7. Hans e le sue colpe

N/A: ora che finalmente Hans lo conoscono anche gli altri, posso finalmente farvi vedere un disegnino che ho fatto su di lui, così almeno è più chiaro per tutti come sia:

Non sembra un amore di mamma?
No? Sembra una bestia di Satana?
È giusto così.

E non chiedete perché gli ho fatto l'effetto glitch, mi andava di sperimentare un po'-

Ma ora andiamo al capitolo!

<Inizio io perché così dico io e perché la mia domanda credo sia condivisa da tutti. Chi cazzo sei tu?> indagò Aleksander, puntando il dito contro il biondo platino.

«Ok, nulla di più semplice. Mi chiamo Hans e sono la rappresentazione dell'Alto Adige. O Südtirol, come mi piace di più.» rispose tranquillamente il secessionista.
<Ma Bruno è il rappresentante di tutta la regione, no?> ribatté Roberto, guardando i due biondi, soffermandosi sul suo migliore amico.

«Ora non più! Ora che esisto, posso prendere il controllo della provincia di Bolzano e staccarmi da questo Paese.» asserì Hans.

<Ah, finché sei legato non andrai molto lontano. E non lo permetterò. Il sindaco di Bolzano ogni tanto pare uno stravagante, ma questo non vuol dire ti crederà all'istante.> affermò Bruno, guardando male il sud tirolese.

<E poi, non sei esattamente reale. Sei solo un'anima, senza un corpo. Non puoi andare molto lontano, perché per esistere qui ti stai nutrendo delle energie di qualcuno o qualcos'altro.> aggiunse Angela.

L'altoatesino alzò un sopracciglio nella sua direzione, confuso.
«Come, scusa? Sono qua. Mi vedi e stai parlando con me. Ho attorno una catena, sono seduto su un divano e prima non stavo fluttuando a qualche centimetro da terra.» elencò Hans.

<Non ti sei chiesto perché Bruno avesse due catene e tu solo una? Probabilmente no e non conosci il latino. La mia era una magia per incatenare corpo e spirito. Una catena imprigiona il corpo, l'altra lo spirito.> spiegò l'umbra.

<E il bianco è per intrappolare l'anima e il nero per intrappolare il corpo. Interessante.> commentò Sofia, che aveva notato quel particolare ma era rimasta muta a riguardo.
<Oh, molto. Ma io vorrei capire da dove è sbucato questo qua. Dubito fosse nascosto in qualche cassetto o armadio.> domandò Rosa.

«Ho oltrepassato lo specchio che c'è nel bagno di questo piano, con anche la mia sorpresa. Non mi era mai capitato prima.» rispose l'altoatesino, sincero, ma dicendo meno di quello che era necessario per capire appieno la situazione.

<E tu ti aspetti che noi crediamo ad una stronzata del genere?> chiese retorico Giorgio.
«É la verità.» asserì il secessionista, alzando il mento in un atto di superiorità.

<La faccenda è ben più complicata di così. Hans ha sempre vissuto nella mia testa. Il massimo che poteva fare per rendersi vicino al corporeo era palesarsi attraverso gli specchi, ma c'era sempre una qualche barriera a fermarlo. Questa volta no.> Bruno andò un po' più nel dettaglio.
<La cosa sembra uscita da un film.> commentò Maurizio.

«E invece è tutto vero. Ho vissuto tutto questo tempo nella sua testa, potendo vedere e sentire i suoi pensieri. Inoltre potevo anche osservare quello che succedeva fuori dalla sua testa, dal suo punto di vista. Per questo vi conosco. Filtrati sicuramente dai suoi occhi, ma vi conosco.» aggiunse Hans.

<È... inquietante, in un certo senso. Perennemente presente e noi neppure lo sapevamo.> affermò Domenico, guardando con molto sospetto il biondo platino.
«Beh, non proprio sempre sempre sempre. Ogni tanto mi rifugiavo in un angolino della sua testa e me ne stavo per i fatti miei.» rispose il secessionista, forse in un piccolo atto di gentilezza per rassicurare gli italiani.

<Oh, quelli erano certamente i momenti migliori.> asserì Bruno, cercando di ignorare il mal di testa che gli stava uccidendo le tempie. Quanto avrebbe voluto avere di nuovo fra le mani quella pallina di gommapiuma.
«Almeno ti tenevo compagnia.» si difese il sud tirolese, recitando la parte dell'offeso ancora meglio del solito.

Non sapeva se solo per quel teatrino o se per lo stress che gli scorreva nelle vene o se per il mal di testa o tutti e tre, ma il biondo scattò.
E nel peggiore dei modi.

<Ah, sei proprio una stupenda compagnia! Sentire quasi perennemente insulti rivolti a me o alla gente che ho attorno e a cui tengo, non darmi tregua e privacy neppure nei miei pensieri e sogni, prendendomi in giro per quello che semplicemente sono è proprio una bella compagnia! Hai messo così tanto le radici che nonostante non sia passato neanche un secolo, sembra tu viva dentro la mia testa da oltre un millennio! Per quanto mi fai impazzire non so ancora per quale motivo non ho provato ancora a suicidarmi sperando di eliminarti definitivamente dalla mia testa o avere almeno qualche giorno di pace! Fai il cretino quanto vuoi, ma non dire certe stronzate!> quasi urlò il trentino, fissando l'altoatesino con una rabbia bruciante e a malapena contenuta.

Il secessionista si ritrovò a ringraziare le catene che li imprigionavano, perché era certo che se fossero stati liberi, l'altro biondo gli sarebbe saltato addosso e l'avrebbe soffocato a morte con le sue mani.

Un silenzio pesante calò nella stanza alle parole dell'ex austriaco. Si sarebbe dovuti essere totalmente sprovveduti per non percepire la frustrazione e l'onestà nelle sue parole.
Inoltre, gli occhi lucidi, il petto che si alzava e abbassava velocemente e le guance rosse dalla rabbia erano un altro indicativo di quanto quelle parole fossero state covate e rigettate con violenza arrivato al punto di rottura.

Roberto strinse una mano a pugno contro il ginocchio, il petto compresso in un'orribile morsa e le budella che si attorcigliavano.
Come se il dolore dell'altro potesse essere anche suo.
Più il trentino parlava, più qualcosa dentro di sé lo mangiava e lo trascinava in basso, verso il centro della Terra. Bruno aveva sofferto per chissà quanto tempo in silenzio, venendo continuamente insultato da qualcuno che neppure poteva allontanare perché viveva dentro di lui come un parassita.

E osservarlo così vulnerabile, incurante di mostrarsi così davanti a tutti gli altri, sull'orlo di crollare totalmente... era la peggiore stilettata che potesse ricevere al cuore.
Era quasi sull'orlo del pianto pure lui.

Quanto avrebbe voluto fare come una parte di lui lo spronava: alzarsi, buttare a terra quell'Hans lì, dargli qualche bel calcio nei punti più dolorosi come temporanea vendetta, poi abbracciare Bruno più forte che potesse e non lasciarlo andare fino a che non si fosse sfogato.
In quel momento era disposto a fare molte cose, alcune abbastanza amorali, pur di rivedere la solita, calma e imperturbabile espressione del trentino. O perfino ammirare quel piccolo sorriso che ogni tanto riusciva a strappargli.

Ovviamente, non poteva fare nulla di tutto ciò, non avrebbe mai assecondato quella parte di sé. Ma tutto se stesso era d'accordo su un fatto: non voleva mai più vedere il biondo soffrire in quel modo.

Intanto, il silenzio si perpetrava.

Hans osservava il trentino con sincero stupore: non pensava davvero di essere riuscito a distruggerlo così nel profondo. O, comunque, era sorpreso di averlo portato così sul punto di rottura da avergli fatto urlare quelle parole davanti a tutti i Vargas.

Bruno, d'altro canto, si sentiva svuotato. Aveva vomitato in parole quel dolore e quella rabbia che non riusciva più a contenere. Era stato sincero in ogni singola parola.
Aveva davvero pensato al suicidio, ben più di una volta. Ma si era tirato indietro ogni volta. Non sarebbe potuto passare inosservato. E non avrebbe sopportato lo sguardo addolorato che Roberto gli avrebbe rivolto.

Roberto.

Chissà cosa stava pensando di lui ora. Probabilmente che era solo qualcuno che sapeva nascondere tanti bei segreti come si fa con la polvere sotto il tappeto e un impazzito con desideri suicidi.
E per fortuna che non sapeva dei suoi sentimenti! Sarebbe potuto morire su due piedi se li avesse scoperti. Alla sua descrizione avrebbe potuto aggiungere la parte di "malato e deviato sessuale".

Il silenzio fu finalmente rotto da Franco, che chiese in un sussurro, i grandi occhi spalancati nel terrore ed empatia insieme: <Da quanto... va avanti così? Da quanto vive nella tua mente?>

Bruno voltò la testa verso di lui e lo osservò senza davvero guardarlo, perso nei suoi pensieri, per poi rispondere: <Ecco... Il Befreiungsausschuss Südtirol o BAS, letteralmente "Comitato per la liberazione del Sudtirolo", fu fondato nel 1956 e per un po' ha creato vari scompigli... Lui credo sia arrivato fra gli anni '60 e '70, quando il BAS è diventato inattivo. Il desiderio di secessione c'era ancora, anche se forse condotto da meno gente con trascorsi nazisti.>

<Si è sempre comportato così? Fin da quel periodo? Insultando te e a chi tenevi?> domandò Michele.
Il trentino annuì, aggiungendo: <Soprattutto all'inizio è stato orribile. Poi mi sono abituato, più o meno. Ci abituiamo a molte cose spiacevoli nel corso della nostra vita, no?>

<Perché non ce ne hai mai parlato? Tu sei più giovane e con meno esperienza con la magia, ma forse io e qualcun altro avremmo potuto aiutarti. Non credo sia troppo diverso dallo scacciare uno spirito maligno. Anche se solo temporaneamente.> indagò Vincenzo.

Il trentino emise una breve risata amara e lo fissò con una freddezza da mettere i brividi: <Mi avreste mai creduto se ve l'avessi raccontato senza darvi prove?>
La testa continuava a dolore da matti e quasi gli risultava faticoso rimanere dritto con la schiena (e, forse, stare in generale seduto. Voleva stendersi e dormire per sempre).

<Sinceramente? No.> rispose Carlo per tutti, o almeno pensava.

<In realtà... forse io sì. Non è la prima volta che mi sarebbe capitato di assistere ad una cosa del genere. Anche se è accaduto tanti secoli fa la prima e ultima volta di cui ho avuto prova di qualcosa simile.> intervenne Rita.
<Hai ragione, ora che mi ci fai pensare. Anche se in quel caso non è che venne nascosto per troppo tempo.> commentò Francesca, ricordando.

<Esatto, anche se quel caso riguardava un territorio molto esteso. Stiamo parlando di Romulus, dopo tutto.> si aggiunse Giovanna.
<Anche Impero Romano ha avuto a che fare con una sorta di gemello che viveva nella sua mente, che lo tormentava su base giornaliera o quasi e che voleva diventare qualcuno a se stante?> domandò Bruno, sorpreso.

<Sì. Impero Romano d'Oriente. Era una sua brutta copia e più arrogante, se possibile.> commentò la toscana, storcendo il naso.
<Ma Maximum Claudius, se non ricordo male il suo nome, quasi fin da subito aveva iniziato ad apparire fuori dal corpo di Romulus, almeno, stando a quanto diceva quest'ultimo. E lo stremava, si vedeva chiaro un miglio.> rammentò la siciliana.

<Mi sorprende che tu abbia sopportato una condizione del genere senza farla trasparire. E che solo ora lui sia apparso.> concluse la sarda.
<Non so, resistenza o forza di volontà?> suggerì il trentino, che resistette a malapena dallo sbadigliare e chiudere gli occhi. Perché si sentiva così stanco?

Rosa allora intervenne: <Mi sta frullando una cosa nella testa da troppo tempo e ora ho anche più prove per chiederlo. Angela ha detto prima che quello lì> ed indicò Hans <per essere qua, essendo solo spirito, si sta nutrendo di qualche energia. E voi tre state affermando che questo Impero Romano d'Oriente, apparendo fuori dal corpo di Romulus senza ancora esistere davvero, lo stremava palesemente. Non è che potrebbe star accadendo una simile cosa anche ora con loro due?>

Hans si girò ad osservare Bruno e, vedendo girargli attorno la testa i suoi pensieri riguardo a quanto si sentisse stanco e in procinto di crollare dal sonno, sorrise crudele.

Su un volto così simile a quello del trentino era disturbante vedere un'espressione del genere, pensò Roberto, mentre la probabile verità di Rosa si depositava come un macigno sul suo stomaco.

«A vedere i suoi pensieri, credo sia proprio vero!» ridacchiò l'altoatesino, il ghigno che risaltava lo sguardo maligno che possedeva.
«Dai, su, dammi un po' più della tua energia! Non so come funzioni la magia onestamente, ma con un po' di fortuna e tanta energia potrò avere finalmente il mio corpo ed essere vivo e reale!» il sud tirolese spronò il biondo, avvicinando il volto a quello di quest'ultimo.

<Non hai un minimo di pietà o umanità? Sta soffrendo!> lo incolpò Anna, alzandosi in piedi. Sofia le prese il polso, onde evitare facesse qualche gesto avventato.
«Ti conviene non esagerare, cara Anna, perché altrimenti potrei spiattellare una tua certa confidenza con Bruno~» ridacchiò il secessionista, continuando a fissare la regione accanto a sé.

Bruno sgranò gli occhi per come poté, nonostante la sua visione si stava riempiendo di pallini neri. Lo fissò meglio che riuscì nei suoi occhi azzurro ghiaccio e balbettò: <T-tu no-non...>
«Io vincerò e lo sai pure tu. E forse mi prenderò anche quello che é tuo.» asserì a bassa voce Hans, quasi contro il suo orecchio.

Quella promessa fu l'ultima cosa che il trentino udì prima di perdere totalmente i sensi. Gli occhi si rivoltarono all'indietro, lasciando visibile solo la sclera.
Nella direzione opposta allo schienale del divano, cadde come corpo morto cade.

Subito qualche urlo si levò per la stanza dallo spavento.
Per fortuna Carlo, che era rimasto seduto accanto a lui per sicurezza, ebbe i riflessi pronti e agì all'istante. Si sporse e lo cinse con un braccio appena sotto le costole, frenando la caduta e riportandolo a sedere, appoggiato come peso morto contro lo schienale.

Hans stava ridendo di gusto, osservando con sguardo crudele il trentino svenuto.
Che patetico che era!

<Che razza di mostro sei?!> lo interpellò Michele, puntando il dito contro il biondo platino.
«Un mostro della tua stessa specie.» rispose l'altoatesino con sicurezza, un ghigno sempre in volto.

Però quell'espressione scomparve appena realizzò di star svanendo.
Sgranò gli occhi ma, prima di poter fare un commento a riguardo, sparì, lasciando dietro di sé la catena bianca. Essa, cadde sul divano e, un istante dopo, si volatilizzò nel fumo anch'essa.

<Ora dove minchia è sparito?!> chiese a gran voce Aleksander.
<Dato che si stava nutrendo delle energie di Bruno e lui è svenuto... non è che aveva molto da prendere. Quindi, se prima era nella sua testa, sarà tornato lì.> notò Angela, muovendo le mani e liberando anche Bruno dalle catene.

<Spero solo lo lasci in pace almeno ora.> sussurrò Roberto, osservando il biondo. Il volto era pallido, la pelle quasi diafana e in quel momento risaltavano le leggere occhiaie sotto gli occhi.

Rita, seduta accanto a lui, gli accarezzò con calma la schiena, sperando di dargli un minimo conforto. Il piemontese poggiò la testa sulla spalla dell'antica regione, non propriamente rilassato ma decisamente sentendosi più protetto e sorretto. Era bello avere qualcuna come ella al proprio fianco su cui contare.

Senza smettere di lanciare occhiate a Bruno, fatto stendere sul divano con la testa rivolta dove stava il bracciolo, seguì la discussione che si stava svolgendo.

<Ora che facciamo?> domandò Maurizio.
<Boh.> ammise con onestà Giuseppe, il volto corrucciato mentre si grattava la nuca. Lo faceva spesso quando era perplesso.

<Beh, ora sappiamo che c'è uno spione da vari decenni di cui non sapevamo nulla.> tirò le fila Rosa.
<Non mi sembra giusto incolpare Bruno, però. Non credo sia semplice parlarne... e aveva ragione, almeno la maggioranza di noi senza prove non gli avrebbe mai creduto.> decretò Anna.

"Io gli avrei creduto, nonostante l'assurdità della cosa. Che ragione avrebbe avuto di mentire su una cosa del genere? E non credo sarebbe riuscito ad elaborare una storia così dettagliata da 0." pensò Roberto, controllando ancora una volta con lo sguardo il trentino.

Sembrava star pacificamente dormendo, disteso sul divano, girato su un fianco. Bisogna mettere enfasi sul "sembrava". Aveva nascosto un dolore e una sofferenza enormi per decenni, chi assicurava loro che anche ora non stava soffrendo per via di quell'incorporeo?

Un impulso di andare accanto a lui e accarezzargli con delicatezza il volto, neanche fosse fatto di cristallo, gli attraversò la mente. Ancora una volta, venne spaventato dai propri pensieri, che da un lato lo allettavano e dall'altro lo confondevano.

<E da come quello là si è comportato con lui, adorando vederlo in difficoltà, di sicuro non avrebbe collaborato per mostrarsi negli specchi.> aggiunse Carmela.
<Ok, ora che siamo arrivati a dire che Bruno è innocente perché, ammettiamolo, come situazione era un po' una merda... cosa facciamo?> domandò Francesca.

<Finché non si sveglia non possiamo fare molto.> notò Sofia.
<Ok, fatemi un fischio quando volete riparlarne, io torno fuori.> decretò Giorgio, alzandosi.
<Non hai un minimo di empatia?> borbottò Franco, contrariato dalla nonchalance del settentrionale.

Ma il veneto l'aveva sentito e, guardandolo con superiorità, rispose: <Fasciarsi la testa prima di rompersela è totalmente inutile. Quindi preferisco tornare fuori e raccogliere tutta l'uva oggi che c'è bello e finché lui è addormentato. Sinceramente, spero si riposi. Non credo sia piacevole avere un tale cagacazzo in testa.>

Il friulano si stiracchiò e, annuendo, lo seguì fuori di casa.
<Non ha tutti i torti.> convenne Mario, che però rimase seduto, mentre altri uscivano, concordando con l'ex repubblica marinara.

<Sarebbe meglio portarlo in camera sua, almeno lì c'è meno aria viziata. E ci sarà meno baccano di sicuro che qua.> notò Roberto.
<Ma se si sveglia da solo forse pensa che lo vogliamo isolare-> Maurizio espresse una delle sue pari mentali, ma neanche così assurda.

<Io non ho problemi a stare lì nella stanza finché non si sveglia. Ho fatto irruzione tante di quelle volte in camera sua la mattina che non credo si sorprenderà di vedermi lì.> propose il piemontese.

Alcune occhiate che ricevette lo fecero sentire in soggezione e aggiunse: <Inoltre, sono fermo da un po' su un livello in dei giochi sul telefono. Posso provare a superarli mentre sono lì a tenere un occhio.> aggiunse subito dopo, dicendo una mezza verità.

<Io non ci vedo nulla di male, ma tu non lo porti di sopra. Senza offesa, Savo, ma con queste braccina non mi sembri capace di sollevare e trasportare per tre rampe di scale qualcuno da addormentato.> asserì Rita, ridacchiando senza cattiveria e alzandosi.

<Sì, sì, lo so, dovrei farmi dei muscoli... Dovrei rinunciare ai dolci per seguire una dieta più equilibrata, sperando di mettere su muscolo.> borbottò il piemontese, arrossendo leggermente.

<Non lamentarti mai più del fatto che ti chiamo diabetico, allora!> affermò Rosa.
<Ma quello non c'entra...> ribatté l'ex sabaudo.

<Comunque è un'ingiustizia... sicuramente ti mangi più Nutella di me e non hai la pancia!> si lamentò Giuseppe, mettendo su un broncio infantile. Non sapeva quando, ma il meridionale aveva trovato il tempo di mettersi a testa in giù sul divano, come frequentemente faceva.

<Beh, se ti consola gli finisce tutto dietro. Culone!> ridacchiò Michele a mezza voce. Roberto, arrossendo e ruotando gli occhi insieme, afferrò un cuscino e lo lanciò nella direzione del pugliese.

<Non decido io come reagisce il mio corpo al cibo e... non ho un sedere grande-!> borbottò il piemontese, seguendo Rita che aveva preso fra le braccia Bruno e stava andando verso le scale, fischiettando piano.

<En fait, ils ont raison. C'est l'une des choses que j'aime le plus chez toi!*> affermò Marie, ridacchiando.
L'ex sabaudo divenne rosso per tutto il volto e la richiamò con rimprovero: <Marie!>
La valdostana lo osservò con un mezzo broncio infantile, ma gli occhi la tradivano perchè brillavano divertiti. Chiese retorica: <Depuis quand avoir un beau cul est-il un crime?**>

[N/A: ecco le traduzioni. Sono state fatte con google translate, correggetemi se ci sono errori, grazie
-En fait, ils ont raison. C'est l'une des choses que j'aime le plus chez toi!*= in effetti, hanno ragione. É una delle cose che più amo di te!
-Depuis quand avoir un beau cul est-il un crime?**= Da quando avere un bel culo è un crimine?]

<Io non ci parlo più con te!> decretò drammatico il piemontese salendo le scale velocemente.
In soggiorno Sofia si massaggiava le tempie e borbottava: <Perché devo capire alla perfezione certi discorsi di cui avrei felicemente fatto a meno di sapere?>

Rita ridacchiò divertita, avendo vagamente intuito il significato delle frasi della valdostana, e guardò Roberto accanto a sé avere le guance scarlatte e tenere la maglietta calata, a coprirsi il sedere con essa.

<Non fare così, Savo.> commentò senza cattiveria lei.
<Sei dalla sua parte?> domandò lui.

<Beh, come lei ho gli occhi e li uso per vedere. Inoltre entrambe ti abbiamo visto indossare tante volte, e lei decisamente più di me!, divise e abiti eleganti confezionati su misura per te. E, fattelo dire onestamente, i tuoi sarti sapevano benissimo quel che stavano facendo quando ti facevano quei pantaloni che tu reputavi troppo stretti. Stavano mostrando quel che avevi sul lato B, caro mio!> rispose la sarda, ridendo divertita davanti il volto del suo interlocutore.

<Da quando in qua siete tutti fissati con il mio sedere?!> borbottò il piemontese, chiedendosi mentalmente "Ma davvero ho un sedere così grosso?".
<Non é che siamo fissati, si nota e basta. E tranquillo, lo sai benissimo che io ho solo il mio imbronciato catalano in testa.> notò Rita, raggiungendo la camera di Bruno.

Roberto le aprì la porta e poi la seguì dentro. Intanto la sarda aveva poggiato il trentino sul letto, sopra le coperte. Questi si era rannicchiato leggermente su un fianco. Il suo volto era ancora pallido e le occhiaie erano evidenti sulla pelle così chiara.

<Io vado.> disse la ragazza, dando un buffetto al castano e sorridendogli in modo quasi materno. Lui la fissò confusa, non capendo il gesto. Lei non gli diede alcuna risposta ed uscì dalla stanza, chiudendosi la porta dietro.

Il piemontese sospirò e, prendendo la sedia da ufficio vicina la scrivania, la spostò accanto al letto del biondo e accavallò le gambe, prendendo il telefono per giocare.

Però, dopo due partite di fila a Candy Crush Saga perse clamorosamente, sbuffò piano, mise in stand-by il cellulare e alzò lo sguardo sul trentino. Aveva il volto rivolto nella sua direzione, dandogli così la possibilità di osservarlo alla perfezione.
Il viso ancora appariva serenamente addormentato e in parte il castano ne fu rincuorato. Forse c'era una possibilità che il suo migliore amico si stesse riposando davvero.

<Hai sofferto per tanto tempo da solo... Non te lo meritavi.> sussurrò il piemontese, lo sguardo rattristato. Allungò una mano e gli sfiorò con le nocche e il dorso delle dita la guancia, in un timido tentativo di accarezzarlo.

<Probabilmente anche quando mi confidavo con te e tu con me... lui ti rideva contro e ti diceva chissà quali cattiverie. Eppure non me l'hai mai fatto vedere e in quei momenti eri sempre così confortante...> notò, continuando le carezze e avvicinando di più la sedia al letto.

Ma decretando mentalmente non fosse ancora abbastanza, si alzò dalla sedia e si sedette sul letto, vicino Bruno, riprendendo la timida carezza ed osservandolo.
Il trentino era spossato da tempo a livello mentale e ora anche il fisico ci stava andando di mezzo, riducendolo ad una pallida ombra del sé che Roberto conosceva e a cui teneva.

Il piemontese si sentiva enormemente frustrato da quelle verità che lo avevano investito in quei pochi giorni, quella mattina con più forza che mai. Non aveva mai notato il dolore di Bruno. Non aveva mai saputo della sua vera salute. Anche mentre era distrutto, c'era sempre stato per lui. Aveva provato a nascondere tutto per vergogna di venire giudicato negativamente.

Ma il fatto che gli dava più rabbia e insieme senso di impotenza era che Bruno stava male e lui non poteva fare nulla per scacciare i suoi problemi.
Si sentiva la gola chiusa, le mani tremanti e il corpo scaldarsi immediatamente se ci pensava.

In quel momento ci stava rimuginando su con insistenza.
Una voce dentro di lui, una vecchia e cara nemica, tornò a sussurrare le sue viscose parole, potente come sempre: poteva spingerla indietro quanto poteva, ma sarebbe sempre tornata in superficie per ricordargli chi era.

"Questa è solo l'ennesima prova che ho ragione. Sono solo un peso morto, un idiota sprovveduto, un cieco che rimane chiuso nella sua bolla... e penso pure di poter migliorare. O di essere una brava persona. Che cretino che sono. Chi ho attorno soffre e neanche me ne accorgo. Sono un amico di merda. Non posso neanche aiutarlo, neppure ora che so...!" pensò il piemontese, gli occhi diventati lucidi dalla frustrazione e dal dolore di ricordarsi che in verità era solo quello.

"Se morissi farei un favore a tutti!" asserì Roberto, ritraendo la mano dalla guancia di Bruno, sentendosi indegno di accarezzarlo. Non resistette più e pianse, coprendosi il volto con le mani, vergognandosi della propria debolezza.

Ancora una volta era un fallito troppo debole per fare qualcosa di decente da sé, si disse mentre provava a trattenere i singhiozzi senza molto successo.

N/A: capitolo iniziato con un problema e finito pure peggio.
Perché è così semplice far cadere nello sconforto i personaggi, specialmente uno fragile come Roberto, eheh.

E comunque #Robybuttieisthebest :3

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