46. But you still don't know my name





𝙲𝚊𝚙𝚒𝚝𝚘𝚕𝚘
🔴🔴

🦋 JUNE 🦋

Una vibrazione insistente mi sveglia.

Ma dove sono?

Ci metto un po' più del dovuto a realizzare dove mi trovo. Con il polso mi sfrego una palpebra, intanto la bocca del mio stomaco viene assalita da una morsa soffocante. Nausea, poi l'impellente sensazione della fame.
Con una lentezza sfiancante apro gli occhi. É tutto bianco sopra di me, ma sono le costose modanature che fanno da cornice al soffitto, a suggerirmi una verità molto semplice: non mi trovo nel mio letto. Non sono a casa mia.

Mi è sufficiente ruotare sul fianco per accorgermi dell'ampia schiena maschile che mi blocca la visuale.

Oh no, mi sono addormentata da James.

E quella vibrazione fastidiosa che continua imperterrita non l'ho sognata, è il mio cellulare.
Lui sta dormendo e non accenna a muoversi, perciò mi avvicino con prudenza alla sua schiena. Non so perché lo faccio, sfioro con la guancia la sua pelle calda, come a volermi assicurare che lui stia respirando.

Mi ritrovo ben presto sopraffatta dal suo profumo fresco e maschile, il movimento ansante del suo petto è cadenzato e lento, riverbera contro la sua schiena che si muove appena a contatto con il mio viso.
Lancio il braccio verso il comodino e afferro il mio telefono. Dio mio, non ricordo quasi niente di ieri sera.

«Mamma?» Rispondo sottovoce.

«June.»

«Sono io.»

«E dove diavolo sei?»

«Ehm...»

«Ti sei almeno ricordata il tuo nome, è già qualcosa.» ironizza lei utilizzando il suo solito fare spocchioso.

Stavolta però il tono è arrabbiato, oserei dire furibondo.

Con lo sguardo imbambolato, mi ritrovo a fissare le cuffie di August.
Sono incastrate per metà sotto al lenzuolo, vicino al torace di James.

«Quindi? Hai bisogno ancora di un paio di minuti per inventarti una bugia o ce l'hai già pronta?»

«Mamma sono da...»

Sul retro del mio collo si annida un dolore fastidioso. Ho la testa indolenzita, ma me ne rendo conto solo ora che sto provando ad inventarmi qualcosa di sensato da raccontare a mia madre. Ancora rallentata, sposto gli occhi intorno a me con rapidità, come a voler pensare più velocemente, purtroppo però questo non accade.

«Facciamo così, ti risparmio la figura della bugiarda, so che eri al compleanno di quel vandalo.»

Oh porca miseria, stavolta non ho scampo

«Torna a casa, ora.»

Mi alzo in piedi sorreggendomi il capo con la mano.

«Sì va bene io... arrivo.»

Farfuglio pensieri sconnessi, intanto con lo sguardo giungo alla figura di James che dorme con la guancia affossata nel cuscino.

La testa comincia a vorticare sempre più e una sensazione di vuoto mi carezza il petto.
Le sue lunghe ciglia prendono a ondeggiare appena, segno che si sta per svegliare.
E all'improvviso, mi viene in mente un piccolo flashback di ieri sera. La promessa.

Gli ho promesso che oggi sarei l'avrei accompagnato. Non so dove, come e quando, ma gliel'ho promesso.
Non posso tornare a casa ora.

«Mamma ora non posso. Ci vediamo più tardi. Ti spiegherò tutto.»

Chiudo la chiamata senza pensarci nemmeno due volte, poi però realizzo.
Ma cosa sto dicendo? Sono impazzita?

Mia madre mi ucciderà, è sicuro.

Il mio sguardo resta impigliato nel viso di James, così simmetrico e perfetto da sembrare dipinto. Prima che apra gli occhi però, le sue labbra carnose si curvano in un sorrisetto compiaciuto.

«Che cazzo stai facendo?» domanda con voce mattutina e rauca, spalmandosi nel letto a pancia in su.

«Niente. Parlavo con mia mamma» mi stringo nelle spalle e solo allora mi accorgo di stare in piedi come una rincitrullita a guardarlo, nel bel mezzo della stanza.

«E perché mi fissi?»

Le sue labbra. O mio dio.

Con la punta delle dita sfioro le mie di riflesso. Ieri sera mi ha baciata ancora. O l'ho solo desiderato così tanto da essermelo immaginata?

«Non ricordo niente...» La mia voce si dispiega in un'amara confessione.

Nel vedere i dettagli del suo viso però, altri flashback si accavallano nella mia mente.

Oh no. Tiffany.

Ora comincio a ricordare: ero mezza nuda e poi è arrivato lui.
Sgrano gli occhi deformando la faccia in un'espressione spaventata, James sembra accorgersene.

«Che cosa c'è?» domanda puntando entrambi i gomiti nel materasso.

Osservo dapprima la sua figura ergersi tra le onde bianche delle lenzuola, poi chino il mento a fissare la mia t-shirt aderente, verso la quale sono puntati i suoi occhi assonnati.

Basta un soffio a realizzare che è trasparente e io non indosso il reggiseno, perciò mi copro con entrambi i palmi delle mani.

«Che cosa abbiamo fatto?»

Mi guardo intorno, come a cercare una prova di ciò che è accaduto la notte scorsa. Non ricordo nient'altro. Possibile?

James non sembra minimamente toccato dalla situazione imbarazzante, solleva le spalle con fare svogliato. Lo vedo levarsi i capelli dagli occhi con un gesto distratto e allo stesso tempo attraente.

«Non lo so. I miei boxer sono a terra.»

Incapace di parlare, pianto gli occhi sul comodino per evitarmi l'immagine di un ragazzo mezzo nudo che si sta alzando in piedi, trascinandosi il lenzuolo davanti al corpo per coprirsi il bacino.

Ma è quando osservo il mucchietto nero sul pavimento, che sembro trovare magicamente la parola.

«O mio dio, James! Perché?»

«Cosa?» sbuffa lui, io mi sto agitando.

«Perché non sei vestito!?»

«Calmati, cazzo. Mi sono appena svegliato»

Senza volerlo, la mia attenzione precipita sul suo corpo, scavalca le sue spalle larghe e gli addominali scolpiti per finire sulla mano irradiata di vene, intenta a reggere il lenzuolo. Le sue dita stringono con forza il tessuto bianco.

«Cosa... oddio...»

«Calmati. Non ti ho fatto niente, o almeno credo.»  prova a tranquillizzarmi con aria disorientata.

Qualcosa però rapisce la sua attenzione nell'angolo della stanza.

«C'è anche il tuo reggiseno per terra.»

Si curva per raccogliere il mio indumento, quel gesto mi manda in fiamme le guance.

«Non ci sono preservativi in giro, non abbiamo scopato.» aggiunge poi annuendo con fare convinto, come se parlasse di qualcosa di routine.

«O... okay.» mi ghiaccio sul posto.

James corruccia lo sguardo, io non riesco più a spiaccicare parola.

«Credo. Hai male da qualche parte?»

La sua domanda mi spiazza.

«No. Perché dovrei avere...?»

Il sorrisetto malizioso lo trattiene a fatica sotto agli incisivi.

«Beh, per la tua prima volta...» 

Fa per abbassarsi il lenzuolo e io lo blocco con la mano.

«James!» Il mio rimprovero gli causa una risata.

«White, ti sto prendendo per il culo»

Chiudo gli occhi esalando un forte sospiro di sollievo, poi prendo a massaggiarmi la fronte con aria pensierosa.

«Cos'abbiamo fatto?» ripeto poco convinta.

«Vorresti dire..."Cosa io ti ho impedito di fare"...»

James abbozza quella frase a metà, poi si volta verso l'armadio a muro e apre l'anta con la mano libera.
Lascio che i miei occhi facciano slalom tra i piccoli rilievi di muscoli che compongono la sua schiena massiccia quando, senza alcun preavviso, lascia cadere il lenzuolo a terra, scoprendo il suo sedere scolpito.

Mi giro di scatto.

«Cosa mi hai impedito di fare?»

«Una cazzata, June.»

Con la coda dell'occhio mi volto nella sua direzione e vedo che si è infilato un paio di boxer puliti.

«Tiffany. Questo nome ti dice qualcosa?» mi prende in giro.

Sconsolata, raccolgo gli avambracci con entrambe le mani e mi metto a pensare. Mi ricordo di Tiffany sì, ma spero solo sia stato meno imbarazzante di quanto è rimasto impresso nella mia mente.

James mi arriva davanti, lo vedo mordersi il labbro inferiore mentre i suoi occhi ricalcano la mia bocca con uno sguardo penetrante.

«Te l'ho impedito, ma è stato solo il caso.»

«Che vuoi dire?» domando, accigliandomi dal basso.

«Che se mai mi troverai veramente ubriaco, in una situazione del genere... La prossima volta non finirà nello stesso modo. Sappilo.»

C'è una nota di rimprovero nelle sue parole e se la sua espressione sembrava divertita fino a cinque secondi fa, ora che pronuncia quella frase, un piccolo solco gli si forma in fronte.

«Sei arrabbiato adesso?»

«Preoccupato. Perché devi fare cazzate?»

«Io faccio cazzate?» Sgrano gli occhi incredula.

«Ho un mal di testa lancinante.» Si sfiora tempia ferita con la punta delle dita.
«Poi che cazzo ci fai ancora qui?»

La sua voce assonnata è una delizia per le mie orecchie, ma lo è un po' meno ciò che ha appena detto. Gli volto le spalle e giungo alla sua scrivania, dove trovo il mio zaino che afferro controvoglia.

«E io che sono pure disposta a litigare con mia mamma per te.» bofonchio leggermente alterata.

Sto lanciando il cellulare nello zaino, quando James mi arriva alle spalle e mi blocca dal braccio.

«Aspetta. Non ricordo un cazzo dell'ultima parte della serata.»

Con lentezza curvo il capo per guardarlo in viso e la visione della sua ferita fa improvvisamente riemergere alcuni ricordi.

«Per forza. Austin ti ha colpito con il manico della pistola. Hai assunto delle pillole, poi...»

«Poi?»

Reclino la testa verso il basso e lascio che un respiro sussurrato abbandoni le mie labbra.

«Mi hai fatto promettere di venire con te.»

James solleva entrambi i sopraccigli castani, stupito dalle mie parole.

«Era una presa in giro?» lo aggredisco di getto.

«No. Certo che no.»

Siamo vicini e il suo sguardo ci mette poco a scivolare sulla mia maglietta.

«È che mi sono appena svegliato...»

Sento il suo fianco scontrarsi contro il mio, le sue labbra rigonfie mi giungono vicine all'orecchio e un calore intenso prende a propagarsi nel mio stomaco.

«Perciò mettiti qualcosa addosso, lo dico per te.» mormora con voce roca e assonnata.

Ho tutti i sensi rallentati, non riesco a fiatare. James invece curva la bocca in un ghigno laterale, poi si dirige in bagno. La porta si chiude, dopo poco avverto lo scroscio dell'acqua della doccia.
Non so come comportarmi ora.
Come dovrei comportarmi?

Prima cosa vestiti, June.

Con avversione, tasto il reggiseno che James ha lasciato sul materasso, è ancora umido, così lo infilo nello zaino.
Fortunatamente trovo qualcosa di familiare abbandonato sulla poltrona sotto alla finestra: è la mia giacca, quella che lui mi ha rubato ad inizio festa. La indosso immediatamente tirando su la zip per coprirmi il più possibile.

C'è una coperta sporca raggomitolata per terra, al fondo del letto. L'odore acre dello spumante mi rievoca la scena in cui ho lanciato il contenuto della bottiglia sul letto. Che figura

Mi guardo intorno spaesata. Gli ho promesso di stare con lui, sì, ma non mi ha ancora detto dove andremo. Invece che stare a torturarmi e a pensare al casino che scoppierà con mia madre, decido di scendere in cucina. James sarà affamato e lo sono pure io, perciò opto per mettere in pratica la filosofia che mi ha trasmesso mia nonna: non c'è nulla che un buon dolce non possa sistemare.

Quando scendo al piano inferiore, scandaglio l'ambiente che mi si presenta davanti con sguardo attento. Mi strofino persino le palpebre perché non riesco a credere a ciò che vedono i miei occhi: è tutto stranamente pulito e in ordine. Non ci sono patatine sparse a terra, né macchie di alcolici sul tavolino del salotto. Mi chiedo come abbiano fatto a far risplendere persino i tappeti e le tende. C'è un buon profumo di fresco e l'aspetto di ciò che mi circonda è talmente impeccabile, che non riconosco lo stesso luogo in cui si è tenuta la festa ieri sera.

Il mio sguardo scorre al grosso orologio appeso alla parete.
Sono le tre e mezza. E io ho dormito come un ghiro fino a poco fa. Qualsiasi ditta di pulizie avrebbe avuto tutta la mattinata per prendersi cura della casa, ecco spiegato l'arcano.

Spalanco il frigo come una bestia affamata e noto che su un ripiano c'è una bottiglia di latte, ne controllo la scadenza, poi agguanto le confezioni di farina e zucchero che trovo in dispensa. La base per un impasto è quasi sempre la stessa, che si tratti di una torta, di muffin, pancakes o di altri dolci. Siccome non c'è del lievito a mia disposizione, ma una piastra poggiata sul bancone della cucina, decido di preparare dei waffles.

Dopo dieci minuti mi sto picchiettando la guancia con la punta delle dita per rimuovere i residui di farina, quando un profumo intenso e conosciuto divampa intorno a me come un incendio.

Ruoto su me stessa fino ad incontrare l'alta figura di James. Entra in cucina con un'ampia felpa blu che ricade morbida sulle sue spalle enormi, i capelli sono un ammasso folto e spettinato. É assorto nei suoi pensieri, ma quando la sua attenzione finisce sulla tavola imbandita, si blocca e mi punta con labbra serrate.

«Che cazzo hai fatto?»

Che ho fatto? Ti ho preparato la colazione, ingrato

Ma non mi è concesso il tempo per replicare che James si avvicina a me.

«Perché sei rimasta?»

«E poi dici che sono io a fare troppe domande.»

«Non è una risposta.»

«Perché mi andava» replico asciutta.

«Te l'ho chiesto io di dormire con me?»

I suoi occhi solitamente sottili sono più grandi in questo momento, segno che è leggermente spaesato.

«Non l'hai chiesto espressamente. Questa volta no.»

«Questa volta no... Quindi non ti ricordi un cazzo di ieri, ma le cose che dico io te le segni sempre, eh?»

«Beh... se me le segnassi, ti rinfaccerei anche ciò che hai detto ieri sera.»

Mi mordo il labbro, come pentita di aver osato, forse un po' troppo.

James mi squadra dall'alto con aria corrucciata.

«Che cazzo avrei detto?»

«Che è stato il tuo miglior compleanno.»

Lui traccia la ferita sulla fronte con i polpastrelli, io intanto vengo sopraffatta dalla sua sagoma imponente che si avvicina, facendomi sentire piccola.

«E cosa l'avrebbe reso così speciale, sentiamo.»

«L'hai detto tu, io non...»

E basta un altro passo, basta che lui si accosti a me un po' più del dovuto che il fiato comincia a mancarmi.

«Rilassati, Biancaneve»

«Sono rilassata»

Non è vero.

Sbatto con la schiena contro il bancone della cucina, quando lui circonda il mio corpo con le braccia. Vedo entrambe le sue mani posarsi sulla superficie alle mie spalle.

«Cosa ti agita, è per la storia di Tiffany?»

«Stronzo» reagisco con diffidenza.

«Ti ricordi qualcosa almeno?» sogghigna lui, soddisfatto di avermi appena intrappolata.

«Poco, tu?»

«Beh... » si schiarisce la gola, poi lascia slittare la lingua sul labbro inferiore con un'avidità che è impossibile da ignorare.

«Non dovresti ubriacarti e poi baciare le mie amiche.» mi pungola divertito.

«Immagino tu abbia fatto lo stesso con le tue amiche, ieri.» lo provoco ad un soffio dal suo viso.

«Non credo proprio»

«Ti ho visto con tante ragazze diverse in una sola sera.»

James solleva le spalle con disinteresse

Dillo. "Non ho baciato nessuna" Dillo, non ti costa niente.

Lui invece indietreggia per compiere un giro intorno al tavolo, con occhi attenti sonda piatti e bicchieri che ho posizionato sulla superficie.
Poi allunga una mano verso i waffles ancora fumanti ma io accorro prontamente per sferrargli uno schiaffetto sul dorso.

«Aspetta devo guarnirli!»

«Gua... che?»

«Devo metterci la Nutella.»

«Nutella sui waffle?» mi guarda scandalizzato.

«Certo.»

James si volta confuso in direzione del frigo. Le maniche della felpa gli ricadono sulle mani affusolate.

«Non c'è della frutta?» domanda massaggiandosi la base della nuca.

«Cos'è, sei l'unico essere vivente a cui non piace la Nutella?»

«Cretina» sbuffa lui trattenendo un sorrisetto.

Dà un morso ad un waffle poi lo lascia sul piatto, insieme a tutti gli altri.
«Mi faccio una sigaretta»

Mi ritrovo a fissare la sua schiena in cagnesco.

Li ho fatti per te, stronzo

E a dirla tutta, anche per me, eppure ora mi si è chiuso lo stomaco.

«Io invece dovrei farmi una doccia» asserisco bloccando i suoi passi diretti alla porta d'ingresso.

«Ti do un accappatoio pulito. Mi faccio questa e te lo porto» dice indicando la sigaretta che tiene tra le dita.

«No, dammelo ora.»

«Di cos'hai paura?» L'angolo della bocca gli si curva appena.

«Niente. Non mi va che entri mentre sono sotto la doccia.»

«Era quello il senso, no?» mi punzecchia masticando il labbro inferiore.

Evito di cadere nella sua trappola e lancio un'occhiata al mio zaino appeso alla sedia.

«Non mi sono portata dietro i vestiti. Non ho niente da mettere...» scrollo il capo.

«Come sempre. Vieni.»

Lo seguo in silenzio, mentre torniamo in camera sua.

«I miei pantaloni ti stanno grandi. Prova questi, erano di quando ero più piccolo.»

Mi porge un paio di pantaloncini sportivi. E io non posso fare a meno di notare che oggi James è più distaccato del solito. C'è forse qualcosa che lo preoccupa?

«Felpa? Immagino vorrai pure sceglierla. Hai l'imbarazzo della scelta, tanto con te non torna mai indietro niente.»

«Quella lassù»

Mi metto punta di piedi per raggiungere il mucchietto grigio e ben ordinato che vedo svettare da un ripiano posizionato troppo in alto per me.
James sbuffa, poi senza il minimo sforzo solleva il braccio e agguanta la felpa.

«Mi stai facendo perdere tempo. É già pomeriggio e io non ho nemmeno fumato una sigaretta da quando mi sono svegliato.»

«Era quello il senso, no?»

Ricalco le sue parole di poco fa, facendolo sorridere.

«Muoviti. Io ci metto cinque minuti. Poi andiamo.»

Non dice altro, esce dalla camera lasciandomi a fissare la porta con aria confusa. Spero solo ne varrà la pena, perché mia madre diventerà una furia se passerò il pomeriggio ad ignorare le sue chiamate. Ed è proprio quello che ho intenzione di fare.


Quando dopo una mezz'ora esco dalla doccia cambiata e profumata, torno in cucina.
Se lui non vuole mangiare, vorrà dire che lo farò io.

Di certo con June White il cibo non va sprecato. Addento un waffles ormai tiepido, intanto mi godo la quiete e il silenzio che regna intorno a me. Do' una risistemata alla cucina, indecisa sul da farsi con le cose avanzate.

«Pensavo avessi fame» mugugno quando lo sento ritornare.

«Pensavi male.»

Il tono tagliente in cui lo dice mi fa rabbrividire.

Non sollevo lo sguardo dal piatto per un breve lasso di tempo, ma quando decido a farlo, resto di sasso. James si è cambiato, indossa una camicia bianca e un paio di jeans. Lo vedo cercare un accendino nelle tasche,  poi solleva lo sguardo incrociandolo con il mio.

«Non sono mai affamato al risveglio.»

Annuisco, mentre la sua sagoma compie una traiettoria inaspettata.

«Li mangio dopo.» sussurra curvandosi verso il mio orecchio.

«Non devi farmi contenta.»

Reclino di poco il viso e senza volerlo il mio naso sfiora il suo collo affusolato che emana un profumo divino.

«Dopo avrò fame e mi andrà di mangiarli. E lamentarmi perché fanno schifo.»

Il suo respiro di dentifricio e sigaretta mi solletica l'olfatto e subito dopo avverto la punta delle sue labbra carezzarmi la mandibola.

«Ma li finirò tutti.» sussurra suadente.

Sta parlando di cibo, potrebbe anche recitare a memoria la ricetta della zuppa della nonna, riuscirebbe comunque ad essere attraente.

«Ora ti andrebbe di accompagnarmi?» domanda ritornando nel suo spazio vitale.

«Sì.»

La mia risposta decisa gli causa un sopracciglio innalzato.
«Dici davvero?»

«Me l'hai già chiesto ieri sera.»

«Ho detto altro?»

Con il mento verso l'alto, mi rivolge un sorriso furbetto.

«Sì hai detto che in cambio mi avresti fatto un regalo molto costoso»

Lui scoppia a ridere. «Ma che cazzo dici. Tua madre ti permette di restare ancora fuori casa?»

«A te che importa? Tanto è già arrabbiata.»

Guardo James sostare all'ingresso con aria stranamente titubante. Fisso le sue labbra piene, poi mi faccio coraggio. Mi alzo in piedi e sorpasso la sua figura poggiata allo stipite.

«Andiamo o no?» lo sprono.

Il mio sguardo dura un po' troppo perché lui ha il tempo di cingermi la vita con un braccio e portarmi contro di sè.

«Sicura?» La sua bocca morbida sfiora la mia dandomi un brivido.

Annuisco con decisione.

«Allora andiamo»









«Okay, c'è un viaggio da affrontare, ragazzina...» esordisce James non appena entriamo in auto.

Mi accomodo nel sedile del passeggero, poi mi volto a guardarlo.
«Quanto lungo?»

Si porta un dito sul labbro inferiore, trattenendo un ghigno.

«Fammici pensare...»

«Dai, James» lo blocco prima che possa rifilarmi una volgarità delle sue.

«Un'ora e mezza. Perciò due regole.» annuncia serio mentre io sto già ribaltando gli occhi al tettuccio.

«Nella mia macchina non fiati se non ti do io il permesso»

Scoppio a ridere così forte che riesco a parlare solo dopo che mi sono calmata.

«Bella questa. Poi?»

James però non sta ridendo.

«Qual è la seconda, James?»

I suoi specchi taglienti si fanno scuri come le profondità dell'oceano. Chiudo gli occhi quando con la punta delle dita lusinga la mia guancia, accompagnando i miei capelli dietro all'orecchio.

«Se puoi... Tienila per te la giornata di oggi»

Davvero? Mi ha appena adulato senza accorgersene, solo per chiedermi una cosa così semplice?

«James non c'è bisogno che... Non lo farei mai, non lo racconterei mai a nessuno.»

Non è necessario farmi le moine in questo modo. Ma poi un pensiero s'insedia nella mia testa: forse è proprio questo il suo modo di fare. Gliel'ho visto fare con Blaze, con Jackson, con Taylor e con un sacco di altre persone e forse, non se ne accorge nemmeno. È un ciclo, dicono che ogni manipolatore a sua volta è stato manipolato.

Lascio che le punte fredde dei nostri nasi sfreghino tra loro, ma sembra che oggi James non abbia in mente baci o particolari smancerie, così decido di rispettare il suo stato d'animo.

Lui mi lancia un'ultima occhiata, prima di mettere in moto l'auto.

«Forse non dovrei dirtelo, ma Brian sembra così geloso di Jackson...»

«Tu e Jax condividete proprio la stessa passione, eh...» mi prende in giro, rimboccandosi con le dita la ciocca che gli casca sulla fronte.

«Non so di cosa parli. Comunque, stando a quello che ho visto ieri sera, Brian ha una sorta di astio pregresso nei confronti di Jackson. Forse perché è il tuo migliore amico, mentre una volta lo era lui...Brian intendo.»

«Come rendere insopportabile un fottuto viaggio in auto. Tutorial by June White.»

Sorridiamo entrambi, io però nascondo lo sguardo verso il finestrino.

«Però non rispondi mai alle mie domande.»

«Non c'è un cazzo da dire» tuona lui.

«Sai, una volta ho letto una cosa...»

James rotea gli occhi a lato con aria spazientita.

«Immagino che sia qualcosa d'interessantissimo.» sputa sarcastico, mentre le sue nocche si segnano di bianco quando stringe forte le dita intorno al volante.

«Immagini bene. Le persone che non hanno mai ricevuto amore sono le più difficili da amare.»

«Perché?»

«Perché non si lasciano amare, sfuggono»

«No, voglio dire... Perché adesso stiamo parlando d'amore?»

Divento di un colore imbarazzante, fortuna che lui ha gli occhi alla strada e non può guardarmi in viso.

«Io sto parlando. Tu stai solo rispondendo a muggiti» sdrammatizzo facendolo sorridere con due fossette pronunciate nelle guance.

«Sta zitta.»

Poi si porta nocche contro labbro inferiore. Non vuole darlo a vedere ma oggi è nervoso. Tanto.
Perciò decido di chiudere la bocca per tutta l'ora restante di viaggio.

Quando lasciamo l'autostrada e ci addentriamo verso una zona di campagna, un susseguirsi di case modeste e cortili poco curati mi salta all'occhio. Oggetti accatastati, lavatrici e cassonetti. James mi scocca un'occhiata curiosa per valutare la mia reazione.

«Pentita?» La sua domanda mi coglie impreparata.

Perché? Non so nemmeno dove stiamo andando.

«No» rispondo sincera.

Rispetto il silenzio di James, ma quando quando la sua auto sportiva imbocca una stradina, costellata da una sfilza di piccoli bungalow in legno, mi accorgo che lui è più teso del solito. La sue dita grattano nervosamente sul volante e non smettono nemmeno quando parcheggia la macchina davanti ad una umile dimora. Il sole sta già tramontando, la luce comincia a scarseggiare.

Inizio ad avere qualche sospetto: stiamo andando a trovare qualcuno che abita in questa zona malfamata, non può essere altrimenti.

James spalanca la portiera, poi esce nell'aria autunnale. Inspira una boccata d'ossigeno così vasta che è impossibile non notare il suo petto alzarsi ampio sotto alla camicia bianca.
Mi cristallizzo fuori dall'auto quando sento il tonfo della portiera che sbatte con violenza. Poi l'odore acre della nicotina. Non so quando l'abbia accesa, ma la sigaretta ce l'ha già tra le labbra. Fuma rapidamente, quasi come a volerla finire in poche vampate.

«Stai bene?»

Non risponde, se ne sta poggiato con la schiena contro la carrozzeria brillante, mentre intorno a noi sembra essere tutto vecchio e decadente.

Nel finestrino alle sua spalle vedo il riflesso della mia sagoma, sono infagottata nella sua felpa grigia e nei pantaloncini della tuta. Faccio poi slittare lo sguardo sull'aspetto impeccabile di James. Un'amica. Ecco cosa potrei essere per uno come lui, niente di più.

Amareggiata dal mio stupido pensiero, mi faccio piccola incrociando le braccia al petto. Lui intanto infiamma l'ultimo tiro, spegne il mozzicone per poi lanciarlo dentro ad un bidone semiaperto che giace fuori da un'abitazione sconosciuta. Mi aspettavo fossimo pronti per andare, ma James si arresta.

«James?»

É troppo preso ad accendersi un'altra sigaretta per degnarmi di uno sguardo, mentre la sua respirazione sembra farsi più affannata.

«Avrei dovuto farmi una canna, non so perché mi ostino ad andarci pulito da lei.»

Quella frase mi è sufficiente per capire.

«Sicuro di stare bene?»

Stiamo andando da sua mamma, non ho più dubbi.

«Sarà strano, ti avviso. Perciò se non vuoi entrare...»

Tra una boccata nervosa e l'altra, m'inchioda con un'occhiata dall'alto che mi fa perdere tutte le parole.

Perché è qui? Da quello che so, con tutti i divorzi che ha avuto sua madre, dovrebbe ricevere degli assegni di mantenimento, perciò denaro sufficiente per condurre una vita più che agiata.

«Sì, certo che voglio entrare»

Scuro in volto, James non sembra convinto della mia risposta, infatti continua a fissarmi di sottecchi.

«Che c'è, ragazzina?»

«Niente, mi chiedevo...»

Mi guardo intorno e James capisce perfettamente. Ha un radar per comprendere i pensieri delle persone, forse anche i desideri.

«L'alcol non è gratis.» taglia corto.

Non sono di certo qui a giudicare le povere condizioni in cui vive sua mamma, solo non capisco come sia possibile che... Sto zitta, ricevuto.

I piccoli gradini che conducono ad una porta sgangherata scricchiolano ad ogni passo pesante che compie James, seguito a ruota da me. Mi nascondo dietro alla sua schiena massiccia e "Oh Edward" è la prima cosa che sentono le mie orecchie.

Sulla soglia, una donna dal viso scavato mi scruta con due occhi verdi e lucidi. I lunghi capelli rossi come il rame restano impigliati in una crocchia spettinata e poco curata. Le sua labbra secche sono segnate da tagli, le iridi macchiate da lacrime recenti.

«Sei venuto con la fidanzata?»

Riconosco un forte accento britannico nella voce della donna.

«Non è la mia fidanzata.»

Risponde James frettoloso, mentre è intento a incastrare tra le dita i colli di bottiglia abbandonati per terra, dinnanzi ad un divano sgualcito.

Io mi guardo intorno.
La casa è un monolocale.
L'umile cucina è uno spazio ridotto, confinato a due fornelli e un ripiano ricolmo di lattine e altre confezioni usate.

«È molto bella però» dice la donna sorridendomi.

James intanto si defila in cucina.

«Non me ne frega un cazzo. Puoi dirmi dov'è il cibo?» lo sento mugugnare con tono contrariato.

«Quale cibo?»

«Non mangi, cazzo? Per cosa ti ho dato i soldi lo scorso mese?»

Lui dapprima spalanca il frigo, poi le rivolge un'occhiataccia poco rassicurante.
Sua mamma stringe le esili spalle nello scialle che contorna la sua figura magra.

«Ehm no, cioè sì, dovrebbe arrivare la spesa, ma non so quando»

Lei mi tende un braccio, il suo tocco è gelido. Le stringo la mano ossuta, ho quasi paura sia fatta di cristallo, perché sembra rompersi dentro alla mia stretta decisa.

«Io sono June White.» mi presento con un filo di voce.

«Lo sapevo, dovevo occuparmene io. Sei inaffidabile! E l'acqua?»

James sta lanciando dentro al lavello le stoviglie che ha trovato disseminate per la casa.
La donna scrolla il capo, poi, stanca di stare in piedi, si abbandona esausta sul divano.

«Cazzo» lo sento imprecare.

«È che non so fare l'ordine.»

Come un pendolo impazzito, il mio sguardo oscilla da lui a lei. Quest'ultima adduce delle scuse, intanto resta seduta con gli occhi persi nel vuoto, mentre James si accanisce sul bancone della cucina con una spugna per pulire.

«James finisco io, tu va da lei» sussurro avvicinandomi con cautela.

«No.»

Come da previsione, non mi dà retta, ma continua a sfregare senza uno scopo preciso.

«James...»

Quando provo a sfiorargli la spalla sinistra, lui si scansa come se si fosse appena scottato, è sudato.

«Faccio io. Valle a parlare.» bisbiglio sottovoce, con tutta la dolcezza di cui sono capace.

Vedo il suo sguardo sottile sfrecciare nuovamente verso il piccolo divano sul quale è seduta sua madre.
La mia ostinazione trova terreno fertile, perché James a quel punto decide di darmi ascolto.

Così prendo il suo posto, mi metto a riordinare la cucina, intanto non posso fare a meno di ascoltare i loro discorsi. La casa è un monolocale, sarebbe impossibile non sentirli.

«Fammi vedere la ricetta di quello stronzo del tuo dottore»

«Sono normalissimi ansiolitici.»

«Non ti credo.»

«Tesoro...»

Il tono della donna è spezzato, la sua voce è lieve e non abbandona mai una nota di gentilezza.

«Non ci sei andata agli incontri che ti ha fissato Jordan, vero?»

«No, perché dovrei?»

«La vita è la tua. Fa' quello che cazzo vuoi»

Il respiro mi si blocca in gola. La voce di James è tremolante in questo momento.

«Potrei dire lo stesso di te, Jamie»

«E dimmi, con quale cazzo di coraggio lo diresti, eh?»

Chino il capo quando mi accorgo che gli animi si stanno infuocando a pochi passi da me.

«Io lo so che ho fatto degli errori...»

«No, tu non sai un cazzo. Non sono venuto qui a sentire le tue cazzate.»

Sento dei singhiozzi spezzati, quella donna è appena scoppiata a piangere.

Mi sporgo appena e mi accorgo che James non riesce nemmeno ad avvicinarsi a lei, la cosa però non mi sorprende.

«Tuo padre come sta?»

«Sempre uguale.»

«Perché Jasper non può venire a trovarmi?»

James in quel momento le volta le spalle.

«Non vuole, lo sai»

«Ma...»

«Aspetta che sia tua a venire»

«Oh come faccio, Edward»

«Già sei troppo impegnata, lo vedo.»

Resto contro lo stipite a vedere la mano ossuta e tremolante della donna accendersi una sigaretta.

James prende il cellulare per fare una chiamata, poi mi fulmina con un'occhiata fulminea che m'induce a tornare ad occuparmi degli affari miei.

E non appena mette giù il telefono, torna a parlare con sua madre.

«Entro questa stasera ti arriverà la spesa. Ti prego mangia»

Lei non risponde, finalmente però ha smesso di singhiozzare.
Smanioso di andarsene, James raccoglie frettolosamente le chiavi dell'auto dal mobile all'ingresso.

«È bella»

«Chi?»

«La ragazza bionda»

«L'hai già detto. E non è la mia ragazza»

«E come mai? Ha i tuoi vestiti addosso»

«Stava con William.» mormora lui sottovoce, senza nascondere una punta di vergogna.

«Pero gli piaci tu, lo sai vero?»

James sbuffa.

«Devo andare.»

«Chiedi a Jasper di scrivermi, ce l'ha il mio nuovo numero?»

«White, andiamo.» mi richiama lui innervosito.

Quando torno nel salottino, James ha già un piede sulla porta e una sigaretta in bocca.

L'osservo uscire in cortile.

«È stato un piacere signora.»

La mia frase è di circostanza, quella che invece pronuncia la donna, un po' meno.

«Non ha mai portato nessuno qui.»

Si alza in piedi e io torno a voltarmi per ricevere il suo sguardo dispiaciuto.

«È fortunata ad aver un figlio come James»

«Quindi tutti lo chiamano James, ora?»

«Sì perché?»

Vedere piangere una sconosciuta è una strana esperienza. E se io non so mai come agire di fronte ad una persona a cui voglio bene, figuriamoci davanti a qualcuno che non conosco affatto.

«La cosa è così terribile, che la fa piangere?»

«No, è la sofferenza che ho causato ai miei  figli che mi rende triste.»

Mi sento a disagio. Sono spaccata in due, dispiaciuta per il malessere che prova questa donna e il dolore che prova James.

«Sei paziente?» domanda ad un tratto, cogliendomi impreparata.

Mi volto un'ultima volta, prima di giungere alla porta semi aperta.

«No.»

«Con lui imparerai ad esserlo.»

Non apro bocca. Resto a fissare un punto indefinito alle spalle della donna. Non ci sono foto in questa casa, non c'è felicità sul suo viso. Di certo lei non è più la stessa persona che avevo visto nella foto di famiglia, quella insieme ad Amelia e Brian.

Esco fuori senza fiatare. Mi aspettavo che James fosse già in macchina, invece lo trovo seduto per terra, al fondo delle scale. Fuma avidamente, incurante dell'erba umida che spunta a ciuffi tra i gradini rovinati.

Le sue scarpe costose affondano nell'erba e nella fanghiglia. Inclina lo sguardo a lato quando mi sente arrivare alle sue spalle.

«Credo che lei si senta in colpa davvero, James»

La sera sta calando, non è ancora buio ma l'aria fredda comincia a farsi sentire sul viso.

«Non è colpa sua» sentenzia duro, tra una grossa boccata e l'altra.

«Cosa?»

«Ciò che è successo dopo che li ho trovati insieme.»

Mi siedo accanto a lui e i nostri sguardi sfrecciano l'uno nell'altro, il contatto dura poco perché James torna a puntare le sue nocche leggermente ammaccate per via dello scontro con Austin. Non mi aspettavo che tirasse fuori questo argomento, né che fosse disposto a parlarne.

«Will te l'ha raccontato. Lo so che lo sai.»

«Vi dite tutto.» constato senza troppo entusiasmo.

«Prima che arrivassi tu ci dicevamo tutto.»

Abbasso gli occhi, lui china il capo mentre una mano gli penzola oltre al ginocchio.

«Il padre di Amelia non è andato alla polizia vero?»

«No»

«Grazie alla bugia che mi ha raccontato Will? Lo avete minacciato? Se ti avesse denunciato, lo avreste accusato di molestie?»

James affonda le dita nel collo, poi le fa scorrere verso l'alto dove prende a massaggiarsi mandibola, l'argomento lo rende nervoso. C'è dell'altro.

«É stato William?» insisto.

«No, Will non c'entra un cazzo. Austin sa come tenere a bada i suoi nemici e conosce i punti deboli di tutti. Lui mi ha detto di raccontare quella bugia. Non voleva che Hood andasse alla polizia.»

«Ci teneva a te. Non voleva finissi in carcere...» realizzo con aria dubbiosa.

La sua risata è seguita da uno sbuffo.

«Ma che cazzo dici. Non voleva avere la polizia in casa, con il rischio che mettesse il naso nei suoi affari.»

«E tu... l'hai fatto? Sei andato a denunciarlo?»

«No. Non ce l'avrei mai fatta a guardare in faccia Amelia e Brian. Non dopo aver mandato loro padre in carcere, ingiustamente. Al dipartimento di polizia avrebbero creduto a me e William senza la minima esitazione.»

«Quindi ti sei messo contro Austin...»

James annuisce.

"L'ho fatto per te..." Le parole che ho sentito durante una discussione tra James e Amelia rimbombano nella mia testa.

«È questo che hai fatto per Amelia... » mi ritrovo a realizzare.

«Quello stronzo di Austin voleva uccidermi dopo che ho fatto quella cazzata. E indovina un po'? Anche Hood voleva farmi fuori, perché l'ho quasi mandato in coma.»

Il suo tono di voce risulta freddo, ma è tutta apparenza, ormai lo conosco.
So che quando si parla di lui, nulla è mai come sembra. James appare indistruttibile ad un'occhiata superficiale, ma in realtà basta scavare di poco per incontrare una vulnerabilità che fa spavento.

«Dopo cinque mesi è uscito da quel fottuto ospedale e io... Non mi sentivo più al sicuro.»

É solo un professore di nuoto.

«E so cosa stai pensando, è solo un professore, che paura potrebbe mai fare? Ma non è così. Anche il pesce più innocuo smette di essere tale, se alle spalle ha degli squali...»

Il mio silenzio non è sufficiente a farlo proseguire, James arresta il racconto.

«Quindi lui ha provato a vendicarsi...» ipotizzo poco convinta.

E quando annuisce davanti al mio sguardo allibito, vengo percorsa da un sussulto gelido.

«L'ha fatto?»

«Certo. Ho commesso un errore, ma quel gesto ha dato via ad una serie di eventi che non potevo prevedere e...»

«Non è colpa tua, James.»

«Sì invece. Will aveva già i suoi problemi e io l'ho solo fatto stare peggio.»

«Quindi è questo! Ti senti in colpa con Amelia per quello che hai fatto a suo padre e ti senti in colpa anche con William. È per questo motivo che sopporti qualsiasi cosa loro dicano o facciano?»

«Cosa? Io non sopporto un cazzo. Will sopporta me.»

Ci fissiamo con occhi stretti, ma sappiamo entrambi che le cose stanno proprio come ho detto io.

«Te lo ripeto, June. Will ha già i suoi problemi e io sono stato capace solo di creargliene altri.»

«Hai sbagliato, James. Su questo non ci sono dubbi, ma Will ha detto...»

Lo vedo infilzarmi con un'occhiata di fuoco che mi porta a deglutire rumorosamente.

«Cosa?»

«Che il signor Hood se lo meritava.»

James arriccia il labbro superiore, prima di scrollare il capo.

«Era in affari con Austin» spiega controvoglia.

«Un professore ed un mafioso.»

«Se ci pensi non è una coppia così tanto  strana. La signora Hood difende delinquenti e politici ogni giorno, ha contatti con gente importante. Contatti che uno come Austin desidera.»

Mi accorgo di avere la fronte increspata e un'espressione sbigottita sul volto. Ora voglio sapere di più. «James...»

«Basta. Non posso dirti altro. Ho già messo in pericolo gente che non c'entrava un cazzo. Con te non lo farò. E non sto parlando di quei due coglioni di Ethan e Tom che vengono a minacciarti, parlo di persone con le qualsiasi è meglio non mettersi contro.»

Le sue parole mi provocano un forte brivido lungo la schiena, che viene presto accentuato dall'aria fredda che prende a tirare al calar del sole.
Osservo la curva perfetta del suo naso di profilo, mentre le sue labbra carnose torturano la sigaretta ad ogni fiammata.

«Quello che hai fatto è sbagliato, è vero... ma tu le vuoi bene. Hai quasi ucciso un uomo per lei. Austin avrebbe dovuto essere arrabbiato con lei, non con te...»

«Non gliene mai fregato un cazzo di lei, nè di me. Ma l'errore l'ho commesso io»

James sembra schifato da se stesso, glielo leggo in volto.

«Non dovresti odiare te stesso.»

«Che ne sai tu di odiare se stessi?»

Con un gesto nervoso, sfrego la mia mano nell' interno coscia.

«Mia mamma è sempre stata forte. Sia prima, che dopo. Ma non è stato lo stesso per mio padre.»

James finalmente rivolge le sue attenzioni nella mia direzione. Il suo sguardo affilato mi fa tremare.

«Che vuoi dire?»

Scrollo il capo. «Non ha importanza.»

«E invece ce l'ha. Dimmelo»

«Dopo la morte di mio fratello, lui non è stato in grado di reggere quella situazione, così drammatica.»

Mi blocco, stupita di come le parole fluiscano in modo così naturale quando sto con James. Forse perché è l'unico a non giudicarmi.

«Non sopportava l'accaduto...»

Abbozzo un'altra frase, ma il naso comincia a prudermi, sento gli occhi bruciare e la gola serrarsi per via di un pianto imminente.

«Non è stato forte quanto lei. Ma...»

«Tuo padre ora... sta bene?»

«Sì.» Tiro su con il naso.

«June va tutto bene, non ce n'è bisogno. Se non vuoi ricordarlo....»

«Le ha provate tutte... Ha guidato ubriaco, ha ingoiato i farmaci di mio fratello... Ha persino comprato un'arma. Ma non ce l'ha fatta.»

James si abbandona ad un sospiro pesante.

«Cazzo.»

«A volte credo... Mi sento responsabile.»

«Tu non hai colpe.»

«Mi chiudevo nel mio mondo ignorando il loro dolore, come fosse meno importante del mio. Non mi ero mai accorta di nulla...»

James mi fissa con due occhi pieni.

«Mi chiedo solo... perché lui e non io. Forse loro lo avrebbero preferito. Era intelligente, brillante, aveva ottimi voti. Voleva diventare infermiere, lavorare in ospedale, aiutare le persone. Avrebbe avuto un futuro roseo davanti a sé.»

Mi stringo nelle spalle. «E io invece non riesco a combinarne una giusta... »

«Non pensare a queste cazzate nemmeno per un secondo. La tua vita vale quanto la sua. Soprattutto per i tuoi genitori»

Restiamo in silenzio a fissare i piccoli ciuffi d'erba che oscillano nel buio.

«Non avrei creduto che una come te potesse soffrire di sensi di colpa.»

«Me ne libero momentaneamente. Come fai tu, con il sesso e con le droghe.»

«Il mio modo è troppo poco poetico per June White.» mormora James, leccandosi le labbra.

«Già.»

Lo vedo inclinare il capo verso il basso, con le mani cerca il polsino della camicia, sbottona prima il destro, poi il sinistro.

«L'hai più fatto?» domanda sottovoce.

Mi stringo nelle spalle. «No.»

James abbandona una mano calda sulla mia coscia, lasciata scoperta dai pantaloncini.

«Ti prego dimmi qualcos'altro. Voglio pensare ad altro adesso.» gli chiedo con un macigno nel petto.

Lentamente, James lascia scorrere la mano più in alto, fino a sfiorare il bordo dei pantaloncini. Il pollice s'insinua sotto al tessuto, solleticando il mio interno coscia sensibile.

«Il caos che ho nella testa... non smette mai.»

Lo guardo incuriosita dalla sua confessione.

«Di che caos parli?»

«Sensi di colpa, odio per me stesso, schifo...»

James porta il labbro inferiore all'infuori, poi dà un colpetto con la spalla destra, come a minimizzare il suo stato d'animo. Come se il mio fosse più importante.

«Forse sono nato così e loro avevano ragione, i farmaci mi calmano. Il sesso mi calma. Poi ricomincia tutto da capo.»

«Ti capisco, è tutto momentaneo.»

«Già.» si rabbuia appena, così decido di dedicargli una delle mie uscite.

«Quindi il sesso non equivale a soddisfare i semplici bisogni di un esemplare di maschio in salute?»

Lo prendo in giro, ricordando la risposta che mi aveva dato quando eravamo al fiume.
I suoi occhi scintillano come due zaffiri luminosi sotto alle lunghe ciglia.

«Non solo. É difficile da spiegare... forse è l'unico modo che ho per sentirmi amato, desiderato. Accettato. E in quell'attimo, mi apprezzo anch'io»

I nostri sguardi s'incatenano di nuovo, stavolta per un tempo più lungo. Gli sfioro la tempia ancora ferita con le dita, delicatamente. James compie una presa più stretta intorno alla mia coscia, intanto si avvicina al mio viso per lasciarmi un bacio a fior di labbra che mi riempie lo stomaco di brividi e farfalle.

Chiudo gli occhi.

Ma la sua voce graffiata e sussurrata mi induce a riaprirli.

«E non c'è bisogno che io te lo dica. L'hai visto anche tu»

Lo vedo indicare la casa alle nostre spalle con un cenno del capo.

«Cosa James?»

«Io non vado bene per te.»

Mi irrigidisco, lui si avvicina leccandosi le labbra. Ancora.

«Perso la lingua tutto di colpo?»

«É una provocazione la tua, James?»

«Dico solo che tra me e te, potrebbe essere davvero sbagliato.»

«Questo non ti ha mai frenato...»

James a quel punto abbozza un sorriso rapido, poi sfinisce la sigaretta contro la ringhiera metallica.

«Non ho più voglia di stare qui. Andiamocene.»

Si alza in piedi, ma prima che possa giungere all'auto, lo richiamo.

«James...»

«Cosa c'è?»

«L'hai sentita. Lei vorrebbe vedere Jasper.»

«Ha avuto dodici fottuti anni per vederlo e se n'è sempre sbattuta.»

Ma io non demordo, rimango immobile anche quando lui apre la portiera.

«Cosa cazzo dovrei fare, June?»

«Falla venire a casa con te.»

James scrolla il capo sciogliendosi in una risata nervosa. «No.»

«E se Jasper ne fosse felice? Di vederla intendo.»

La mia richiesta gli causa un cipiglio.

«So che Jasper e Jordan torneranno domani da New York. James, pensaci... potrebbe essere una bella sorpresa per lui.»

A quel punto solleva lo sguardo dal pacchetto di sigarette che tortura con le mani, per inchiodarlo nel mio. Si massaggia la mandibola, impensierito, finché non lo sento dire:

«Cazzo, tu mi fai fare certe cazzate, White»

A stento, trattengo un sorriso quando vedo James rientrare in casa.

«Metti i tuoi stracci in una borsa, vieni a casa con noi.»

«Ma tuo padre...» La donna dice qualcosa.

«Non c'è oggi.»

«Oh. Dammi un attimo.» sento bofonchiare mentre intravedo l'esile sagoma che non si muove dal divano.

«Ti aspettiamo fuori.»

James torna da me, intanto con la mano tremolante ricaccia il pacchetto di sigarette in tasca.

Vorrei abbracciarlo, eppure non ci riesco.

«Dici sempre le cose che ti passano per la testa. Cosa c'è ora?» m'interroga quando si accorge della mia espressione disorientata.

«Non riesco a dirlo....»

Così lui compie il primo passo, mi blocca contro la carrozzeria dell'auto e con la fronte cerca la mia.

«Allora fallo»

Ho bisogno di abbracciarti James, ma ho paura del tuo rifiuto.

Lascio che le nostre pupille larghe e lucide si scontrino in uno sguardo ravvicinato.

«Va meglio?» domando nel vederlo silenzioso.

«Sì.» risponde senza scollare la fronte dalla mia.

Poi però James chiude gli occhi e diventa tutto improvvisamente più intimo.

«Grazie» bisbiglia sottovoce, facendomi rabbrividire.

Lui mi tiene salda dai fianchi, io gli sfioro le mani e con i pollici accarezzo le sue nocche tumefatte.

«Non mi piace il modo in cui mi sento quando vengo qui. Mi fa sentire abbandonato a me stesso. Torno a sentirmi come quando ero piccolo.»

«Mi dispiace James, ma forse dovresti cominciare a valutare il perdono.»

Lui però scuote il capo e in quell'attimo delle piccole goccioline cascano dal cielo, andando a rifugiarsi sui suoi zigomi.

Tempismo tremendo, James odia la pioggia.

«È scoppiata a piangere quando le ho detto che ti fai chiamare James.»

«Hai presente il bambino della foto?»

Annuisco amareggiata. Un groppo ingombrante mi impedisce di respirare con regolarità.

«Ecco, quello non esiste più. Edward è morto ed è stata lei ad ucciderlo.»

James fissa la porta alle mie spalle, poi scrolla il capo.

«Andiamo.»

«Ma hai detto...»

«Ho cambiato idea. Non voglio vederla. Muovi il culo. Sta piovendo.»

Inarco un sopracciglio, ma in realtà non sono poi così stupita.

«Non è meglio se le parli prima...»

«June. Mi bagni i sedili e mi fai incazzare.»

Lancio un'ultima occhiata apprensiva verso la casa, poi lo seguo dentro alla macchina. Rispetto il silenzio che invade l'abitacolo, finché la pioggia non decide di interromperlo con un ticchettio ritmico di gocce scendono sul parabrezza.

James resta con la schiena ricurva, intanto sta cercando qualcosa nelle tasche.
So già cosa vorrebbe fare. Cosa sta per fare.

«Puoi non farlo, per favore?»

Chiudo gli occhi, come spaventata per avergli rivolto quella richiesta.
James solleva mento e guarda avanti a sé con la mandibola serrata.

«Solo perché devo guidare e tu sei in macchina con me, ma non perché me l'hai chiesto.»

«Grazie.»

Si passa una mano tra i capelli, poi gira la chiave nel nottolino d'accensione.

«Certo che se le hai detto di prepararsi... ci resterà male.» abbozzo quell'ipotesi, mentre lui si volta verso di me con uno scatto.

«Secondo te gliene frega qualcosa di Jasper? Di me? June, svegliati. Era sul divano a bere whisky. Non si è mossa di un millimetro.»

La sua mano si stringe a pugno sul volante.

Mi dispiace

Provo a sfiorargli la spalla ma lui si scansa. Di nuovo. E per me non è facile compiere quel piccolo gesto e metabolizzare la sua reazione.

«Non farmi questo effetto» dice ad un tratto.

«Cosa? Quale effetto?»

Siamo ancora fermi con l'auto, mentre la pioggia picchietta con violenza sui finestrini.

«Non farmi credere in cose per cui non ne vale la pena. A cui avevo smesso di credere.»

«Volevo solo trovaste un punto d'incontro...»

«Tu hai questo potere»

Il tono risoluto mi fa trasalire.

«Quale potere, James?»

«Di farmi credere che le cose potrebbero essere meglio di come sono sempre state. Ma non è così.»

Le sue parole sono ciniche, ma l'animo di James è tutt'altro che freddo nel pronunciarle. Gli si spezza il respiro.

«Con le tue cazzate: le torte per tirare su il morale, il dormire insieme senza scopare, le tue domande del cazzo, il tempo che passi con Jasper... mi induce a pensare che lui possa migliorare. M'illudi. »

Sento le mani tremare.

«E io non più voglia di illudermi.» conclude con voce perentoria.

«Non era mia intenzione...»
È l'unica cosa che riesco a dirgli in questo momento.

«Il regalo che mi hai fatto ieri. Forse non avrei dovuto accettarlo»

«Perché dici così adesso?»

Lo so, in questo istante dovrei comportarmi diversamente, dovrei rassicurarlo, ma non ci riesco, è più forte di me.
Mi sento rifiutata. E forse, è lo stesso modo in cui si sente anche lui. Perché molto probabilmente quello di oggi è solo l'ennesimo rifiuto al quale sua madre l'ha condannato.
E ogni volta brucerà come la prima.

«Perché non lo meritavo il tuo regalo»

Riserva quelle parole dure verso sé stesso, poi finalmente si decide ad avviare la macchina.

«Sì invece» mormoro sottovoce.

Lo guardo fare manovra in quel piccolo spiazzo di strada senza dire altro, perciò decido di restare in silenzio.
Durante il viaggio ogni tanto discosto lo sguardo dal finestrino per lanciargli qualche occhiata furtiva. I suoi occhi affilati sono più taglienti del solito, più sofferenti. È sempre lui, eppure ai miei occhi appare così lontano dal ragazzo che credevo di aver conosciuto. Ho visto una parte nuova, diversa, della sua vita. Si è aperto raccontandomi cose che mai avrei immaginato potesse dirmi.
Non mi sono mai sentita così vicina a lui.
James mi rivolge uno sguardo e capisce subito le mie intenzioni.

«Cosa vuoi sapere, dai... Sei stata zitta abbastanza. Mi fai preoccupare.»

«Com'eri da bambino?»

«Te l'ho detto. Ero un bambino iperattivo.» si mastica l'interno guancia in un gesto nervoso.

«Come tutti i bambini.» sottolineo.

«Solo che dicevano fosse patologica la mia iperattività »

«Da quel poco che so, non si guarisce da una cosa del genere. Se la diagnosi fosse stata corretta, dovresti avere problemi anche oggi. Di sicuro non avresti i voti che prendi a scuola.»

James solleva un sopracciglio.

«Analisi acuta per una ragazzina impicciona. E poi, conosci i miei voti, White?»

«Sono uguali ai miei, con la differenza che tu non studi mai, James.»

Lui reprime un piccolo sorriso a fior di labbra, poi si fa subito serio.

«Cosa vuoi sapere?»

«Cosa ti piaceva fare? Qual era il tuo passatempo preferito?»

«Mi hanno intossicato di farmaci per rendermi inerme e più facile da gestire.
Me ne stavo buono nella mia cameretta mentre lei usciva tutte le sere.
Ecco qual era il mio passatempo preferito, June.»

Un senso di vuoto mi scava nello stomaco.

«E tuo padre?»

«Jordan era sempre in viaggio per quelle mostre d'arte del cazzo.»

E io che stupidamente pensavo ai suoi occhi, di quel blu particolare.
Agli addominali scolpiti.
Alla sua pelle perfetta.
Alle sue labbra.

Forse qualcuno dovrebbe dire come stanno le cose. Quando ti leghi ad una persona, sono le sue parti più scure a tenerti ancorata. Sono le debolezze. Le mancanze. Le macchie che chiazzano il dipinto perfetto sporcandolo di umanità.
È tutto questo a far sentire due anime così vicine.

«Quando hai smesso con i farmaci che ti avevano prescritto?»

«Quando lei si è risposata con quell'uomo.»

La sua voce s'incrina rovinosamente.

«Quando ero grande abbastanza da accorgermi che starmene fatto di medicinali tutto il giorno, non mi permetteva di vedere la merda che era la mia vita.»

Sento il labbro inferiore tremare dinnanzi alla sua confessione.

«"Diamo le pillole al piccolo Edward per farlo stare buono, così non parla." Ora basta, ti ho fatto pena abbastanza.» taglia corto James.

«Tutto ciò mi fa rabbia, non pena.» puntualizzo con un filo di risentimento.

«Non voglio fare tenerezza a nessuno»

Lo vedo strizzare lo sguardo, è infastidito.
E io mi sento avvilita.

Dio, è così frustrante.
Inizio a capire parole di Tiffany, così come quelle di Blaze.
In qualche modo, non lo puoi avere.
Quello che concede a tutti è solo un involucro, bello, perfetto, ma non è nulla in confronto a ciò che nasconde dentro.
Ora capisco perché tutti lo amano.
Non è solo la curva infantile e maliziosa che gli si forma in viso quando sorride. Non è la piccola smorfia che si crea al lato della bocca, quando mi ha appena provocato e io non so cosa dire. È tutto quello che non racconterebbe agli altri, ma che racconta solo a me. È questo che mi fa sentire più vicina a lui, che mi fa sentire speciale.
Perché è proprio lui ad essere speciale.

Sono talmente persa in un groviglio di pensieri cupi e contrastanti, che non mi accorgo d'essere già davanti a casa sua. Siamo ancora dentro all'auto quando James sospira.

«Ti riporto a casa?» chiede senza sollevare il capo dall'accendino che ha appena estratto dalle tasche.

Con lo sguardo basso, mi stringo nelle spalle, timidamente.

«Magari hai bisogno di stare da solo»

«Non mi va di stare da solo. Non ci so stare.»

La sua risposta non è altro che una fucilata dritta al petto e oggi il mio cuore ne ha ricevuti abbastanza di colpi, grazie alla giornata appena trascorsa.

«James...»

Si sporge verso il mio viso con un sospiro roco che mi fa rabbrividire.

«Ho voglia di restare ancora un po' con te.»

Una scarica elettrica attraversa il mio corpo, che trema sotto al suo sguardo assottigliato. Mi si prosciugano le parole in gola e mi si serra lo stomaco.

Mi agito così tanto che so già sto per uscirmene con una delle mie cavolate.
Perché deve dirmi queste cose e farmi arrossire con una tale facilità?

«È una cosa che dici a tutte le tue amiche?» provo ad eludere la tentazione che sono le sue labbra rosee così prossime alle mie.

Magari lo dici anche con questo tono e questa faccia, come posso giudicarle se non sanno resisterti?

«Le mie amiche sarebbero capaci di farsi venire i lividi alle ginocchia pur di farmi contento e tu non puoi restare con me, nemmeno se te lo chiedo?»

Le sua risposta è lievemente acida ma di sicuro più svelta della mia. Mi lascia senza fiato, forse perché per pronunciarla si posiziona ad un soffio della mia bocca.

Non ho mai provato una tensione così forte con nessuno. É il linguaggio corpo con la quale due persone comunicano, è il modo in cui il suo sguardo perso guizza sulle mie labbra socchiuse per poi tornare nei miei occhi, a farmi dubitare anche di me stessa.

Così annuisco e solo a quel punto,
rientriamo in casa.

Mi sfilo le scarpe umide di pioggia, mentre controllo l'ora sull'orologio appeso al muro. Sono già le nove e mezza. Ho il terrore di guardare il telefono e trovarci i messaggi e le minacce di morte di mia madre.

«Vado a cambiarmi.»

James non risponde, ma annuisce distratto.

«Jasper mi ha chiesto di salutarti» lo sento dire mentre sta con lo sguardo incollato al cellulare.

Abbozzo un sorriso, poi mi dirigo in camera sua dove prendo a curiosare nell'armadio. La T-shirt più enorme che trovo mi sta da vestito. Sciolgo i capelli, sfilo il reggiseno, infine mi guardo allo specchio. Sono agitata.
Forse dovrei tornare a casa...

Ho perso un po' di tempo a sistemarmi i capelli in bagno, non so nemmeno io il perché. Dopo un quarto d'ora scendo le scale senza fretta.
Quando torno in salotto, James è appena uscito dalla doccia, indossa dei pantaloni della tuta grigi e una maglietta bianca che fascia morbida il suo petto ampio.

Sta in piedi, il profilo rivolto verso la finestra, intanto fuma nervosamente, senza nascondere un'aria quasi seccata. Non appena avverte il mio arrivo, si gira a guardarmi. 
I suoi occhi tracciano rapidi la mia figura fino a restare intrappolati nelle mie gambe che la sua maglia lascia esposte.

Ci scambiano uno sguardo sfuggente, niente di più, poi mi siedo sul divano. Lui spegne la sigaretta e con due passi lenti, mi arriva davanti in tutta la sua altezza.
Senza dire niente, affonda una mano nello schienale del divano, alle mie spalle. Quando flette il collo e scende nella mia direzione, perdo un battito.
Penso voglia baciarmi.
Con il ginocchio applica una lieve forza e separa le mie gambe tra loro, divaricandole.

«James»

Il suo viso perfetto è segnato solo dalle ombre che la luce del televisore proietta nella nostra direzione.
Sollevo il mento, andando incontro ad un bacio che attendo con impazienza da questa mattina, ma lui alza il capo per rifuggire alla mia bocca.

«Cosa vuoi da me, ragazzina?»

Bella domanda. Conoscendolo, si sta chiedendo se voglio qualcosa in cambio per oggi. E ovviamente, è proprio fuori strada.

«Non voglio niente.»

"Me l'ha chiesto lui di restare, ora si è pentito?" rifletto, mentre lui mi si siede accanto.

Lo vedo inarcare il collo e gettare la testa all'indietro per poi lasciarsi andare ad un sospiro che gli svuota il petto.
Sembra pensieroso e io mi sto preoccupando. Ho paura che cominci a trattarmi male, non potrei sopportarlo adesso. Ancor di più m'imbarazza stare lì a fissarlo come un'ammiratrice incallita, perciò mi alzo in piedi.

Vado a prendere dell'acqua, ecco cosa faccio.

«Dove vai?»

«Ehm...non so se è stata una buona idea restare.»

«June...»

«James, sei più scosso di quanto credessi.»

Ma lui mi lancia un'occhiata così intensa che dimentico anche come si fa a respirare.
Raccoglie entrambe le mie mani e mi induce a sedermi su di lui.

«Non andartene, vieni qui.»

Il mio sguardo interrogativo si posa dapprima sui suoi occhi affilati, poi sulla bocca rosea e invitante.

«Dove?»

«Su di me.»

Si lecca il labbro ripetutamente mentre le mie gambe si allacciano il suo bacino in una morsa calda. Un sospiro lascivo si mescola ad un gemito quasi roco, quando le sue mani affondano nelle mie cosce.

Chino la testa nel suo collo per nascondere l'imbarazzo di stare in quella posizione su di lui e lo sento sussurrare tra i miei capelli.
«Cazzo...»

«Che c'è...»

«Non so come farò a trattenermi ancora...»

«Perché dovresti...»

Le sue dita tracciano la mia spina dorsale fino a raggiungere il mio fondoschiena, racchiude le mie curve dentro alle sue mani grandi, poi mi spinge contro il suo bacino con un movimento rude.

La mia pelle trema e la maglia, seppur lunga, si solleva sotto alle sue mani esperte.

«James»

Mi appoggio con i palmi al suo petto duro e allenato, che si muove rapido sotto di me.

La sua mano sale sulla mia schiena fino a sfiorarmi le scapole. Con i polpastrelli freddi sembra cercare qualcosa, un sorrisetto fa capolino al lato della sua bocca quando si accorge che non c'è alcun gancetto da aprire, perché non indosso alcun reggiseno.

Non riesco più a resistere, il suo profumo e la visione delle sue labbra lucide e gonfie mi crea un turbinio di desideri sconosciuti nella pancia. Voglio baciarlo.

Le mie dita si aggrappano alla sua t-shirt con vigore, strattonandolo verso di me. James affonda una mano avida tra i miei capelli sciolti e in un attimo le nostre labbra s'incollano senza riuscire più a staccarsi.

Ci baciamo appassionatamente. Sento l'impronta della sua lingua calda e vellutata sulla mia. Slittano entrambe in una sintonia lenta e cadenzata, mentre la pelle del mio viso va a fuoco ogni volta che lui con la mano posizionata alla base della mia schiena, preme il mio bacino contro il suo corpo caldo.

I nostri respiri mischiati e le mani sono ormai grovigli incapaci di restare ferme. Ad un tratto James prova a far scivolare le labbra a lato per parlare. Lo vedo aprire gli occhi.

«Piano, con calma» supplica con il fiato corto.

Ma io non voglio fare con calma ora.

«June...»

I suoi occhi sfrecciano verso il basso, nel punto di congiunzione tra i nostri corpi. E solo allora mi ricordo di non avere i pantaloncini addosso. Una vampata di calore inaspettato mi prende alla sprovvista quando percepisco il sottile tessuto delle mie mutande a contatto con i suoi pantaloni della tuta.

«Cosa c'è?» domando spaesata.

«Fermati.»

Non mi aspettavo la sua reazione così frenata, perciò con le guance rosse scavalco il suo corpo e mi lancio sul lato del divano.
Mi nascondo con la coperta che trovo piegata sul bracciolo e mi metto a guardare la tv.
O meglio, fingo. Ho la testa in subbuglio e il cuore che martella impazzito nel petto.

James resta seduto, con gli occhi fissi al soffitto, si passa una mano tra i capelli folti poi impreca nuovamente.

«Cazzo.»

«Che c'e? Sei in difficoltà adesso?» gli lancio quella provocazione causandogli un ghigno beffardo.

«Non mi provocare, Biancaneve»

Si massaggia il collo lentamente con le dita tempestate di anelli e a me scappa una risatina infantile che nascondo sotto alla coperta di lana.

«Sennò...?»

«Ho solo bisogno di una piccola pausa.»

«E come mai?» lo istigo ancora.

La sua mano sfacciata si allunga nella mia direzione, s'insinua sotto alla coperta e in un attimo affonda nella mia coscia con prepotenza. Sento le dita forti stringere la mia carne, finché la mia visuale viene inebriata dalla sua figura che mi sovrasta.

«Perché vorrei evitare di sfondare anche il divano. Tu che dici?»

James viene sopra di me e mentre boccheggio in cerca di respiro, lui si sfila la maglietta bianca, lasciandomi di nuovo senza fiato. Ammaliata, rimango ad ammirare il suo corpo perfetto per qualche secondo.

«Puoi toccarmi, non avere paura »

Accolgo il suo invito audace e sfioro il suo torace tassellato e solido con la punta dell'indice. Poi giungo alla collana che pende intorno al suo collo, l'aggancio con un movimento rapido, inducendolo ad abbassarsi verso il mio viso.

«Aspetta»

Le sue labbra si frenano prima di darmi il bacio che desidero.

«Voglio guardare» lo sento dire.

«Cosa?» bisbiglio contro la sua bocca schiusa e invitante.

«L'effetto che ti faccio»

Tremo sotto alle sue mani grandi, quando le dita frastagliate di anelli percorrono la traiettoria proibita che sale sotto alla mia maglietta.
La pelle della mia pancia formicola al suo tocco, perciò mi ritrovo a chiudere gli occhi quando con il pollice freddo sfiora i miei capezzoli sensibili.

«Levati questa» dice indicando la t-shirt che ho addosso.

Sento le spalle diventare di roccia e prima che possa sollevarmi il tessuto per scoprirmi, lo fermo facendo cenno di no.
Lui però non sembra infastidito.

«Preferisci tenerla?»

Annuisco.

«A me va bene, è solo...»

James corruccia lo sguardo con aria pensierosa.

«Cosa?»

«Perché con Tiffany non sei così trattenuta?»

Lei non mi giudica, tu sei abituato ad avere ragazze perfette

«Non lo so...»

«Che ci combinavi con Tiffany in camera mia?» domanda ad un tratto.

«James, non sei nella posizione per chiedermelo.»

Lo vedo inscenare un piccolo broncio tra le labbra carnose.

«Voglio saperlo comunque» insiste.

«Alla festa ti ho visto versare champagne nella bocca di cinque ragazze diverse»

«Le hai contate.»

«Sì.»

«C'è però una cosa che non sai»

Il suo respiro mi carezza il lato il lobo dell'orecchio, dolcemente.

«Tu eri l'unica che volevo baciare.»

Resto a bocca aperta, senza parole.
E la sensazione di smarrimento aumenta vertiginosamente quando James si avvicina alla mia bocca fingendo di baciarmi.
Ma non lo fa.

Tiene lo sguardo malizioso ben saldo nel mio, mentre la sua lingua slitta all'angolo bocca rosea, poi china la testa sul mio petto e avvicina le labbra calde al mio seno destro, per lasciarvi un bacio sopra la maglietta.
Il calore del suo respiro a contatto con il mio capezzolo sensibile, mi spezza il fiato.

«La smetto, se vuoi.»

Poi mi inchioda dal basso con uno sguardo stretto ed eccitato e io non posso fare altro che compiere un cenno di dissenso con la testa. Non riesco a parlare. Il mio petto si riempie d'aria andando incontro al suo viso.
Questa volta però, James sogghigna sollevando il labbro superiore prima di sferrare una passata di lingua decisa sul tessuto, all'altezza del mio capezzolo ormai umido.

«James...»

«Troppo?»

Mi osserva con attenzione, appare quasi preoccupato di fare una mossa di troppo.

«Io...»

«Mi fermo?»

«No» rispondo con le gambe ormai molli.

Sembra che James non aspettasse altro, perché si appresta lentamente al mio seno per intrappolarne l'estremità tra le labbra carnose. Prima un risucchio, il suo. Poi un gemito, il mio. Il cotone della maglietta forma una piccola chiazza scura intorno alla zona che ha appena stuzzicato.

«Stai aprendo le gambe.»

Il calore pulsa con violenza tra le mie cosce, quando lo sento respirare caldo contro la mia pelle ormai umida della sua saliva.

«Che vuoi fare...» riesco a balbettare.

Vedo la sua testa scendere sulla mia pancia.
La maglietta si è lievemente sollevata e la sua lingua esperta ora è libera di vorticare in modo eccitante intorno al mio ombelico.
Mentre lo fa mantiene gli occhi piantati nei miei e la mia pelle s'irradia di brividi.

Riverso la testa indietro, lui intanto continua a lasciarmi una lunga scia di piccoli baci che scorrono sempre più in basso.
James sorride soddisfatto, fa scivolare via la coperta che mi avvolgeva le gambe, poi aggancia il bordino delle mie mutande con due dita.
E io mi irrigidisco.

«No.»

Il suo respiro rovente viene a contatto con la mia intimità protetta solo dalle mutande. Quella sensazione piacevole mi confonde, ma non riesco a lasciarmi andare.

«Non voglio che mi guardi» confesso di getto.

James non dice nulla, si tira su e si sdraia dietro alla mia figura.

«Preferisci dormire?» chiede poggiando la testa sul mio stesso cuscino.

Mi volto sul lato, dandogli la schiena.

«Io guardo ancora un po' la tv»

Ma cosa sto dicendo?

«Non sei stanca?»

Non so cosa mi prende, ma dopo tutto quel contatto, sentirlo così distante non mi piace. Afferro la sua mano e me la porto sul fianco. Lui intanto mi aiuta ad abbassare la maglia che mi si è accartocciata sui lati, durante il nostro piccolo scontro.

«Non sono stanca» rispondo secca.

Raccolgo le braccia al petto e muovendomi per risistemarmi la coperta addosso, vado a sbattere contro i suoi pantaloni, causandogli un gemito sofferto.

Con il pollice aggancia i miei capelli sciolti, li raggomitola contro il cuscino, lasciandomi la gola scoperta.

«Cazzo, però così non aiuti» sussurra con le labbra calde ben piantate sul mio lobo sensibile.

Sento il suo corpo solido imprimere una pressione dura e piacevole nella mia carne morbida.

«So che non sei abituato ad andare così piano...»

«Non l'ho mai fatto così. Non ho mai resistito così tanto e...»

Ogni volta che respira sulla mia nuca, il mio corpo risponde con una miriade di brividi.

«Mi piace, cazzo»

«Davvero?»

«Sì, però ora possiamo fare uno strappo alla regola e dare una piccola accelerata se vuoi.»

Non capisco le sue parole, ma mi ritrovo ad annuire. Alle mie spalle, la sua voce ha un suono troppo invitante e persuasivo per essere ignorata.

«Allora facciamo un gioco.»

Il suo respiro brucia sulla mia nuca, avverto il gusto della menta mescolato alla sigaretta.

Con indice e medio traccia il mio fianco, scava la mia pelle con lussuria, sollevando nuovamente il bordo della maglietta. Il mio battito accelera e così il movimento del mio petto che sale e scende, sfregando contro il tessuto umido della sua saliva.

«Dato che tu non vuoi, io non ti guarderò...»

La promessa è accompagnata dal leggero picchiettio delle sue dita fredde sulla mia pancia.
Trattengo il respiro perché queste scendono sempre più in basso e io mi sento morire. Dopo aver superato l'ombelico però, le lascia di nuovo scorrere verso l'alto in un gioco di provocazione che mi fa smaniare.

«Va bene?» chiede volgendomi un sorrisetto compiaciuto.

Presto il dolce tocco di James trova le mie mutande, mi mordo il labbro quando con una lieve pressione dei polpastrelli me le sposta a lato, scoprendo la mia parte più vulnerabile. Chiudo gli occhi perché vengo sopraffatta da una sensazione di sollievo così forte da stordirmi, le sue dita fredde sfiorano proprio la mia carne morbida e calda.

«Va bene?» lo sento insistere con tono basso e profondo.

Annuisco.

«Voglio sentirtelo dire...»

«Sì.»

James riversa un mugolio di approvazione nel mio orecchio. Il suo respiro sembra miele bollente che scorre sulla mia pelle e si fa più affannato, man mano che le sue dita compiono piccoli movimenti delicati a dividere la mia apertura che si schiude per accoglierle in tutta la loro lunghezza.

Scivolano su e giù, all'esterno, in un modo così fluido e naturale che quasi mi stupisco. Un ansito rauco fuoriesce dalle sue labbra quando il medio affonda lento dentro di me. Prima un calore intenso, poi il freddo dell'anello. Vengo scossa da un brivido.

«È troppo?»

«James...»

Non sembro capace di dire altro.

«Dimmi se è troppo, non voglio farti male»

«Non è troppo»

Senza accorgermene, separo le gambe tra loro, forse quel gesto è l'invito che gli fa il mio corpo a continuare, ma James sembra non aver bisogno di aiuti in questo momento. Accolgo alla perfezione un altro dito prima che lui cominci ad aumentare il ritmo.

Abbandono la testa sul cuscino, per una volta decido di fidarmi di lui e di lasciami andare, completamente, godendomi ogni piccola carezza che è in grado di regalarmi.
Ad un tratto James arresta quella corsa, lo vedo portare il pollice tra le labbra rigonfie. Con un gesto sfacciato lo succhia senza mai distogliere lo sguardo dal mio. Poi, una volta caldo e bagnato, lo lascia scivolare sul mio clitoride sensibile, compiendo movimenti circolari che mi mandano in estasi.
Il mio corpo si muove contro la sua mano in una sincronia perfetta.

Dio mio, sa esattamente cosa fare e come farlo. Se aprissi bocca in questo istante sarebbe solo per chiedergli una cosa imbarazzante del tipo "come fai ad essere così bravo?"

Ruoto il capo all'indietro per cercare il suo viso.

«Baciami.»

Lo supplico con gli occhi e con le parole, provocandogli un guizzo d'eccitazione nelle sue iridi incandescenti.
E quando James reclama la mia bocca, il mio cervello viene invaso da una potente miscela di sensazioni piacevoli. La sua lingua scivola lussuriosa tra le mie labbra, dandomi il colpo di grazia. Il mio corpo rovente comincia a tremare.
L'istinto di serrare le gambe è intenso, ma lui affonda la mano decisa sulla mia coscia scoperta, impedendomi il movimento.

«Lo sento, stai per venire» geme nel mio orecchio, è accaldato quasi quanto me.

Immergo una mano nei suoi capelli morbidi, mentre avverto il mio centro pulsare intorno al ritmo incessante con il quale mi sta sfiancando, fino ad esplodere di piacere sulle sue dita.

Il mio respiro non sembra abbia intenzione di regolarizzarsi e quando riapro gli occhi, James è ancora qui.
Mi sta guardando con aria languida, eppure attenta.

«Stai bene?»

Annuisco stordita.

«Cosa fai?» domando quando lo vedo piantare i palmi ai lati del mio viso, per posizionarsi sopra di me.

«Qualcosa che ti farà stare ancora meglio»

Con entrambe le mani afferra le mie cosce per avvolgersele intorno al bacino.   

Senza fiato, esalo un timido «Cosa?»

James in tutta risposta sorride, in quel modo arrogante e adorabile, che solo lui sa fare.

«Pensi davvero sia già finita, Biancaneve?»

Sbatto le ciglia un paio di volte, il mio sguardo scorre con bramosia lungo la pelle abbronzata del suo torace scolpito, fino a giungere al cavallo dei pantaloni della tuta. In quel momento James se li abbassa di poco, rivelando i suoi boxer scuri.

Le sue dita arpionano il tessuto ormai bagnato delle mie mutande, spostandole nuovamente a lato. I polpastrelli freddi deliziano la mia estremità bollente, il contatto piacevole mi fa sussultare.
La protuberanza avvolta dai boxer è calda e quando colpisce la mia zona più tenera e scoperta, per poco non lancio un urlo.

«Oddio!»

James sorride compiaciuto per l'espressione esterrefatta che mi si disegna in volto e senza levarsi quel ghigno sfacciato, appoggia tutto il suo peso contro di me. Ed è in quel momento che sento il cotone dei boxer sfregare contro la mia zona sensibile. La sua sagoma dura e longilinea si posa dolcemente tra le cosce e con un movimento lento, prende a frizionare contro le mie pieghe bagnate.

«Come ti sembra la sensazione?»

I suoi occhi assottigliati, così prossimi ai miei, non hanno intenzione di lasciarmi tregua.

«È piacevole» boccheggio inerme.

«Posso renderla più piacevole. Vuoi?»

Annuisco imbarazzata, non riesco a dirgli sì con le parole. James si spinge contro di me, causandomi un lamento lascivo, io intanto abbandono dei piccoli baci lungo il suo collo affusolato, mentre con il bacino vado incontro al suo corpo.
Si lascia sfuggire un gemito rauco quando stringo con forza i suoi capelli scompigliati, come per attutire la tensione estenuante alla quale sta nuovamente sottoponendo il mio corpo.

«Apri le gambe, di più»

Faccio quanto detto, mentre lo sento prendersi tutto lo spazio di cui il suo corpo possente ha bisogno.

«Così. Come se ti stessi prendendo su questo fottuto divano» sussurra roco, prima di risucchiare tra i denti il mio labbro inferiore.

Il contatto rude tra le nostre intimità si trasforma in una frizione piacevole di corpi avidi.
Il mio esposto, bagnato, soffice.
Il suo nascosto, ma duro e forte.
E gradevole.
Perché lo è così tanto?
Lo guardo.
Mi sento ubriaca di lui, del suo profumo, del suo corpo.

«Credo proprio che ti piacerà da morire» ansima contro la mia mandibola.

Il torace possente, le gote arrossate e i capelli scompigliati, formano una visione così divina che mi distraggo.

«Cosa, James?»

«Scoparmi, June»

E per l'ennesima volta mi si rompe il fiato, il cuore compie un balzo, ma James non sembra abbia intenzione di fermarsi. Con una mano mi tiene salda dal fianco, con l'altra traccia il mio labbro inferiore, sfiorandolo con il pollice.

«Ma non ora..» sussurra delicato.

E poi finalmente mi bacia di nuovo, mandandomi in paradiso con le continue slittate calde della sua lingua morbida.

Siamo un cumulo di gemiti eccitati, di respiri impazienti.
Affondo entrambe le mani nella sua schiena, sento le mie dita raschiare avide la sua pelle delicata e perfetta. Stringo più forte, come se mi aiutasse ad attutire quella sensazione così devastante che mi invade il corpo.
Lui ansima nel mio orecchio, forse per il dolore che gli provoca il mio gesto. Sto per scusarmi, quando lo sento dire «June...»

Il suo respiro accelera in modo disperato e le sue mani scottano su tutto il mio corpo tremante.

«Fallo ancora.»

Arrossisco violentemente quando la grandezza nascosta nei boxer striscia avida su di me provocando l'aumento della mia temperatura corporea, complice delle sue dita che giungono sotto alla maglietta, a ghermire il mio seno con lussuria.

La mia parte più sensibile si fa sempre più cedevole e incapace di resistere e ben presto quella strana febbre che mi attraversa il corpo si trasforma nella voglia di averne di più. E lui è davvero bravo, sa perfettamente come far accrescere quella sensazione. La mia bocca si schiude per parlare, ma presto viene riempita ancora dalla sua lingua di velluto.

«James... »

Gemo il suo nome ancora una volta, prima di scoppiare in un lungo ansito di piacere.
Le nostre labbra restano impigliate per qualche istante in più, mentre ci scambiano respiri corti e ansimanti.

James mi libera del peso del suo corpo e si mette a sedere, mentre io sono ancora sdraiata e in estasi per il secondo orgasmo.
I suoi boxer, leggermente umidi della mia eccitazione, spariscono nel momento in cui si ritira su i pantaloni con un movimento rapido.

Un sorrisetto sfrontato gli solca le labbra gonfie e rosse.

«Allora non mentivi...»

L'osservo stralunata, incapace di reagire.

«Ti piacciono davvero gli anelli.»

«Che cretino...» balbetto ancora inebetita.

Lui si fa subito serio.

«Stai bene?»

Benissimo

La sua domanda mi riporta presto alla realtà. Mi scruto intorno e il mio sguardo cade inevitabilmente sui suoi pantaloni.

«Ma tu...»

«Impossibile da nascondere»

James sogghigna maliziosamente, facendomi scaldare il sangue nelle vene.

«Cosa c'è?» domanda però, quando mi vede accigliata.

I miei occhi rimangono incantati a fissare il suo labbro inferiore umido e tumefatto, forse vittima dei miei ripetuti morsi. È chiaro che sia stato tutto a senso unico finora. Io non mi lamento, ma non credo sia normale. Con Will era stato proprio l'opposto. Provo a tirarmi su, ma ho braccia e gambe troppo morbide, il mio corpo è esausto.

«Tu cosa vuoi fare?» incalzo confusa.

Non sono sicura se questa sia la domanda giusta da porre, ma non sono l'esperta in queste situazioni.
James si stende di fianco a me e cingendomi il fianco con il braccio, m'induce a rotolare dal suo lato.

«Ho solo voglia di baciarti ancora» dice lui facendomi salire una strana sensazione di calore nel petto.

«Dimmelo di nuovo...» sussurro timidamente, buttandomi con il viso nell'incavo del suo collo.

Sento le sue vene farsi più turgide a contatto con il mio respiro sulla pelle sensibile.

«Cazzo. Senti...»

«Cosa?»

«Non è meglio se ora dormiamo sul serio?»

La sua proposta mi stranisce.

Lo vedo sollevarsi appena e allungare il braccio verso il pacchetto di sigarette abbandonato sul tavolo.

«Ti riaccompagno a casa?»

«Tu vuoi...?»

«No. Ma non voglio finisci nei casini per me.» lo sento dire prima di intrappolare una sigaretta spenta tra le labbra soffici.

«No è tutto okay.» mento spudoratamente.

Probabilmente l'FBI mi starà già cercando da questa mattina, ma dettagli.

Osservo il suo profilo perfetto compiere un'onda verso l'alto, sbuffa facendo vibrare la sigaretta nella sua bocca rosea e il pensiero mi esce spontaneo.

«Ne avevi voglia, però non mi hai baciata...» mi lamento con un filo di voce, quando capisco che sta per andarsene a fumare.

«Perché aspetti sia sempre io a fare la prima mossa?»

James si sfila la sigaretta dalle labbra e torna su di me, la sua mano sul mio fianco sfiora un punto delicato che mi provoca il solletico.

«Voglio farlo, però...»

Ridacchio divertita, ma lui non sta ridendo affatto.

«Allora fallo, ti prego.»

La sua voce è avvolgente, mi scalda il corpo come un lungo abbraccio.
Sorrido, stavolta sono io a tendere il collo all'indietro e scansare il suo bacio con fare giocoso.

«Te lo giuro, sto impazzendo.» lo sento ansimare con occhi serrati.

Senza nemmeno doverci pensare, sollevo il mento per incontrare la sua bocca.
Le nostre labbra stanno per congiungersi, quando qualcuno suona alla porta d'ingresso.

«Porca puttana» impreca prima di mordersi il labbro con foga.

Mi pietrifico sul posto.

«Sarà Jackson»

James rivolge un'occhiata sofferente al cavallo dei pantaloni della tuta, poi mi guarda negli occhi.

«Non posso andare ad aprire in questo stato.» boccheggia in modo rude, facendomi arrossire all'istante.

«Vado io.» farfuglio imbarazzata.

E quando mi alzo in piedi, non mi capacito di come le mie gambe facciano a tenermi dritta.

Risistemo la maglia lungo le ginocchia e poi, senza riuscire a levarmi quel sorriso stampato sulle labbra, spalanco la porta.

«June Madeline White!»

Oh no, mia madre




AHAHAHAHA

VI PREGO, VORREI VEDERE LE VOSTRE FACCE 🥸

Allora..

🖤 Stellinatemi se il capitolo vi è piaciuto o stavolta mi darò ad un altro hobby, basta giardinaggio, facciamo... SCACCHI (🤔) ♟

🦋 Che ne pensate della mamma di James? Vi aspettavate la scena?

🦋 Abbiamo scoperto qualcosa in più del passato di James, ma ci sono altre cose che verranno rivelate più avanti.

🦋 L'ultima parte non necessita commenti ⚰️

🦋 Non c'è alcun indizio per ciò che accadrà nel prossimo capitolo, ma vi posso dire che sarà il delirio.
Ci sarà 💥drama💥, Austin, Amelia e tanto altro. L'ho ideato qualche giorno fa, devo però impostarlo bene, per cui mi ci vorrà un po'.

Ci vediamo su Instagram per sclerare insieme 🖤 Stefaniasbooks 🦋

Alla prossima 💥

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