54. L'eroismo non ti aiuterà
N/A: ecco qua un disegno riguardo il trauma di Bruno! Non è granché, ma ci ho speso su troppo tempo per ritoccarlo ancora una volta!
Che bella esperienza che ha vissuto da ragazzino, compiere un genocidio delle tue stesse genti per via della tua sete di vendetta e rabbia nei confronti di certe teste di cazzo. :D
I vestiti sono un po' più storicamente accurati di quelli che ho fatto per Roberto taaanti capitoli fa, ma anche qua la semplificazione regna sovrana.
E si ringrazia il pennello per fare il sangue su IbisPaint, è stato una manna dal cielo.
Passando a cose più serie... vi avverto, in questo capitolo c'è una massiccia dose di 'emotional damage', quindi se siete sensibili prendetevi dei fazzoletti, probabilmente vi serviranno.
Credo non debba dire niente sulle bestemmie, ce le avete già tutte lì belle pronte.
Ricordate sempre di commentare e lasciare una stellina alla vostra autrice sadica di fiducia, che mica disprezza! ;)
Buona lettu- COME NO AHAHAHAHAHAHAHAHHAHA!
PIANGETE.
Hans uscì allo scoperto, determinato a mettere un punto a quella battaglia, nella modalità che più gli si addiceva; con stile e in gran fracasso.
Suonò note sulla stessa scala, simili e ingannevoli. Come un sol corpo, i suoi sottoposti emisero una bolla nera ciascuno, che esplosero insieme all'istante e diffusero un alone pece attorno a sé. Come un terremoto, si propagò in fretta e solo alcune regioni ebbero la reattività adatta per proteggersi.
Il secessionista ghignò divertito al sentire imprecazioni volare da ogni parte, suoni di armi e magia che si scontravano.
L'illusione era la più potente delle magie, perché stregava la mente e non il corpo. Se la razionalità cadeva o veniva soggiogata, il resto crollava di conseguenza. Era stato semplice, fin troppo, raggirarli. Ora tutti pensavano di averlo davanti e di starlo combattendo.
E non si domandavano perché combattesse o parlasse in modo così diverso; non potevano domandarselo perché la sua magia li assuefaceva e stordiva.
A rifletterci, poteva andarsene pure così.
Nessuna uscita di scena ad effetto, ma sicuramente avrebbe riso per svariato tempo, fra sé e sé, mentre la sua indipendenza gli veniva riconosciuta.
Un lampo di luce gli piombò quasi addosso, per fortuna i riflessi l'avevano salvato. Spalancò gli occhi, scioccato.
Chi era stato?!
<Idiota.> commentò secco Vincenzo, apparendo dietro di lui e scagliandogli addosso un fiotto di fuoco.
Hans si buttò a terra in tempo e rotolò sulla schiena, suonando silenziosamente e divenne invisibile. Il calabrese puntò dov'era un istante prima, ma non lo colpì. Si era già alzato e ponderava che incantesimo usare.
Un dolore lancinante ad un braccio lo colse, il sinistro. Urlò e si voltò, l'incantesimo spezzato, ricercando il colpevole. Franco, pugnale insanguinato alla mano, arretrò e tornò verso Angela, anch'ella salvatasi dall'annebbiamento mentale.
L'altoatesino si girò di scatto, i peli sulla nuca rizzati. Per fortuna deviò l'incantesimo appena in tempo, con il disappunto sul volto di Vincenzo.
<Pensavi di essere così furbo?> domandò.
Alzò un braccio al cielo, un fascio di luce bianca che si strappò dall'aria e si avvolse al suo braccio, come un irradiante bracciale pericoloso nella sua bellezza.
L'aspirante regione gli fece tremare la terra sotto i piedi, ma il calabrese si librò in aria all'istante e, tale e quale al scagliare un pugno, gli spedì il fascio di luce arpionatosi al braccio.
Hans si parò, ma la cupola si ruppe all'istante. Maledisse a denti stretti il mondo, perché percepì alla perfezione l'incantesimo d'illusione venir spezzato. Creò un turbine con il quale si avvolse per propria protezione e si volse dall'altro lato, osservando l'umbra e il molisano, quest'ultimo decisamente raggiante per aver spezzato la magia. Infatti le altre regioni si erano fermate e stavano realizzando cosa fosse appena successo.
Sfruttò l'attimo di calma per muoversi in mezzo i propri fantocci, ancora avvolto da quella tromba d'aria di cui era l'occhio, per ritornare su un campo a lui favorevole. La ferita pulsava e la fronte era imperlata di sudore.
Ma lui era in vantaggio, eccome se lo era. E avrebbe rinfrescato la memoria anche a quei cocciuti, così ostinati a frapporsi fra lui e la sua felicità.
Mutò il vento e creò un grande quadrato attorno a sé, cosicché da non ricevere tiri mancini da qualche parte inaspettata. Allontanò lentamente il flauto dalle labbra, sicuro della sua cupola. Quello che riceveva, lo rispediva indietro stile boomerang e, all'occorrenza, poteva fluttuare.
Era al sicuro. Li fissò con calma, il ghigno mai abbandonandolo.
Quell'idiota era ancora preso dall'incubo, avrebbe percepito se fosse riuscito a sfuggire al ricordo spalancato e lasciato lì apposta per lui.
<Cosa c'è, stanco?> domandò con sfida Aleksander, la lama vagamente insanguinata.
L'aspirante regione si costrinse a frenare il movimento dell'occhio sinistro che si voleva chiudere spasmodicamente nella rabbia, notando la ferita sulla guancia del lombardo a causa del friulano.
<Assolutamente no. Mi sto annoiando a stare qui a combattere e combattere... per cosa, poi? Ormai manca poco all'irrimediabile.> sbuffò Hans.
Qualche colpo magico colpì il cubo, ma essi rimbalzarono e si dispersero nell'aria.
Già, funzionava proprio bene!
<Non se prima ti finiamo. L'unica cosa irrimediabile sarebbe la tua morte.> commentò Francesca, tirando la propria frusta.
L'altoatesino rise e ribatté: <Ed è qua che ti sbagli, vi sbagliate tutti! Mi sorprende che non ci abbiate pensato neanche un pochino!>
Si indicò e proseguì: <Mi avete subito attaccato senza riflettere, per vostra fortuna ho evitato la maggioranza dei colpi.>
<Cosa vuoi dire?> domandò Maurizio, le mani bianche per via di quanto teneva stretta la propria lancia.
<Come le altre volte, questo è il corpo di Bruno e io l'ho preso in prestito. Ergo, quello che fate a questo corpo sì lo subisco, ma lo subisce pure Bruno. Uccidete me ed ucciderete pure lui.> spiegò con serenità. Alzò il braccio, la ferita sanguinante ben visibile sulla pallida pelle. Aggiunse: <Questa ferita, se adesso sparissi, la subirebbe con tutti gli interessi lui. E già lo sta subendo il suo corpo.>
<Come non può rendersi conto di star sanguinando?!> borbottò Carmela.
<È rinchiuso lontano dalla coscienza. Non può ribellarsi, non finché non lo voglio io. Quindi fate i bravi, su. Lasciatemi andare. Mi prenderò il mio corpo e finalmente vi potrò ridare vostro fratello.> li esortò Hans.
<Certo, come se la tua comparsa come effettiva regione non avrebbe ripercussioni su di lui.> ritorse Sofia, pensando a come raggirarlo e ristabilire lo status quo corretto nel corpo del biondo.
<Beh, volete ucciderlo così, direttamente?> chiese retorico l'altoatesino.
Arretrò di qualche passo, il quadrato che si muoveva con lui.
<Lasciatemi andare. Abbassate queste protezioni.> concluse.
<Se solo tu te ne vai per sempre, volentieri.> notò Marie.
<Allora siamo in uno stallo, ma in cui vinco sempre io.> decretò il secessionista, sorridendo trionfante.
Uno squarcio, come attraverso una tenda. La barriera tremò e scomparve. Spalancò gli occhi nel terrore e si girò. Il molisano reggeva un pugnale che ancora odorava di magia. La rabbia gli montò dentro. Quel bastardino. Già l'aveva ferito al braccio, ora gli toglieva la sua protezione!
Provò a scagliargli addosso una pioggia di vetri, ma venne protetto dalla magia di qualcun altro.
Tutti si mossero.
Suonò e si dissolse nelle ombre, andando velocemente verso la sua preda.
Era stufo di giocare. Voleva il suo secondo premio e fuggire da quella casa, soddisfatto con ciò che si era lasciato dietro.
Arrivò alla sua ombra.
Tornò corporeo e sghignazzò: <Ehilà~>
Roberto si girò di scatto, la lama del fioretto che fendette l'aria, ma troppo distante per concretamente ferirlo.
Oh, quanto poteva essere facile!
Hans arretrò di qualche passo e suonò, evocando enormi serpenti.
Il piemontese spalancò gli occhi e li fendette in fretta ed essi scomparvero come sabbia fine. Si fermò prima di attaccare il biondo, mordendosi il labbro inferiore.
<Che c'è, brazedèl, non riesci ad attaccarmi?> domandò con finta sorpresa l'altoatesino.
<Non chiamarmi in quel modo! Solo Bruno può!> ribatté Roberto. La spada tremava leggermente nella sua presa, la frustrazione che lo colmava.
<E perché io no? E lo difendi ancora, lo ami nonostante quello che ti ha detto?> domandò Hans, avvicinandosi.
Erano vicini, vicinissimi, nonostante la disparità di altezza. La distanza era così effimera che nessuno si sarebbe permesso di attaccarlo, senza rischiare di ferire l'altro nel processo. Inoltre, i suoi mostri stavano facendo un bel lavoro a farli temporeggiare. Se si fossero concentrati su di lui, sarebbero stati attaccati.
<Era sotto effetto della magia. Non voleva dirmi quelle parole.> notò l'ex sabaudo.
L'altoatesino criticò: <Però, quando vi siete confidati riguardo le vostre cicatrici, non ti ha parlato di due segni in particolare, legati al ricordo che sta rivivendo ora. Un ricordo orribile, dove ha ucciso i suoi stessi cittadini con le sue stesse mani.>
<Io neppure gli ho detto le storie di tutti i miei segni. Non hai idea di quante di quelle cicatrici siano memorie di danni che ho fatto al mio popolo, quanti ricordi ho dei torti che ho fatto alle mie genti.> ribatté il piemontese.
Celere, fece scomparire il fioretto; con una mano lo prese per il colletto, con l'altra gli bloccò il polso impugnante il flauto.
Lo sguardo scuro e sicuro era incastonato in quello chiaro e beffardo dell'altro.
Hans dovette dargliene credito, il gemello non si era innamorato di un perfetto idiota.
Sembrava un aspirante paladino della giustizia, pronto ad acciuffare il criminale e salvare il mondo.
Però quella non era la finzione, bensì la realtà, e i fatti dicono che spesso il male vince sui puri di cuore.
<Quanto eroismo> ridacchiò il secessionista. Mosse velocemente il polso con in mano il flauto traverso e l'argento dello strumento tramutò in quello di un oggetto ben più letale.
Il colpo fu così veloce e rapido che Roberto non lo registrò se non quando fu troppo tardi.
Percepì la ferita lancinante nel petto, la carne dilaniata e il sangue che sgocciolava dal taglio ostruito dalla lama della spada. Spalancò gli occhi e tossicchiò a vuoto, la bocca che si riempì del sapore ferroso del sangue, il quale prese a colare dagli angoli della bocca. Un urlo era morto in gola e il corpo divenne in fretta debole.
<Peccato che non ti aiuterà.> sghignazzò Hans, per poi ridere a voce alta, la soddisfazione che ruggiva dentro di sé.
Roberto percepì come la presa sul corpo altrui scivolò e rimase con le braccia a ciondoloni, ancora in piedi per miracolo.
Tale grazia finì in fretta. La lama fu estratta dal suo corpo e lui cadde in ginocchio per un istante, il dolore sordo alle ginocchia infimo rispetto al bagno di sangue che gli scaldava la maglia.
Poi cadde in avanti, il mondo che perdeva senso.
I suoni erano ovattati, le uniche sensazioni vive erano legate al sangue che si riversava per terra, dalla ferita e dalle labbra socchiuse.
Un sonno così veloce non gli era mai capitato, se non quando era veramente distrutto dalla giornata.
L'ultimo suono che udì, lontano come un miraggio, furono urla.
Sipario.
Abbandonò quel mondo.
•~-~•
Bruno stava urlando, si stava disperando, l'ennesimo corpo che strappava alla vita che cadeva per terra. Hansel avanzava senza pietà e senza rimorso, tutte le morti concepite come un gradino salito per raggiungere il suo obiettivo, la sua vendetta. Quanto si sgolava dentro, quanto chiedeva al nulla che quella tortura finisse, tutto era migliore di ciò.
O forse non proprio tutto, ma non poteva rimangiarsi le parole, no?
Ad un certo punto, il ricordo si bloccò.
Davanti ai suoi occhi, comparve quello schermo che aveva imparato a riconoscere come ciò che permetteva, a chi era dentro la sua testa, di osservare il mondo esterno.
Fu rapito all'istante dalla visuale, la quale l'avvolse, nonostante fosse distante dal suddetto schermo.
Un attimo prima osservava le iridi sicure del fidanzato, che lo fissava (stava fissando Hans) come se fosse pronto a combattere contro gli dei. Le sue mani lo bloccavano dov'era, la grinta nei suoi occhi bruciava come una fiamma.
Accadde tutto così in fretta.
Percepì il polso destro muoversi (il polso che Hans stava comandando) e al posto di un piccolo oggetto metallico strinse un'impugnatura, muovendo a malapena la mano avanti.
Il rumore dei vestiti e della carne lacerata fu terrificante, ben peggio di qualsiasi urlo assatanato. Quegli occhi che tanto amava, per lui una casa, si spalancarono nel terrore e tutta la grinta scomparve. La vitalità sfiorò mentre i fiotti di sangue sgorgavano dagli angoli delle sue labbra rosee, ora più pallide eppure così scure in quel profondo rosso che le macchiava.
Abbassò leggermente lo sguardo e la vista gli fece vomitare.
La sua mano (la mano che Hans aveva mosso) reggeva l'elsa della sua spada, la medesima che nel ricordo ciondolava dal suo fianco, sporca con fierezza del sangue dell'amato. Era conficcata dentro il corpo altrui, anzi, lo trapassava.
Mosse le labbra (Hans le mosse) e disse qualcosa che non recepì, le orecchie sorde, e nonostante fosse conscio stesse ridendo, poteva solo ammirare lo spettacolo macabro che si svolgeva davanti ai suoi occhi.
Le braccia altrui persero la forza e tornarono stese, le mani che sfioravano i fianchi, lo sguardo perso e vuoto. Tremendamente vuoto. Strappato della sua vita, velocemente quanto ritirò la spada (Hans la ritirò).
Roberto cadde in ginocchio, in una muta preghiera che forse neanche c'era, per cadere rovinosamente a terra e lì giacere, tale e quale a tutti gli altri corpi presenti sulla Terra.
Ma lui non era un essere qualsiasi.
Era Roberto.
Il suo brazedèl.
E l'aveva ucciso.
Hans l'aveva ucciso.
La visuale sparì e il ricordo riprese il suo corso.
La confusione non ebbe tempo di sorgere, travolta dalla rabbia.
<No! Devo vedere! Fammi vedere, porca puttana!> urlò con disperazione.
Solo quando le facce dei gendarmi lo fissarono perplessi, ma in quella maniera persa che le bambole possedevano, realizzò di averlo urlato.
Non gioì del piccolo successo, la rabbia che ardeva con ben più violenza (e sincerità) di quando era dentro casa. Sbraitò, agitando il fucile: <Fatemi uscire! Roberto è morto! Hans l'ha ucciso! Devo ucciderlo! Ucciderlo!>
Buttò il fucile a terra e si strappò l'elmetto, scagliandolo contro il ciottolato con violenza. Era cieco dal dolore, avrebbe raso al suolo il mondo, eppure era così impotente.
Gridò con tutta la forza: <Roberto! No!> mentre lacrime comparvero sulle sue guance.
Era disperato. Era furibondo. Voleva vendetta, voleva uccidere.
E voleva Roberto fosse salvo. Voleva stringerlo e riportarlo in vita. Voleva almeno chiedergli scusa e baciarlo un'ultima volta. Non poteva esistere che il loro ultimo ricordo insieme fosse lui che lo insultava e lo schiaffeggiava.
Si sgolò in un verso primitivo, animalesco, puro, concentrato, mentre correva verso dove c'era stato quello schermo. Afferrò l'aria, come per squarciarla, e così avvenne. Attraversò lo squarcio e si ritrovò in quella stanza dalle pareti bianche, il ricordo che dietro di sé si chiudeva, senza reclamarlo.
Ma non c'era tempo di esultare.
La scena era impressa nella sua retina, il viso così spento dell'amato era una pugnalata al petto che si allargava.
<Hans!> urlò e corse verso lo schermo, offerente un primo piano del corpo a terra del fidanzato. L'attraversò come se fosse aria e subito fu attratto avanti a sé, dove una porta chiusa e sbarrata risplendeva nel nero.
Ma non aveva paura, non era sconfortato, tutto era nulla di fronte a lui.
Lui voleva vendetta. Lui voleva indietro Roberto.
E almeno una delle due cose l'avrebbe avuta.
La porta intera venne inghiottita dal nero di quel posto ed esso lo sospinse verso la piccola stanza all'interno, dove Hans gli dava le spalle, la postura che tradiva paura. Ma non aveva tempo per i dettagli. Urlò ancora una volta il suo nome e lo afferrò, scaraventandolo lontano dal controllo, fuori dalla stanza, in mezzo al nero più oscuro e vivido esistente, il quale immobilizzò il bastardo.
Era la sua testa, era lui in controllo. Lui e nessun altro.
<Muori!> sbraitò Bruno, scaraventandosi addosso all'immobilizzato.
Non era sleale? Era solo una belva? Non doveva pensare al controllo?
Vedeva solo sangue e bramava avere sulle mani il sangue di Hans, come lui aveva avuto il sangue del suo amato addosso.
Gli salì sopra e prese a dargli pugni dappertutto, urla senza senso che gli lenivano la gola.
Vendetta, vendetta, vendetta!
Perché non sanguinava?! Perché colpiva ma niente succedeva?!
Si fermò, ansante, ancora più furibondo. Gli mise le mani al collo, premette e urlò quella domanda: <Perché non ti uccido?>
Hans, un sorriso sornione sulle labbra, ignorò la domanda e decretò pacato: <Non sei meglio di me, mostro. Entrambi lo abbiamo ucciso. Tu nello spirito, io nel corpo.>
<No! Io non sono te e non sono più Hansel!> ribatté con frustrazione il trentino.
Il secessionista rise: <Ah, davvero? Eppure mi sembra che tu mi abbia incatenato a terra e picchiato e tentato di soffocare mentre non potevo fare niente. E quello schiaffo che gli hai tirato mi era sembrato abbastanza reale.>
Bruno non poté controbattere e la rabbia venne tramutata in sconforto. Il lupo perde il pelo ma non il vizio. Non importava che nome avesse. Era sempre la stessa persona.
Hans si ritrovò le mani libere e si mise seduto. Inclinò leggermente la testa e sussurrò: <Che c'è, Hansel? Hai capito di non essere un cattivo pentito? Non sei capace di pentirti, non hai chiesto perdono mentre uccidevi quella gente, durante quella rivolta anti-napoleonica.>
Qualcosa scattò dentro Bruno alle parole altrui.
Forse non si era pentito sul momento, abbindolato dal sogno di vendetta contro gli austriaci, trascinando nel mezzo i suoi cittadini, che avevano pagato multe salate in vite perse e distruzione.
Eppure, rivivendolo, aveva continuato a pregare perdono. A posteriori, ma l'aveva fatto. Solo perché sbagliava, non significava non potesse tentare di rimediare ai suoi sbagli o almeno accettarli.
E stava facendo lo stesso errore. Si era lasciato accecare dalla vendetta.
Hans aveva ragione. Non aveva chiesto pietà.
Si alzò in piedi, levandosi da sopra il gemello.
L'altoatesino sogghignò in trionfo, pregustandosi già di tornare nel mondo reale e finalmente di reclamare il suo corpo. Provò ad alzarsi. Ma si rese conto di sprofondare.
<Cosa?!> strillò, confuso.
Ma sbagliava su una cosa.
Lui poteva essere un cattivo pentito.
<Hans.> lo richiamò Bruno, osservandolo con distacco. Era pervaso da una calma stoica: il dolore esisteva, il dolore faceva male, ma il dolore finiva. E per vivere sereni, dovevi guidare le emozioni, non farti travolgere da esse. E anche se era conscio che non sempre poteva agire così, almeno in quel momento poteva provarci.
<Posso cambiare. Chiunque lo può fare, se ci si mette davvero. Bisogna accettare i propri errori ed imparare da essi. E io ho deciso che ti lascerò vivere. Tanto ora sarai insignificante.> commentò il trentino.
<Insignificante?! Sto per diventare regione!> si ribellò il sud tirolese, sommerso fin già al busto.
<Devi capire una lezione dell'essere regioni: la nostra esistenza cambia con un soffio. Un giorno sei tutto, l'altro nessuno. Hai raggiunto il tuo apice, ora tocca cadere.> asserì la vera regione.
<Non scomparirò così facilmente!> promise il secessionista, venendo velocemente risucchiato.
<Lo so, ma sarai innocuo per un bel po'. Devo accettarti, per quanto mi dai fastidio. Ciao ciao, non è un addio, solo un a dopo.> salutò Bruno, con aggiunta di mano.
Hans venne inghiottito totalmente e il silenzio avvolse quel luogo.
Bruno si girò verso la piccola stanza e vide che la porta era tornata, questa volta spalancata. Entrò e riprese i comandi, conscio che là fuori non sarebbe riuscito a restare così calmo.
N/A: ... AHAHAHAHAHHAHAHAHAHAHAHAH
NON POTETE CAPIRE LA SODDISFAZIONE NELLO SCRIVERE LA SCENA IN CUI HANS UCCIDE ROBERTO, AHAHAHAHAAHAHHAAHAHA
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