8. Maschere e paure
N/A: ricordate gentaglia di stellinare sempre questa storia :3
Se c'era una parte di sé che Roberto provava al meglio a nascondere ma che più lo caratterizzava, quella era la sfiducia che provava nei propri confronti. Era la sua peggior nemica e insieme la più lunga amica. Lo accompagnava da secoli, tenendolo per mano o a braccetto, portandolo avanti per la strada che ella voleva.
E il piemontese non aveva la forza di opporsi al suo volere né desiderava ricercare una simile volontà. Aveva ragione lei, lo sapeva. La vita gliel'aveva dimostrato con chiarezza, più di una volta. Era dimenticabile, accantonabile, senza valore. Era stupido, ingenuo e cieco.
Era una bambolina con cui giocare fin quanto si desiderava, da riporre via quando non era più nuova e interessante, per essere ripescata la prossima volta che sarebbe stata necessaria. Era la sua vita, il suo passato e il suo destino. Lo riconosceva.
Questo non voleva dire non facesse male.
Eppure preferiva nascondersi dietro le sue varie maschere che aveva imparato a giostrare con abilità. Metti una, togli l'altra.
Indossane due contemporaneamente, allontana una e rivela quella sottostante, facendo pensare agli altri di aver fatto vedere loro il vero te.
Passane tante velocemente davanti il volto, mostrati variegato come se ti stessi esprimendo liberamente.
Recita sempre.
Levati le maschere e rimani privo di barriere solo quando sei nella tua stanza, al buio, da solo. Allora prendi un bel respiro e piangi, perché la mattina dopo dovrai ripetere tutto con la medesima bravura del giorno prima.
Era diventato abbastanza bravo a quel gioco.
Ma quando nella scena entrava Bruno, tutto diventava più difficile. Gli scombussolava i giochi, gli faceva dimenticare tutte le sue tecniche e abilità, tutte le sue maschere meticolosamente curate nei dettagli diventavano smorte.
Da vario tempo (o meglio, vari decenni), in compagnia privata del trentino o quando i loro sguardi si incatenavano, si sentiva strappato di tutte le sue maschere vincenti e lasciato quasi nudo e confuso. Con poche maschere spartane fra le mani e basilari tecniche ancora in mente, recitare davanti al biondo diventava una fatica erculea.
Allora qualcosa dentro di lui lo spingeva a rinunciare a continuare con la farsa, lo incitava a mostrarsi senza alcuna maschera in volto, senza giochi e trucchetti. A mettersi a nudo (metaforicamente) davanti quegli occhi cerulei che avevano un tale effetto su di lui.
Varie persone l'avevano visto prima similmente, ma perché lui aveva scelto ciò. Nella maggioranza dei casi si era pentito.
L'unica che non l'aveva deluso era Rita. Ma come poteva una singola persona rappresentare una qualsivoglia certezza per lui? Chi gli assicurava che il trentino non l'avrebbe ferito come tutti quei svariati altri?
Eppure Bruno sfidava le sue personali credenze e convinzioni. E in alcuni casi le distruggeva.
Era un riparo, per lui. Se aveva bisogno, lui c'era. Era pronto ad accoglierlo e ad aiutarlo. Senza esitazione si complimentava con lui e gli ripeteva quanto fosse importante per lui.
Non sapeva neppure se meritava quelle dolci parole, ma ogni volta gli scaldavano il petto e lo scuotevano nelle ossa. Ma solo se era lui a dirgliele. Se venivano dagli altri, semplicemente avevano una più bassa potenza.
Neppure le dolci parole del trentino, però, potevano davvero tenere a bada la sua enorme insicurezza in se stesso, il disgusto che provava per la propria persona.
Per questo piangeva. Per odio nei propri confronti e frustrazione per impotenza. E si sentiva ancora più debole di quel che si reputava a piangere sul letto del biondo come un bambino spaventato.
Bruno non conosceva per quanto fosse rimasto incosciente, ma quando si svegliò sapeva che aveva ancora mal di testa (anche se in maniera molto più leggera di prima) e tutto il corpo era troppo pesante.
Sbatté più volte le palpebre, cercando di fare mente locale.
Fu distratto dall'udire dei singhiozzi poco lontani da lui. Tentò di spalancare gli occhi, confuso e preoccupato. Provò pure a dire qualcosa, ma la gola secca e la confusione tipica da appena svegliato non gli permettevano una buona padronanza della voce.
In fretta gli occhi si abituarono alla luce e poté mettere a fuoco la scena davanti a sé.
Quasi quasi, avrebbe preferito non vedere cosa stava accadendo.
Roberto stava piangendo e singhiozzando accanto a lui, tentando di nascondere il misfatto e di fermarsi, ma senza nessun successo. Osservarlo in quelle condizione fu uguale a ricevere un pugno nello stomaco. Nonostante il mal di testa e la spossatezza, non accettava di rimanere ad osservare, inerme.
Si mise seduto come poté e allungò una mano verso il piemontese, sfiorandogli un braccio.
<Roberto...> sussurrò con voce rauca Bruno, provando invano ad aggrapparsi con le dita al braccio dell'altro.
Ma quel debole richiamo bastò al piemontese per girare di scatto la testa e fissare il biondo, il volto dipinto della medesima paura di chi viene colto con le mani nel sacco.
<Bruno...! Ti sei svegliato, finalmente.> si rallegrò il castano, tentando di scacciare in un istante le lacrime e tirando un po' su col naso. E nonostante ciò, il sorriso che gli riservava era sincero, anche se smorzato da imbarazzo e pianto.
<Perché stai piangendo?> chiese il trentino, provando a mettersi seduto meglio ma gemendo dal dolore, finendo più disteso di prima.
<Pensa prima a te che a me, almeno questa buona volta!> lo rimproverò il castano, anche se il suo tono era tutta preoccupazione e zero rabbia.
Si mise in ginocchio sul letto, davanti il biondo, tenendo le gambe divaricate per maggiore sostegno e comodità. Prese il trentino da sotto le ascelle e lo sollevò con cura in una posizione seduta, stringendolo a sé mentre metteva più dritto il cuscino.
Bruno suppose sarebbe andato in autocombustione all'istante.
Resistette all'impulso di alzare le deboli braccia e stringersi nella maniera meno penosa possibile al piemontese. Era piacevolmente tiepido e la sicurezza con cui lo stringeva nonostante la debole costituzione era confortante.
A malapena aveva poggiato la testa contro la spalla del più alto che si ritrovò staccato dal suo corpo e seduto contro la testiera del letto, un po' comodo grazie al cuscino.
<Va bene? Il cuscino è troppo basso? Non sei seduto comodamente? É-?> prese a domandare a raffica il piemontese, gli occhi lucidi e rossi presi a guardare il più giovane con attenzione.
Il trentino scosse la testa e lo interruppe: <No, va tutto benissimo, grazie. E ora che ci hai pensato tu a me, dato che io non sono molto bravo a riguardo, mi diresti perché stavi piangendo?>
Roberto si bloccò, mordendosi il labbro inferiore e distogliendo lo sguardo. Si allontanò e si rimise seduto sul letto, con grande dispiacere del più basso. Adorava ammirarlo da vicino.
<Non è nulla di importante. É stato... un momento di debolezza idiota. Non farci caso.> dissimulò il piemontese, non guardandolo in volto.
<Se si piange c'è un motivo, che sia grande o piccolo. E, in ogni caso, non è un crimine essere sensibili.> ribatté Bruno, osservandolo con dispiacere.
Il castano sospirò amaramente e commentò a bassa voce: <Eppure mi hanno sempre detto il contrario. E mi hanno sempre dimostrato che era un crimine.>
<Ne vuoi parlare?> chiese con premura il biondo, allungando di nuovo una mano verso l'altro.
L'ex sabaudo emise un verso frustrato, anche se la voce si ruppe in un singhiozzo e si rifiutò di guardarlo.
<Dovrei essere io a confortare te-! Sei letteralmente svenuto senza forze, abbiamo scoperto di quel pazzo senza umanità e hai detto quelle cose!> ribatté Roberto.
<Facciamo a turno, allora.> suggerì il trentino.
<Ma...> debolmente provò ad opporsi il piemontese.
<Niente ma. Lo intendo davvero. Prima parli tu.> affermò Bruno.
Poi però registrò a livello conscio che era in camera sua, non più in soggiorno.
<Però prima... come ci sono arrivato qua? Mi hai portato tu?> chiese l'ex austriaco, cercando di ricacciare il pensiero di essere stato trasportato da chi amava e neppure ricordarlo!
<Cosa? Io? Non ne avrei avuto la forza, probabilmente. Ho fatto vagamente fatica a metterti seduto, figurarsi trasportarti per tre rampe di scale! Ma non perché sei pesante o altro, sono io debole! Ti ha portato Rita, ma io mi ero proposto di farti trasportare qua e di tenerti d'occhio.> spiegò il piemontese, affrettato come suo solito, spaventato di fare una gaffe.
Bruno trattenne un sorriso davanti quella sua solita impacciataggine che trovava estremamente carina. Inoltre, si sentì sollevato dal non essersi perso nulla di unico nel suo genere.
<Non me la sono presa. Non sono esattamente una piuma.> rispose pacato il trentino.
<Fra i due sono io più la piuma, nonostante l'altezza... E ignorando i commenti di Michele, Marie e Rita.> commentò il castano, mordicchiandosi il labbro inferiore.
<Quali commenti?> domandò il più basso, aspettando prima di prendersela a priori con i tre citati.
Roberto abbassò il volto e borbottò: <È imbarazzante-.>
<Così tanto?> indagò il biondo.
L'ex sabaudo fece con la mano "mezzo e mezzo".
<Beh, siediti qua, dimmi che ti hanno detto e poi mi racconti perché stavi così male, ok?> lo spronò Bruno, picchiettando lo spazio accanto a sé sul letto.
Il piemontese guardò il posto con un po' di perplessità, per poi muoversi e sedersi accanto al trentino.
Questi udì il cuore battere forte nelle orecchie alla nuova posizione: erano premuti di lato l'un con l'altro. Se avesse voluto, avrebbe potuto sporgere leggermente una mano e intrecciarla con quella del più alto.
<É un commento idiota, davvero... Stavo dando ragione a Rita e avevo detto che mi sarei dovuto mettere in riga se avessi voluto farmi dei muscoli. Giuseppe intervenne e commentò la mia incapacità di ingrassare anche se mangio molte cose poche salutari... e su questo gli do ragione, anche se non c'entro nulla. Poi Michele, non so perché e non so neanche se lo pensi davvero, aveva ribattuto, ecco...> si interruppe Roberto, arrossendo leggermente sulle guance.
<É Michele, non mi aspetto nulla di arguto. Parla pure, non credo mi scandalizzerò.> lo incitò Bruno.
<Ecco... ha detto... che non é che io non ingrassassi... semplicemente va tutto in un'altra zona. Mi ha dato del "culone", parola sua.> praticamente farfugliò il piemontese, ma il biondo intuì le sue parole e spalancò gli occhi.
Anche altra gente fissava il culo di Roberto?! Lui ne aveva il diritto (e soprattutto lo faceva rispettosamente), comunque provava un'attrazione sia a livello sentimentale che fisico... Gli altri che scuse avevano?!
<Poi Marie ha affermato che avessi un bel sedere e come le piacesse questa mia caratteristica... almeno l'ha detto in francese, vagamente meno imbarazzante. Ma anche Rita, sulle scale, si é mostrata dalla parte di quei due e ha detto che le mie vecchie divise erano strette apposta per farlo vedere bene-!> raccontò il castano, ancora rosso sulle guance, un po' blaterando.
"Sì, è indubbiamente una parte molto bella. E ora sono curioso di vederlo con addosso una di queste fantomatiche divise." asserì mentalmente il trentino.
<Quindi, sì, una cosa infinitamente stupida... Io non ho un sedere grosso!> concluse Roberto, ancora imbarazzato.
"Non é che é esageratamente grosso... ma è bello tondo, quindi pare molto grosso. E sembra pure estremamente morbido. Ma meglio non lo dica." commentò il biondo.
<Non ho voce in capitolo, ma ti consiglierei di non darci peso.> rispose il trentino.
<Sì sì, ma mi sono sentito in imbarazzo.> notò il piemontese.
<Non è difficile immaginare un perché. Ma ora basta girare attorno al problema, voglio sapere. Perché stavi piangendo?> domandò Bruno, cambiando il discorso.
Roberto si ammutolì, stringendo le mani a pugno. Sospirò e rispose, a bassa voce: <Ho pianto... dalla frustrazione. Tu stavi male, così tanto male, e io non ne sapevo nulla. E anche ora che so, non so se materialmente ti posso aiutare...! Mi sono sentito investito dai miei sentimenti. E... la mia non autostima è venuta a dare il colpo di grazia.>
Ecco, di questo parlava quando davanti l'altro si sentiva privato di tutto. Non riusciva a nascondergli le proprie emozioni e quello che di sgradevole nascondeva con cura nelle profondità di sé. Poteva solamente confessarsi. E da un lato era difficile, pesante e complicato... ma dall'altro era così facile e liberatorio. Si sentiva compreso.
<Non ti devi sentire in colpa, non c'entri nulla. Io ho nascosto tutto e non è una novità per me fare questo, lo sai. Ho avuto secoli per allenarmi. Inoltre, mi basta il tuo supporto. Il resto posso farlo solo io. Ma con te... potrei sopportarlo meglio. Siamo... migliori amici, no?> illustrò Bruno, un sapore amaro in bocca all'ultima frase.
Quanto poteva fare male dire quelle due paroline?
Anche il piemontese ebbe una reazione simile.
Già, ascoltare quelle parole dette dall'altro erano ben più fastidiose che dirle da sé.
<Sì, migliori amici.> asserì il castano, impedendosi di storcere il naso. Perché suonavano così male? Era la verità! Constatare l'ovvio dovrebbe essere semplice e suonare bene!
<E, in ogni caso, un giorno di questi tu dovrai farmi parlare con la tua autostima, le devo fare un discorsetto.> commentò il trentino, con tono un poco scherzoso.
Roberto ridacchiò piano, per qualche breve istante soltanto, ma per il biondo significò molto di più.
Constatare fosse felice lo rendeva allegro a sua volta. E il pianeta diventava un posto meno brutto e sbagliato.
<Dubito si possa ragionare con la mia non-autostima... è molto testarda.> asserì poi il piemontese, socchiudendo gli occhi.
Bruno fermò a metà il gesto di prendergli la mano e stringerla per dargli conforto.
Solitamente ripudiava il contatto fisico, solo con chi si trovava a suo agio riusciva a sopportarne il tocco. Il castano era differente storia: ricercava il suo tocco, lo desiderava perennemente. Avrebbe potuto stringerlo per una vita e mezzo senza stancarsi.
<Anche io sono testardo. Anzi, probabilmente potrei definirmi pure tenace. Non mollo riguardo qualcosa se ci tengo davvero.> asserì il biondo.
Il castano soppesò la propria domanda. Era delicata, ma gli frullava in testa con sempre più insistenza. Necessitava sapere.
<É perché sei tenace che non hai mai voluto... ucciderti, nonostante il tormento di Hans?> domandò a bassa voce il più alto, pentendosene subito dopo. Il trentino era diventato decisamente rigido e aveva spalancato gli occhi.
Quasi l'aveva dimenticato di aver detto quelle parole, nel dolore e stanchezza.
<Più o meno, sì. Non gliela volevo dar vinta. Tutt'ora non voglio. Non permetterò la secessione del Sud Tirolo.> rispose il più giovane, stringendo le mani a pugno, la voce fredda.
<Anche se stai male? Anche se peggiorassi?> chiese il piemontese, preoccupato.
<Sì e sì. Non mi interessa. Sono miei territori. Li sento. Percepisco i desideri dei secessionisti, ma anche i desideri di quei sudtirolesi a cui non interessa annettersi di nuovo all'Austria.> affermò il biondo, voltandosi a guardare negli occhi l'altro. Era irremovibile a riguardo. Erano i suoi territori. Non li avrebbe abbandonati senza prima sputarci tutto il sangue che aveva in corpo.
Roberto lo fissò per lunghi secondi, notando la determinazione dell'altro.
Questo lo spaventava. Non voleva vederlo stare più male di ora o, perfino... rimetterci. Nelle ribellioni i territori venivano sconquassati. E alcune volte si distruggeva tutto quello che c'era stato prima.
Non poté immaginare di stare in un mondo in cui il biondo non c'era più. Avrebbe perso molti dei colori che possedeva.
Preferì non pensarci, per quanto dolore gli causava. La possibilità c'era, era quello a mettergli più paura. Eppure non poteva costringerlo a fare come voleva lui. Erano i suoi territori e le sue battaglie. Però gli poteva far capire come stava lui.
<Posso immaginare, anche a me è capitato di dovermi destreggiare con sentimenti contrastanti per via dei cittadini... anche se mai ho avuto a che fare con dei secessionisti così. Non ho idea di come sia. Ma, per favore... gli umani hanno abilità innate per stravolgere le cartine. Hanno il potere di crearci e distruggerci. E io... non potrei sopportare se...> spiegò il piemontese, indugiando sulle proprie parole. Non riusciva a dirlo. Ma l'altro intuì le sue parole non dette, dalla sua espressione.
<Non accadrà.> decretò Bruno, prendendogli le mani e stringendole nelle proprie come potè. Lui aveva bisogno di conforto e se non avesse voluto il contatto avrebbe sempre potuto ritirare le mani.
<Non permetterò che qualche cittadino poco normale e quel cretino incorporeo che ho nella testa l'abbiano vinta. Io non cederò i miei territori.> asserì il trentino, lo sguardo ceruleo incatenato con serietà in quello castano dell'altro.
L'uno vide la determinazione e l'altro il timore negli occhi di chi avevano di fronte.
<Solo... ti prego...> lo supplicò il piemontese, gli occhi di nuovo lucidi. Sussurrò, a malapena più forte di un respiro: <Non voglio perderti... Ti voglio troppo bene.>
Era la verità.
Ad un certo punto, il biondo aveva acquistato sempre più importanza nel suo cuore e ora era una parte della sua vita. Non voleva perderlo. Non ne sarebbe uscito bene.
(Eppure quelle quattro parole ancora non suonavano bene)
Il trentino pensò che sarebbe potuto morire in quel preciso istante e gli sarebbe andato fottutamente bene. Quelle parole erano più di quanto avrebbe mai potuto sperare. Forse il castano non lo amava come lui desiderava (anche se dentro di lui quella speranza non era morta), ma gli voleva bene dal profondo del suo cuore e non poteva sperare in niente di meglio.
<E non mi perderai. Resterò qua, tutto d'un pezzo.> promise Bruno, serio.
Il più alto si sentì vagamente più sollevato, ma il cuore non la smetteva di battere così forte nel petto e voleva solo sentirsi sicuro delle parole altrui e-...
Roberto d'impulso tolse le mani dal tocco di quelle dell'altro per abbracciarlo forte. Lo strinse contro il proprio petto, nella miglior presa ferrea che le sue braccia gli permettessero, appoggiando il volto fra i capelli dell'altro, mentre veniva scosso da piccoli singhiozzi.
<Questa è una promessa, vero?> chiese a bassa voce il piemontese, il volto nascosto fra i capelli del biondo, il cui vago profumo aveva un risvolto calmante (almeno in parte) sui suoi nervi.
L'ex austriaco andò in tilt a quei gesti inaspettati, il volto che divenne decisamente più caldo, con il cuore che pompava sangue in tutto il corpo con decisamente più forza e vigore. Timidamente cinse il petto del più alto con le proprie braccia e affondò la faccia nel suo petto.
<Certamente.> rispose il più basso.
Sorrise come un idiota innamorato all'udire il cuore dell'altro battere poco lontano da sé, la velocità con cui il petto si alzava e abbassa che diminuiva.
Gli accarezzò piano la schiena, stringendolo di più di prima (e fu così semplice, così istintivo), spaventandosi leggermente al constatare quanto poco ci volesse a circondare il petto del più alto.
"Pare così fragile... basterebbe poco per ferirlo. E chissà quante volte lo avranno fatto." pensò il biondo, prima con dispiacere e poi con rabbia. Strinse a pugno la mano non impegnata con le carezze dal nervosismo. Chissà quante ferite nascondeva sotto i vestiti e qualche piccola magia che tutti loro sapevano fare.
"Un po' come una bambola di pezza usata, non credi? Non è assolutamente forte, lo hanno già usato, da quel che ti ha detto, e ci giochi fin quando ti serve." notò Hans.
"Ah, eccoti tornato. E io che speravo fossi sparito per sempre o che gli altri ti avessero ucciso." commentò il trentino, il volto che si tramutava nella rabbia.
Perché in quei piccoli momenti di intimità non poteva essere lasciato in pace?!
"No, sono tornato qua pochi istanti dopo tu sei svenuto. Sai, prendevo la tua energia ma da incosciente non è che avessi molta energia da rubarti." rispose tranquillamente il secessionista.
"Sparisci, tornatene nel tuo angolino. Lasciami godere questo momento." impose il biondo, respirando lentamente contro il petto dell'altro, sorridendo leggermente al sentire il solito profumo che il più alto indossava.
L'idea di poi ritrovarselo addosso e poterlo odorare anche sui propri vestiti era decisamente allettante.
Acqua di colonia, un profumo classico, ma intramontabile. Gli piaceva come profumo addosso al castano, si sposava bene con il suo odore naturale, ovviamente più delicato e semplice.
"Oh, straaano che vuoi essere lasciato solo con questo idiota che vorresti così tanto fosse tuo." lo schernì l'altoatesino.
"Ammutolisciti. Non è un idiota, tutt'altro. E non vorrei fosse mio, come lo intendi tu." ribatté il trentino, imbronciandosi contro il petto del più alto.
Il sud tirolese rise nella sua testa e chiese: "Oh, andiamo, non dire cazzate ora! Non vorresti fosse la tua bambola e non quella degli altri? Non desideri giocarci tu e tenerla per te? Non sogni che sia al tuo volere?"
Bruno rabbrividì e ribatté: "No! Quello non è amore, è possessione! Lui non è una bambola, è qualcuno a 360 gradi, con sue paure, passioni, emozioni, ricordi e tutto quello che vi è nel pacchetto. Io lo amo e voglio passare più tempo possibile con lui, felici, insieme. Non voglio possedere, voglio condividere."
"Ow, mi verrà il voltastomaco a sentire certe smancerie!" si lamentò Hans "E non mentire. Lo vuoi per te."
"Desidero che mi ami come io amo lui, ma non vuol dire che lo costringerei. Non potrei mai." affermò la regione fra i due.
Ma l'altoatesino non ebbe la possibilità di ribattere a quelle parole perché il trentino fu riportato alla realtà dal piemontese. Questi, infatti, si allontanò dall'abbraccio quel che bastava per guardare il più basso in faccia.
L'ex sabaudo, le guance rosse dall'imbarazzo, gli occhi ancora lucidi e un timido sorriso in volto (grazioso), sussurrò: <Scusa, ho agito d'impulso. Probabilmente questo abbraccio non lo volevi. Di solito non li voglio neppure io. Ma te sei un'eccezione insieme poche altre.>
Anche il trentino fu costretto a sciogliere un po' l'abbraccio, le mani pericolosamente vicine alla zona lombare della schiena altrui, i loro corpi ancora estremamente vicini. E i suoi occhi non smettevano di osservare la figura dell'altro: per abbracciarlo meglio si era seduto su un fianco, le gambe leggermente piegate, la sua figura evidenziata.
Riuscì a disincantarsi il necessario per rispondere con: <Non mi ha dato fastidio. Mi piacciono i tuoi abbracci.> per ritrovarsi con il volto bollente.
Roberto arrossì al commento e i due si fissarono per lunghi secondi. Non erano così distanti, neanche una spanna li separava.
Il trentino lanciò un'occhiata alle labbra del piemontese.
Quanto poteva diventare forte l'impulso di baciare qualcuno?
<Ne sono contento.> sussurrò in risposta il più alto, sorridendo, involontariamente (o forse no?) avvicinando il suo volto a quello del più giovane.
Sarebbe bastato così poco, piccoli ed effimeri centimetri per...
Qualcuno bussò alla porta.
I due si staccarono rapidamente dall'intimo contatto, entrambi i loro cuori che battevano come forsennati.
Roberto si alzò velocemente dal letto, dirigendosi verso la porta.
Cosa era successo? Per una manciata di secondi, nulla aveva avuto più importanza. Tabula rasa. Esisteva solo uno: Bruno. E solo un pensiero gli era passato per la testa: avvicinarlo a sé il più possibile, creare di nuovo un contatto.
No, bugia. Questo era in generale. In particolare... non aveva capito cosa volesse da se stesso. Riconosceva solamente fosse stato un enorme impulso a malapena trattenuto.
Bruno, invece, era ricolmo di rabbia e sollievo insieme.
Lo stava per baciare, dannazione, c'era andato così vicino e il momento era così fottutamente perfetto! Avrebbe potuto sporgersi, unire le loro labbra e tenerlo a sé con le mani sui suoi fianchi. Quanto avrebbe voluto stringerlo e baciarlo ancora e ancora.
Per fortuna che si era trattenuto!
Non sapeva come avrebbe potuto reagire Roberto. Lo scenario più probabile era quello in cui lui lo allontanava, lo guardava con sguardo confuso e ferito e infine fuggiva, terrorizzato da lui.
Il piemontese aprì in parte la porta.
Davanti ai suoi occhi trovò Anna.
<Oh, ciao.> salutò il più alto.
<Ciao, Bruno come sta? Non si è ancora svegliato?> domandò la romagnola, preoccupata, con voce chiara.
<Mi sono svegliato da poco.> rispose il diretto interessato da seduto sul letto, ancora totalmente in subbuglio.
<Oh, meno male. Come stai?> chiese la ragazza, superando il più alto e andando dall'amico. Il piemontese la lasciò passare, il volto impassibile, anche se dentro qualcosa bruciava.
<Un po' di mal di testa e spossatezza. Niente di eccessivo.> spiegò il trentino.
<Sarebbe stato meglio sentirti dire che eri sano come un pesce, ma suppongo non si possa avere tutto dalla vita.> commentò Anna.
<Sicuramente non dalla mia.> ironizzò il biondo, giocando con le lenzuola.
<Oh, non dire così. E scusa la domanda non proprio piacevole, ma quello lì si è già fatto sentire o no?> domandò la romagnola.
L'ex austriaco soppesò se dire la verità. Non voleva dirlo, era ancora difficile parlare a riguardo, nonostante il suo segreto fosse stato sbandierato.
E c'era anche il piemontese: non poteva farlo sentire più impotente, sarebbe diventato più triste. Ma, mentendo, sicuramente l'avrebbe ferito di nuovo, perché la verità arrivava a galla.
Che scelta di merda.
<Si è già fatto sentire.> ammise Bruno, continuando a giocare con le coperte.
<Quando?> intervenne Roberto e il più basso non ebbe le forze di alzare la testa e osservare l'espressione di sconforto altrui, visibile solo attraverso gli occhi.
<Poco fa... Ha fatto commenti poco piacevoli su di me... e anche te. Ho preferito dirgli di stare zitto e ignorarlo.> rispose il trentino.
<Che stronzo, sempre pronto ad insultare.> commentò Anna con sincerità.
<Da colui che ha avuto a che farci tutto questo tempo... assolutamente. É un miracolo se risulta vagamente meno fastidioso del normale ogni morte di papa.> puntualizzò il biondo.
<Mh-h, mi dispiace tu abbia sopportato tutto questo da solo. Ma ora lo sappiamo anche noi e possiamo lavorarci insieme. Quindi, lo so che ti costa molto ma... te la senti di tornare in soggiorno e provare a discuterne?> chiese la romagnola.
"Dubito di avere molta scelta." pensò l'ex austriaco, che annuì.
<Sicuro? Sei ancora stanco.> notò il piemontese, osservandolo con premura come quando si era appena svegliato. Il suo sguardo gli pizzicava piacevolmente la pelle su dove si posava, anche se non c'era nessun desiderio. Era solo gentilezza. Ma gli bastava. Si accontentava in molti campi.
<Tranquillo, a reggere un confronto ce la posso fare.> assicurò Bruno.
<Mh, ok. Io comunque ti do qualche biscotto quando siamo in soggiorno. Un po' di zuccheri in più a te sicuramente non fanno male.> ribatté Roberto.
<Va bene, va bene.> accettò il trentino, felice internamente. Provò ad alzarsi, ma le gambe instabili tremarono come gelatina. Anna fu subito al suo fianco, mettendosi un suo braccio attorno alle spalle e circondandogli i fianchi con un proprio braccio.
<Non c'è bisogno di questo, Anna.> si lamentò il biondo, mentre la romagnola, così vicini e stretti, dirigeva entrambi verso la porta della camera.
<Eppure parevi in procinto di cadere in un secondo o due.> notò la ragazza, uscendo dalla stanza e andando verso le scale.
Il castano era al loro seguito, lo sguardo decisamente freddo che osservava la coppietta scendere piano per le scale. Perché gli dava così fastidio? Erano grandi amici e lei lo stava aiutando. Come mai gli faceva ribollire il sangue nelle arterie vederli così stretti l'un all'altro?
Con calma arrivarono in soggiorno, dove Anna fece sedere Bruno sul divano, mentre scriveva sul gruppo di casa che il biondo si era ripreso e che potevano venire lì per discutere sul da farsi. Intanto Roberto andò in cucina e prese il pacchetto di Gocciole già a metà, pescando due biscotti ancora interi.
<Dai, non ci credo che hai già fame.> commentò Rosa, impegnata a scegliere che bevanda prendere dal frigorifero.
<Non sono per me. E leggi i messaggi sul gruppo prima di domani, molte grazie.> ribatté con freddezza il piemontese, tornandosene in soggiorno con i due biscotti.
La ligure lo guardò per qualche istante, stupita dal tono altrui.
"Ci penserò dopo un po' di Fanta." si disse, prendendo la bottiglia.
L'ex sabaudo percepì il fastidio bruciargli sotto pelle: perché gli era così insopportabile quella scena che non smetteva di avere impressa nella retina degli occhi?!
Alzò lo sguardo, scandagliando la stanza. Appena posò lo sguardo sul trentino, seduto su un divano, il gomito appoggiato al bracciolo e la testa sorretta da quel braccio, gli occhi chiusi e il volto rilassato... tutta la rabbia svanì in un istante.
Si avvicinò e gli scosse una spalla con delicatezza. Le palpebre si alzarono e un paio di iridi blu, annebbiate dalla stanchezza, lo osservarono.
<Ti ho portato i primi due biscotti che ho avuto sotto mano. Spero ti diano un po' di energia.> disse Roberto, allungando la mano contenente il cibo.
Il biondo prese i due biscotti, borbottando un ringraziamento, sfregandosi un occhio con la mano non più impegnata a sorreggergli la testa, dritto con la schiena.
Sgranocchiò un biscotto ad occhi socchiusi abbastanza in fretta e il secondo subì la medesima fine del primo.
<Ne vuoi altri?> chiese il piemontese.
<No, no, tranquillo. Sto meglio.> rispose il trentino, il tono calmo.
<Sicuro?> indagò il più alto.
<Sicuro. E siediti, su, non restare in piedi.> lo esortò il più giovane, picchiettando il posto vicino a sé. L'ex sabaudo accettò di buon grado l'offerta e si sedette accanto a lui.
In soggiorno arrivò Rosa, scrocchiando le dita, commentando: <Eccomi qua, contento, scontroso?>
<Non ero scontroso.> si difese il piemontese, mentre altri arrivavano.
In fretta la stanza si riempì e tutte le regioni erano all'appello.
<Ora che ci siamo tutti con testa e corpo, cosa facciamo?> iniziò Carlo, osservando le altre regioni.
<Beh, prima sarebbe meglio sapere se quello là si è fatto già sentire o se è rimasto muto.> notò Carmela, osservando il trentino.
<Si è già fatto sentire, per poco, prima. Ora, boh, non so, sarà nel suo angolino.> rispose Bruno.
<Sarebbe opportuno farlo apparire, anche se preferibilmente non in quella forma di prima. Lui è il problema e serve sia presente.> commentò Angela.
<Mica può apparire negli specchi?> domandò Maurizio.
<Sì. Ed è passato attraverso uno specchio abbastanza grande, quelli nei bagni sono fatti per vedersi fino a metà busto. Forse per uno specchio più piccolo non passerà?> suppose Francesca.
<Potrebbe sinceramente darsi. Molto spesso gli spiriti, per entrare in questo mondo, hanno bisogno di un portale di certe dimensioni. Farebbe al caso nostro uno specchio piccolo, uno di quelli in cui a malapena ti vedi bene in volto.> convenne Vincenzo.
<Ne ho uno in camera mia così. Vado e torno.> asserì Giovanna, alzandosi e salendo le scale.
<Non è così semplice. Si presenta nel mio riflesso quando vuole lui. E non credo abbia molta voglia di collaborare.> commentò Bruno.
<Non c'è nessun modo per stanarlo, tipo? Costringerlo in qualche modo a comunicare con te?> chiese Domenico.
Il trentino rifletté qualche istante, per ammettere: <Personalmente, ho qualche trucchetto per infastidirlo. Non so se saranno abbastanza per costringerlo a farsi vedere, però è pur sempre valido un tentativo.>
<Eccomi!> si annunciò la siciliana, porgendo al biondo uno specchietto di plastica a due facce, glitterato dappertutto.
<Fammi indovinare, 5€ alle bancarelle?> ironizzò Giuseppe.
Giovanna si trattenne dal dargli un coppino e commentò: <L'importante è che funzioni.>
Bruno fissò il suo riflesso, sperando che il tiro mancino che stava mettendo in atto nella sua testa funzionasse.
Accanto a lui, Roberto lo scrutava, ammirando la sua espressione determinata, lo sguardo distante perché concentrato a vedere o pensare a qualcosa che lui non poteva sapere.
Quando vide del movimento nel riflesso nello specchio si prese un colpo.
Il volto serio e determinato di Bruno fu sostituito da un viso abbastanza simile per tratti, ma contratto nel fastidio più assoluto. I capelli scompigliati lo divennero ancora di più e decisamente di vari toni più chiari, mentre gli occhi blu divennero azzurro ghiaccio e il neo da sotto l'occhio destro si spostò sul mento, verso sinistra.
«Oh, quello è stato un tiro molto basso, Bruno!» Hans rimproverò il trentino, il tono chiaramente seccato, mentre dalla posizione delle spalle si poteva presumibilmente pensare tenesse le braccia incrociate.
<In qualche modo dovevo attirare la tua attenzione.> si difese l'ex austriaco.
<L'importante è che abbia funzionato.> commentò Sofia.
N/A: capitolo bello lungo perché io detto legge e ho deciso così.
Mannaggia ad Anna che rovina momenti cute fra i due idioti involontariamente.
Tanto anche se non fosse intervenuta lei io non li avrei fatti baciare, sono sadica.
Non potevate sperare che al capitolo 8 si baciassero, considerando quanti capitoli ha questa storia.
No, non vi dirò il numero completo.
Ma credo si sia capito sono prolissa, quindi.. preparatevi ad essere esasperati per ancora molto tempo.
E ora alle regioni tocca prendere provvedimenti riguardo un essere incorporeo simpatico quanto un dito in culo.
Che bella mattina, insomma.
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