al contempo delusa.

«Ma certo... Ci speri ancora»

«Smettila. Non è questo il punto, Blaze»

«È per la storia di mio padre?»

Decido di tenere la voce bassa per non farmi sentire da James, ma spalanco il box doccia lanciando un'occhiata decisa a Blaze. Voglio che lo capisca forte e chiaro.

«Senti, a me non frega un cazzo di tuo padre. Voglio te.»

«Jax!» La voce di William.

«Devo andare. Shhh»

Gli faccio cenno di stare in silenzio, poi mi avvolgo un asciugamano intorno alla vita e faccio il mio ingresso in camera da letto, dove, come da previsione, vi trovo Will e James.

«Magari avvisare prima?»

«Ti stavi segando?»

La domanda di James mi causa un'espressione indecifrabile.

«Che?»

Con un cenno del mento, James indica il rigonfiamento che  sporge sotto al mio asciugamano.

Poi però si lecca il labbro e sogghigna.

«Abbiamo fatto una cosa» annuncia Will mentre James è troppo impegnato a mettermi in soggezione.

Oh cazzo

«Cosa?»

«Abbiamo rapito il cane del coach»

«Non è come dice Will. Ora il cane sta con Jasper. Gli farà bene prendersi cura di qualcuno.»

Merda.

Sono sicuro che accadrà un casino con il coach, ma ora ho altro a cui pensare.

«Okay, c'è altro?» taglio corto nella speranza se ne vadano.

«Il coach vuole farmi espellere da scuola e siccome non ha una motivazione valida con il preside, punterà tutto sul test antidroga.» spiega James senza levarsi quell'espressione sfacciata dal viso.

«Ormai non siamo già fuori dalla squadra?» mi strofino la nuca confuso.

«Sì, ma non voglio che mi sbatta anche fuori da scuola»

«Ehm...»

«Ti sto chiedendo di pisciare in un bicchiere al posto mio, Jax. Non di farmi un pompino. Non fare quella faccia»

James è uno che provoca, sì, ma ora le battutine sono troppe. E se avesse cominciato a sospettare qualcosa?

Merda, e poi Blaze sta sentendo tutto

«E... Se qualcosa andasse storto?»

Mi accorgo di star balbettando, sono ancora stordito dalle sensazioni piacevoli di poco fa.

«Incolpiamo il figlio del preside.»

Will scrolla le spalle, come se avesse detto la cosa più ovvia del mondo.

«Come scusa?» Sbatto le palpebre incredulo.

«Tanto a lui non faranno mai niente. Oppure incolpiamo Brian»

«Che cazzo dici, Will? Non diamo le colpe agli altri. Se lo scoprono, dirò che la colpa è mia» s'intromette James.

«Sì ma che palle, se tu non giochi più perdiamo la stagione» si lamenta William.

«Fatemi capire una cosa, le parole del coach non valgono nulla per voi due?»

Loro mi fissano. William si tormenta le ciocche bionde e scompigliate, James lancia occhiatine curiose in giro per la mia stanza e solo in quel momento, mi accorgo della felpa di Blaze, abbandonata sul letto.

Cazzo

«Sì va bene per la storia del test, non ho cambiato idea.» bofonchio fingendo di rifarmi il letto con l'intento di nascondere l'indumento di Blaze sotto al piumone.

«Ora quindi ti devo un favore» aggiunge James.

«Cosa?»

«Vestiti Jax.»

«Perché?»

«Ti porto fuori»

«Non mi va» Sbuffo.

«E dai... I tuoi nonni non sono nemmeno in casa» insiste William.

«Uscite così mi cambio, grazie»

«Te l'ho visto mille volte» ridacchia James mordendosi il labbro.

«Aspettatemi in macchina, arrivo»

Afferro dei vestiti puliti e torno in bagno, dove sorprendo Blaze già cambiato con maglietta e pantaloni.

«Dove vai?»

«Me ne vado» ribatte senza guardarmi in volto.

«Guarda che stava scherzando»

Provo a rimpicciolire il problema, ma devo aver perso ogni capacità di persuasione, visto ciò che avrà sentito.

«No, fa pure. Esci con lui» 

Finisco di vestirmi e quando Blaze prova a raggiungere la porta per uscire dal bagno, lo blocco trattenendolo dal braccio. «Posso restare qui con te, se vuoi»

«Proprio non capisci»

«Ti ho detto che posso stare qui, che cazzo vuoi?»

«Per darmi un contentino?»

«Non ti va mai bene niente. Che cazzo dovevo fare?» A fatica, riesco a strappargli un'ultima occhiata furtiva.

«Invitarmi a venire con voi»

Nell'udire quelle parole scoppio a ridere senza ritegno. «Ma sei serio?»

La sua però, non dev'essere stata una battuta, perché Blaze sembra realmente ferito. Una delusione esasperante si appropria del suo volto.

«Blaze, non volevo dire...»

Lui a quel punto se ne va, lasciandomi come un idiota a fissare le mattonelle del bagno.

«Cazzo»


♠️JAMES♠️

Se sei amico di una persona da tanti anni, sai riconoscere perfettamente quando questa sta mentendo. Ecco, Jackson lo conosco da quasi dieci anni e ultimamente, lo sta facendo spesso. Mente.

È strano, frettoloso, sembra sempre nascondere qualcosa. Che gli piaccia la ragazzina?

Potrebbe anche essere, ma c'è qualcosa che continua a non convincermi. I dubbi mi stanno mangiando il cervello già da diversi minuti, eppure provo a non darlo a vedere.

Sto bevendo, fumando, guardando le ragazze che mi ballano davanti. All'apparenza è una serata come un'altra.

«Nessuno di noi dovrebbe bere dato che non abbiamo ventun anni.» bofonchia Jackson, mettendo in atto l'imitazione di sua nonna. Senza volerlo però.

«Hai bisogno di tre cose» annuncio con fare strafottente.

Jackson non sopporta essere continuamente provocato, preferisce restarsene sostenuto e tutto d'un pezzo. Sempre. Forse è per questo che amo istigarlo. Sembra essere l'unico modo per farlo vacillare un po'. Jackson non casca mai e di certo non auguro al mio migliore amico di crollare, ma se si tratta di far uscire la sua vera natura, se è una maschera a dover cadere giù... beh, in quel caso ce la metterò tutta per far levare le fondamenta a quel castello di falsità che si è costruito intorno.

Dopo la morte dei suoi genitori è diventata un'altra persona, sempre freddo, sempre distante, mai autentico. Certo, non gliene faccio una colpa, ha tutto il diritto di stare di merda, ma che mi racconti cazzate credendo che io me le beva, no. Questo non lo tollero.

«Quali tre cose?» chiede lui con aria svogliata.

Gli mostro una bottiglia. Gli indico le ragazze che ballano al centro della sala del locale. Infine lancio una bustina sul tavolo.

«Ah no. Scusa, questa è per me» ridacchio causandogli una smorfia di disappunto.

«Ma per il resto, hai l'imbarazzo della scelta» suggerisco indicando le ragazze.

È un'altra provocazione, ma lui non sembra accoglierla.

«Possiamo farci due birre e andare dormire?» replica infastidito.

«No cazzo.»

Non fa che starsene chiuso in casa insieme a sua nonna e quando esce, è solo per andare a scuola o agli allenamenti. E ora, per causa mia, l'hanno pure cacciato dalla squadra. È il minimo che io possa fare, farmi perdonare per i casini in cui io e William lo infiliamo di continuo.

«Una partita alla play?»

«No.» Mi scolo birra in un unico sorso, poi lo afferro dalla maglietta aderente che gli fascia il fisico scolpito.

«Vieni. Guarda.»

Ci sono anche Stacy e Bonnie in pista e quando Jackson se ne accorge, scrolla la testa piena di capelli dorati.

«No dai, loro no.»

«Infatti, loro no»

Gli indico una ragazza a caso. Una di quelle troppo grandi per noi e che non ci filerebbero mai, nemmeno per sbaglio.

Mi avvicino a lei per buttare lì un «Come ti chiami?»

La ragazza mora dagli occhi a mandorla si volta altezzosa, quasi indignata che qualcuno le abbia rivolto la parola.
A quel punto però, la sorpasso mettendomi a parlare con Stacy.
E se prima aveva l'aria snob, ora che è lei ad esser stata snobbata, la tizia ci resta quasi male.
È semplice, le ragazze desiderano chi non le vuole. Sempre.

Lei mi sta ancora guardando, perciò mi giro per sussurrarle un «Oh scusa. Pensavi stessi parlando con te?»

Sto fingendo, con tanto di espressione da cucciolo smarrito.

«No, no...» nega lei, punta nell'orgoglio.

«Come ti chiami?»

La ragazza risponde, poi mi rivolge la stessa domanda.

«E tu?»

Io invece sorrido, sapendo che lei non lo dimenticherebbe tanto facilmente il mio nome.

Se io volessi.

Ma a me non va. Mi volto verso Jackson per presentargliela, ma lui si è già allontanato.
Jackson non si deve sforzare, le ragazze gli piombano addosso come api attaccate al miele.

Annoiato dall'atteggiamento del mio amico, torno ai tavoli dove non faccio in tempo ad afferrare una bottiglia di spumante dal cesto col ghiaccio, che una tizia bionda mi si spalma addosso.
Sento il forte gusto alcolico nel suo respiro.

«Non voglio guai» mi affretto a dire.

«Quali guai? Sto bene...» biascica con tono incomprensibile.

«Non mi sembra. Sei ubriaca.»

E vuole altro alcol, gratis.

«Ne hai rifiutate due? Davvero?» domanda Jackson mentre sosta svogliatamente vicino ad una rossa che prova ad attirare la sua attenzione.

«No. Ci vedi male»

«Te la farai, James?» domanda indicando la testa bionda della ragazza che continua ad oscillare poco distante da noi.

«No.»

«E allora perché illudi la gente?»

Scrollo le spalle.

«Vuoi piacere a tutti...»

«E quindi? Cosa ci sarebbe di male?» mi alzo in piedi.

«Non si può piacere a tutti»

«Ne sei sicuro, Jackson?» agguantando la ragazza dai fianchi, questa sembra avere delle labbra a ventosa per come risucchia il mio collo.

Non so perché, ma dura un soffio, incrocio lo sguardo di Jackson ed improvvisamente, mi torna in mente il nostro bacio.

Cazzo, non aveva capito che ero io

Il pensiero però, mi destabilizza ogni volta.

«Andiamo da qualche altra parte.» Sputo irritato.

«In che senso?» chiede lui, strofinandosi la fronte.

«Con le ragazze.»

«Fai sul serio! E June?»

La sua uscita mi fa spazientire sul serio. Perché pensa sempre a lei?

«June cosa? Che cazzo c'è, non ti piace la rossa?»

«Non... boh.»

Jackson solleva le spalle dandomi ancora di più sui nervi. Non me ne frega un cazzo di stare con queste ragazze, perché non capisce che lo faccio per lui?

«Guarda che non siamo qui per me.» erompo infastidito.

Anche perché sennò a quest'ora mi starei divertendo con almeno due ragazze. Ma non accade.

«Vogliamo segnare il giorno sul calendario, James? Non ti stai limonando due persone di fila. Anzi proprio nessuno.»

«Sta zitto Jax»

«Cosa c'è?»

Sbuffo liberando il petto da una morsa soffocante.

«Non mi vuole.»

«Non dire cazzate, James. Esiste qualcuno che non ti vorrebbe?»

Lo fulmino con un'occhiata tagliente che lui sembra ricevere in pieno, perché deglutisce nervoso.

«Mi vuole come gli altri, forse. Non riesce a resistermi, ma appena collega il cervello... capisce che non ne vale la pena.» provo a spiegarmi.

«Sono sicuro che ti sbagli, June è... Oh cazzo. È qui.»

Jackson sgrana gli occhi quando si accorge delle sagome sconosciute che fanno il loro ingresso nel locale.

E per poco a me non viene un colpo.

«Cosa ci fanno loro, qui?» Salto su quando la vedo arrivare insieme ad Ari e Poppy.

«Non ti agitare, le ho chiamate io» dice Marvin sbucando dal nulla.

«Tu non fai le cose di testa tua, cazzo! Mi parli prima!» m'infervoro nel vedermi la ragazzina davanti.

«Calmatevi.»

Ma in quel momento lei si accorge di me e i nostri sguardi si fondono nel buio.


🦋JUNE🦋

«Ari! Avevi detto che c'eravamo solo io te e Poppy.»

La mia lamentela ha un motivo molto valido. Ari ha appena aperto la porta della stanza in cui è ricoverata Amelia, ma la prima cosa che noto sono Taylor e Tiffany, sedute sulle poltroncine.

E ovviamente, non è Tiffany il problema. Il motivo si chiama Taylor.

«Serata tra ragazze. Tu ormai frequenti solo più maschi, vero?» domanda la bionda, con il suo solito tono altezzoso.

Ricambio il saluto di Tiffany ed ignoro la frecciatina di Taylor, infine osservo Amelia che sta dormendo nel lettino bianco. Con lo sguardo passo in rassegna i cerchi violacei intorno ai suoi occhi socchiusi e l'ingessatura al collo. Un forte senso di tristezza mi pervade.

«Siete riuscire a parlarle?»

«No. È talmente sedata che dorme tutto il giorno, puoi anche urlare. Non ti sente» annuncia Poppy.

«Perché è qui?» chiedo sottovoce, rivolgendo lo sguardo a Taylor, che è troppo impegnata a stare al cellulare per calcolarci.

«È stata Poppy » bisbiglia Ari in tutta risposta, scaricando come al suo solito, le colpe sull'amica.

«Ma non è vero! Tutte le nostre compagne sono venute a trovare Amelia e io ho solo chiesto a Tiff di rimanere. Se è rimasta pure la stronza, non è colpa mia.»

«La odio.» Sussurra Ari facendoci cenno di stare zitte.

Taylor non ci considera minimamente, finché ad un tratto se ne esce con un «Vado a prendere un tè alle macchinette... E White viene con me»

«Cosa?»

Mima il gesto di lanciare una ciocca dietro alle spalle, come se avesse ancora la sua chioma lunghissima, quando in realtà ha tagliato i capelli da poco.

«Muoviti»

Vorrà parlarmi?

Ora che penso, però, vorrei parlarle anch'io. Così reprimo il timore di risultare troppo sfacciata e la raggiungo nel corridoio dell'ospedale.

«Te l'ha restituita?» È la prima cosa che domando quando rimaniamo da sole.

«Sì.»

Lei compie una pausa, poi si avvicina minacciosa.

«Ascoltami bene, Barbie. Io ho chiuso con James.»

Quando un'infermiera passa nel corridoio deserto, lei si ferma. Attende che questa si allontani, per poi proseguire.

«Mi ha tradita, umiliata, fatta sentire sola, non c'è mai stato per me quando ne avevo bisogno.»

Inarco un sopracciglio, poi incrocio le braccia al petto, sapendo già dove vorrebbe andare a parare.»

«Ma....?»

Perché c'è sempre un "ma" quando si parla di James.

«Ma... Non riesco ad odiarlo quello stronzo.» ammette ad occhi bassi.

«E probabilmente scaricherà anche te un giorno, ma per ora... non voltargli le spalle.»

«Che vuoi dire?»

Lei raccoglie il bicchierino di carta contente il tè caldo, appena fuoriuscito dalla macchinetta.

«L'avete fatto?»

Mi scruta con attenzione e io dovrei chiederle a cosa si stia riferendo, ma ho già capito.

«Non sono affari tuoi.»

«No certo...» ironizza fissandomi.

«Che vuoi da me Taylor?» sbuffo esauta.

«Da te niente. Dico solo che non l'avete ancora fatto.»

«E quindi?»

«Goditi questo periodo. È il momento migliore, perché James sarà così finché non avrà ottenuto ciò che vuole»

«Così come?»

«White, svegliati»

Che significa? Cosa ne sa lei di com'è lui quando sta con me? Di quello che ci diciamo?

«Poi mi dirai se sarà ancora così, dopo.»

«Sei crudele. Se gli volessi bene per davvero, non parleresti di lui in questo modo»

«Sono realista...»

La mia espressione avversa non è sufficiente a fermare le sue parole.

«Ma questo non significa che tu non possa essergli l'amica» conclude, lasciandomi l'amaro in bocca.

Non appena raggiungiamo la porta della stanza in cui è ricoverata Amelia, Taylor sbircia dalla finestrella e mi indica le ragazze al suo interno.

«Le vedi quelle?»

Scorro lo sguardo da Amelia ad Ari e Poppy, che stanno entrambe sedute sul bordo del letto.

«Non ti fidare di loro»

«Perché?»

«Perché a loro non gliene frega un cazzo di lui»

La sua espressione secca mi provoca un cipiglio sospettoso. «Perché? A te sì?»

«Gli ho lasciato prendere la pistola, nonostante sapessi che mio padre si sarebbe arrabbiato tantissimo con me. E ho continuato a stargli vicino, senza volere niente in cambio, anche quando sapevo che lui stava con me solo per quella dannata pistola...»

«Di che parlate?»

Dalla porta sbuca la testa ricciola di Tiffany, che ci guarda stranita nel vederci parlottare tra noi.

«Parliamo di James» annuncia Taylor, causando occhiatine incuriosite dalle altre.

«Come sta?» chiede Tiff. «È un po' che non lo vedo.»

«Ehm...Non saprei.» ammetto confusa.

«Ma come non lo sai? Se la sera dell'incidente ha lasciato Amelia da sola, per correre da te...»

La frase viene pronunciata da Taylor, ma sono gli occhi di Ari e Poppy, a finire dritti addosso a me. Mi guardano come fossi un'estranea. Dopotutto, è la loro migliore amica a stare su un letto d'ospedale, non io.

«Cosa? No...» mi acciglio all'istante. Tutte mi stanno guardando, così Taylor riprende immediatamente la parola.

«June... Sai qual è la particolarità di James?»

Si siede insieme alle altre, lasciandomi in piedi a reggere i loro sguardi indagatori.

«Che è difficile riconoscere le sue cattive intenzioni. Perché non sa nemmeno lui di avercele»

«Che vuol dire?» Poppy s'incuriosisce.

«James ci crede in quello che fa. Avanti, lo ha fatto con tutte noi, l'ha fatto anche con te, vero Poppy?»

Lei si stringe nelle spalle.

«Vi siete baciati per la prima volta alla festa di Ari.»

Le parole taglienti di Taylor arrivano dritte in faccia a Poppy, che sgrana gli occhi.

«Cosa?» Ari per poco non balza su dalla sedia.

«Era un segreto? Peccato che io sapessi tutto. Ti ha fatta sentire speciale, vero?»

Poppy non sembra nemmeno debba pensarci su, annuisce convinta dinnanzi alla faccia esterrefatta di Ari.

«Insomma, lo sappiamo tutte. Lui non è il tipo di ragazzo che ti usa per una sera e poi tanti saluti. Questo l'ho sempre detto.» 

Poppy si lascia andare a qualche parola di troppo.

«No, certo. Lui vuole avere tante fidanzatine. Illudersi di essere innamorato e amato.» prosegue Taylor, sotto allo sguardo diffidente di Tiffany.

«Finisce per essere amato, ma lui non sa amare. Non ne è in grado» sentenzia Ari, che pare essere l'unica davvero scottata dalla conversazione.

«Forse perché non gliel'hanno insegnato.» Tiffany sembra voler prendere le difese di James. «E poi ancora con questi discorsi? Vi siete divertite voi, come si è divertito lui. Basta.»

«Pensi che siamo stupide? Che ci siamo inventate tutto?» esclama Ari, quasi ferita.
«A scuola è pieno di ragazzi che vogliono un'avventura di una notte... Lui mi ha fatto credere di essere innamorato di me, è una cosa ben diversa. Non avrei mai tradito Brian, sennò.»

Le parole di Ari mi causano un vuoto allo stomaco non indifferente e fanno calare il silenzio nella stanza. Nemmeno Taylor ha più il coraggio di parlare.

«Non potete stare qui.»

L'infermiera, probabilmente attirata dal nostro chiacchiericcio, entra come una furia nella stanza, ammonendoci con un'occhiata funesta.

«Ma... »

«Filate a casa signorine, l'ospedale non è posto per gossip notturni.»

Taylor e Tiffany sono le prime ad andarsene, io invece aspetto Poppy e Ari per tornare a casa.

«Passiamo a trovare Marvin prima, ti prego Ari»

Poppy fa gli occhi dolci all'amica, che è quella incaricata di guidare.

«No» rispondo io al posto di Ari.

«Dai, June. Poi ti porto a casa dopo. Stiamo solo dieci minuti. Sennò mi tocca tornare indietro, non farmi fare il giro lungo» borbotta Ari.

Sbuffo e alla fine decido di tacere. Tanto so già che l'hanno sempre vinta loro.


Dopo pochi minuti di tragitto in auto, giungiamo all'ingresso di un locale che non ho mai visto. La prima cosa che mi balza all'occhio è l'età delle persone. C'è gente molto più adulta di noi, infatti sono già pronta a scommettere che non ci faranno mai entrare senza i documenti, quando Ari dice qualcosa all'uomo all'ingresso, che sposta la transenna e ci fa cenno di proseguire dentro al club.

Prima il caldo afoso, poi la musica assordante. Li odio questi posti.
Vorrei già tornarmene a casa.
Resto qualche passo indietro rispetto ad Ari, la mora segue Poppy che sembra sapere dove andare. Raggiungiamo una zona appartata dove c'è gente che beve ai tavoli, quando mi accorgo che Poppy è appena saltata in braccio a Marvin.

E non passa nemmeno un minuto, che incontro due occhi luminosi, blu come la notte. I nostri sguardi si fondono come miele bollente. Sento lo stomaco andare a fuoco.

Ma la sensazione piacevole viene rimpiazzata in fretta, quando man mano che mi avvicino, noto che James non è da solo. Sta ballando con una ragazza, anzi, lei gli è incollata al viso e io distolgo immediatamente l'attenzione dalle loro figure appicciate.

Non avrà un singolo sguardo da parte mia. Nemmeno il disgusto.

«Cazzo.» lo sento imprecare quando gli passo oltre senza considerarlo.

«Poppy muoviti, saluta Marin e andiamo via.»

Lei mi fa cenno di sì, ma poco dopo la sua bocca si attorciglia a quella di Marvin, obbligandomi a voltarmi dall'altra parte.

«Vado a prendere dell'acqua intanto. Dieci minuti, eh» provo a farmi sentire tra il frastuono della musica assordante e il vociferare insistente.

Ruoto su me stessa per tornare al bancone del bar, ma con la mia solita grazia da elefante ubriaco, mi giro troppo velocemente e, nella calca, sbatto contro un tizio che tiene in mano un vassoio colmo di bicchieri pieni di alcolici.

«Scusa, non volevo... »

E dove sarà mai andato a finire tutto alcol che c'era sul vassoio?

Il cameriere mi lava da capo a piedi.

Fantastico, June White e la sfiga sono un tutt'uno ormai

«Scusa» continua a dire mortificato.

Lo vedo smollare il vassoio ormai pieno di bicchierini rovesciati, lo abbandona su un tavolo, per poi tornare su di me.

«Ti aiuto»

«Ehm... » m'imbarazzo subito.

Non sono abituata che uno sconosciuto mi stia così vicino.

E quando mi posa una mano sul fianco e con lo strofinaccio prova a pulirmi la maglietta, m'irrigidisco di colpo.

«Se vuoi anche solo parlare con lei, le mani non le voglio vedere qui.»

James è decisamente ubriaco quando afferra bruscamente la mano del tizio per rimuoverla dal mio fianco.

«Sta calmo sto solo provando ad aiutarla, non l'ho fatto apposta. È il mio primo giorno qui» dice il ragazzo, scusandosi nuovamente.

«Va bene così.»

Tranquillizzo il povero cameriere, poi mi volto verso James.

«Cos'è, adesso una persona non può nemmeno parlarmi? » m'indispettisco.

Al posto della sua solita battuta pronta, mi ritrovo due guance scarlatte e gli occhi velati.

«Sei ubriaco fradicio, vero?»

«Perché sei ancora qui? Quanto ci metti levarti dal cazzo?» continua ad inveire contro il povero cameriere.

«Non farmi scenate di gelosia, James. Lo sai che non ne hai il diritto.»

«Infatti mi sto trattenendo.»

Lui muove un passo nella mia direzione, sovrastandomi con le sue spalle larghe.

«Ma se continua a starti addosso, gli faccio pentire di averti anche solo guardata.»

Mi volto per appurare che il ragazzo se la sia data a gambe, James però m'inchioda con il suo sguardo assottigliato.

Provo ad indietreggiare, ma nonostante il tasso alcolico, lui conserva sempre i suoi riflessi di un felino. Con il braccio racchiude l'interezza della mia vita in una presa possesiva, portandomi contro di lui.

Le sue labbra sfiorano le mie, provocando una reazione inaspettata in tutto il mio corpo.

«Guarda me.»

Lo sento mugolare un gemito di disapprovazione, quando discosto il viso per eludere la traiettoria della sua bocca rossa e turgida.

«Finiscila James.»

Sollevo lo sguardo e noto che ha i capelli leggermente scompigliati, vorrei risistemarglieli, vorrei levargli la bottiglia dalla mano e dirgli di portarmi via da questo posto, ma non posso dimenticare cos'ho visto con i miei stessi occhi, poco fa.

«Cosa ci fai qui?» domanda lui.

«Vado dove mi pare, non sono qui perché ci sei anche tu. Siamo solo venute ad accompagnare Poppy. »

La ragazza con cui James ballava poco fa si avvicina e parlando con una sua amica, urla «Te l'ho detto i migliori sono gay... »

Indica la sagoma di Jackson poco distante, poi torna ad indicare James.

«....O peggio, fidanzati»

«Non è fidanzato, è tutto tuo.» sbotto nervosamente, slegando con uno spintone, quel contatto che mi vedeva stretta a lui.

James a quel punto mette su un broncio infantile e mi guarda come un bambino offeso.

«June...»

«Non mi toccare»

«Dove cazzo vai? E perché c'è l'hai con me adesso?»

La sua voce rauca oscilla pericolosamente, è ubriaco da far schifo. Mi chiedo come faccia a reggersi in piedi.

«Secondo te? Dai, ci puoi arrivare da solo» esclamo indicando le ragazze che si sono appena allontanate da noi.

«Eri tu a non volermi più vedere.»

«Sei così...»

«Cosa? Inaffidabile?» suggerisce lui ad un soffio dal mio viso.

«No. Sei te stesso, ma per me non vai bene.»

Per quanto ammetterlo faccia male, Taylor ha ragione

James allunga nuovamente la sua mano per afferrarmi dai fianchi, ma io questa volta non glielo permetto e la schiaffeggio con vigore.

«Maleducata, direi»

«Insistente, direi»

«Tua madre sa che sei qui?»

Mi stranisco nell'udire quella domanda.

«Sa che sono a trovare Amelia.»

«Adesso ti metti a dire anche le bugie?»

«James, sei serio?!» scoppio in una risata nevrotica. «Ma quanto hai bevuto che ti preoccupi persino di quello che dice mia mamma?»

La mia è una presa in giro, ma James non ha tutti i torti. Non so perché mia madre abbia cambiato idea sulla gita. Se venisse a sapere che vengo in questi posti di nascosto, di certo mi prenderebbe a calci in culo.

«Ha cominciato a fidarsi di te, perché le menti?» insiste lui.

Scrollo il capo.

«Hai paura che io non venga in gita James?»

«E sentiamo... sarebbe un male?» sbraita lui in mezzo al rumore insopportabile della musica martellante.

Magari vuoi arrivare a quel punto, proprio come dice Taylor.

«Sei stato così perfetto con me, premuroso... Mi hai detto tutte quelle cose quando eravamo solo io e te, ti sei comportato rispettando ogni mia volontà, senza mai forzarmi.»

«E quindi?»

Mi volto verso Ari e Poppy che chiacchierano sorridenti con William e Marvin.

«L'ho fatto con tutte? Questo mi stai dicendo?»

«Sì, me l'hanno detto»

«Beh ti hanno detto una cazzata»

«Perché?»

«Perché... Non lo so, è diverso questa volta. Pensavo l'avessi capito anche tu.»

«No, James. Voglio di più, questo che mi stai dicendo non mi basta»

«Cazzo...»

Farebbe qualsiasi cosa per una conquista in più, June. Ricordatelo

«Poppy ha detto che anche con lei sei stato carino. Che addirittura avete parlato,dopo.»

Con occhi lucidi e ubriachi lambisce le mie labbra, prima di passarsi una mano tra i capelli, scombinandosi le ciocche con fare irritato.

«Era sua prima volta. Cosa cazzo dovevo fare? Sfogarmi e lasciarla lì?»

«Ti comportavi così anche con Ari. Eri addirittura geloso di lei.»

«Non ero geloso di lei. Pensi che venisse a letto solo con me? Volevo solo...»

«Cosa? Cosa volevi? Difenderla da Brian?»

«Volevo difendere Amelia da suo padre. Blaze dai bulli che lo prendevano in giro. Tiffany da Taylor. Taylor fa da stessa...»

«Oh la lista è lunga.» lo canzono acidamente.

Non dovrei. Non vorrei trattarlo così, perché lo so che lui ci sta male. Che quando si definisce inaffidabile, pensa automaticamente di essere uguale a sua mamma, ma come faccio ad essere così tanto paziente da passare sopra ad ogni cosa che fa?

Quelle di Taylor e le altre ragazze potrebbero essere solo parole, è vero, ma io l'ho visto questa sera. Probabilmente non fosse qui a discutere con me, sarebbe da qualche parte a fare sesso con qualche sconosciuta, o sconosciuto. Tanto domani nemmeno se lo ricorderebbe.

«Sì, la lista è lunga. Voglio bene a queste persone che cazzo ci devo fare?» ammette a denti stretti.

È ubriaco, senno non parlerebbe così, senza filtri.

«Sono sbagliato perché non sono capace di fregarmene? Ci provo a rendere le cose più fredde, ad eliminare qualsiasi emozione, ma vedi come cazzo finisce? Che mi lego alle persone.»

«Le persone. Continui a generalizzare, non mi piace»

«Non ho mai ricevuto niente in cambio. Solo sesso, June»

Ho come l'impressione che più discutiamo e più l'alcol che scorre dentro alle sue vene, cominci a fare effetto. Sembra doversi concentrare tantissimo per mettere due parole in croce. Parla come un bambino.

«Non mi fido più di te.» ammetto tra i denti.

«Non so che cazzo farci...»

«Magari prova a ragionare col cervello ogni tanto, invece che con qualcos'altro.» torno a guardare la calca che dilaga nel locale.

«Ti ha dato fastidio che ballavo con un'altra?»

Orgogliosa, scuoto il capo con convinzione.

«Certo che no.»

«Perché non puoi ammetterlo...»

«Cosa?»

«Che sei gelosa di me.»

«E dopo averlo ammesso? Dopo aver ammesso d'essere stata così stupida da credere che...»

Non riesco nemmeno a continuare. Se Poppy non vuole portarmi a casa, me ne vado da sola. Sono stufa.

Prima che io possa fuggire però, James mi trattiene dal braccio.

«Hai capito cosa intendevo quando in macchina ti ho detto non illudermi? Per un attimo mi hai fatto credere di non essere quella persona...»

«Ti fa comodo vero James?»

Le sue iridi inermi mi fissano spaesate. James non si aspettava il mio attacco.

«Ti fa comodo rispecchiare in pieno quello che gli altri pensano che tu sia?»

«No... io...»

«Alla fine, se ci pensi, tutti credono che tu sia uno stronzo che usa le ragazze e passa le serate a farsi e ubriacarsi... Non lo sei, chi ti conosce meglio lo sa, ma questa è comunque la tua scusa migliore per fingere di soffrire, mentre in realtà ti stai divertendo...»

«È incredibile...» sbotta lui.

«Cosa James?»

«Dalla tua fottuta bocca non è mai uscita una sola parola carina per me.»

«Scusa tanto se non sono una che inganna la gente con le parole come fai tu!»

«Mi sono sbagliato... Non sono stato io questa volta, ma tu. Tu hai rovinato tutto, cazzo.»

«Sei ubriaco, smettila di bere»

«Vattene a fanculo con tutti gli altri»

Lo vedo voltarmi le spalle per finire a ballare con due ragazze.
Un insistente morsa nauseante mi aggredisce la gola.

«Ma che sta succedendo?» domanda Jackson, che fino a qualche secondo fa era impegnato al telefono.

«Voglio andarmene, non ce la faccio a guardarlo mentre fa così.»

Sputo uscendo sul retro del locale, dove finalmente trovo Poppy e riesco a convincerla a tornare a casa.





Dopo una lunga doccia calda, verso mezzanotte mi rintano nel letto, dove una strana sensazione mi sopraggiunge nel petto.

Parole carine.

Sebbene fossero sproloqui dettati dall'alcol, James ha ragione.
Io non gli ho mai detto nulla. Sono stata pessima anche nel dargli conforto. Nemmeno una mano sulla spalla.

Con insistenza, fisso la porta che dà sul bagno.
Infilo la mano dentro ai pantaloncini del pigiama e, con i polpastrelli, traccio le piccole cicatrici.

È parecchio che non lo faccio. È trascorso così tanto tempo, che in gita potrei addirittura mettermi in costume, si vedrebbero a malapena.

Faccio tanti pensieri, eppure non c'è niente di razionale in tutto ciò.
Così chiudo gli occhi e ricaccio via quel desiderio.

No, June

Decido di mettermi a leggere qualche pagina, ma le parole si confondono tra di loro. Non riesco a non pensarci.
Così spengo la luce, mi sdraio e provo a rilassarmi, ma sembro non esserne in grado. Sono troppo agitata. Il mio pensiero torna di nuovo lì.

Ed è un groviglio di sensazioni che non riesco a gestire, a placare. Restano lì, a farmi soffrire finché non vi metto fine. Non dormirò mai se rimango qui immobile.

Troverò una scusa per non mettermi in costume.

Mi alzo. Prendo un lungo respiro, poi sopraggiunge il momento. Quello in cui spengo completamente la coscienza.

Accendo la luce e prima che la mia mano sfiori la maniglia del bagno, un tonfo assordante per poco non mi fa prendere un colpo.

Ero completamente assorta nei miei pensieri, pronta a fare qualcosa di cui mi sarei vergognata a breve, ma quel frastuono mi fa balzare sul posto.

«Oddio! Tu mi farai morire prima o poi!» esclamo a gran voce, portandomi entrambe le mani sul petto.

Il cuore pompa all'impazzata e il battito accelera vertiginosamente nel vedere James saltare giù dal davanzale della finestra per barcollare dentro camera mia.

«Di la verità... Hai avuto paura prima.»

«Quando?»

«Quando ho fatto lo stronzo.»

Lascio scorrere sguardo lungo il suo corpo leggermente sudato. La maglietta aderente resta incollata al suo torace massiccio, mentre appare leggermente stretta intorno alle spalle ampie. Ha i capelli stropicciati e le labbra lievemente umide e screpolate, ma pur sempre invitanti.

«Paura di te? Non penso proprio. Mi fa paura il modo in cui te ne freghi di te stesso.»

Sono ancora impalata davanti alla porta del bagno come una statuina, perciò decido di muovermi verso il letto.

«Passata la pipì tutto di colpo?»

«Cosa?»

«Stavi andando in bagno, no?»

Maledetto. È ubriaco, ma come al solito non gli sfugge niente.

Mi siedo sul letto e curvo il capo, dandogli la conferma di ciò che probabilmente stava già sospettando.

«Non volevo fare lo stronzo.» si affretta a dire.

«E io non volevo dirti quelle cose, James. Ero solo arrabbiata» ribatto di getto.

«È difficile capirti e... Ma che fai?»

James mi coglie di sorpresa, si piega su se stesso per poi stendersi sul pavimento come un peso morto.

«Guarda che sei obbligato a farti una doccia o non ti lascio dormire nemmeno per terra.»

Lui, in seguito a quelle parole, sembra trovare la forza di ergersi in piedi di scatto.
Resto seduta sul bordo del letto, con i piedi ben piantati a terra, mentre James mi appare davanti in tutta la sua altezza statuaria, avvicinandosi sempre di più alla mia figura.

La sua gamba scivola pericolosamente tra le mie cosce leggermente divaricate, fino a scontrarsi con il mio inguine coperto solo dal paio di pantaloncini del pigiama.

«Posso usare la tua doccia?»

Annaspo, incapace di trovare le parole.

Sembra un contatto casuale, ma quando James applica un po' di pressione e spinge il ginocchio contro il mio punto più sensibile, le mie guance impazziscono di colore.

Riesco ad emettere un flebile «Sì, vedi di non fare casino»

Lui curva il capo, prima di chinarsi su di me con una lentezza che contraddistinguerebbe solo un predatore esperto.

«James...»

M'immobilizza con due specchi lucidi e profondi. Un brivido estenuante si propaga nel mio basso ventre, quando mi sfiora la mano con le sue dita gelide.

«Spogliami tu allora.»

«James, se questa è una scusa per...»

«Nessuna scusa. Dormo sul pavimento. Davvero.»

Accoglie la mia mano nella sua e se la porta sull'addome, per far strisciare la maglietta verso l'alto.

Vuole che l'aiuti a spogliarlo, perciò decido di accontentarlo. Mi metto a sfilargli la maglietta, che sembra restare impigliata tra i solchi muscolosi che compongono la sua schiena, mentre lui si abbassa i pantaloni.
Una volta lanciata a terra la sua t-shirt, io mi ritraggo, ma lui mi prende entrambe le mani e me le porta sull'elastico dei boxer neri.

«Non hai finito»

Con le guance che seguitano a bruciare per l'imbarazzo e senza distogliere gli occhi dai suoi, faccio scendere i boxer lungo le sue gambe, causandogli un gemito d'approvazione.

A quel punto James si volta, il mio sguardo resta inesorabilmente intrappolato nella sua schiena larga e perfetta, forse per evitare di scendere ad ammirare le sue natiche sode.

Mi dirigo verso l'armadio e recupero il paio di pantaloncini sportivi che lui mi aveva prestato e che ho messo in lavatrice di nascosto da mia madre.
Intanto in bagno si libera un fragore sordo.

«James!» Lo rimprovero sottovoce. «Fa attenzione, mia mamma dorme!»

Mi spiaccico una mano sugli occhi e mi avventuro nel bagno, fortunatamente però, lui è già dentro al box doccia. Poso i pantaloncini sul mobile ed è proprio l'anta in cui tengo l'arricciacapelli, ad attirare la mia attenzione. Se non fosse arrivato James, sarei andata fino in fondo.
Non ho dubbi a riguardo.

«Va meglio?» domando rintanandomi sotto alle coperte, quando lo vedo uscire dal bagno con solo i pantaloni addosso.

«No» sospira lui fissandomi le labbra.

Lo guardo accasciarsi al lato del letto, fino a cascare sul pavimento.

«Quale stronza mi farebbe dormire qui... è scomodo.»

«Io.» replico spegnendo la luce.

Lui sbuffa da sotto.

«Voglio dormire con te»

«Non accadrà più, James. Mai più.»

Lo sento sorridere.

«Che c'è da ridere?»

«Sei incazzata, quando dovrei esserlo io»

«Perché dici così?»

«Perché devi dirlo. Dillo. Abbi il coraggio.»

Vuole che ammetta la mia gelosia.

«Ancora con questa storia? Tu ce l'avresti il coraggio? Perché sei venuto a rompere le palle mentre parlavo con un'altra persona?»

«Un'altra persona? Ma stai zitta»

«Ah ecco. Non posso parlare con la gente...»

«Sì ma non se un tizio ubriaco ti tiene le mani addosso in quel modo»

«Finiscila, era un cameriere. L'unico ubriaco eri tu, che stavi con due ragazze, come al tuo solito»

«Guarda che non ho fatto un cazzo, non le ho nemmeno messo la lingua in bocca»

Allungo le dita nel buio, afferro il primo libro che trovo vicino a letto e lo lancio nella sua direzione.

«Ahiiia» James si copre la faccia con la mano.

«La smetti di dormire con la Bibbia sul comodino?»

Accendo la luce e solo a quel punto mi accorgo che, con una mano sorretta sull'occhio sinistro, prova ad aprire la palpebra, ma non ci riesce.

«Oh merda, ti ho fatto male?»

«Sì»

Mi precipito giù dal letto per controllare il danno che gli ho appena arrecato.
Con il pollice gli sfioro la palpebra leggermente arrossata.

«Scusa»

James però sembra già essersi dimenticato del dolore all'occhio e lascia passare un braccio dietro alla mia schiena, per indurmi a scivolare più avanti, facendomi ritrovare a cavalcioni su di lui.

«Oh sì, così»

«Finiscila o ti colpisco anche l'altro lato»

«Puoi colpirmi come cazzo ti pare. Se dopo mi baci però»

Sospiro.

«Dio mio, perché sei così...? È difficile...»

«Voglio dormire con te» insiste lui, come se non gli avessi già detto di no in precedenza.

«No.»

«Non ti tocco.»

Lo pronuncia proprio mentre sua mano scorre languida verso il basso, lungo la mia schiena, fino ad arrivare alla curva del mio sedere.
Le sue dita affondate nei miei pantaloncini, sembrano avere come unico scopo quello di tenermi stretta a lui.

E a me dispiace per averlo trattato in quel modo. Dopo tutto il casino che è successo, con Amelia, il coach, Austin...

Ma proprio mentre dice di non volermi toccare, la sua mano s'immerge avidamente nel mio fondoschiena, strizzandomelo con forza.

«Tu non mi tocchi vero, Mr. Coerenza?»

Incrocio le braccia al petto, ma questa mossa risulta alquanto azzardata, perché il tessuto della maglia del pigiama mi si tende sul seno, lasciando intravedere i capezzoli inturgiditi.
James se ne accorge subito.
Socchiude la bocca e con un'avida slittata di lingua sul labbro inferiore, riaccende in me tutto ciò che mi ha fatto provare a casa di Taylor.

«Come vedi, quando ti conviene, fai anche finta di credere a ciò che dico.» sorride con le sue fossette infantili.

L'altra mano s'inerpica sul mio fianco, con le dita scala la pelle del mio basso ventre, nascosta dalla maglietta del pigiama.
Prova a raggiungere il mio seno, ma trova l'ostacolo della mia mano che caccia via le sue dita bramose.

«Sei proprio stronzo, pensi sempre a quello»

«Lo vedi come cazzo ti sto sotto?»

«Che vuoi dire»

«Che se pensassi a scopare e basta, a quest'ora staremmo sfondando il tuo fottutissimo letto.»

Esagerato, come al solito.

«E invece accetto di dormire su un cazzo di pavimento freddo. Solo perché me lo chiedi tu»

«E...?» lo invito a continuare.

Se vuole qualcosa da me, deve fare ben altro.

James si issa sui gomiti e si tira su a mezzo busto, accostandosi pericolosamente alla mia bocca.

«E mi hai picchiato, insultato e io non me ne sono andato. Cazzo, non me lo stai nemmeno...»

«Non dire altro... shh!»

Gli poso un dito davanti alla bocca per bloccare le sue parole volgari, ma il calore del respiro tiepido che passa attraverso le sue labbra gonfie e soffici, mi causa un vortice che prende a pulsarmi tra le cosce.

«Ti scoperei.»

Sussurra languidamente mentre i nostri nasi si sfiorano.

«James...»

Lo vedo chiudere gli occhi, sembra esausto.

«In qualsiasi modo, June»

«No.»

Deglutisco abbassando lo sguardo sul punto di contatto che vede il mio inguine stretto sul suo bacino, così rigonfio e turgido da provocare un attrito piacevole contro la mia zona più sensibile.

«No, certo. Ma...»

James fa scendere la mano proprio tra le mie cosce, dove trova immediatamente la prova di quanto lui mi piaccia.

«Sei fottutamente pronta.»

Arcua le dita per solleticare il cotone delle mie mutande, ma io lo fulmino all'istante.

«Non mi basta così poco»

«Allora è deciso, dormo qui sul pavimento. Tanto tu non mi vuoi più baciare»

«Smettila di fare il bambino, sei ubriaco marcio.»

Mi sollevo da quella posizione ambigua e torno nel mio letto.

«Tu vuoi davvero farmi uscire di testa.» si lamenta risistemandosi i pantaloni ormai scomodi.

James si lancia con la schiena a terra e quasi non pare crederci, quando gli faccio cenno di venire nel letto insieme a me.

«La pena che provi è troppa?» ironizza con una smorfia.

Si alza in piedi e io mi sento tremare.

Quello che provo è troppo sì, ma non la chiamerei pena

«Scusa per prima.» mi ritrovo a dire, non appena il calore del corpo seminudo di James si scontra con le mie gambe scoperte.

«Da un lato avevi ragione. Se faccio cazzate è perché mi piace farle in quel momento.»

«James, però hai detto che non m'avresti tocc..»

Le parole mi muoiono in gola quando con la testa si posiziona sul mio petto. Con il braccio circonda il mio busto in un abbraccio stretto, tormentato, quasi tenero.
È ubriaco, sennò non si comporterebbe in questo modo.

«Sono solo una fase, June.»

«Che vuoi dire?»

Gli accarezzo i capelli che emanano il forte profumo del mio bagnoschiuma alla pesca.

«Non sono il ragazzo di cui ci si innamora.
Sono quello con cui puoi ubriacarti e fare tardi, quello con cui fare irruzione nella piscina dei vicini per fumarti una canna. Quello da chiamare quando vuoi scopare perché sei triste e ubriaca. Non sono fatto per te.»

«Perché dici questo di te stesso?»

«Ma non ci arrivi? Perché meriti di meglio. Lo sanno tutti»

«Sei stato tu, vero? Hai convinto tu mia madre a farmi venire in gita?»

«Ce l'ho fatta?»

«Sì» sorrido.

James scava con la punta del naso nella mia gola, quando lo sento dire:

«Baciami allora.»

«No.»

Curva il collo sollevando il mento nella mia direzione, mentre io chino il capo verso il basso. Le nostre labbra socchiuse si sfiorano. I nostri respiri si fondono, mentre stiamo entrambi paralizzati, senza compiere nemmeno una mossa. Ad un certo punto però, James lascia un piccolo bacio sul mio labbro inferiore, poi uno su quello superiore, infine le nostre bocche restano incollate, unite a stampo, per qualche secondo infinito.

Ha un sapore così buono che non riesco a resistere. Perché desidero baciarlo? Non so nemmeno cos'ha fatto con quella ragazza.

«Tua madre mi ha quasi fatto i complimenti. Te l'ha detto?»

«No. Dormi adesso.»

James a quel punto sfrega la guancia contro la mia maglietta, abbandonandosi sul punto più morbido, infine chiude gli occhi.

« Ti sembra una cosa normale...» mi lascio andare a quell'affermazione nel buio.

«Cosa...»

«Vieni qui, in questo stato...»

«Mmmm» lo sento mugolare.

«Lo fai anche con le altre?»

Non è una domanda da fare lo so, ma di sicuro domani non se la ricorderà.

«Sono tutte le sere qui, come posso stare con altre persone? Mi sdoppio?»

«Non mi piace quando sei ubriaco.»

«Nemmeno a loro piaceva»

«Le persone si preoccupano per te, come mi preoccupo io»

«No June, è del mio cazzo che si preoccupano.»

«James!»

«Che ho detto?»

«La gente non sta con te solo per il sesso...»

«Certo, che altro dovrebbero voler farci con me?» sospira prima di addormentarsi con la guancia affondata sul mio petto.

Accarezzargli i capelli con le dita risulta essere estremamente rilassante, perché alla fine, senza nemmeno accorgermene, scivolo in un lungo sonno.

Al mio risveglio James non è più qui.
Quando riapro gli occhi però, il post-it spiaccicato sul cuscino, mi provoca un sorriso inevitabile.

Ci vediamo in gita Madeline


🖤 Innanzitutto, mi auguro che il capitolo vi sia piaciuto 🦋

🖤 L'inizio era lungo, ma ho gettato altre basi per raccontare del passato di James. Ci avete capito qualcosa?

🖤 Il pov di Jackson è stato il più difficile che io abbia mai scritto in vita mia (per ovvi motivi) ma spero di essere riuscita a cogliere le sue emozioni al meglio

Stellinate, ci vediamo su insta per sclerare insieme, commentare e tanto altro 🦋

Instagram: Stefaniasbooks

alla prossima

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