55. Chi è la causa dei suoi mali, accusi se stesso
N/A: siamo all'ultimo foglio di google, gentaglia, e qua ho fatto solo 37 fogli, circa 8 per capitolo come nei precedenti.
Vi avverto in anticipo.
E come rompo i coglioni sempre, ricordate di stellinare (anche prima di iniziare il capitolo, sulla fiducia!) e, se vi va, commentare!
Ritornare nel mondo reale fu come interrompere una gara di apnea protratta troppo a lungo. Respirò con lunghe boccate, a fatica, a carponi (quando c'era finito?), il corpo dolorante, specialmente un braccio e le gambe.
Alzò di poco la testa, urla e grida ed esclamazioni che gli perforavano le orecchie, ma non erano sue né ebbero importanza in quel momento.
Roberto.
Eccolo il suo corpo, steso avanti a sé, immobile, circondato da sangue. Tutta la calma posseduta mentre parlava con Hans crollò, la disperazione che subentrò.
<Roberto...> sussurrò con voce tremolante, avvicinandosi ancora di più, le gambe poco cooperanti. Allungò una mano e lo scosse sulla spalla.
Niente. Riprovò. Nessun successo.
Seduto sulle ginocchia, posizione dolorosa ma necessaria, provò a farlo girare e stendere sulla schiena. Alla vista le lacrime ancorate agli angoli degli occhi sfondarono la barriera e lui pianse, singhiozzando a malapena.
La ferita sul petto era grande, vomitevolmente grande, lo sporco la stava già infettando, mentre il sangue ormai era rappreso e macchiava la maglia.
<Roberto...> lo richiamò Bruno con maggiore disperazione, le lacrime cadute che bagnavano il corpo altrui. Lo scuoteva piano, con delicatezza, eppure il volto era il dipinto della sofferenza più pura.
<Roberto, ti prego, Roberto...> sussurrò, chinandosi su di lui, come a volerlo proteggere dal resto del mondo <Non puoi lasciarmi qui solo, non è giusto.>
Lo abbracciò forte. Era mortalmente freddo nonostante il caldo e appiccicoso sangue sul suo petto. Rafforzò ancora di più la presa, nel vano tentativo di dargli calore, di ridargli quella vita che non vedeva più. Avrebbe fatto tutte le cose stupide al mondo esistenti pur di riaverlo con sé.
Lo osservò attraverso lo sguardo sfuocato dalle lacrime. Gli occhi erano nascosti dietro le palpebre, le guance erano incredibilmente pallide, come le labbra, ancora macchiate di sangue scuro, come il mento.
La vista divenne ancora più imprecisa. Si chinò, gli lasciò un casto bacio sulla fronte e singhiozzò contro quella piccola superficie coperta da qualche ricciolo.
<Non è giusto, perché?> balbettò a bassa voce, senza lasciarlo andare, il dolore che minacciava di trascinarlo nelle sue profondità, lontano da tutto.
Perché fra tutti, proprio lui?
Perché i migliori dovevano essere strappati ingiustamente a quel mondo?
<Non te ne puoi andare Roberto, non puoi... ti devo chiedere scusa per tutto quello che ti ho fatto. Dobbiamo andare insieme a Torino e tu mi devi fare da guida. Dobbiamo andare insieme a Trento e Bolzano e goderci un po' di pace, devo farti vedere i mercatini di Natale e dobbiamo passare insieme una giornata in una terme. Dobbiamo ancora sconfiggere la tua filofobia. Dobbiamo ancora imparare ad amarci.> farfugliò frenetico il trentino, le lacrime amare che gli bagnavano le guance. Non percepiva alcunché, eccetto il corpo senza vita dell'amato.
Singhiozzò come un disperato e aggiunse, in modo a malapena udibile perfino a se stesso: <Ti amo, senza di te non posso vivere.>
Baciò ancora la fronte, ormai umida per le sue lacrime, e scese con il viso fino al suo collo. Premette il volto lì, percependo sotto il tanfo di sangue il suo profumo naturale. Se lo impresse in mente, non voleva dimenticarlo. Altre lacrime caddero e bagnarono il collo.
Non voleva dire addio, non poteva.
Era ammettere di non poterlo più vedere sorridere, udirlo ridere o parlare velocemente tanto era preso dall'emozione del momento. Non avrebbe più potuto sentire le sue carezze e i suoi baci e la sua pelle sotto le proprie mani e labbra. Avrebbe rinunciato ad ammirare i suoi occhi profondi, scuri, che erano una casa per lui, un posto in cui rintanarsi e sentirsi protetti.
Avrebbe detto addio a tutto ciò che rendeva quel mondo un posto un po' meno di merda.
Un'ondata di caldo l'avvolse e il mondo scivolò sotto la sua presa.
Perché aveva così sonno? Non voleva lasciare andare Roberto! Non poteva!
Ma quel sonno lo vinse e s'addormentò.
•~-~•
Bruno si risvegliò di scatto, stringendo fra le mani le coperte del letto.
Letto? S'accorse era in camera propria. Qualcuno doveva averlo trasportato lì con la magia.
Non poteva essere stato tutto solo un incubo, giusto?
La vita non era così clemente con lui. Provò ad alzare un braccio per sistemarsi i capelli e un dolore lancinante lo colse. Soffocando un gemito di dolore, si guardò il braccio. Una benda era assicurata sul punto in cui la carne tirava e pulsava. Era da solo in stanza, nessuna traccia di Roberto.
Si fissò le gambe, nascoste dalla coperta. Non era stato un incubo, era tutto reale.
Roberto...
No, non voleva pensarci. Sarebbe crollato totalmente e in quel momento non aveva le forze di far nulla. Era totalmente svuotato.
Fu istintivo evocare il proprio flauto e suonare qualche nota, impacciatamente per via della ferita al braccio. Quella melodia si condensò in una figura seduta accanto a sé, sul letto, che gli sorrideva. Quell'illusione di Roberto creata bella, ma mai quanto l'originale. Allungò una mano e gli sfiorò la guancia, passandogli attraverso e l'illusione scomparve. Strinse la mano a pugno. Perché aveva dato ascolto alla sua impulsività?
Osservò il flauto che teneva in mano. Mosse il polso in un movimento fluido e lo strumento musicale tramutò nella sua spada, già pulita dal sangue del piemontese. Quella dannata spada, la stessa con cui aveva ucciso tutti quei suoi cittadini. Era solo portatrice di dolore.
Girò un po' la lama, finché non rifletté il suo sguardo blu, inespressivo, vuoto. Eppure c'era vita dentro i suoi occhi, anche se piccola. L'immagine degli occhi spenti di Roberto si sovrappose ai suoi e scostò lo sguardo di fretta, come se si fosse scottato.
Tenendo la spada in modo che non riflettesse il suo volto, tornò ad osservarla.
Passò un dito per il piatto della lama una volta, due volte, tre volte e così via.
Aveva pensato che, nascondendola nel flauto, l'avrebbe avuta sempre con sé come memento di ciò fatto, ma senza utilizzarla più. Hans aveva scovato anche quel ricordo, invece.
E Roberto ci aveva rimesso.
Che beffa il mondo.
Gli aveva fatto odiare quella realtà in cui aveva imparato che l'unico modo per vivere era sfruttare gli altri e le interazioni con loro. Se non lo facevi anche tu, gli altri l'avrebbero fatto con te in ogni caso.
Poi gli aveva dato un briciolo di speranza per quell'universo con Feliciano, quella nazione così piccina al tempo e dannatamente ottimista. Ma, a sentire le sue storie, lui non aveva visto il mondo in tutte le sue sfumature, non sapeva come era davvero. Era puro perché era stato protetto, non perché aveva deciso nonostante tutto di rimanere buono.
Eppure la piccola speranza rimase, fino a che non divenne territorio italiano, con tanto di ricciolo infido in omaggio. Appena arrivato aveva pensato che l'avrebbero odiato e che l'avrebbero trattato come avevano fatto gli altri territori di Roderich. Lo sentiva sulla pelle. E a primo impatto era stato così. Era austriaco, era il nemico.
Ed era in quel momento che Roberto era subentrato. Era stato un raggio di sole in un cielo nuvoloso. Era educato e rispettoso, eppure ogni volta che era con lui aveva l'impressione che genuinamente l'apprezzasse e l'aiutasse perché sapeva che aveva bisogno di aiuto, senza chiedere nulla in cambio.
Era rimasto esterrefatto da lui.
Esisteva davvero gente buona in quel mondo così buio?
Aveva ritenuto fosse come Feliciano, ignaro della realtà. Quando in fretta apprese che aveva vissuto secoli a corte e lui ebbe conosciuto in modo formale i regnanti (che da subito gli parvero odiosi), ne fu scioccato. Era sopravvissuto a quella merda... e ne era uscito in quel modo?
Provò enorme ammirazione per lui e per vario tempo si convinse fosse solo quello, quindi non sapeva quando fosse diventato amore finché non ci fu la possibilità di perderlo, nella seconda guerra mondiale.
Il terrore lo aveva colto quando realizzò quel cambiamento dentro di sé.
Lui, innamorato di un uomo? Solo dopo odio e negazione l'aveva accettato.
E fu come respirare per la prima volta. Ammirare il mondo senza un pesante velo grigio addosso.
Tutto era più bello accanto a lui e, anche se soffriva per l'amore non corrisposto, non importava. Lo avrebbe amato per l'eternità in silenzio, beandosi man mano del profondo legame creato.
Essersi fidanzato con lui alcune volte ancora gli era parso un sogno, ma quando osservava Roberto dormiente accanto a sé sorrideva e si ricordava della sua immensa fortuna.
E ora avrebbe perso tutto.
Tutta la bellezza di quel mondo gli sarebbe stata sottratta.
Perché fargli toccare le stelle, per solo farlo schiantare nel fango?
La porta si aprì ma lui ci fece poco caso, perso nei suoi pensieri mentre proseguiva a sfiorare il piatto della lama.
<Ehilà...> iniziò una voce maschile in modo insicuro.
<Oh, sei sve- Che cazzo stai facendo con quella spada!?> strillò una voce femminile.
Bruno si costrinse ad alzare lo sguardo e nella sua visuale si ritrovò una furente Anna che, avvicinatisi, gli aveva strappato l'arma dalle mani, tenendola lontano dalla sua portata. O almeno ci provò, perché la lasciò subito andare in un lamento, come se si fosse scottata. La spada ridivenne il flauto e tornò nella mano del suo proprietario.
<Direi che la spada non ti voglia.> commentò Angela, la voce calma ma lo sguardo molto meno rigido del solito.
<E non stavo facendo niente di male. Ero più che altro perso nei miei pensieri.> si difese il biondo.
<Mentre accarezzavi una spada spuntata, a quanto sembra, dal tuo flauto.> specificò Domenico.
<L'avevo intrappolata nel flauto tempo fa.> raccontò il trentino. Mosse il polso e la spada ricomparve, sotto lo sguardo in disappunto della romagnola.
Aggiunse: <Preferisco la magia, ma... ha un significato importante. Volevo che fosse sempre con me, per ricordarmene. Hans ha scoperto avessi fatto questo trucchetto e... l'ha sfruttato.>
Strinse le labbra in una linea sottile e mosse di nuovo il polso, la spada che ritornò un "innocuo" flauto d'argento. Era bravissimo ad essere la causa dei suoi stessi mali.
<È in camera sua, non si è ancora svegliato. Abbiamo curato la ferita fin dove la magia ha potuto. Idem con te: con quello successo a Bolzano, ti si erano frantumate alcune ossa delle gambe, ma dubito tu sia già perfettamente a posto.> illustrò Angela.
<Cosa è successo a Bolzano, di preciso?> domandò Bruno, il cuore che ardeva all'accenno del fidanzato. Doveva andare da lui.
Anna gli mise una mano sulla spalla e lo tenne seduto sul letto, lo sguardo ammonitore.
L'ex austriaco posticipò la scenata perché Domenico riassunse: <Dopo l'inizio delle trattative, altri secessionisti avevano invaso e distrutto varie parti del palazzo e provato a prendere in ostaggio i politici lì presenti. Per fortuna le forze dell'ordine sono intervenute tempestivamente, hanno salvato i politici e arrestato i ribelli, anche se questi ultimi hanno fatto violentemente resistenza. Inoltre altri secessionisti hanno inutilmente creato danni e scompiglio per Bolzano. Ora tutt'Italia sa di che pasta sono fatti e tutti li condannano sui social.>
<Meglio così, i miei territori sono ancora tutto d'un pezzo, a modo loro.> sospirò vagamente sollevato il biondo. Alzò lo sguardo sull'amica che lo teneva bloccato e aggiunse: <Ora che so del disastro finito bene che è successo nei miei territori, posso alzarmi?>
<No, non sappiamo neanche se riesci a camminare.> protestò Anna.
<Inoltre> s'intromise l'umbra <Quando stavi cercando di riprendere il controllo del tuo corpo e prima che noi ti facessimo svenire con la magia, eri totalmente impazzito e il controllo sui tuoi poteri con te. Eravate circondati da una scarica magica spaventosamente pericolosa. Potrebbe succederti di nuovo, se lo vedi ora, fragile quanto sei.>
<Era una situazione particolare.> si difese il trentino, incrociando le braccia al petto.
<Tutt'ora la é. E non c'è nulla di sbagliato nell'essere fragili, solamente è meglio per tutti se rimandiamo almeno di qualche ora la tua visita.> tentò Domenico, pacato e vagamente incerto.
<Voglio vederlo ora!> ribatté Bruno. Tentò di alzarsi dal letto, ma appena poggiò i piedi a terra e provò a far leva sulle gambe, scariche di puro dolore gli invasero il corpo e con un lamento finì a peso morto seduto sul letto, la faccia contratta nel dolore e nella vergogna.
<Visto? Non riesci a camminare!> esclamò Anna, allargando le braccia dall'esasperazione.
<E allora trovo un altro modo per arrivare da lui; piuttosto che rimanere qua striscio sul pavimento!> ritorse l'ex austriaco.
<Sei un testone quando ti ci metti.> sospirò Angela, seccata.
<Non hai idea di come ero ridotto nella mia stessa testa quando ho visto la scena. Avrei raso al suolo il mondo pur di avere vendetta.> borbottò il biondo, fissando le proprie ginocchia.
<E ora? Vuoi ancora vendetta?> lo interrogò Domenico, un po' preoccupato. I più giovani e/o irrequieti avevano sempre quel problema: desideravano sempre vendetta. Si rodevano il fegato nell'attesa di tornare il favore, momento che difficilmente arrivava. E comunque non cancellava ciò subito.
<Voglio solo vedere Roberto. Non mi importa se dorme o se è perfino in qualche sorta di coma! ... Voglio solo stargli vicino.> sussurrò Bruno, il tono distrutto, alzando lo sguardo verso di lui. Non era difficile notare i suoi occhi lucidi.
<Ci sono altri nella sua stanza...> notò Anna.
<E?> domandò il più giovane, confuso.
<Nel dolore si fanno molte stronzate.> semplicemente rispose ella.
Il biondo corrugò la fronte e tentò: <Vuoi dire che... mi accuserebbero?>
<Sì.> asserì schietta l'umbra.
<E con ciò? Lo faccio anch'io.> notò il trentino.
<Ma non è colpa tua. Non eri in controllo in quel momento.> criticò Domenico.
<Non avrei dovuto lasciarglielo in primo luogo.> ritorse il mezzo germanico.
<Difficile ragionare con su un incantesimo distorcente e amplificatore delle emozioni.> sottolineò Angela.
<Volete farmi andare da Roberto o devo davvero strisciare?!> sbottò Bruno. Non aveva il diritto di attaccarli in quel modo, ne era conscio, ma era così dilaniato e smanioso di vederlo che non si controllava bene.
<No.> impose Anna.
<Sì.> convenne l'umbra.
<Cosa?> fecero all'unisono la romagnola e il trentino. L'abruzzese si limitò ad osservarla confuso.
<L'aura è sotto controllo nonostante le emozioni, dubito possa perderla in un istante di là. Sei disposto ad andare lì in qualsiasi modo?> domandò Angela.
<Certo.> fu la risposta istantanea del biondo.
<Domenico, ti dispiacerebbe trasportarlo tu?> chiese l'umbra.
<Nessun problema.> convenne l'interpellato. Guardò l'amico e chiese: <A te va bene?>
<Sì.> rispose l'ex austriaco.
Era imbarazzante o simile essere trasportato in quel modo? Non gliene poteva importare di meno.
Domenico lo prese gentilmente a mo' di sposa e Bruno lo lasciò fare. Almeno era caldo; era un confortevole contrasto con il gelo incatenato al suo petto.
Attraversarono il poco spazio fra le due stanze, entrarono e videro tre regioni nella stanza. Rita, seduta su una sedia, maternamente accarezzava Marie, rannicchiata accanto il letto del fratello. Rosa invece era seduta sulla scrivania del piemontese, vigile come un falco. Osservò quasi con sospetto il biondo e constatò: <Oh, finalmente ti sei svegliato.>
<Ancora non collaborano le gambe?> domandò Rita.
Bruno scosse appena la testa, concentrato su Roberto, steso sotto le coperte nel proprio letto. Sembrava stesse dormendo serenamente, se non fosse stata per la posa estremamente rigida in cui era. Disteso dritto a pancia in su, gambe unite e le braccia appoggiate sulla pancia a giudicare dalle pieghe del lenzuolo.
Il volto era inespressivo, disteso, ancora troppo pallido, ma almeno ripulito dal sangue. Poteva illudersi stesse solo dormendo senza sognare.
<Fatelo sedere qua, poverino.> commentò Rita, alzandosi dal suo posto.
Domenico si stava avvicinando che il biondo si risvegliò e scosse la testa: <No, no, grazie.>
<E dove vorresti fare? Non puoi stare sempre in braccio a Domenico.> notò la sarda.
<Vorrei... potermi sedere sul letto, mi va bene anche ai suoi piedi, così non sono d'intralcio.> sussurrò il trentino.
Non seppe per quale motivo lo accontentarono, ma lo fecero e l'abruzzese lo depositò vicino ai piedi dell'ex sabaudo. Il mezzo germanico lo ringraziò sottovoce e fissò Roberto, accarezzandogli piano la gamba da sopra le lenzuola, con delicatezza. Gli occhi tornarono lucidi, ma in qualche modo anche più vivi, anche se di poco.
<Meglio non intasare questa stanza... a dopo, fateci un fischio se qualcosa cambia.> decretò Anna.
<D'accordo.> fu la risposta asciutta di Rosa. Anna, Angela e Domenico uscirono, chiudendo la porta dietro di sé.
Bruno voleva dire qualcosa, gli premeva dal fondo del cuore, non poteva aspettare e non voleva essere capito. Chiuse gli occhi e si ritrovò a parlare in tedesco, quella lingua che in un certo senso odiava. Eppure le parve perfetta per esprimere la sua disperazione, con i suoi toni duri.
<Roberto, es tut mir leid.> iniziò <Ich wollte dich mit diesen Worten nicht anschreien, ich wollte dich nicht ohrfeigen. Hab ich doch. Ich bin ein Monster, das ich kenne. Ich habe versprochen, dich nicht zu verletzen, aber ich habe es getan.>
[N/A: ho usato google traduttore, se chi conosce il tedesco vede errori, me lo dica. C'è scritto, in teoria: "Roberto, mi dispiace. Non volevo urlarti quelle parole, non volevo schiaffeggiarti. Eppure l'ho fatto. Sono un mostro, lo so. Ho promesso di non farti del male, ma l'ho fatto."]
L'espressione altrui gli tornò in mente come uno schiaffo. Anzi, no, come un pugno nello stomaco ben piazzato.
Continuò: <Als ich dich ansah und du mich am Boden zerstört anstarrst... fühlte ich mich, als würde ich sterben. Völlig. Ich hatte verletzt, was ich liebte. Und was ich immer noch liebe. Es spielt keine Rolle, dass ich verzaubert war, es ist egal nichts. Ich hätte dir nicht weh tun sollen. Aber ich schwöre dir, ich liebe dich.>
[N/A: e qui: "Quando ti ho guardato e tu mi hai fissato distrutto... mi sono sentito morire. Totalmente. Avevo ferito ciò che amavo. E quello che amo ancora. Non importa che fossi sotto un incantesimo, non importa nulla. Non avrei dovuto ferirti. Ma ti giuro, ti amo."]
Prese un profondo respiro, conscio che la propria voce rischiava di diventare tremolante. Supplicò: <Komm zurück, Roberto, ich kann nicht ohne dich leben. Und ich weiß, dass es hauptsächlich meine Schuld ist, dass du jetzt zu sterben riskierst. Ich bitte dich nicht, für mich zurückzukommen. Ich könnte das nie tun, nicht nachdem ich ein Arschloch war. Tu es für andere, tu es für dich selbst, tu es für was immer du willst...! Aber bitte komm zurück.>
[N/A: "Torna, Roberto, senza te non posso vivere. E lo so che è principalmente per colpa mia che ora rischi di morire. Non ti chiedo di tornare per me. Non potrei mai farlo, non dopo quanto sono stato stronzo. Fallo per gli altri, fallo per te, fallo per qualsiasi cosa vuoi...! Ma ti prego, torna."]
Non una mosca volava per la stanza, le altre tre regioni parevano prese da quello che stava dicendo, anche se non ne capivano una parola. Lui, invece, stava cercando di combattere contro le lacrime. Però esse vinsero e presero a scorrere sulle sue guance.
Sussurrò, mentre bagnava la coperta: <Es würde mir genügen, dich von weitem anzusehen und dich glücklich zu sehen. Würde mich auch freuen. Ohne dich macht diese Welt keinen Sinn. Du machst es schön. Ich liebe dich und ich werde dich immer lieben, auch wenn du mich hasst. Denn für mich bist du derjenige, der die Welt bewegt.>
[N/A= "Mi basterebbe guardarti da lontano e vederti felice. Sarei felice anche io. Senza di te questo mondo non ha senso. Tu lo rendi bello. Ti amo e lo farò sempre, anche se tu mi odierai. Perché tu per me sei colui che fa muovere il mondo."]
Poi calò in silenzio e lo osservò, le lacrime che ancora gli rigavano le guance. Si sentiva un po' più leggero, anche se era conscio che Roberto non l'avrebbe mai sentito.
<Hai... pregato in tedesco?> domandò Rosa.
<No.> rispose Bruno <Erano cose che dovevo dire... ma non volevo che nessuno le capisse.>
La ligure mugugnò in assenso e basta.
<Tu non dovresti neanche essere qua, bastardo!> scoppiò improvvisamente Marie, che si alzò in piedi.
A passi pesanti si diresse verso il biondo, puntandogli il dito contro, il volto un unico grido di furia.
<Marie...> tentò Rita, osservandola.
La valdostana si girò verso di lei un istante e strillò: <Assolutamente no! È colpa sua, solo colpa sua! È perché loro due stavano insieme che quello stronzo l'ha praticamente ucciso! È perché è stato troppo debole che è stato posseduto! È tutto, tutto colpa sua!>
N/A: spero vi abbia vagamente trasmesso qualcosa il discorso di Bruno finale e...
Ora Marie fa vedere il suo lato protettivo, quindi sono cavoletti amari amari. Rip Bruno
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